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I'm so tired of being here
Suppressed by
all my childish fears
And if you
have to leave
I wish that
you would just leave
'Cause your
presence still lingers here
And it won't
leave me alone
Sono così
stanca di rimanere qui
Oppressa da tutte le
mie paure infantili
E se te ne
devi andare
Mi auguro tu
voglia semplicemente andartene
Perché
la tua presenza indugia ancora qui
E non vuole
lasciarmi sola
Hogwarts
– 1997
La battaglia infuriava
ancora
attorno a lei. Pareti e soffitti crollavano, lampi di luce di
rincorrevano e rimbalzavano gli uni contro gli altri. Il rumore era
assordante. La ragazza correva a perdifiato per i corridoi, schivando e
lanciando di tanto in tanto incantesimi alla cieca. Le gambe le si
facevano ogni secondo più deboli e faticavano a sorreggerla,
ma
lei non era disposta ad arrendersi.
Si fermò un
istante,
appoggiandosi al muro di pietra di una nicchia riparata, riprendendo
fiato ed asciugando il sangue che copioso le imbrattava la manica del
mantello. Un profondo taglio le incideva il braccio destro, eppure non
sentiva nemmeno il bruciore della ferita.
Il cuore batteva
all’impazzata, tanto che ne sentiva il ritmo accelerato anche
ad
orecchio ed in mezzo al baccano terribile della battaglia. Si
portò una mano al petto, chiudendo gli occhi e poggiando la
fronte sulla roccia fredda ed umida. Doveva schiarirsi le idee al
più presto, non poteva permettere per nessuna ragione che il
panico o l’angoscia s’impadronissero di lei.
Era sempre stata
razionale e
controllata al massimo. Anche fredda, forse. Ma di sicuro non aveva mai
lasciato che le emozioni la soprafacessero a quella maniera,
né
che la lucidità l’abbandonasse.
Avrebbe desiderato con
tutta
sé stessa cercarlo e assicurarsi che stesse bene, che non
fosse
ferito o peggio, magari anche abbracciarlo e poter sentire le sue
braccia forti cingerla ancora una volta. Ovviamente sarebbe stata la
cosa più stupida che potesse fare in un momento del genere,
con
centinaia di Mangiamorte nei paraggi ed i suoi genitori schierati in
prima fila. No, l’unica cosa da fare in quel momento era
semplicemente riprendere la battaglia, relegare ogni sentimento in
fondo al cuore ed assicurarsi che vi rimanesse, chiuso a chiave, fino a
che quell’orrore non fosse cessato.
Doveva tornare ad
indossare quella
maledetta maschera che tanto odiava. Doveva indossarla e fingere che
nulla fosse. In fondo lo aveva fatto per diciassette lunghissimi anni,
che differenza faceva una sola notte di più? Nessuno se ne
sarebbe accorto, così come nessuno se n’era
accorto fino
ad allora. Nessuno tranne lui.
Pansy serrò
le dita attorno
alla bacchetta che ancora teneva in una mano e si asciugò le
lacrime che, ribelli, le solcavano le guance. Era una guerra quella. E
loro erano nemici.
Nessun rimorso, nessun
rimpianto,
intimò a sé stessa lasciando la nicchia nella
quale si
era nascosta e gettandosi nella furia del combattimento.
I suoi passi
risuonavano nel
silenzio innaturale del castello. Ogni rumore pareva amplificato,
rimbombava fra le pareti. Figure silenziose scivolavano lungo i muri,
nessuno parlava. Ogni tanto si udiva un singhiozzo,
l’invocazione
di un nome. Ma erano solo attimi.
A Pansy sembrava di
trovarsi in un
sogno. Un sogno terribilmente reale e spaventoso. Camminava lentamente
per i corridoi, dirigendosi verso la Sala Grande. Sapeva che non
avrebbe dovuto, sapeva che poteva essere pericoloso. Tutti i
Mangiamorte erano già fuggiti, cercando di salvarsi, dopo la
sconfitta. Eppure era rimasta. Nemmeno le grida di sua madre, le
intimazioni di suo padre, le suppliche di Draco l’avevano
smossa.
Ovviamente nessuno
sapeva
perché era voluta rimanere, né quali fossero le
sue
intenzioni. E nemmeno dovevano saperlo. Le bastava poter assicurarsi
solo che lui stesse bene e se ne sarebbe andata. Sarebbe scappata, come
una codarda. Come un’assassina. Cha altro era, in fondo?
Sarebbe
scivolata via dalla sua vita, silenziosamente e gli avrebbe permesso di
continuare sereno, felice. Senza di lei. Senza essere costretto a
combattere per un amore che, lo sapevano fin troppo bene, tutto era
meno che realizzabile.
Raggiunse la grande
porta di legno
e la varcò, nascondendosi nell’ombra. Non voleva
di certo
attirare sguardi su di sé. L’ansia
l’attanagliava e
le gambe le tremavano, mentre lo cercava con lo sguardo, fra la folla,
fra i feriti a cui Madama Chips prestava le sue cure. I suoi occhi
però rifiutavano di guardare a terra dove, sdraiati
ordinatamente gli uni accanto agli altri, giacevano i corpi delle
vittime. Voleva con tutta sé stessa essere forte, magari
perfino
distaccata, ma non riusciva ad accettare che lui potesse davvero essere
morto.
O almeno fino a che
non li vide. Otto teste rosse, inginocchiate sul freddo pavimento.
La signora Weasley
singhiozzava,
stretta al petto del figlio, mentre suo marito la sorreggeva.
L’angoscia la pervase e, freneticamente, fece scorrere lo
sguardo
sui vari membri della famiglia, cercando quello sguardo che tanto
amava. Un nodo alla gola le rendeva difficile respirare.
Ma si
allentò, per un
momento. Era lì, era lì. Accanto alla madre, i
lunghi
capelli scarlatti a ricoprirgli il volto e le guance rigate di lacrime
trasparenti. Pansy s’aggrappò a quella speranza,
tentando
di controllare il battito del suo cuore, che furioso
s’agitava
nel suo petto. E’ lui, è lui, si ripeteva,
sperando che il
ragazzo alzasse gli occhi su di lei. Doveva vederlo negli occhi. Doveva.
Ma quando lui
finalmente
alzò il viso capì qual’era la
verità. La
pure a semplice verità. Così dolorosa da
lasciarla del
tutto svuotata. Gli occhi dorati che era riuscita a scorgere in
quell’attimo non erano quelli di George.
Perché per
il mondo magari
erano semplicemente gemelli lui e Fred, ma lei non li avrebbe mai
confusi. Ed era sicura di non sbagliarsi.
Sei
anni dopo
Faceva dannatamente
freddo quella
notte, pensò la giovane dai lunghi capelli corvini,
stringendosi
di più nel lungo maglione viola che indossava.
Seduta su quella
vecchia altalena,
di dondolava lentamente avanti ed indietro, gli occhi fissi alle acque
scure ed increspate del lago che si stendeva davanti a lei.
Il suo sguardo era
incredibilmente
vuoto. Pareva non vedesse nemmeno ciò che le stava di
fronte,
come se tutti i suoi pensieri, la sua mente fossero lontani mille
miglia da quel luogo.
Ed era
così, in effetti.
Perché ancora una volta, per l’ennesima volta,
Pansy stava
ripensando a quel maledetto momento. A quella notte che le pareva
lontanissima ed al contempo fin troppo vicina.
Desiderava lasciarsi
tutto alle
spalle, lo desiderava per davvero. Ma mai qualcosa in vita sua le era
parso tanto complicato e difficile. I sensi di colpa
l’attanagliavano, le mozzavano il respiro. Non poteva
evitarlo,
lo sapeva bene.
Aveva preso una
decisione quel
giorno, durante la battaglia e non aveva voluto tornare indietro. Si
era fatta violenza, aveva voltato il viso e tappato le orecchie per non
vedere, non sentire. Per evitare di cedere alla tentazione di seguire
il suo istinto, i suoi sentimenti.
Aveva giurato che non
ci sarebbero stati né rimorsi, né rimpianti.
Ma, in fondo, era
sempre stata una
bugiarda. Con tutti, senza distinzione. Gelida calcolatrice, Serpe per
davvero. L’aveva giurato ed era venuta meno a quel giuramento.
Rivoletti di sudore
freddo le
colavano lungo la schiena, mentre con tutta la forza che possedeva
combatteva contro le lacrime che si affacciavano ai suoi occhi.
Ti prego, sussurrava
fra sé
come una litania, vattene e lasciami in pace. Fa già
abbastanza
male senza che il tuo ricordo continui a tormentarmi.
Ma Pansy non sapeva
che quella
presenza silenziosa avrebbe continuato a tormentarla ancora a lungo.
Non sapeva che era dentro di lei ad essersi spezzato qualcosa, e che
era stata lei stessa la causa di quella rottura. Forse sarebbe cambiato
qualcosa se quella notte, per la prima volta in vita sua, avesse deciso
di seguire il cuore e non la mente, se avesse scelto ciò che
voleva e non ciò che le conveniva. Forse sarebbe stato
diverso o
forse no, ma lei non poteva fare a meno di chiederselo, nonostante
tutto.
These
wounds won't seem to heal
This pain is
just too real
There's just
too much that time cannot erase
Queste ferite non
sembrano guarire
Questo
dolore è troppo reale
C’è
semplicemente troppo che il tempo non può cancellare
“Pansy.”
una voce profonda la distolse dai suoi pensieri.
Le mani calde
dell’uomo alle
sue spalle le si posarono sui fianchi, mentre sentiva il suo respiro
spezzarsi e la sua mente scacciare i pensieri che fino a poco
prima l’avevano affollata, con disperazione e affanno, quasi
temesse che lui potesse intuirli.
“Sì,
Draco?” domandò, con tutta la calma e
l’indifferenza di cui era capace.
Era ridicolo che dopo
quattro anni
di matrimonio le cose fra di loro fossero ancora così
formali.
Si era illusa che un pezzo di carta avrebbe potuto rendere tutto
diverso, ma era stata una stupida. Come sempre.
“E’
tardi. Sarà meglio tornare dentro, non vorrei ti
ammalassi.”
“Certo.”
Afferrò la
mano fredda che
lui le tendeva e si alzò, seguendo lo sposo dentro casa. Il
cuore sanguinante e lo sguardo impassibile, impenetrabile. Non avrebbe
fatto domande, Draco, no. Era abituato al comportamento bizzarro,
solitario, scostante della consorte e non se ne era mai preoccupato.
Perché avrebbe dovuto, poi? Il loro era un matrimonio di
facciata, di convenienza. Perfino i muri lo sapevano.
Si limitavano a
condividere la
stessa casa, lo stesso letto. Partecipavano agli eventi mondani mano
nella mano, ogni tanto azzardavano anche un mezzo discorso, giusto per
spezzare il silenzio opprimente che regnava a Malfoy Manor. Ma nulla di
più.
Non vi era mai stato
amore e, con ogni probabilità, non ci sarebbe stato.
Ognuno combatteva la
propria
battaglia quotidiana contro i fantasmi del passato, ma mai ne
parlavano, mai si confidavano l’un l’altra.
Curavano le proprie
ferite in silenzio, lontano dagli occhi indiscreti
dell’altro.
Così aveva
imparato a fare
anche lei, Pansy, per tentare di ricucire quel taglio che la lacerava
in due da troppo tempo perché potesse ricordarne
l’inizio.
Quel taglio che probabilmente avrebbe smesso di tormentarla solo e
solamente quando fosse stata in grado di dire addio una volta per tutte
ad ogni ricordo. E lei lo sapeva che prima che arrivasse quel momento
ne sarebbe passato ancora tanto, di tempo.
Perché
tutto ciò che
c’era stato fra lei e George non poteva essere semplicemente
cancellato dallo scorrere ritmico dei secondi e dei minuti. Nemmeno se
l’orologio sul comò avesse continuato a
ticchettare per
l’eternità.
When
you cried I'd wipe away all of your tears
When you'd
scream I'd fight away all of your fears
I held your
hand through all of these years
But you still
have
All of me
Quando piangevi
asciugavo tutte le tue lacrime
Quando
urlavi combattevo tutte le tue paure
Ho
stretto la tua mano per tutti questi anni
Ma
tu hai ancora
Tutto
di me
Le lenzuola di seta
nere si
increspavano fra le dita sottili e pallide della donna, mentre le
stringeva convulsamente, aggrappandosi ad esse e puntando lo sguardo
fuori dalla finestra della camera. Il suo corpo immobile, del tutto in
balia delle voglie del Principe delle Serpi.
Vi era abitauata,
Pansy. La
trattava alla stregua delle sue numerose amanti, la usava e non ne
aveva nessun riguardo. E, cosa ancor più stupefacente, lei
lo
lasciava fare senza mai fiatare. Non le importava nulla, niente di
niente.
La bocca
dell’uomo
baciava la sua pelle bianca, catturando ogni tanto le sue
labbra.
Le sue spinte si facevano sempre più veloci e ravvicinate,
mentre le sue mani la esploravano, accarezzandola con ben poca
dolcezza.
Pansy strinse i denti.
Sarebbe
finito in fretta, si ripeteva, imponendosi di mantenere la calma, di
non lasciare che lo sconforto e il dolore la sopraffacessero.
Sarebbe finito come
tutte le altre
volte, lasciandola fredda e vuota come un guscio. Sola con i suoi
rimorsi e i suoi rimpianti a farle compagnia in quel letto troppo
grande. Si sentiva sporca, e non riusciva ad evitarlo. In
realtà
non faceva nulla di male. Lei e Draco erano sposati. Eppure ogni volta
era come una scossa, un sapore amaro le riempiva la bocca.
Un stella
luccicò nel cielo,
mentre Draco, esausto, si abbandonava a peso morto su di lei, poggiando
la testa sul suo seno. Non parlarono, nessuno dei due aveva da dire
nulla. Si limitarono a voltarsi ognuno dalla propria parte del letto,
lui già per metà addormentato, lei gli occhi
sbarrati nel
buio e la pelle pervasa da tremiti.
You
used to captivate me
By your
resonating life
Now I'm bound
by the life you left behind
Your face it
haunts
My once
pleasant dreams
Your voice it
chased away
All the
sanity in me
Tu mi catturavi
Con
la tua luce accecante
Ora
sono prigioniera della vita che hai lasciato indietro
Il
tuo volto popola
I
miei sogni una volta piacevoli
La
tua voce scaccia
Tutta
la sanità che c’è in me
Non poteva dormire.
Nemmeno quella
notte sarebbe caduta fra le braccia di Morfeo trovando conforto
nell’oblio del sonno. Lo sapeva già, dopo essersi
rigirata
insonne fra le lenzuola, il corpo di Draco addormentato a pochi
centimetri dal suo.
Si alzò,
infilando una vestaglia color cremisi e scese al piano di sotto, in
sala da pranzo.
Il pavimento di pietra
le gelava i piedi, scalzi, facendola rabbrividire.
Forse, se si fosse
distesa e avesse
per lo meno tentato di rilassarsi sarebbe riuscita ad assopirsi. Ma non
aveva nemmeno voglia di provarci, troppo spaventata che il suo viso
potesse apparirle all’improvviso davanti agli occhi come
già era successo in precedenza.
Un’immagine
vivida e chiara
che le se parava davanti prendendola alla sprovvista e facendola
irrigidire e sgranare gli occhi, terrorizzata e boccheggiante. Convinta
forse, per una frazione di secondo, che fosse reale e non solo uno
scherzo crudele della sua mente.
Ovviamente non si
trattava
d’altro che di quello, perché ogni volta che aveva
tentato
anche solo di sfiorarlo, di accarezzare quei capelli rossi o le sue
labbra rosee e sottili lui era svanito, dissolvendosi come una bolla di
sapone troppo delicata per essere anche solo toccata fuggevolmente.
La sua vita si era
trasformata in
un incubo. In meno di sei anni si era ritrovata intrappolata in un
matrimonio che non desiderava, schiava di un uomo che non amava,
né stimava. Non aveva amici, non aveva familiari, nessuno
che le
volesse bene, nessuno che si preoccupasse anche solo minimamente di
lei. Tutti i rapporti della sua vita erano mera finzione, una semplice
facciata per tenere alto il suo nome e quello di suo marito.
C’era stato
un tempo in cui Pansy era stata convinta di poter cambiare le cose per
davvero.
Aveva davvero creduto
che il suo
futuro potesse dipendere solo e solamente da lei e che se
l’avesse desiderato sarebbe stata lei l’artefice
del suo
destino.
Solo ora si accorgeva
di essersi illusa inutilmente. Lui l’aveva illusa.
Con i suoi sogni, i
suoi progetti.
Le aveva giurato di amarla, le aveva mostrato un mondo che lei nemmeno
poteva immaginare. Un mondo genuino e bellissimo, dove i sentimenti
contavano per davvero e non si trattava solo di sangue e casata. Dove
la gente ti giudicava per quello che eri, per chi eri. Non per le tue
discendenze o il tuo conto alla Gringott.
Lui le aveva mostrato
tutto ciò e lei, ingenua, aveva creduto di poter farne parte
un giorno.
Aveva fantasticato
come una
stupida, arrivando perfino ad immaginarsi vestita di bianco mano nella
mano con lui, in una piccola cappella di campagna.
L’aveva
convinta che fosse
bello poter sognare e costruire castelli in aria e lei, ancora una
volta, ci era cascata. Se n’era accorta troppo tardi di
quanto
potesse essere doloroso vedere i propri desideri calpestati e
stracciati, troppo tardi aveva capito che forse quei castelli era
meglio non costruirli se poi il loro destino era finire distrutti fra
mille calcinacci.
Era rimasta
prigioniera della vita
che lui le aveva promesso, ma che mai aveva avuto l’occasione
di
donarle per davvero. L’aveva catturata e racchiusa fra quelle
illusioni e lei non era in grado di uscirne. Lo odiava, per quello.
Lo odiava per averla
abbandonata in
balia di quel mondo per il quale altro non era che la Regina delle
Serpi, la moglie di Malfoy, la padrona di Malfoy Manor.
Attraversò
il salone,
raggiungendo un grande pianoforte d’ebano che troneggiava nel
mezzo. Il silenzio che la circondava era quasi surreale. Si sedette sul
piccolo pouf di velluto e sollevò la copertura, scoprendo i
tasti neri e bianchi dello strumento.
Le sue dita scorrevano
veloci,
mentre una melodia dolcissima e struggente si diffondeva per la stanza,
avvolgendola con le sue note.
But
you still have
All of me...
All of me...
All of me...
All of me...
Ma tu hai ancora
Tutto
di me…
Tutto
di me…
Tutto
di me…
Tutto
di me…
Una volta avevano
suonato assieme, ad Hogwarts.
Un sorriso triste
increspò
le labbra della mora, mentre chiudeva gli occhi e lasciava che i
ricordi le sia affacciassero alla mente.
Era incredibile quante
cose
avessero scoperto di avere in comune, oltre l’apparente
diversità che li aveva sempre divisi. Potevano parlare per
ore
di mille argomenti differenti senza mai annoiarsi o rimanere a corto di
parole. Si sentiva diversa in sua presenza, anche se non avrebbe saputo
spiegare come tutto fosse iniziato, come fosse possibile che a farla
sentire così speciale, così importante fosse un
Weasley
che da sempre disprezzava e sbeffeggiava. Eppure era accaduto.
Pansy smise di
suonare, bloccandosi
per un attimo, le mani ancora posate sulla tastiera e gli occhi
ombreggiati da un indefinibile sofferenza. Un lampo di decisione
attraversò quelle pozze corvine, illuminandole per un attimo.
Si alzò,
dirigendosi con sicurezza verso un piccolo armadietto di legno
cesellato.
Prese una delle
bottigliette di
vetro e versò in un bicchiere una grande quantità
del
liquido scuro che conteneva. Poi sollevò il calice e
scrutò le venature ambrate della bevanda.
Tornando a sedersi
sullo sgabello
vicino al pianoforte, bevve una lunga sorsata e tornò a
suonare,
come se nulla avesse interrotto quel piccolo concertino.
Era aggraziata nei
gesti, nello far
scivolare le lunga dita bianche sui tasti, nell’agitare
leggermente la testa ogni qualvolta il ritmo della melodia cambiava.
Ed era bellissima.
Questo nessuno avrebbe mai potuto negarlo.
Lui glielo ripeteva
spesso e lei lo
trovava estremamente fastidioso, eppure le mancavano i suoi
complimenti. Nessuno gliene faceva più, nemmeno suo marito.
La paragonava sempre
ad una fata, nonostante non fosse bionda né dolce o angelica.
Diceva che la sua
pelle diafana gli
ricordava la neve e lei l’aveva sempre trovato un paragone
buffo
dal momento che le pareva soltanto un pallore mortale il suo e di certo
non gradevole. Ma lui riusciva sempre a vederla sotto una luce diversa.
In fondo, non era mai
stato un ragazzo comune. Quello era poco ma sicuro.
La stupiva ogni volta.
E lei amava essere stupita.
La faceva ridere con
poco. E lei era rimasta colpita da quanto potesse essere bello ridere
con lui.
Se ne usciva sempre
con frasi o battute del tutto imprevedibili e lei non poteva fare a
meno di sorridere, dolcemente.
Era innamorata, Pansy.
Per la prima
ed ultima volta in vita sua Pansy Parkinson, purosangue dal cuore
freddo e impenetrabile, era stata innamorata per davvero.
Senza limiti
né inibizioni.
D’un tratto
le tornò
alla mente una frase che lui le aveva detto un giorno, mentre se ne
stavano comodamente sdraiati davanti al camino nella Stanza delle
Necessità, e fuori pioveva a dirotto.
“Quando
compro un libro io leggo l'ultima pagina per prima, così se
muoio prima di finire so quello che succede. Questo, amica mia,
è il lato oscuro.”
Era scoppiata a ridere
nel vedere
la sua espressione seria e il tono solenne in cui lui aveva pronunciato
quelle parole, seguita subito anche dal rosso.
Ora, però,
qualcosa in quelle parole la turbava terribilmente.
George non aveva
potuto leggere
l’ultima pagina della loro storia e non aveva mai saputo come
sarebbe andata a finire. Era morto senza saperlo. Senza sapere troppe
cose, a dire il vero. Era morto portandosela con sé, ma
lasciando il suo corpo, vuoto e apatico, sulla terra.
Doveva per forza
esserci un errore.
E Pansy avrebbe
rimediato, avrebbe scritto e letto lei quell’ultima pagina a
George.
Sentì il
liquido ingerito poco prima diffondersi nel suo corpo, intorpidendolo.
Continuò a
suonare fino a
che le forze non l’abbandonarono del tutto ed allora si
lasciò cadere a terra, mentre il calice appoggiato al suo
fianco, si frantumava in mille pezzi sul freddo pavimento della sala.
Era vuoto lo sguardo
che
incontrò il mattino seguente Draco Malfoy, quando rinvenne
il
corpo della moglie. Era fredda la sua pelle, rigidi i suoi muscoli.
Ma sorridevano, le sue
labbra.
Questa
fanfiction è stata scritta per il Primo Contest
organizzato
dal forum "Mischief Fangril"
(http://georgeandpansy.forumfree.net/?t=27377853).
La citazione usata è: “Quando compro
un libro io leggo l'ultima pagina per prima, così se muoio
prima di
finire so quello che succede. Questo, amica mia, è il lato
oscuro.” [Harry ti presento Sally]
Disclaimer:
I personaggi non mi appartengono e non ne possiedo i diritti. Tutto
ciò che vi è scritto nella storia è
frutto della
mia fantasia e non è stato scritto con l'intento di
offendere
nessuno.
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