Avviso:
il presente scritto ha per protagonisti persone vere e personaggi di
fantasia.
Le vicende narrate sono puro frutto della fantasia
dell’autrice e non vi è
alcun intento di verità o anche solo di verosimiglianza.
Nessun diritto
legalmente tutelato s’intende leso ed ogni diritto appartiene
ai propri
titolari.
Miei
carissimi amici lettori, questa storia è il seguito di
“Tempo Perso” e ne
costituisce una sorta di “finale alternativo”, a
mio avviso.
Pertanto,
coloro i quali si fossero trovati pienamente soddisfatti dal precedente
finale,
potranno tranquillamente ignorare questa storia e bearsi di quanto
accaduto nel
pregresso capitolo della “saga”.
Nelle
intenzioni originarie si trattava di una one-shot (a mio avviso
è ancora una
one-shot), ma considerata la lunghezza ragguardevole (40 fottute
pagine!) ho
ritenuto che fosse più facile la lettura dividendola in tre
capitoli.
Buona
lettura a tutti! <3
MEM
Loud Like Love
Loud
Londra, Inghilterra
Novembre 2013
Matthew
Bellamy ricontrolla rapidamente di aver chiuso il trolley, di aver
preso le
chiavi di casa e di aver intascato il proprio passaporto.
Sarà
la decima volta che ripete quelle poche operazioni e, come le nove
precedenti,
bastano pochi minuti perché la sensazione di aver
dimenticato qualcosa torni ad
affacciarsi alla sua mente.
Sbuffa.
Decide
di averne abbastanza. Non ha mai fatto tante storie per una partenza!
Neppure
quando si riduce all’ultimo secondo a preparare i bagagli per
un tour
dall’altra parte dell’Oceano.
Afferra
il giubbotto da sopra la spalliera del divano e fa per infilarlo quando
sente
il cellulare squillare da qualche parte imprecisata della casa. Questa
volta lo
sbuffo spazientito è perfino più alto. Lancia il
giubbotto sul trolley,
riuscendo miracolosamente nell’impresa di agganciarlo alla
maniglia già
sollevata, e si muove a casaccio nella villetta.
Non
si è ancora abituato ai nuovi spazi e non lo aiuta il fatto
che la casa non sia
completamente finita, che buona parte delle camere sia più
simile ad un
deposito che ad una stanza vivibile – ingombre di mobili, di
scatoloni, di barattoli
di vernice che gli operai non hanno ancora neppure aperto…e
le scale, i
giornali a terra, il parquet che deve essere restaurato e
lamato… Il suo è un
accidentato percorso ad ostacoli che si conclude in camera da letto.
Oltre le
lenzuola arrotolate, sul comodino opposto all’ingresso,
individua la fonte del
rumore che ha appena smesso di squillare e si rende conto, adocchiando
la spina
ancora attaccata alla presa nel muro, che qualcosa
lo stava dimenticando davvero.
Doppia
lo spigolo in ferro battuto della pedaliera del letto, valutando bene
la
distanza tra questo e la parete su cui si apre una grande finestra
bombata con
tanto di divanetto imbottino e cuscini coordinati. …in
questo momento, in
realtà, il divanetto è sommerso da un
guazzabuglio di abiti colorati che Matt
non si è ancora deciso a sistemare nella cabina armadio. Il
terzo sbuffo viene
equamente distribuito tra la sua pigrizia infinita ed il disordine
naturale che
lo caratterizza.
Sblocca
lo schermo dell’iPhone per verificare chi lo abbia cercato e,
mentre invia la
chiamata, arrotola il filo del caricabatteria, facendo a ritroso la
strada fino
al trolley nell’ingresso.
-Ehi,
campione!- lo saluta festosa la voce di Chris.
-Ciao,
Chris.- ricambia Matt brevemente. Un sorriso gli tira istintivo gli
angoli
della bocca, è felice che lui lo abbia chiamato ed immagina
anche il perché lo
abbia fatto.
Non
è troppo stupito, quindi, di sentirsi fare la domanda
successiva.
-Pronto
per la partenza?
-Più
o meno.- borbotta Matthew, allargando la tasca anteriore della valigia
per
cacciarci di malagrazia il caricabatteria.- Mi sembra sempre di avere
ancora un
milione di cose da fare.
-Ah,
ma piantala! Come se non avessi mai viaggiato…
Matt
ridacchia, infilando il giubbotto mentre tiene il telefono in bilico
tra
orecchio e spalla.
-Devo
comprarmi un auricolare.
-Ti
rendi conto, vero, che sarà un disastro? – lo
incalza l’altro senza ascoltarlo,
ma il tono ironico con cui lo fa svuota l’ammonimento di
qualsiasi significato
- E’ una delle idee più ridicole che tu abbia mai
avuto e non sarei troppo
stupito di vederti tornare dopo essere stato preso a calci in culo da quello lì ed apostrofato come
“spia che
sta andando con loro per rubargli chissà quali
segreti”!
A
questo punto Matthew sta proprio ridendo e la sua risata, leggera e
rilassata,
fa sentire bene anche Chris. La verità è che ci
teneva ad essere lui a salutarlo
per ultimo ed a dargli il suo insolito “in bocca al
lupo”.
-Se
dico che se n’è già uscito con questa
storia, suono troppo scontato?- domanda
Matt divertito.
-Sei
ancora in tempo per ripensarci!
-Non
voglio ripensarci.- ammette Matthew stringendosi nelle spalle anche se
Chris
non può vederlo.
Così
come non può vedere quel sorriso che continua a colorare la
sua espressione, ma
quello non ha difficoltà ad intuirlo nel suo tono di voce.
-Matt.-
lo chiama, stavolta serio anche se con quella punta di affetto burbero
che
Matthew immagina utilizzi con i figli quando vuole dargli qualche
consiglio
davvero importante.- Divertiti.- gli dice semplicemente.- Non pensare a
nulla,
fottitene di tutto…delle conseguenze, di noi, di quello che
succederà domani…!
Pensa a te stesso, ok?
-…ok.
-E
adesso riattacchiamo o divento più mieloso di quella checca
del tuo batterista!
-Com’è
che, quand’è checca, è il
mio batterista?!
Si
salutano con un paio di “ci sentiamo” pronunciati
quasi all’unisono.
Matt
intasca l’iPhone dopo aver controllato l’orario,
afferra la maniglia del
trolley ed apre la porta di casa. Fuori il taxi sta già
aspettando. Sorride,
inforca degli occhiali da sole che la giornata uggiosa rende
assolutamente
fuori luogo ed attraversa il vialetto.
***
Nel
salone
Cody ha lasciato aperta la porta finestra del terrazzo.
Brian
sbuffa di disappunto e attraversa l’intera stanza per
raggiungere il battente a
vetri e chiuderlo, proprio mentre l’ennesima folata di vento
s’intrufola
all’interno strappandogli un brivido di freddo. “Sta arrivando l’autunno”,
pensa distrattamente facendo scattare la
serratura. Un raggio di sole più caldo gli accarezza il viso
comparendo da
dietro una nuvoletta di passaggio e smentendo quella sensazione
spiacevole.
Vorrebbe godersi la bella stagione il più a lungo possibile
prima di dover
tornare in strada con la band ed iniziare il tour di promozione del
nuovo album.
Accantona
quei pensieri con un gesto della mano.
Le
partiture degli esercizi di Cody sono cadute a terra sospinte dal vento
e si
sono sparpagliate attorno al pianoforte. Suo padre le raccoglie e le
rimette diligentemente
in ordine, appoggiandole sopra il sedile imbottito.
-Allora,
noi andiamo?!- lo raggiunge la voce di Helena, attutita attraverso i
muri.
Brian
si
volta in direzione dell’ingresso, pochi passi e li ha
raggiunti: Cody, il
giacchetto leggero addosso, una borsa di tela a tracolla e
l’iPod in una mano,
ed Helena, sorriso splendente non appena lo vede entrare nel proprio
campo
visivo e quella dolcezza dello sguardo che è tipica di tutte
le donne incinte.
Brian ricambia istintivamente sorriso e tenerezza, abbracciandola e
posandole
delicatamente una mano sul pancione coperto dal vestitino di lana
colorata e
morbida. Si scambiano un bacio a fior di labbra sotto lo sguardo
attento del
figlio.
-Gh!
sempre
smancerie!- osserva Cody, facendo segno di volersi allontanare schifato.
-Non
fare
l’impertinente.- gli arriva l’ammonimento del
padre, insieme con uno
scappellotto sulla nuca.
Per
tutta
risposta il bambino ride e spalanca la porta.
-Mi
raccomando…- si rivolge Brian ad Helena, sguardo fin troppo
serio che le
strappa una risata sincera e divertita.
-Bri,
sono
con Alex! Non mi permetterà di spezzarmi
un’unghia.- tenta inutilmente di
interromperlo.
-Non
dovresti neanche uscire!
-Oh,
santo
Cielo, Molko! Hai deciso di diventare un seguace del più
intransigente
islamismo?- s’informa Helena, sospingendolo indietro con una
mano.
Brian
getta
un’occhiata alle sue spalle per assicurarsi che Cody sia
rimasto sul
pianerottolo e riprende come se lei non gli avesse detto niente.
-Ottavo
mese, Helena.- sottolinea scandendo bene le parole.
-Ah-ah.
E
sto benissimo!- lo rintuzza lei con orgoglio.- Ora vado, o Alex
comincerà a
spazientirsi. E tu sai com’è Alex quando si
spazientisce.
Brian
ride,
guardandola dirigersi verso l’ascensore. Nel corridoio Helena
spedisce Cody a
salutarlo ed il bambino corre nuovamente in direzione della porta,
lasciando
che il padre lo afferri al volo e scoccandogli poi un bacio veloce su
una
guancia.
-Ciao,
pa’!
– esclama, con la testa già altrove.
Sua
madre
ha promesso di lasciarlo a casa di un amichetto per fare i compiti
assieme e
Brian sospetta che più tardi gli toccherà un dopo
cena a base di matematica.
Sospira e torna dentro l’appartamento non appena le porte
dell’ascensore si
sono portate via l’immagine di Helena e Cody che lo salutano.
Trova
il
proprio cellulare abbandonato nello studio. Tre chiamate perse ed un
messaggio
di Stefan che gli dice che, se non risponde, finirà per
credere sia scappato in
Polinesia. Gli manda un messaggio anche lui, dicendogli di non rompere
e che in
Polinesia i cellulari prendono uguale.
Stef
lo
richiama, immancabilmente, trenta secondi dopo.
-Sei
un
coglione.- esordisce il bassista in una serena constatazione di fatto.
-Grazie,
altrettanto.- è lo scambio formalmente ineccepibile che
Brian gli concede.
Stefan
ride.
-Devo
dire
a Fiona e Bill che ci vediamo in studio domani o ci hai ripensato?
-Non
potevi
scrivermi questo nel messaggio?! Digli che ci vediamo alle dieci.
-Alle
dieci?
-…facciamo
alle undici. Cody è andato a casa di Micah a fare i compiti
e questo significa
che passerò la serata a tentare di fargli studiare qualcosa.
-Se
ti
sentisse tuo padre…!- lo prende in giro Stefan.
-Piantala,
Olsdal, non fai ridere.
-Ti
voglio
bene anch’io.
-….va
un
po’ a fare in culo!
Chiude
la
telefonata sull’ennesima risata divertita
dell’altro, rendendosi distrattamente
conto che sta sorridendo anche lui ed archiviando la cosa come una
delle molte manifestazioni
piacevoli del suo attuale stato d’animo.
Ci
ha messo
un po’, deve riconoscerlo.
Due
anni
per l’esattezza.
…più
di due anni…
Eppure
ora
sta bene. Non Bene da volerlo gridare al mondo intero, ma un bene
più intimo,
più familiare. Legato alla stanchezza che correre dietro a
Cody ed i suoi
impegni scolastici gli provoca. Connesso all’ansia che ogni
visita dal
ginecologo con Helena gli lascia addosso, fino al momento in cui il
medico dice
loro “è tutto a posto, Sig.ri Molko”,
facendoli ridere per quell’errore. Legato
alla gioia che ha provato e prova a tornare in studio con i suoi amici,
a
scherzare con loro, a sentire Jun…Steve
suggerire un arrangiamento per una canzone vecchia o fornire lo spunto
per una
ancora tutta da scrivere.
La
sua vita
è semplicemente ricominciata. Lenta ad ingranare ma costante
nel muoversi, come
la meccanica di un vecchio orologio. E lui ne aveva bisogno. Aveva
bisogno di
fare i conti con le proprie paure, con i limiti che la vita gli ha
messo
davanti, aveva bisogno di confrontarcisi, di capire che non avrebbe
potuto fare
nulla per riavvolgere il tempo su se stesso e che, comunque, questo,
una volta
di più, non lo avrebbe ucciso.
Posa
il
cellulare sul piano della scrivania da cui l’ha prelevato.
Vede le partiture di
“Loud Like Love” e si ricorda di averle portate via
per lavorarci un po’,
qualche idea per gli arrangiamenti dei live da sottoporre a Fiona e
Bill per
sentire cosa ne pensano. Valuta se ha voglia di prenderle in mano
davvero e
pensa che no, è un po’ stanco e, poi, domani ne
potranno parlare di persona.
E’
a quel punto
che sente il campanello di casa.
Attraversa
l’appartamento convinto che Helena abbia dimenticato qualcosa
di fondamentale.
Sorride pensando che Alex la ucciderà per questo! Apre il
battente con quel
sorriso ancora incollato alle labbra ed agli occhi.
-Hel,
tesoro, questo sì che
“spazientirà” quell’arpia!-
commenta vivacemente.
Matthew
non ribatte.
***
Se pensa
che solo qualche minuto prima stava riflettendo sul fatto che adesso sta bene…
Mentre
osserva di sbieco Matt Bellamy passeggiare nel suo salone si rende
conto di
quanto si sia illuso a credere di aver superato tutto, di potersi
dire…guarito?
Che brutta espressione. L’amore non è una
malattia, no?
Matthew
cammina per la stanza, mani nelle tasche dei jeans e soprabito ancora
addosso.
Osserva ogni cosa con attenzione eccessiva ma con sguardo inespressivo,
come un
animale che stia annusando il territorio di qualche altra bestia della
stessa
specie, giusto per decidere se sia una bestia dominante o meno. Brian
sospetta
che lui stia effettivamente cercando segni di Helena, segni del suo
passaggio
in quell’appartamento, delle inevitabili mutazioni che questo
ha apportato.
Ma
si
tratta di un mutamento molto più sottile e Brian vorrebbe
dirglielo.
Solo,
non
riesce a parlargli.
Matt
trova
le partiture di Cody sul sedile del pianoforte. Le riconosce, le prende
in mano
per sfogliarle ed un sorriso gli sfugge involontariamente, infrangendo
la
perfezione immobile di quella maschera apatica che indossa.
-Non
sono
un po’ difficili per un bambino di
quell’età?- osserva, accennando ai pezzi
scelti.
Brian
segue
il movimento delle sue mani mentre sollevano i fogli, poi alza il viso
e si
ritrova incastrato nei suoi occhi. Senza fiato.
-E’
molto
portato.- sente rispondere alla propria voce, meccanicamente.
-E
con la
chitarra? Ha continuato anche quella?- s’informa Matthew con
una familiarità
che presupporrebbe una frequentazione assidua e priva di implicazioni.
Non
c’è
nessuna delle due cose.
Non
si
vedono da due anni e svariati mesi e tra loro ci sono mucchi di cose
irrisolte
pronte a balzare fuori per uccidere quella quiete tanto immobile quanto
falsa.
Brian
pensa
tutto questo e decide che è arrivato il momento di dare un
colpo secco alla
superficie.
-Matt,
cosa
vuoi?- chiede senza girarci ulteriormente intorno.
Si
morde le
labbra a sangue. L’uso del nome…del diminuitivo,
addirittura! è un pessimo
punto di partenza.
Matthew
lo
sa. La sua intelligenza è sempre stata troppo acuta. Lo
guarda di traverso dopo
aver posato nuovamente gli spartiti, lo soppesa con lo sguardo. Tra
loro c’è
quasi tutto il salone, come se per Brian fosse semplicemente troppo
complicato
stargli accanto.
Matt
non ha
alcuna difficoltà a capirne la ragione.
Ad
essere
onesti, se non fosse per quel desiderio di stringerlo a sé,
di baciarlo e di
scoprire se potrebbe provare ancora la scarica di adrenalina pura e
desiderio
che aveva quando le loro labbra
s’incontravano…beh, se non fosse per simili
desideri e per i ricordi che ci sono attaccati, anche lui troverebbe
intollerabile la situazione.
Ed
è
sbagliato.
A
differenza di Brian, non ci è “caduto
dentro”. L’ha creata. Con consapevolezza
e volontà.
-Dovevo
vederti.- ammette subito.
-No,
non
dovevi.- Brian scuote la testa, cercando di evitare in ogni modo il
contatto
visivo tra loro. E’ strano da parte sua, non fa parte del suo
“personaggio”.
Matthew
non
ha bisogno di altro per capire quanto possa avergli fatto male
vederselo
comparire lì dopo aver infranto una delle regole precise che
Brian aveva
dettato due anni prima nel lasciarlo, nel buttarlo fuori dalla propria
vita. “Casa” è
territorio tabù. Forse dovrebbe
scusarsi.
-Ho
lasciato Kate.- annuncia con la stessa inflessione che utilizzerebbe
per
comunicargli l’uscita del prossimo album dei Muse.
Brian
registra
allo stesso modo – finge di farlo
–
mentre il cuore fa una capriola e smette di battere.
-Mi
spiace
per voi, ma la cosa non giustifica la tua presenza qui.
-La
giustifica, invece.- afferma Matt tranquillamente.- L’ho
lasciata per te.
Vede
gli
occhi di Brian farsi enormi ed intuisce nella contrazione rabbiosa
della sua
mascella che la quiete perfetta è appena stata frantumata.
Si prepara
all’inevitabile scontro.
-…esci
da
questa casa.- sono le prime parole che lui gli sibila addosso dopo
essere
riuscito, faticosamente, a metabolizzare gli effetti delle sue
dichiarazioni.
Matt
non
finge neppure di esserne colpito.
-Ho
ascoltato l’album.- dice invece. Brian sbuffa sarcastico.-
E’ di me che parli,
vero? E’ a me che parli.
Negalo,
Brian.- pretende.
L’altro
sfiata
come se il colpo fosse reale, fisico. Lo guarda sbalordito. Realmente sbalordito mentre prende
coscienza e si rende conto, disarmato, di quanto a fondo sia arrivata a
bruciare la ferita che Matthew gli ha lasciato addosso.
E
che, forse, non è nemmeno del tutto
cicatrizzata…
Prende
fiato, tempo, coraggio. Li ripesca da non sa quale riserva naturale:
quella che
si è costituito in anni di delusioni cocenti, probabilmente,
e che ora gli dà
abbastanza forza da fingere che non faccia così male.
-Sei
completamente pazzo, Bellamy.- scandisce lento e falso. Inizialmente
non riesce
a sostenere i suoi occhi, ma poi capisce che deve farlo e, quindi, si
fa
violenza e torna a fissarlo in viso.- Se hai lasciato la tua donna
sulla base
di…un paio di canzoni!-
soffia
sardonico, sprezzante – sei completamente pazzo. O fatto, o
idiota, o tutte
queste cose assieme. Ma non è un mio problema.- ci tiene a
precisare.- E
sebbene la buona educazione mi abbia portato ad aprirti e farti
accomodare,
siamo entrambi consapevoli che la tua presenza qui è
inopportuna oltre ogni
possibilità di sopportazione.
-Molto
preciso.- concede Matt in un mormorio atono.
-Voglio
che
tu te ne vada. E voglio, come peraltro ti avevo già chiesto,
che tu dimentichi
anche solo l’indirizzo di questo appartamento. Grazie.
-Non
vuoi
nessuna di queste cose.- lo aggredisce Matthew, secco e brusco.
-Cristo, Bellamy!- scatta Brian
esasperato, infrangendo in meno di un secondo la maschera del perfetto
padrone
di casa…perfettamente
padrone di sé.-
Non costringermi a buttarti fuori fisicamente!
Matt
ride,
sinceramente divertito.
-Sarebbe
esilarante, come scontro!- osserva.
-…sei
totalmente
folle.- ribadisce Brian, il braccio, sollevato ad indicare la porta,
ricade
inerte lungo il fianco.- Sul serio, Bellamy.
-Ti
ho già
detto che non mi piace che mi chiami “Bellamy”?
Sì, l’ho fatto, ma immagino di
doverlo sopportare.- afferma rapidamente l’altro, ignorando
del tutto le
reazioni dell’uomo che lo fronteggia.- Ti sto solo chiedendo
di dirmi che mi
sono sbagliato, Brian, di dirmi che “Loud Like
Love” non lo hai scritto per
me.- gli spiega pazientemente, dolcemente.- Ma di dirlo in modo che io
possa
esserne convinto.
-E
dopo te
ne andrai e tornerai da Kate?- indaga Brian con un involontario moto di
amarezza e sarcasmo.
-No.-
è la
serena risposta che ottiene in cambio.- Non tornerò da Kate.
E’ finita con
Kate.
-…perché?-
sussurra stanco Brian.
-Perché
amo
te.
-…smetti
di
dirlo…
-E
perché
dovrei? Non puoi impedirmi di amarti. Ci hai già provato-
gli fa notare
scrollando le spalle come a significare che si tratta di qualcosa che
ha ormai
superato.- e sono di nuovo qui.
La
sua
tranquilla determinazione sta cominciando a spaventarlo. Non
è più solo il
disagio di aver visto il proprio equilibrio sbriciolarsi per
dimostrarsi molto
più fragile di quanto Brian avesse sospettato.
-Tu
non sei
mai stato innamorato di me.
-Io
non
sono mai stato consapevole di esserlo, questo sì.
-TU
HAI
CERCATO KATE! TU HAI CERCATO LEI OGNI SINGOLO ISTANTE CHE HAI PASSATO
CON ME!
Il
suo urlo
è talmente feroce da riuscire a far vacillare Matthew.
E’ qualcosa di molto
simile al grido di un animale agonizzante e lo investe con tutta la
propria
carica di sentimenti, rimpianti e parole non dette, con un rifiuto che
nasce
dal terrore di ricominciare a soffrire.
Matt
lo sa.
Lo sa in modo razionale, perché da quando, due anni prima,
è uscito dalla vita
di Brian Molko non ha fatto che ripensare a loro due, non ha fatto che
rivivere
ogni singolo momento della loro storia per capire dove esattamente
avesse
sbagliato, quali effetti i suoi errori avessero prodotto e se la scelta
che
alla fine ne era derivata –
una scelta non sua, una scelta che Brian e
Kate gli avevano imposto –
fosse
l’unica possibile.
Non
lo era.
Ascoltare
il disco dei Placebo, affondare canzone dopo canzone nei rimorsi
dell’altro, è
stato più di quanto potesse sopportare, è stato
ascoltare dalla voce di Brian
tutto quello che l’altro non gli aveva mai detto, che non
aveva mai avuto il
coraggio di aggiungere a quel primo ed unico “ti
amo” scandito al momento
sbagliato e nelle circostanze peggiori.
Non
è che
non lo avesse saputo. Nell’attimo stesso in cui aveva
allungato la mano sullo
scaffale del negozio per prendere il cd e portarlo alla cassa era stato
cosciente in modo doloroso di quello che ci avrebbe trovato dentro. A
differenza sua, Brian nelle canzoni parla esclusivamente di
sé. A differenza
sua, Brian nelle canzoni è sincero. A differenza sua, Brian
è sempre stato
consapevole di averlo amato, di averlo voluto con tutto se stesso.
…ma
ascoltare… Questo era
stato davvero
troppo.
-Avresti
dovuto dirmi quello che provavi.- mormora adesso, rivolto al Brian
nella sua
testa, quel Brian immaginario che sta cantando i versi di
“Exit Wounds”, che
gli spiega come la vita si sia spezzata in frammenti piccoli come i
suoi sogni
perduti, che sta raccontando quanto possa averlo amato e quanto
vorrebbe
tornare indietro.
Quel
Brian
non è quello che gli sta davanti e che è fatto di
ossa, carne e sangue. E tutto
il corpo di Brian sta facendo male in questo momento, sta gridando come
la sua
voce che lo ha colpito solo un momento prima.
-Avrei
dovuto dirti cosa?! Che ero geloso di lei? che ero geloso di chiunque?! che non mi avevi mai detto,
nemmeno una volta, che ricambiavi i miei sentimenti e nonostante questo
pretendevi una dedizione spaventosa da me?! CHE ERO SPAVENTATO DA TUTTO
QUESTO?! CHE NON SAPEVO COME NE SAREI USCITO, CHE NON AVEVO LA FORZA
PER
FARLO?!- gli rovescia addosso progressivamente.
Matt
non
indietreggia, neppure quando lui si avvicina, minaccioso,
dardeggiandogli
contro con una rabbia tremenda.
-Sì.
Avresti
dovuto dirmi ogni cosa.
-E
a che
scopo?- sbotta Brian, disgustato.- Quello di umiliarmi più
di quanto non stessi
facendo?!
-…non
eravamo in competizione, Brian. – osserva Matthew stupito
– Avrei potuto
saperle prima certe cose, non avrei dovuto aspettare che tu me le
dicessi in
una canzone, non avrei dovuto…!- affastella con
partecipazione crescente.
-Non
ho
scritto quelle canzoni per te! – scocca feroce
l’altro.
Vorrebbe
che gli credesse. Vorrebbe che se lo facesse bastare e che si decidesse
ad andarsene,
ad uscire, perché non ha idea di quanto tempo ancora
potrà resistere ed ha
paura che Helena torni con Cody, ha paura che
quell’equilibrio fragile non si
possa neppure più rincollare dopo che Matthew Bellamy abbia
finito di
passeggiarci sopra indifferente.
-Stai
mentendo.- lo sente sussurrare invece. Lo fa in tono basso, quasi fosse
una
considerazione personale espressa ad alta voce e
non lo spunto per un dialogo.
Brian
si
ritrae di scatto come se lui lo avesse schiaffeggiato. Si rende conto
all’improvviso
di quanto siano vicini e dell’impossibilità di
rimediare a quello. Per cui non
lo fa, rimane dove si trova e riacquista lucidità,
imponendosi di gestire la
cosa diversamente.
-Voglio
che
tu vada via.- torna a pretendere seccamente.- Non lo so che idea ti sei
fatto e
non m’importa. Ho la mia vita, la mia famiglia, e tu non hai
nessun diritto.
-Questo
è
vero.- concede Matthew mestamente.- Ma dovevo provare.- aggiunge con un
sorriso
spento.
-No!
non
dovevi! Non dovevi affatto presentarti qui e non voglio che tu lo
faccia di
nuovo. Ti ho offerto ogni cosa, Matt. – gli rammenta
stancamente – Due anni fa!
Hai perso quell’occasione.
-Non
è
tutta mia la responsabilità.
-Forse
no.-
gli concede Brian, annuendo – Ma a questo punto, non
m’interessa. Stavolta sono
io ad avere troppo da perdere, Matthew.
***
Brian
Molko, arrotolato sulla poltroncina della sala vip
dell’aeroporto, si
mordicchia nervosamente le unghie e lascia oscillare una gamba in un
movimento
ossessivo che Stefan Olsdal fissa con preoccupazione. Poi intercetta lo
sguardo
ansioso che l’altro rivolge alle porte scorrevoli che danno all’interno dello scalo - e non
a quelle
che si aprono sulle piste e quegli “orribili
mostri volanti” che l’altro tanto odia -
e sorride.
-E’
un po’ in ritardo.- osserva quietamente, fingendo di tornare
ad interessarsi
della rivista musicale che ha comprato qualche minuto prima e che
riporta una
delle prime interviste promozionali che hanno rilasciato.
Lo
affascina sempre vedere come, nel gioco di ritagli dei giornalisti, le
loro
risposte finiscano per uscire snaturate, svuotate, e loro assumano
contorni
molto diversi dalla loro reale personalità.
Brian
lo fissa di sbieco, poi torna a concentrarsi sulle porte.
-Magari
non viene.- scocca velenosamente.
Stefan
ci legge facilmente l’amarezza che una simile prospettiva gli
lascia addosso e
sospira. Mette via la rivista, si alza e prende posto di fianco a lui,
riuscendo a creare un piccolo maremoto nell’equilibrio
fragile dell’altro.
Brian si rimette composto, abbassando entrambe le mani per incrociarle
sulla
pancia e smettendo così di scrutare con apprensione
l’ingresso della saletta.
-Non
ci credi neanche tu.- ribatte intanto Stef.- Ti ha pregato per un mese
perché
acconsentissi a farlo venire con noi.
-E
continuo a pensare che sia una stronzata!- replica Brian astioso.
-Non
credi nemmeno a questo!- esclama lo svedese ridendo. Quando non ottiene
nessun
tipo di reazione, gli tira uno scherzoso pizzicotto sul fianco.- Bri?
L’altro
si schernisce, stizzoso, ma finisce per farsi scappare uno sbuffo
divertito e
Stefan scuote la testa, rimproverandolo implicitamente per
l’atteggiamento
tenuto fino a quel momento.
-Sono
felice che venga con noi.- ammette Brian a mezza voce.
C’è un piccolissimo
fondo di paura nel suo sguardo mentre lo dice, Stef si concentra su
quello per
capire il senso reale delle frasi dell’altro.- Ma credo che
sia stata una
decisione un po’ affrettata.
-Qualcosa
dovevi pure concederglielo, Brian. Avete ricominciato a vedervi da
appena un
mese e mezzo e tu stai per partire per un tour, sarebbe stato un
disastro
mollare tutto proprio ora.- espone pacatamente il bassista.
-Sì,
ma non pensi che sia…eccessivamente frettoloso ripiombarci
dentro così…così!
Tutto d’un fiato, d’un colpo e completamente.-
gesticola animatamente.-
Staremo a contatto ventiquattrore su ventiquattro per
mesi!
-Non
sarete da soli. Non è una convivenza a due, se è
questo che ti spaventa.-
obietta Stef scrollando le spalle.
-E’
molto peggio.- borbotta Brian, riportando alla bocca l’unghia
dell’indice sinistro.
-Perché?
– lo incalza il bassista - Perché quando suoni sei
più vulnerabile? Perché sta
invadendo il tuo territorio? Perché hai paura a mostrarti
con lui come ti
mostri con noi? Cos’è che ti spaventa, Bri?
Brian
lo guarda, soppesandolo con lo sguardo ma, in realtà,
soppesando se stesso e la
voglia che ha di rispondere sinceramente.
Ma
è Stef.
-Tutte
queste cose assieme, penso.- mormora lentamente, riportando gli occhi
sulle
porte scorrevoli ma facendolo con maggiore tranquillità,
come se nel parlarne stia
pian piano prendendo confidenza con quelle paure e rendendosi conto
che, in
qualche modo, può gestirle.- Non ci saranno più
schermi o maschere a
proteggermi. Non sono mai riuscito a tenere su quelle maschere con voi,
non per
tutto il tempo, non dopo i primi tempi. Ci saranno le giornate no,
quelle in
cui sarò arrabbiato, sarò stanco o
starò semplicemente male, ci saranno le
giornate in cui mi sentirò depresso, quelle in
cui…lo sai come divento quando
vedo tutto nero.- biascica imbarazzato, concedendogli un nuovo sguardo
per
pregarlo di non costringerlo a dire di più.- Non
sarò mai solo… “Brian”,
il tizio che ha sempre tutto
sotto controllo, che sa sempre cosa c’è da dire e
da fare e che aggiusta la
situazione perché è quello maturo, responsabile e
riflessivo della coppia.
-Non
vuoi che ti veda per come sei?
-No.
Non sono sicuro che quello, che vedrebbe, gli piacerebbe.- confessa
Brian,
debolmente.
-E’
un motivo in più per portarlo con te.- ribatte Stefan piano.
Brian
ride senza allegria.
-Lo
so.- ammette.
-Bri.
Se vuoi fermarlo, fallo ora.- suggerisce Stefan dopo qualche istante di
silenzio carico.- Non aspettare che sia qui. Non riusciresti a mandarlo
via.
Le
porte scorrevoli si aprono.
Stefan
vede lo sguardo ed il sorriso di Brian farsi più caldi,
autentici. I suoi occhi
brillano, il suo viso assume quella particolare dolcezza infantile che
ha solo
quando è davvero felice. Sorride anche lui, ascoltando
distrattamente le parole
dell’altro mentre si volta.
-Troppo
tardi.- ride Brian a mezza voce.
Stefan
riconosce Matthew Bellamy che va loro incontro. Sta sorridendo anche
lui.
***
Si
massaggia la radice del naso. Allarga le dita alle tempie, operando con
piccoli
movimenti circolari e concentrici nel tentativo, fallimentare, di
allentare il
cerchio doloroso che avverte attorno alla testa. Sospira, palmi
allargati sulla
faccia stira le guance in basso e poi all’indietro,
afferrando i capelli nel
passarci le dita in mezzo. Un gesto repentino, sfila
l’elastico dal polso e
lega le ciocche in una coda disordinata.
Davanti
a
sé ha i fogli delle partiture, ma non riesce a concentrarsi.
Sente la voce di
Fiona e quella di Stefan, parlano qualche metro più in
là, vicino alla macchina
del caffè. Entrambi hanno toni di voce piacevoli, melodiosi,
rilassanti.
Ridono. Educatamente, senza disturbarlo.
Steve
saluta a voce alta qualcuno. Irrompe come una furia nella sua mente,
calpestando l’angolo pacifico che Fiona e Stef sono riusciti
a creare con la
loro presenza discreta. Brian, occhi chiusi e schiena dritta, storce il
naso.
-Dovremmo
provare di nuovo “Purify”. Così capiamo
se possiamo tenerla per il live.
-Ok.-
risponde Stefan, accondiscendete alla razionale richiesta del proprio
batterista.
Com’è
diventato bravo, il ragazzino, a destreggiarsi tra le cose, a tirare
fuori suggerimenti,
ad organizzare. Lo fa con un entusiasmo sincero e senza mai risultare
invadente
o prevaricatore.
Steve
Forrest è una bella persona.
Stefan
è
una bella persona.
Anche
Fiona, Bill, Dave, Levi, Alex…
-Dove
cazzo
è finito quel dannato tecnico?!- sbotta Brian, spalancando
gli occhi di colpo,
la fronte aggrottata.
Si
volta
nervosamente sulla sedia, ignorando volutamente gli sguardi stupiti che
i tre
compagni gli rivolgono a quell’esternazione estemporanea.
E’ vero, ha chiesto
al tecnico delle chitarre - quello nuovo,
quello che hanno assunto solo tre giorni fa e di cui non riesce a
ricordare il
nome – di
mettere a posto una
delle Fender prima che ricominciassero le prove ed è vero
anche che saranno
passati dieci minuti scarsi da quando quello si è
allontanato portandosi via lo
strumento.
-Bri?-
indaga Stefan cautamente.
-
“Bri” il
cazzo! Sono le tre e mezza! Vorrei riuscire a fare qualcosa prima di
notte!-
scatta Brian, alzandosi per dirigersi a passo marziale verso la porta
che da
sul corridoio. Si affaccia alla soglia, osservando senza vedere le
poche
persone che si trovano lì fuori.- Allora?!- grida-
C’è qualcuno qui dentro che
intende lavorare o è un asilo nido per idioti?!
-…Brian…-
prova Steve, stavolta.
-No,
senti,
Sunshine! non rompere pure tu!- lo
liquida Brian calcando l’appellativo con una buona dose di
disprezzo.
Alex
entra nella
stanza, impetuosa come una piccola furia.
-Che
accidenti succede qui?- scocca immediatamente, dopo aver gettato uno
sguardo
distratto all’insieme dei presenti.- Brian, cos’hai
da urlare come un’isterica
nel corridoio?
-C’è
che
non c’è niente
che vada come
dovrebbe! Siamo in altro mare, una delle mie fottute chitarre ha ben
pensato di
sparire e quell’inetto a cui l’ho affidata
sarà licenziato prima di subito!-
ringhia il cantante, aggirandosi per la stanza come un leone in gabbia.
-Ok,
adesso
la pianti e ti dai una calmata. E nessuno viene licenziato se non lo
dico io.-
scandisce bene la donna.- Lo sai che non mi piace che ci siano piazzate
da
prima donna mentre si lavora…
-Me
ne
fotto!- sbotta Brian, scoccandole uno sguardo di fuoco.
-Ed
io me
ne fotto delle tue paturnie del cazzo, Molko!- ribatte Alex alzando il
tono a
sovrastare quello di lui.- Detto questo,- aggiunge poi in modo
più controllato.-
tu adesso vai in bagno a fare una bella pisciata, ti lavi la faccia,
resti lì
finché non ti sei calmato e torni qui quando sei in grado di
ragionare.- ordina
puntigliosamente prima di voltarsi in direzione di Steve.- Su cosa
dovete
lavorare?
-“Purify”…-
borbotta il ragazzo.
-Bene.-
Uno
sguardo a Fiona, Alex raggiunge il tavolo, preleva le tab e le porge in
direzione della donna.- Fiona, prendi Bill e sistemate
l’arrangiamento. Ne
parlate tra un quarto d’ora con i ragazzi. Grazie.- aggiunge
mentre lei accetta
i fogli borbottando un “o.k.” perplesso - Voi due,-
aggiunge Alex puntando
prima Stefan e poi Steve – avete un quarto d’ora di
pausa. Tu sei ancora qui,
Molko?- s’informa subito dopo, sarcastica.
Brian
scatta come una molla. Afferra la porta per scaraventare se stesso
fuori da lì
ed il battente a chiudersi fragorosamente su un
“vaffanculo” detto a bassa
voce, ma ben scandito perché tutti possano sentirlo.
***
Stefan
lo
raggiunge nel bagno.
Brian
ha
scrupolosamente seguito le indicazioni
–
gli ordini – di
Alex. Senza
pensare all’assurdità del farlo davvero. Adesso,
dopo essersi sciacquato mani e
viso, osserva il proprio riflesso nel vetro lindo davanti a
sé ed aspetta che
quella sensazione soffocante sparisca.
La
sera
prima Helena e Cody sono tornati verso le otto.
Brian
aveva
cucinato la cena per tutti, si era premurato di preparare qualcosa di
diverso
per Cody perché al bambino non piace l’arrosto con
le verdure, aveva
apparecchiato la tavola, messo su della musica bassa che riempiva
l’ambiente in
modo piacevole. Helena gli aveva sorriso entrando. Era talmente
euforica da non
accorgersi del suo imbarazzo nel ricambiare il bacio con cui
l’aveva salutato,
ancora sulla soglia. Talmente soddisfatta mentre gli mostrava
orgogliosa
vestitini e tutine da bambina.
Chiameranno
la figlia Alexandra Sarah Elisabeth. Brian la chiama già
Lisette e le parla in
francese, la sera, quando Cody è andato a dormire e lui ed
Helena restano soli
in salotto, abbracciati sul divano. Hel ride e gli accarezza la testa,
gli dice
che deve tagliare i capelli e Brian le promette che lo farà,
ma poi la distrae
baciandole il collo e ad Helena non importa affatto dei suoi capelli
troppo
lunghi.
…la
sua
vita è perfetta. La sua vita è bellissima. La sua
vita…la sua vita si
distruggerà come un castello di sabbia al primo
maraglione.
-Bri.
Helena
continuava a parlargli. Non si è fermata nemmeno un istante.
Gli ha detto di
ogni singolo negozio dove sono state, delle cose che ha visto, delle
idee che
ha avuto per arredare la cameretta della bambina. Non lo ha mai
guardato
davvero – se
lo avesse fatto, Brian non sarebbe riuscito ad ingannarla.
-Stai
bene?
Era
stanca.
Rideva nel chiedergli di mettere lui in ordine i pacchetti. Hanno una
borsa
pronta per l’ospedale da un sacco di tempo, Helena continua a
disfarla, ogni volta
che compra una tutina nuova pensa che sia più bella di
quella che ci ha messo
dentro la volta precedente. Ma ieri sera era troppo stanca ed
è voluta andare a
dormire.
-…è
venuto
Matt a casa mia, ieri.
Si
rende
conto di averlo detto davvero solo perché Stef, che adesso
gli è accanto, lo
sta guardando stupefatto. Il suo riflesso lo sta guardando stupefatto
dallo
specchio sopra i lavandini.
Brian
pensa
che impazzirà se non lo dice a qualcuno.
-Che
vuoi
dire?- mormora rocamente il bassista.
-Ha
lasciato Kate.- riferisce incolore. Non è quello il punto e
lo sanno entrambi.
Brian fissa Stefan negli occhi mentre parla, anche se lo fa attraverso
lo
specchio.- Sono innamorato di lui.- confessa con un sorriso timido,
spaventato.
Sente
le
dita di Stefan premere sulle scapole. Una carezza lenta che gli
percorre la
schiena, rassicurante. Abbassa il viso quando qualcosa inizia a pungere
fastidiosamente gli occhi. Ricaccia indietro le lacrime.
-Non
posso
continuare a mentire ad Helena.- sussurra piano.- Non avrei mai dovuto
farlo.
-Helena
si
è voluta convincere di quello che riteneva.- è
l’osservazione di Stefan,
lineare e razionale.
-Aspettiamo
un figlio.
-Brian…
-E’
colpa
mia.
Stefan
non
ha il coraggio di negarlo, sebbene consapevole delle
responsabilità della donna
nel tenere in piedi quella bugia. Ma Brian non ha bisogno di sentirsi
dire che
è colpa anche di Helena. Questo non lo giustifica. Raramente
Brian trova
ragioni valide per giustificare se stesso. Il più delle
volte convive con le
responsabilità, vere o no, che ritiene di avere e lo
farà anche stavolta.
E
poi, non
è quello il punto. Non è la distribuzione delle
colpe il punto.
-Cosa
vuoi
fare?
-…non
lo
so…
Brian
è
terrorizzato. Non lo vedeva da anni così spaventato da
qualcosa, così simile a
quel ragazzino impaurito che, per la prima volta, aveva cercato
nell’alcool il
coraggio che gli mancava, la fiducia in se stesso che non aveva a
sufficienza
per poter parlare con i discografici, firmare un contratto, uscire su
un palco
davanti a molte…troppe persone…
Non
ha
paura che possa succedere di nuovo. Questo Brian è diverso.
Questo è un Brian
adulto che deve fare i conti con il mondo ma deve farlo partendo da
consapevolezze differenti, di sé e degli altri. E’
solo paura, la sua, solo
terrore di fare del male e farselo fare da qualcun altro.
Helena,
Cody e la bambina che nascerà sono qualcosa che non
smetterà mai di avere
un’importanza fondamentale per Brian. Ma Matt…
-Brian,
non
ti ho chiesto cosa farai, ma cosa vuoi
fare.- ripete Stefan, pazientemente.
Lo
vede
stringere le labbra, come ad impedirsi di scoppiare in un grido ferito
e
rabbioso. Stef è quasi certo che, se avesse Matthew davanti
adesso, Brian lo
ammazzerebbe con le proprie mani.
-Le
dirò
che è finita.- mormora dopo qualche istante. Atono, piano,
inespressivo. Lo
sguardo che solleva in faccia al riflesso di entrambi è
vacuo e limpido come
quello di vetro delle bambole.
-Stai
continuando a non rispondere.- osserva implacabile Stefan.
Brian
si
divincola da sotto le sue dita. Si volta di scatto, arrabbiato, e lo
affronta
con un’eco dell’isteria ingiustificata che ha
sfoggiato nella saletta relax,
davanti agli altri. Stefan, però, non si lascia
impressionare.
-Cosa
vuoi
sentirti dire? Che correrò da lui?! Non c’entra,
Stef! Non c’entra niente!
Lo amavo prima esattamente come
lo amo ora, cosa diavolo credi che sia cambiato?
-Che
è
tornato da te.
-Per
fuggire di nuovo quando sarà troppo spaventato da quello che
ha per tenerselo
stretto?!
-Brian,
Matthew non è fuggito.- lo rintuzza lo svedese pacato.
-Come
puoi
dire…?
-Perché
sei
stato tu a cacciarlo!- conclude secco Stef. Incrocia le braccia al
petto,
tranquillo.- E lui è tornato da te.- prosegue lento davanti
al silenzio
dell’altro.- E se vuoi la mia opinione, eri spaventato tanto
quanto e più di
lui. Quindi torno a chiedertelo, perché non intendo
guardarti ancora rantolare
come una bestia agonizzante nel tentativo di aggiustare la tua vita:
cosa vuoi fare? Cosa
vuoi per te?! Cosa ti farà stare bene?-
incalza.-
Perché te lo meriti, Brian. Non sei
“l’unico a non aver diritto di essere
felice”, è solo la tua stupida convinzione,
questa! Hai lasciato campo libero a
Kate perché? Perché
pensavi fosse
giusto per lei, per Matthew? Hai provato a chiedere a Matthew cosa
volesse?
-Mi
avrebbe
detto una bugia per paura che io lo lasciassi.- sibila Brian. Ma le
parole di
Stefan stanno andando a segno e perfino la sua convinzione ostinata
vacilla
visibilmente a fronte di quei ragionamenti accorati.
-O
forse
no. O forse lo avrebbe fatto e tu lo avresti saputo e avreste litigato.
Magari
vi sareste lasciati comunque,- ammette il bassista, pacato - ma lo
avreste
fatto dopo averne quantomeno parlato. Come puoi incolpare Matthew delle
parole
che tu non gli hai permesso di dirti? Delle scelte che tu
e Kate avete preso per lui?
-…non
lo sto…
-No,
è
vero.- gli concede Stefan. – Ma è anche vero che
non vuoi darti una possibilità
con lui. Non l’hai mai voluto.
Brian
sospira. Sconfitto. Abbassa il viso ed i capelli nascondono nuovamente
il suo
sguardo. Stefan è talmente vicino che potrebbe abbracciarlo
senza dover fare un
altro passo, ma non lo fa. Brian, presumibilmente, si scosterebbe di
nuovo e
lui non vuole dargli nessuna possibilità di scappare.
-Helena
merita che io sia sincero con lei.- sussurra il cantante dopo un tempo
che
sembra infinito.
Ed
è il
turno di Stef di lasciarsi sfuggire un respiro pesante, consapevole che
l’altro
finirà comunque per anteporre la propria compagna a
qualsiasi decisione per sé.
Non è che gli sia difficile capirne il motivo, ma in quegli
ultimi due anni ha
dovuto combattere con le unghie e con i denti – proprio come
Helena - per
strappare Brian ad un dolore talmente
sordo e nascosto sottopelle da non essere mai riusciti a dargli un nome
vero,
concreto, per esorcizzarlo a sufficienza.
Ed
ora la causa di quel dolore è di nuovo lì.
-Vuoi
che
le parli io?- si offre di slancio, senza neppure riflettere davvero su
quanto
sta dicendo.
Brian
sbuffa un rantolo che vorrebbe essere una risatina cattiva, i suoi
occhi
brillano d’ironia da sotto le ciocche spettinate.
-Non
puoi.-
rintuzza pratico, ritrovando in un istante tutta la propria
determinazione ed
un accento del vecchio smalto di sempre.
***
-Le
regole del tourbus?
-Ma
veramente dobbiamo portarci dietro la concorrenza?
-E
tu sei pure un loro fan, Sunshine.
-Non
è vero che sono un loro fan!
-Le
regole del tourbus, Bellamy, sì. Niente sesso qui sopra,
grazie.
-Non
ti facevo così puritano, Olsdal.
-Puoi
negarlo quanto vuoi, Sunshine, ho visto la tua collezione di dischi.
-Non
è questione di essere puritani, è questione di
rispetto degli spazi condivisi.
-Hai
rovistato nelle mie cose?! Stef, Brian ha rovistato nelle mie cose!
-Quello
non fa parte delle regole di rispetto degli spazi condivisi
evidentemente,
Steve.
-Bellamy,
sei qui sopra da meno di dieci minuti e stai già rompendo i
coglioni.
***
Dopo
cena Brian lo raggiunge nella zona notte. Matthew ha, chiaramente, una
cuccetta
propria, collocata sopra quella dell’altro, ma ha ben pensato
di rannicchiarsi
nello spazio di Brian, che se lo ritrova acciambellato come un
ingombrante gatto
tra le coperte.
-Non
riesco ad addormentarmi da solo e Dom non protesta mai!- previene Matt,
additandolo, quando lo vede mettere su un’espressione
accigliata.
Brian
rilascia l’aria in uno sbuffo senza dire nulla. Sorride,
anzi, e gli da un colpetto
sulla gamba per farsi fare spazio e stendersi a sua volta.
-Quindi
io e Dom siamo intercambiabili…- lo punzecchia
immediatamente.
Matthew
lo fissa divertito, si volta su un fianco e solleva la testa,
appoggiando il
gomito al materasso, per poter ricambiare il suo sguardo.
-Sei
geloso di Dom?- s’informa malizioso.
-Tu
sei geloso di Stef?- ritorce Brian.
Matt,
però, ci pensa su seriamente, rivestendo la cosa di
un’importanza che Brian non
aveva alcuna voglia di dargli. Soprattutto perché il
rapporto tra lui è Stefan
è qualcosa che non sente ancora di voler condividere con
l’altro.
-Credo
sia stato innamorato di te.- sussurra l’altro frontman,
tenendo bassa la voce
per paura che il bassista, seduto nella zona giorno del bus con Steve
ed Alex,
possa sentirli.- Lo si capisce. Ma non credo di avere motivo per essere
geloso.
Tieni troppo a ciò che siete.
Si
volta a cercare il suo viso per scrutarne l’espressione e
trovare conferma a
ciò che ha appena detto.
Brian
si riscopre incapace di negarlo.
-Molto
perspicace.
-Ed
io e Dom?- insiste Matt divertito.
-Tu
e Dom siete amici e vi fareste ammazzare l’uno per
l’altro. Siete fratelli, più
che amici, ma nient’altro. E senza nessuna delle implicazioni
che hai visto nel
mio rapporto con Stef, questo è sicuro.
Matthew
annuisce. Il suo sguardo vaga per lo spazio attorno a loro, mettendo
distrattamente a fuoco gli elementi. Si dice che è stata
un’idea pazzesca quella
di partire in tour con i
Placebo dopo essere appena entrato in pausa con la propria band.
E’ parecchio
stanco, gli impegni dell’ultimo periodo hanno prosciugato
quasi del tutto le
sue risorse, lui ha dovuto barcamenarsi alla men peggio tra quelli, la
sistemazione della nuova casa…la
sistemazione della nuova vita.
Lasciare
Kate non è stata la cosa facile e piana che ha voluto
rappresentare a Brian.
In
realtà, se è vero che ha reagito per istinto
subito dopo aver ascoltato le
parole dell’altro nelle nuove canzoni, è
altrettanto vero che dopo si
è trovato a lungo a fare i conti
con quanto scelto. Sa che Kate era sincera - quando ne hanno parlato e
lui le
ha spiegato come stessero realmente le cose – nel dirgli che
per Bing non
sarebbe cambiato nulla. Quella concessione le è costata
carissima e Matthew ha
avvertito intatto il peso di quanto stava pretendendo da lei. Di fatto,
le
stava dicendo a muso duro di non averla mai amata. Né prima
né dopo. Di aver
sempre voluto Brian nella propria vita, di aver scelto lei solo in
virtù del
fatto che aspettavano un figlio assieme. Kate non aveva mai preteso
niente e
Matt era consapevole che questo stesso discorso avrebbe potuto e dovuto farlo fin dall’inizio.
Era stato
vigliacco allora per non dover convivere con quello stesso senso di
colpa e di
perdita che lo aveva tormentato subito dopo aver preso un aereo per
tornare a
Londra.
Eppure
quella dimensione claustrofobica in cui si muoveva quando era da solo,
a casa,
scompare adesso, ascoltando il respiro quieto di Brian accanto a
sé, avvertendo
nelle narici il suo odore familiare, mischiato ad altri profumi che gli
sono
sconosciuti e che appartengono a quel piccolo microcosmo in cui lui,
intruso, è
stato accettato fin troppo velocemente.
Gli
viene da riflettere sul fatto che, mentre lui ha trovato immediata
accoglienza
tra i “Placebo”, tanto da guadagnarsi un posto nel
cuore stesso della loro famiglia,
Brian è ancora un estraneo per
quella cerchia perfetta che i “Muse” rappresentano
e lui si sente a disagio a
tentare di calarlo nel loro contesto, all’idea di fargli
incontrare Chris o
Tom… E’ un po’ strano. Due anni prima,
Matt aveva tentato di trascinare Brian
in quello stesso ambiente nel momento meno opportuno e facendo quanto
più
rumore possibile. Ad impedirlo era stata solo una serie di
casualità, ma lui,
allora, non aveva pensato che potesse esserci qualcosa di strano nel
vedere
Brian interagire con i suoi amici e sa, peraltro, che Dom e lui si sono
già
incontrati in più di un’occasione e senza sentire
la necessità della sua
mediazione.
Ma
Dom è Dom.
-Bri.-
Gli risponde un mugugnare soffocato.- Stai dormendo?
-Se
mi parli…
-Vorrei
che venissi a vivere da me quando tornerai a casa.
Uno
sbuffo. Una semplice attestazione di disaccordo che Matt registra a
livello
inconscio ed ignora volutamente.
-Ne
abbiamo parlato…
-Sarà
fra due fottutissimi anni, Brian.- scocca Matthew brusco- Ne abbiamo
parlato e
non lo hai escluso a prescindere.
-Non
sono pronto per una convivenza.
-Con
la tua ex sì, con me no?!
Brian
gli spalanca addosso uno sguardo arrabbiato.
-Eravamo
d’accordo che Helena è un argomento di cui non si
parlerà finché non sarò io a
metterlo in mezzo.- gli ricorda seccamente.
-Vorrei
fosse ben chiaro che quello che scegli unilateralmente non è
qualcosa su cui
siamo necessariamente d’accordo.
-Matt,
tu non puoi…-inizia precipitosamente Brian.
Ma
Matthew lo ferma anche stavolta.
-Non
voglio litigare.- precisa.- Non parleremo di Helena, ok?
Però valuta la
possibilità di venire a stare da me. Ti prego.
***
Quella
sera
Helena e Cody lo accolgono a casa con un piatto di biscotti appena
sfornati,
saluti festosi e sorrisi entusiasti. A Brian sale istintivamente un
conato di
vomito, che reprime a forza, giustificandosi per
l’accoglienza nervosa che ha
riservato loro facendo appello alla vecchia e mai sopita gastrite che
torna
ogni tanto. Helena, preoccupata, spedisce Cody in cucina con i biscotti.
-Bri,
avete
fatto come al solito? Avete mangiato qualche schifezza invece di
pranzare
decentemente?- lo riprende, seguendolo mentre Brian raggiunge il
salotto.
L’uomo
scuote la testa. Non ricorda neppure se hanno pranzato, figuriamoci
“cosa”.
Lascia sul divano il giubbotto e siede lì accanto, chiudendo
gli occhi e
reclinando la testa all’indietro.
-…vuoi
che
chiami il medico?- domanda lei, dolcemente.
Quando
non
riceve nessuna risposta, sospira piano. Brian, ancora ad occhi chiusi,
la sente
muoversi al suo fianco. Helena deve aver sollevato e spostato il
giubbotto, gli
si siede accanto e le sue dita leggere gli sfiorano la pelle del polso,
lasciando scorrere brividi piacevoli lungo il braccio. Lo rilassa.
-Bri.
E’
tutto a posto a lavoro?- inizia ad indagare Helena, con la stessa
dolcezza
intossicante di prima. La sua capacità di inquadrare in
fretta l’esistenza di
un problema, smascherando le piccole bugie che lui imbastisce per
evitare di
parlarne, è tragicamente pericolosa.
Brian
valuta la possibilità di raccontarne ancora. Di dirle che
“sì, hanno qualche
problema in sala, ma niente che non possano risolvere ed è
solo stanco”.
Quando
apre
la bocca per dire quelle stesse cose, però, viene fuori una
frase completamente
diversa.
-Ho
visto
Matthew.
La
mano di
Helena si irrigidisce. La sua carezza si congela appena sopra il
sottile
laccetto che l’altro porta al polso, regalo di suo figlio
durante l’ultimo
viaggio in India in cui lo ha portato prima dell’uscita
dell’album.
Brian
apre
gli occhi. Si volta a guardarla, rendendosi improvvisamente conto di
essere in
grado di dirle la verità e di volerlo fare. Prendendosi
tutte le responsabilità
conseguenti.
-Che
significa?- sta sillabando lei, atona.
-E’
venuto
qui ieri pomeriggio dicendo che ha lasciato Kate.- le riferisce
pianamente
Brian.- Dice di aver sentito l’album…
“Loud Like Love”, di aver capito che ho
scritto quelle canzoni per lui.
La
mano di
Helena scatta verso il viso, spingendosi con forza contro le labbra
mentre lei
reprime uno scoppio di riso isterico. Le ciglia tremano, gli occhi a
mandorla
si riempiono di lacrime ma Helena non piange.
-Dice
che
mi ha sempre amato, ma lo ha capito solo ora. Voleva che gli dicessi
che si era
sbagliato e che non ho scritto quelle canzoni parlando di
lui…a lui…
-E
tu cosa
gli hai detto?- soffia fuori lei, strozzata.
-Niente.
Non sono riuscito a mentirgli.- confessa Brian, stringendosi nelle
spalle.-
L’ho cacciato e gli ho detto che non volevo più
vederlo.
Segue
un
silenzio che lui avverte troppo lungo. Un silenzio che è
sicuramente troppo
denso. Brian ci annaspa dentro cercando aria, mentre la sua coscienza
realizza
appieno quanto ha appena fatto. Sta per perdere Helena, sta per
perderla in
modo forse definitivo, e con lei Cody e Lisette, la bambina non ancora
nata. Ha
appena gettato al vento un equilibrio perfetto, su cui poggiavano le
fondamenta
di quel benessere – effimero
– che
era tornato ad affacciarsi anche nella sua vita.
-…cosa
significa…Brian?- la sente chiedere nuovamente, con lentezza
esasperante.
-Che
sono
ancora innamorato di lui, Helena.- ammette debolmente Brian.- Non ho
mai smesso
di essere innamorato di Matt.
***
Helena
ha
chiamato Forrest per chiedergli di venire a prendere lei e Cody. Brian
gliene è
stato silenziosamente grato, la donna ha scelto di non mettere in mezzo
né
Stefan né Steve per non costringere gli “amici di
tutta una vita” a prendere
posizioni scomode in una situazione difficile.
Mentre
aspettavano l’arrivo del ragazzo, Brian l’ha
aiutata a fare i bagagli. Non si
sono scambiati neppure una parola. Di comune accordo hanno chiamato
Cody in
cucina e gli hanno spiegato pazientemente che, per un po’,
mamma e papà
sarebbero tornati a vivere in due case diverse e che lui poteva
scegliere se
voleva stare con l’uno o con l’altra.
Quando
Cody
ha fissato suo padre con sguardo ferito, Brian ha capito di averlo
perso e di
essersi solo illuso che lui potesse essere ancora il bambino piccolo
che aveva
recepito passivamente la prima separazione dei genitori. Trova conferma
di quei
pensieri quando, all’arrivo di Steve, Cody si precipita fuori
di casa senza
neppure prendersi la briga di salutarlo.
Helena
si
ferma sulla soglia, invece, ma il suo sguardo è duro,
tagliente, e Brian sente
intatto il peso di tutte le sue accuse inespresse.
-Helena…
-Non
dire
nulla, per favore.- pretende lei brevemente.
Imbarazzato,
Steve assiste dal pianerottolo, un occhio a Cody per assicurarsi che
non scenda
da solo ed un altro alla scena che si sta consumando pochi metri
più in là.
-Tra
qualche giorno, magari, sarò in grado di parlarne e potremo
stabilire cosa
fare. – spiega ancora Helena, cercando di mantenere un tono
neutro e piano ma
tradendosi con quel tremore sottile che la scuote da capo a piedi -
Adesso, mi
disgusta anche solo doverti rivolgere la parola.
Brian
non
dice altro. La guarda in silenzio voltarsi ed incamminarsi verso
l’ascensore.
Steve esita ancora, rivolgendo al compagno di band uno sguardo
preoccupato.
-Brian…-
chiama alla fine. Cody ed Helena sono già
nell’ascensore, lei dice che lo
aspettano giù, poi preme il pulsante e le porte si
chiudono.- Hai…bisogno di
qualcosa?- prova a domandare il batterista.
Brian
scuote la testa. Gli è riconoscente di starsi prendendo
quell’incarico penoso e
gli è riconoscente anche della capacità naturale
con cui attua un congruo bilanciamento
di interessi: proteggerà Helena, si occuperà di
lei e Cody e si assicurerà che
siano a posto prima di lasciarli; ma allo stesso tempo non si
dimenticherà di
lui, non lo giudicherà e sarà sempre pronto ad
aiutarlo. Sì, Steve Forrest è
stata la scelta più saggia.
Bravo
ragazzo, Steve.
Adesso
annuisce brevemente, con una risoluzione tutta nuova nello sguardo.
-Chiamo
Stef e lo mando qui.- gli dice prima di premere per far tornare su
l’ascensore.
Brian
vorrebbe dirgli che non ce n’è bisogno, ma quando
non ci riesce si rende conto
che invece sì, invece ha un bisogno disperato di avere
lì Stefan. Per cui non
dice niente. Aspetta che Steve vada via e chiude la porta di casa.
…mentre
si
guarda attorno, spaesato, ancora fermo nell’ingresso e con le
spalle contro il
battente, si rende conto di quanto dannatamente grande sia
quell’appartamento.
***
-Chi
accidenti ha settato questo schifo di chitarra?
Levi
agita minacciosamente in aria la Jaguar rossa, accompagnando con quel
gesto la
domanda, proferita in tono rassegnato, ed ottenendo in cambio una serie
di
sguardi perplessi. Uno dei tecnici borbotta qualcosa con un collega,
poi
annuisce e si volta verso di lui.
-Quello
nuovo. Oscar.- risponde.
Il
sospiro di Levi risuona alto e sonoro.
-Quello
non durerà molto se continua così.- considera a
mezza voce, abbassando la
Jaguar e voltandosi attorno alla ricerca del soggetto incriminato.
Matt,
seduto ad una delle consolle di regia, lo guarda. Si sta annoiando a
morte da
almeno dieci minuti – cioè da quando i Placebo
sono andati in pausa dal
sound-check per “problemi tecnici” nel settaggio
della strumentazione – e
reputa quella offertagli dall’altro una stimolante
alternativa al giocherellare
con i monitor della consolle scombinando completamente proprio il
lavoro fatto
da Levi qualche ora prima. Si alza di colpo e gli va incontro
rapidamente,
prima che l’altro possa dileguarsi portandosi appresso la
chitarra.
-Lascia,
ci penso io.- si offre con un largo sorriso.
Levi
lo fissa scettico.
-Tu?-
ripete.
Matt
fa spallucce, allungando le mani verso la Jaguar ed aspettando
pazientemente
che Levi, tutt’altro che persuaso, si decida a cedergliela.
-Bellamy,
non è che non mi fidi di te, ma a parte che abbiamo un
tecnico appositamente
pagato per questo, Brian potrebbe assassinarmi ed esporre il mio
cadavere ai
corvi se lo sapesse.
-Allora
non diciamoglielo!- ribatte il cantante sbattendo gli occhioni con aria
da
cucciolo.- Andiamo, un problema in meno per te ed un quarto
d’ora di noia in
meno per me!- considera a voce alta.
-Sì,
ma così Oscar non imparerà mai un cazzo.-
protesta ancora Levi, anche se gli
sta già passando la chitarra.
Bellamy
ridacchia, afferrandola con delicatezza e stringendosela addosso con
fare
possessivo.
-Va
bene, va bene.- concede rapido.- Vado a cercarlo e lo facciamo insieme,
ok?-
propone.
Levi
sbuffa di nuovo, contrariato ed insoddisfatto, ma poi si stringe nelle
spalle e
gracchia uno scazzato “contento tu!”, prima di
mollarlo ed andare a riparare ai
danni che l’altro ha fatto alla consolle di regia.
Matt,
soddisfatto, prende a girovagare per il backstage al suo posto. Un paio
di
domande a Clarisse, la ragazza del make up – quella
carina, per intenderci, perché l’altra, Eve,
è un cesso oltre ad
essere scorbutica da morire! – e trova Oscar
rannicchiato nei pressi di una
macchinetta del caffè, che trangugia bevanda scura da un
bicchiere e picchietta
a terra con un piede, nervosamente.
-Os!-
lo chiama brusco.
Quello
sobbalza, rovesciandosi buona parte del caffè sulla
maglietta, e si volta
sgranandogli addosso uno sguardo terrorizzato.
-Hai
fatto un casino.- ci tiene a precisare immediatamente Matthew, agitando
la
chitarra in modo esemplificativo.
Il
ragazzo annuisce istericamente, consapevole dei propri limiti.
-Mr.
Bellamy, io…
-Tu
la pianti di balbettare e vieni qui.- esige Matt senza farlo finire, si
ferma a
metà del corridoio ed indica un punto di fianco a
sé.- Vediamo se prima di
mollare questo tour riesco almeno ad evitare che tu perda il lavoro.-
borbotta
mentre l’altro getta il bicchiere vuoto e si avvicina
esitante.
-Io
non so se…
-Ah!
su questo siamo pienamente d’accordo! – esclama
Matthew, scoccandogli
un’occhiata divertita – Tu
non sai!-
motteggia.- Fuori. Marsh!- addita poi in direzione del backstage.
***
-E
questi
dove vanno, Mr. Bellamy?
-Nello
studio,
credo… No, forse sono quelli della cucina… Cosa
c’è scritto sopra?
Matt
si
disinteressa della distribuzione degli scatoloni l’istante
successivo alla
formulazione di quella domanda. Mentre i tizi della ditta di traslochi
si
arrabattano per interpretare la sua scrittura, lui si avvicina alla
porta a
vetri che da all’esterno della casa.
In
fondo al
vialetto di accesso c’è una figurina infagottata
in un cappottone nero troppo
grande per la sua taglia. Nonostante il viso nascosto
dall’enorme sciarpa di
lana, il cappello calato sulla fronte e le mani affondate nelle tasche,
a Matt
basta uno sguardo d’insieme per percepire un brivido
familiare lungo la
schiena. Sorride. I tipi della ditta stanno discutendo tra loro sulla
diversa
interpretazione di una lettera, lui apre la porta ed esce sotto il
piccolo
porticato all’ingresso.
-Brian!-
chiama da lì, braccia incrociate al petto e sorriso
smagliante.
Trova
conferma che è lui nell’agitarsi nervoso della
figura. E’ quasi certo che abbia
sbuffato, infastidito all’idea di essere stato sorpreso tanto
facilmente.
-…Bellamy.-
si sente rispondere in tono piano, non troppo sicuro.
-Vieni
dentro che ti faccio un tè caldo. Sembra che tu debba
svernare ad alta quota
conciato a quel modo!
Non
aspetta
per accertarsi che l’altro lo segua. Lascia la porta a vetri
aperta e punta
direttamente al cucinino in fondo al corridoio. Quando sente il
battente
chiudersi con un tintinnio lievissimo, il sorriso si accentua.
In
cucina
alza il viso verso Brian solo dopo aver messo sul fuoco il bollitore. I
due
ragazzi della ditta hanno stabilito che sugli scatoloni
c’è scritto “studio” e
stanno salendo la traballante scala di legno che porta al piano
superiore.
-Questo
posto non è molto nel tuo stile.- osserva Brian guardandosi
attorno e studiando
l’ambiente che li circonda, i mobili di legno color pastello
e le tendine a
fiori alle finestre.
Scioglie
le
pieghe della sciarpa e sfila via il cappello. Quando toglie il
cappotto, Matt
si accorge che, anche se non è truccato, è stato
attento nello scegliere un
abbigliamento che faccia risaltare il fisico allenato.
-Mi
ricorda
casa di mia nonna.- risponde sbrigativamente.
-…tua
nonna?- lo sguardo di Brian è sorpreso, ma Matt pensa solo
che è bello
esattamente come ricordava.
-Come
mi
hai trovato?
-Sono
più
bravo di te nel fare le domande giuste alle persone giuste.- ritorce
Brian con
una punta di vanagloria che fa ridere Matthew. Il frontman dei Placebo
si volta
nuovamente a guardarlo, rinunciando ad una seconda ispezione della
cucina, e
sorride a sua volta.- Nah, Alex ha un mucchio di contatti.- confessa
con
maggiore sincerità.
-Siediti.-
lo invita Matt, scartabellando in una credenza alla ricerca di due
tazze per
servire il tè.
Brian
accetta, prendendo posto al tavolino quadrato che troneggia sotto il
lampadario, al centro della stanza. Matthew lo raggiunge in pochi
minuti,
posando le tazze sul tavolo.
-Sei
stato
tu a darmi questo consiglio.- ricorda mentre prende posto
dall’altro lato.
Davanti allo sguardo sinceramente interrogativo di Brian, prosegue allo
stesso
modo.- Ricordi? Mi hai detto che avrei dovuto smettere di condividere
tutti i
miei spazi con qualcun altro per poi doverli lasciare quando le cose
cominciavano ad andare storte.
-Non
ti ho
detto proprio questo…
-Beh,
questo è “il mio posto”.
-Un
po’
isolato.
-L’ho
scelto anche per questo. Voglio vedere se riesco a convivere con me
stesso.
Brian
sbuffa divertito.
-Un
progetto ambizioso, Bellamy!- sogghigna.
-Brian.-
ritorce lui quietamente.- Puoi smettere di chiamarmi
“Bellamy”?
Indipendentemente da quello che siamo attualmente, non puoi
considerarci ancora
due estranei in competizione.
Brian
non
ribatte, sorseggiando il tè senza aggiungere altro.
E’ solo quando posa la
tazza sulla tavola che torna a guardarlo, sostenendo senza sforzo il
suo sguardo.
L’accenno di malizia sul fondo degli occhi cangianti
dell’altro suscita in Matt
una nuova piccola scossa di desiderio. Ma non ha voglia di mandare in
frantumi
anche la possibilità di una discussione serena solo per
assecondare il
capriccio di un momento.
-E
la mia
chitarra?
Matt
ridacchia.
-Quale
chitarra?
-Quella
che
mi hai rubato, Bellamy!
-Preso
in
prestito!- precisa Matthew.
-Da
due
anni!
-Ok,
consideriamolo un risarcimento danni, allora.
-…risarcimento
danni?! Bellamy, mi hai distrutto la vita, come puoi pretendere un
risarcimento
danni?!- sbotta Brian, stupefatto.
-Tu.
Brian
tentenna, sbattendo le palpebre per mettere a fuoco quella semplice
parola.
-“Io”
cosa?- si arrende alla fine.
-Tu
hai
distrutto la mia vita. – risponde Matt senza alcun
risentimento - Tu e Kate.
Oh, anche Gaia, certo. Ma lei aveva motivo di farlo. Tu no.
La
serietà
con cui espone quei “fatti” fa da contraltare
perfetto alla tranquilla
rassegnazione che avverte nel suo tono. E’ come se Matt gli
stesse dicendo “ok,
mi hai fatto un male cane e pensavo proprio di non poterne uscire, ma
ehi! sono
ancora qui e va bene”. Niente in sospeso per lui, niente a
parte quel punto
esatto in cui Brian lo ha lasciato, quella lettera da codardo con cui
gli ha
detto che era troppo e che non potevano reggere oltre. Per Matthew
quello che è
successo tra quella lettera ed il tè che si trovano a
condividere adesso ha un
valore relativo. E’ successo, appunto, ma non ha cambiato di
una virgola tutto
quanto esisteva allora e non ha mai smesso di esistere, tra loro.
-Matt,
le
cose non sono più…- inizia lentamente Brian,
abbassando leggermente lo sguardo
per non dover ricambiare il suo mentre prova a spiegargli che, invece,
il
tempo, scorrendo, scava sempre il suo solco.
-Per
Helena? O per Kate e Bing?- interviene lui pacatamente.
Il
richiamo
ad Helena provoca una piccola fitta dolorosa che distrae Brian da
quello che
intendeva dire. Per un paio di secondi Matthew smette di essere
così
importante, così fondamentale da averlo spinto a cercarlo, a
trovarlo rintanato
in una campagna isolata, con il solo scopo di capire perché
non riesca davvero
ad archiviare quella storia come “passato”.
-Io
e Kate
ne abbiamo parlato prima che partissi.- continua Matt, interpretando il
suo
silenzio improvviso come interesse a ricevere ulteriori spiegazioni su
quell’aspetto.- Stavolta sono stato sincero con lei fino in
fondo. Mi ha detto
che le dispiaceva, che credeva che io non amassi te più di
quanto avessi mai
amato lei. Che, se avesse solo immaginato che le cose stavano
diversamente, non
si sarebbe mai permessa di venire da te.- Aspetta una risposta che non
arriva,
Brian solleva ancora la tazza e beve continuando a non guardarlo.- Le
ho
creduto.- ammette Matthew.- Kate è molte cose, ma non una
donna egoista o
superficiale. Sperava sinceramente che potessimo essere felici assieme,
sperava
di poter rendere felice me.
-Sì.
E’
così.- annuisce Brian tranquillamente, lasciandosi sfuggire
malgrado proprio un
sospiro pesante.- Matt, ti rendi conto che ti sei presentato a casa mia
sapendo
perfettamente che io e la mia compagna aspettiamo un figlio?
-Perché
avrei dovuto avere per te il rispetto che tu non hai avuto per me? E
poi te
l’ho detto, dovevo tentare.
Potrebbe
ribadirgli che lui gli ha anche già risposto che
“no, non doveva”, ma sarebbe
superfluo. Non è lì per fare capire a Matthew
quanto sia stato inopportuno
nelle proprie decisioni.
…ad
essere onesti, non lo sa nemmeno perché è
lì. Ma sa che ne aveva un bisogno disperato.
-Non
ho
scritto “Loud Like Love” per te.- sussurra alla
fine. Continua a non guardarlo
mentre lo dice, fissa il sole che sta tramontando fuori dalla finestra
della
cucina, ascolta nel corridoio il rumore dei traslocatori che stanno
andando
via- Non l’ho fatto volontariamente, almeno. Ho capito che
c’eri tu in quel
disco solo quando me lo hai fatto notare.- confessa spostando lo
sguardo sulle
proprio mani.- Ed ho capito che non ci sei solo tu, ma anche Helena e
Stefan…è
come se io avessi un mucchio di persone a cui dire
“scusa” ed a cui dire
“grazie” e lo abbia fatto nel modo sbagliato e nel
posto sbagliato.
-Una
canzone non è mai il posto sbagliato!- esclama Matt,
ridacchiando.
Brian
ricambia il suo sorriso, tornando ad incrociare i suoi occhi anche se
solo per
qualche istante.
-Beh,
comunque…- mormora ancora, a disagio, per poi ritrovare
tutto d’un colpo
un’imbarazzata determinazione che lo porta a sollevare il
viso di scatto.- Era
questo che volevi sapere, no?- scorcia rapido.
Matt
sorride ancora, anche se in un modo che Brian giudica
“sbagliato”. Non è più
divertito ed intenerito dalla situazione, ma è come se
riuscisse a leggere con
facilità tra le righe di quel discorso ed arrivasse a
verità molto meno
evidenti di quelle cui Brian stesso allude.
-Era esattamente questo che volevo sapere.-
risponde, enfatizzando il concetto.
***
-Ma non
dovevamo fare le cose “in ordine” questa volta?-
sono le prime parole che
Matthew gli rivolge quando si svegliano entrambi, ancora vicini nel
letto in
ferro battuto che Brian reputa orrendo, come ci ha tenuto a dirgli poco
prima di
addormentarsi.
Matt
ride
subito dopo averlo detto. Affonda il viso nel cuscino, la sensazione di
qualcosa di bello…come un sogno particolarmente
coinvolgente…che gli riscalda
il petto. Vorrebbe restare lì tra le coperte con Brian per
sempre, perché ha il
terrore che quella sensazione sia effimera, che possa sparire non
appena si
saranno alzati e rivestiti e saranno tornati alle loro vite.
Il
giorno
prima hanno parlato fino a notte fonda. Si sono dimenticati di
mangiare,
avevano troppe parole da dirsi. Si sono aggiornati l’uno
sulla vita dell’altro,
hanno ignorato quei passaggi che era difficile accettare –
Matt ha detto a
Brian quanto sia stato stupendo tenere tra le braccia Bing appena nato,
con
quel musetto arricciato che lo rendeva bruttissimo per tutti tranne che
per lui
– hanno registrato le informazioni fondamentali. Brian gli ha
detto tra le
righe, distrattamente, che Helena è andata via. Matt avrebbe
voluto chiedergli
un mucchio di cose e ha stretto le labbra per non farlo, incassando
l’informazione ed aspettando che fosse l’altro a
fissarlo con serietà negli
occhi ed a pronunciare quelle poche parole.
-Stavolta,
però, vediamo di non fare un casino. Facciamo le cose in
ordine.- lo aveva
pregato Brian.
Non
era
servito. Al momento di separarsi, di dirsi buonanotte e rinviare tutto
al
giorno dopo, ad un caffè tranquillo da prendere fuori,
magari in centro, magari
con qualche amico a tenergli compagnia, Matthew lo aveva afferrato per
le
spalle. Non poteva sopportare l’idea di continuare a
mantenere quella distanza
tra loro, non poteva sopportare di lasciarlo andare via senza baciarlo.
Ed
era
stato esattamente come ricordava. Travolgente, eccessivo,
irrefrenabile.
Sapevano entrambi che non sarebbero mai riusciti a separarsi davvero
quella
notte.
-E’
colpa tua.-
sussurra adesso Brian, puntuale.
Sorride
ad
occhi chiusi mentre lo dice e Matt, che lo osserva divertito, sa che
non è
davvero arrabbiato e non riesce a preoccuparsi.
-C’è
una
cosa che non ti ho detto, Brian.- mormora.
-Ci
sono
mucchi di cose che non mi hai detto.- corregge lui pazientemente.- Ma
considerato che non sono certo di voler sapere proprio tutto quello che
ti
frulla nella testa…
-Ti
amo.
Brian
apre
gli occhi a ricambiare il suo sguardo con un’espressione
seria che allarma
Matthew e congela sul suo viso il sorriso che ancora aleggia.
-E
continua
ad essere colpa tua.- afferma dolcemente Brian.- Comunque…ti
amo.
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