one shot
Questa shot la dedico a Fabi (FataFaby89), una preziosissima amica che
ho conosciuto esattamente il 21 Aprile (XD grazie
all’archivio conversazioni di msn!) ed alla quale, da quel
giorno, ho cominciato ad affezionarmi sempre di più!
Se
stessi qui ad elencare tutte le cose che abbiamo in comune
chissà quanto ci metterei? Siamo arrivate al punto che
abbiamo decretato che io e lei siamo la stessa persona, però
in dimensioni differenti (Come ha detto sorellina Fabi, un
po’ come in Tsubasa! XD).
Quindi
ho deciso di dedicarle questa one shot per dirle grazie, un
po’ per tutto ^__^ (Soprattutto
per la nostra elaboratissima teoria sui Tronky U.U)
Quindi,
sorellina Fabi, come ti avevo promesso, questa è tutta per
te, spero che ti piaccia!
Ti voglio bene, amica mia
Lunedì
21 Aprile.
Niente da
ribattere, quella era davvero una magnifica giornata.
Il sole splendeva
alto, l’aria era frizzante, se la primavera non era
già iniziata, ebbene era sicuramente alle porte, mentre quel
cielo terso, una tinta unica azzurro pastello, le impediva di essere in
qualche modo triste o giù di corda.
E poi quel
giorno… L’avrebbe rivista, uno dei motivi per i
quali, dopo tanto tempo, era tornata a Tomoeda.
Ormai erano passati
almeno cinque anni da quando, dopo il suo matrimonio, si era trasferita
ad Hong Kong per ragioni di lavoro di suo marito, Li Shaoran, ma il suo
cuore non aveva mai potuto essere strappato dall’unico luogo
che poteva aver mai chiamato casa mia, la ridente cittadina che
l’aveva vista nascere e crescere, innamorarsi e sposarsi, per
poi andare via, abbandonando a malincuore tutto il suo passato, per
dedicarsi ad un futuro ricco di novità.
Però
quel giorno in cui partì se lo ripromesse, lo promesse a
sé stessa ed a lei, che sarebbe ritornata proprio in
quell’esatto giorno, perché non era una data
qualunque, no.
Quel giorno erano
trascorsi esattamente venti, lunghissimi anni da quando erano diventate
amiche, lei e Tomoyo Daidouji.
Con un sorriso
malinconico a farsi strada sul suo volto, l’ormai Sakura Li
si sedette su una panchina sul marciapiede opposto a
quell’edificio imponente che gli si stagliava dinnanzi: la
scuola elementare Tomoeda.
Non era cambiata
affatto in tutti quegli anni, era sempre lo stesso stabile che
ricordava, dalle pareti chiare e dall’aspetto
immenso… Si stupì del fatto che anche ora,
nonostante fosse cresciuta, si sentisse ancora abbastanza intimorita da
quell’edificio, forse in memoria di tutti i giorni in quei
non sapeva mai dove sbattere la testa per colpa di qualche verifica o
interrogazione.
All’improvviso
la campanella suonò e pochi attimi dopo una grande massa di
bambini fece capolino dalla scuola, precipitandosi immediatamente verso
la libertà al di fuori da quel cancello in ferro battuto.
Sorrise,
scostandosi una lunga ciocca di capelli mielati dietro ad un
orecchio… Chissà se anche quando lei aveva
l’età di quei ragazzini che ora correvano festosi
verso casa si considerava ancora una bambina?
Sospirò,
conscia del fatto che la risposta sarebbe stata negativa…
Tra le carte di Clow da combattere e le sue due cotte,
l’ultima delle quali l’aveva condotta ad un felice
matrimonio, non era in grado di pensare alla sé stessa di
venti anni prima come ad una bambina spensierata ed allegra.
Fece scivolare i
suoi occhi smeraldini sull’orologio da polso, constatando che
Tomoyo era in ritardo… Che si fosse dimenticata
dell’appuntamento?
No, impossibile!
Se lo sarebbe
aspettato da tutti, non da lei, non dalla sua inseparabile migliore
amica.
Sorrise di nuovo,
ripensando a come si erano conosciute… Tutto grazie a quella
gomma a forma di coniglio…
21
Aprile.
Niente
da ribattere, quella era davvero una pessima giornata.
Lo
doveva proprio ammettere, era cominciata male, ma era pronta a
scommettere che sarebbe finita ancora peggio, ci avrebbe messo la mano
sul fuoco.
Si
era alzata davvero molto tardi, quella mattina, si era dovuta vestire
di fretta, aveva mangiato di fretta, poi ancora preparare la
cartella… Tutto di fretta.
Lei
odiava essere di fretta.
Era
una cosa che la rendeva davvero nervosa, quella sensazione di terrore
che avvertiva ogni qualvolta si sentiva in ritardo.
Era
un po’ come essere in trappola, sentirsi inseguiti da
qualcosa, oppure essere all’inseguimento della
stessa… Una sensazione per lei assolutamente indescrivibile.
E
poi… Quella pioggia che diluviava da quel cielo cupo?
Cosa
stava a significare?
Perché
doveva piovere proprio quel giorno, in cui lei era davvero in un
ritardo mostruoso?
Anche
la pioggia era una cosa che lei non vedeva di buon occhio…
Tutta quell’acqua scrosciante, quel cadenzato ticchettio che
produceva cadendo in picchiata sui tetti e su quell’asfalto
ormai fradicio, sembrava quasi che frenasse le azioni attorno a lei.
Il
mondo intero sembrava essere visto al rallentatore se a condire
l’intera scena c’era della fitta pioggia.
E
poi l’acqua era così… Bagnata!
Si
fermò un secondo soltanto, un fuggente istante, per
abbandonarsi ad uno sbuffo rassegnato che fece scivolare via dal suo
sguardo color giada alcune dispettose ciocche di capelli color miele,
provocatoriamente scappate alla sua frangia sbarazzina.
Approfittò
di quell’attimo di stallo per verificare se i suoi vestiti
fossero ancora asciutti, dato che li sentiva umidicci ed incollati alla
sua pelle come se fossero stati fradici.
No,
tutto a posto, era solo quell’aria pesante, satura di
umidità, a darle quella fastidiosa sensazione.
Storcendo
il naso infastidita, la ragazzina ritornò sui suoi passi,
ricordandosi solo allora che avrebbe dovuto essere a scuola entro i
prossimi cinque minuti se non voleva una nota di demerito sul registro.
Si
rimise a correre, con quell’ombrello che le era proprio
d’impaccio e che aveva un aspetto proprio traballante mentre
oscillava ritmicamente a destra ed a sinistra intanto che lei filava
dritta e sicura lungo quella strada quasi deserta, se non fosse stato
per quelle passeggere auto che rischiavano di schizzarla
d’acqua sporca tutte le volte che le transitavano accanto.
Finalmente
eccolo, lì davanti a lei, quel tanto agoniato cancello della
scuola elementare che le garantiva finalmente la sicurezza di essere
arrivata a destinazione.
Con
uno sprint finale si precipitò verso gli armadietti e
cambiò lesta le scarpe, precipitandosi poi verso la sua aula.
Arrivata
nel corridoio dove era situata la sua classe lanciò un breve
urletto di gioia nello scoprire che la porta era ancora aperta e che,
di conseguenza, il professore non era ancora entrato.
Infatti
varcò la soglia nell’esattissimo istante in cui la
campanella che decretava l’inizio della mattinata
suonò.
“Sempre
puntuale, eh Sakura?” ridacchiò una voce accanto a
lei che riconobbe essere di Chiharu Mihamara, una delle sue miglior
amiche.
“Già!”
Sorrise Kinomoto andando verso l’appendiabiti posto al fondo
dell’aula per sistemare il cappotto, leggermente umidiccio,
ed il cappello d’ordinanza, così come voleva il
regolamento scolastico.
Alcuni
attimi dopo fece il suo ingresso nell’aula il professor
Terada, richiamando gli alunni all’ordine ed aprendo un
pesante tomo di matematica.
Erano
poche le cose che Sakura Kinomoto odiava… E la matematica
entrava tra queste.
Mogia,
si recò al suo posto e si afflosciò sul proprio
banco come una pianta secca, davvero abbattuta da tutti quegli elementi
per lei negativi… Il ritardo, la pioggia, la
matematica… Cos’altro poteva ancora capitarle?
L’insegnante
si era messo a spiegare un nuovo argomento, già dal titolo
la cosa non le piaceva: le frazioni, soltanto un altro enorme muro da
abbattere per arrivare alla sufficienza, era poco ma sicuro.
Incominciò
a prendere appunti stando molto attenta a quella spiegazione, ma verso
metà ora aveva già iniziato a perdere totalmente
il filo del discorso e si era anche stancata di scrivere sul suo
quaderno cose di cui non capiva il senso logico.
Si
stese sul proprio banco passivamente, attendendo che quella noiosissima
ora di aritmetica finisse e la smettesse di torturare la sua povera
testa.
Improvvisamente,
però, un sommesso “Accidenti!” la
riportò alla realtà dei fatti.
Alzò
stancamente il capo e si voltò verso la propria destra, dove
la sua compagna di classe sembrava essere un po’ in
difficoltà.
Era
Tomoyo Daidouji: una delle più brave dell’intera
sezione e che faceva anche parte del coro dell’istituto.
La
bambina stava rovistando affannosamente nel suo astuccio, probabilmente
alla ricerca di qualcosa che le serviva.
Sakura
si morse un istante il labbro inferiore; non aveva mai rivolto la
parola a Tomoyo se non in rare occasioni e non si conoscevano
particolarmente bene, così tanto da essere considerate
amiche.
Stava
anche di fatto che lei era una ragazzina che non aveva molta
dimestichezza a trattare con persone che non conosceva, ma sicuramente
non avrebbe mai negato aiuto ad una persona che ne aveva bisogno.
Così,
sottovoce, chiamò la vicina di banco che ancora rovistava
nel portapenne.
“Pssst!
Daidouji?”
La
moretta voltò lesta il capo verso sinistra, così
veloce che alcune ciocche corvine si mossero all’unisono con
lei.
“Kinomoto?”
domandò con tono fievole e con aria curiosa.
“Dimmi, che cosa c’è?”
“Hai
per caso bisogno? Hai scordato a casa qualcosa?”
domandò allora Sakura con la mano attentamente a parare la
propria bocca in movimento dallo sguardo vigile di Terada.
“In
effetti sì…” mormorò la
ragazzina in risposta, lasciando andare l’astuccio che ancora
teneva fra le mani. “A quanto pare ho dimenticato la gomma da
qualche parte.”
Sakura
fece un sorriso e si volse verso il proprio astuccio, estraendo da
quello una bella gomma, all’apparenza nuova, di una
tonalità rosa pastello e dalla tenera forma di coniglietto.
“Non
hai una gomma?” domandò la ragazzina castana con
un sorriso allungando una mano verso la sua compagna di banco.
“Se vuoi ti presto la mia!”
Daidouji
tese la sua mano verso quella della bambina ed afferrò il
piccolo oggetto.
“Grazie,
sei davvero molto gentile.” Mormorò ricambiando
anche il sorriso radioso.
Veloce,
Tomoyo cancellò quell’errore dal suo foglio e si
rivolse di nuovo verso Kinomoto, passandole di nuovo la gomma.
“E’
davvero molto graziosa!” esclamò riporgendo il
piccolo oggetto, ma Sakura le richiuse la mano, allontanandola da
sé.
“Se
ti piace la puoi tenere!” disse la castana convinta.
“Ne
sei sicura?” domandò titubante Daidouji.
“E tu come farai?”
“Non
preoccuparti!” la rassicurò la compagna,
mostrandole un’altra gomma. “Io ne ho
un’altra, quella non mi serve.”
Tomoyo
ritrasse il braccio verso di sé, stringendo il pugno destro
contenente l’oggetto in modo affettuoso.
“Ti
ringrazio.” Mormorò infine verso Kinomoto.
“Sei davvero gentilissima.”
“Sakura
e Tomoyo, vorreste prestare attenzione alla lezione?” le
richiamò all’improvviso il professor Terada, che
si era prontamente accorto della loro distrazione.
Con
un mortificato “Ci scusi…” pronunciato
all’unisono, le due tornarono a seguire la spiegazione in
completo silenzio.
Pochi
istanti dopo, però, entrambe voltarono casualmente lo
sguardo nella reciproca direzione, scatenando per questo
l’una l’ilarità dell’altra.
Con
un sommesso risolino ed un sorriso d’intesa, le due volsero
di nuovo i propri volti verso il libro di matematica, ritornando a
prendere appunti.
E
fu esattamente da quel giorno che la vita della piccola Sakura Kinomoto
cambiò radicalmente, trovando un’amica sincera che
non aveva eguali, della quale, scoprì, si poteva ciecamente
fidare e che mai aveva fatto nulla che potesse ferirla o renderla
triste.
E
fu esattamente così che la piccola Sakura Kinomoto
trovò la sua migliore amica.
Stava seriamente
cominciando a pensare che Tomoyo si fosse dimenticata del loro
appuntamento…
No, lei non le
avrebbe mai fatto una cosa simile.
Eppure…
Il dubbio aveva cominciato ad insinuarsi nel suo cuore.
Sospirò
di nuovo e congiunse le mani sulle ginocchia, temendo che la sua cara
amica non si sarebbe presentata.
Ma ecco che,
all’improvviso, una voce da lei conosciuta la
chiamò da poco distante.
Sakura
alzò il capo speranzosa, vedendo una donna dalla fluente
chioma corvina avvicinarsi a lei a grande velocità e
sbracciarsi per richiamare la sua attenzione.
“SAKURA!”
esclamò di nuovo; questa volta era più vicina e
riconobbe per certo che quella donna era Tomoyo.
“Tomoyo!”
esclamò la castana alzandosi in piedi e parandosi davanti
all’amica che le si fermò dinnanzi davvero
trafelata.
“Scusa
per il ritardo.” Ansimò la moretta cercando di
riprendere fiato. “Ho avuto un contrattempo imprevisto alla
ditta.”
La castana sorrise;
a volte dimenticava che Daidouji era super - impegnata da quando aveva
preso a lavorare nella ditta gestita dalla madre.
“Non
preoccuparti.” La rassicurò allora Sakura con un
sorriso. “L’importante è che tu sia
venuta.”
Tomoyo la
abbracciò forte; erano davvero anni che non la vedeva, ma
non era poi cambiata tanto, per fortuna.
“Non
sarei potuta mancare per nulla al mondo!” esclamò
convinta allora, rafforzando la stretta dell’abbraccio.
“Sono così contenta che sei tornata, mi sei
mancata tanto!”
“Anche
tu, Tomoyo. Davvero tantissimo!” ammise l’altra
ricambiando con maggior trasporto la stretta della donna.
Una solitaria
lacrima percorse le guance avorio di Daidouji, e ringraziò
silenziosamente il cielo tante volte per averle fatto conoscere quella
persona fantastica.
“Ti
voglio bene, amica mia, te ne vorrò sempre.”
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