capitolo 11
La
Bestia: Belle, tu... tu
sei tornata.
Belle:
Ma certo che sono tornata. (…)
Andrà
tutto bene. Adesso siamo insieme.
Andrà
tutto benissimo, vedrai.
[La
Bella e la Bestia – film d'animazione di Walt Disney]
Capitolo
11
Lo stesso scenario:
l’orizzonte minacciato dalle nuvole scure, la costruzione
imponente
con quell’aura d’autorità che sembrava
impressa
nell’assemblaggio stesso dei mattoni. Una distesa di campi e
l’immensità della natura piegata a location di una
realtà con sue
regole e identità.
Un sorriso
sulle labbra,
i capelli scossi dal vento e un trolley di uno sfacciato rosa
shocking che trascinava senza alcun timore: lo sguardo di chi aveva
ritrovato sicurezza e fiducia a farne scintillare lo sguardo azzurro.
Sentì, anche in quel momento, gli sguardi curiosi puntati su
di lei:
un saluto sorridente alla vista del naso di Finn Hudson, schiacciato
conto il finestrino del pullman, su cui erano sedute circa trenta
reclute.
Poco prima
dell’ingresso
si stagliava una figura maschile che Brittany guardò con
aria
serena: l’uomo, lo sguardo fino a quel momento puntato sulla
cartelletta su cui stava leggendo e scribacchiando con aria
concentrata, si riscosse, quando le ruote del bagaglio cozzarono
contro le pietruzze del vialetto. Inarcò le sopracciglia ma,
l’attimo dopo, le labbra furono increspate da un sorriso
divertito
e insieme lieto. La guardava come se si fosse aspettato che sarebbe
arrivata prima o poi.
“Buongiorno,
Brittany,”
la salutò con aria allegra, “spero che la
villeggiatura sia stata
di tuo gradimento”.
La giovane si
fermò ed
annuì, il viso lievemente reclinato all’indietro
per osservarlo.
“E’ stata molto utile, ”
asserì per poi piegare la testa di un
lato, “è un piacere rivederla, Signor
Clarington”.
Lo sguardo
tradì per la
prima volta una punta d’esitazione e di timore.
“Lui è-?”.
Aveva annuito,
Jonathan
Clarington, prima ancora che concludesse la domanda.
“Immagino che
ti vedrò tra non molto ma, per il momento,
bentornata”, le strinse
la spalla, quando le passò accanto e si diresse verso il
pullman le
cui porte erano ancora aperte, evidentemente attendendo che facesse
il suo ingresso.
“Signor
Clarington?”.
L’uomo
si era voltato e
Brittany esitò un solo attimo, ma ricoprì
rapidamente la distanza
per stringerlo: affondò il capo contro il suo petto ampio,
appena
sopra il tambureggiare del suo cuore. Sembrava quasi di cingere una
montagna per la sua stazza imponente, ma questo non rese il gesto
meno sentito per nessuno dei due.
Un solo attimo
d’evidente
sorpresa ma l’uomo le batté gentilmente la mano
libera sulla
schiena.
“Spero
tu non mi chieda
di passarlo a mio figlio: potrebbe essere imbarazzante in luogo
pubblico”, aveva commentato con una lieve traccia
d’ironia che
aveva fatto ridacchiare la giovane.
“Non
tardare”,
l’aveva ammonita, con un sorriso, dopo che si fu scostato.
Aveva annuito,
Brittany,
e si era diretta con passo più deciso verso
l’edificio, ben
consapevole che ciò che stava per intraprendere era solo il
primo
passo.
Jonathan
salì sul
pullman, inarcò le sopracciglia ai fischi canzonatori del
plotone,
prima di stringersi nelle spalle. “Se vi state chiedendo se
un uomo
della mia età abbia più fascino di voi, direi che
la risposta è
alquanto evidente. Appurato questo, vogliamo andare? Siamo
già in
ritardo”.
~
Lo sguardo era
corrugato,
mentre scriveva sul foglio, ogni tanto sollevava gli occhi a rimirare
la cornice sulla scrivania. La sfiorava, quasi quel sorriso fosse
un’implicita promessa che sarebbe andato tutto bene, se non
avesse
perso la fiducia o quella parvenza di serenità.
Si interruppe
per
strofinarsi il volto in un gesto di reale stanchezza: avrebbe dovuto
affrettarsi per non ritardare e venir meno al suo dovere, in
rappresentanza dell’Accademia.
Stava per
appoggiare
nuovamente la penna sul foglio, ma si riscosse al bussare che
infranse il gravoso silenzio dei suoi pensieri. Sperando che Jonathan
non si fosse intestardito a scortarlo di persona, come se fosse stato
un figlio capriccioso e riottoso, Neal pronunciò uno
svogliato:
“Avanti”, e levò lo sguardo verso
l’ingresso.
Sembrò
restare congelato
alla vista della ragazza e il tempo stesso sembrò
cristallizzarsi,
mentre cercava in quel volto i segni della stessa persona che aveva
lasciato andare. Così straordinariamente esile e puerile al
suo
sguardo, i cui occhi sembravano lasciar carpire più di
quanto
palesasse, fino a cogliere profondità celate ad uno sguardo
distratto o poco interessato.
“Brittany”,
l’esclamazione quasi rauca e il tono allarmato. Si
levò dalla sua
sedia, circumnavigando la scrivania per esserle di fronte: gli occhi
sgranati e le labbra schiuse. “Stai bene?”.
Non riusciva a
spiegarsi
la sua presenza se non per qualcosa di negativo: si era irrigidito al
pensiero dell’uomo il cui sguardo suadente quanto privo di
reale
calore umano, lo aveva reso poco fiducioso fin dall’inizio.
Brittany aveva promesso di tornare, ma aveva sperato con tutto il
cuore che tali parole non fossero state pronunciate soltanto per
lenire il dolore della madre.
La ragazza gli
sorrise
con una dolcezza che ne fece scintillare le iridi. Riusciva a
percepire una nuova quiete provenire da lei, come mai era accaduto da
che l’aveva conosciuta. Ma non sembrava aver fretta di
parlare:
continuava ad osservarlo, quasi solo in quel momento riuscisse
veramente a guardarlo e realizzare qualcosa.
Cercò
di rilassarsi e le
sorrise: si trattenne dal coprire le distanze e cingerla, quasi vi
fosse la consapevolezza implicita che prima dovesse lasciarla
parlare.
“Tua
madre sa che sei
qui?”, si aspettava di vederla varcare la soglia da un
istante
all’altro e con lo slancio che l’animava, quando si
trovava di
fronte ad un parquet.
Sorprendentemente,
Brittany scosse il capo, ma non perse il sorriso. “Ho preso
un taxi
dall’aeroporto,” spiegò con tono
tranquillo, “nessuno sa che
sono qui, a parte il Signor Clarington e un plotone di ragazzi
ma,”
si avvicinò, tormentandosi i capelli per la prima volta, il
viso
inclinato di un lato, lo sguardo più puerile e timoroso che
aveva
già scorto in precedenza, “ho tanto bisogno di
parlare con te,
prima di tutto il resto”.
E Neal si
sentì
trattenere il fiato nello scorgere un anelito di speranza e di
un’evidente attesa: era soltanto la sua curiosità
a trattenerlo
dal cingerla tra le braccia e cullarla. Ma, in quel momento, a
prescindere da ciò che gli avrebbe detto, si promise che non
l’avrebbe più lasciata andare per alcun motivo.
Brittany
sospirò, le
mani strette in grembo nel guardare l’uomo che aveva dato
nuova
felicità a sua madre, l’uomo che aveva sempre
rispettato i suoi
spazi o la sua scarsa presenza e partecipazione e sempre con un
sorriso dolce e una disponibilità e spontaneità
quasi commoventi.
Pronto ad incoraggiarla, anche quando la decisione lo avrebbe ferito
in prima persona, l’uomo che le aveva chiesto un posto nel
suo
cuore che era sempre stata trattenuta dal concedere.
“Neal,”
lo richiamò
con voce tremante. “io sono tanto dispiaciuta”,
esordì e lo vide
sgranare gli occhi ma prima che potesse replicare, riprese parola.
“Ti
ho sempre tenuto a
distanza, ” aveva ammesso: flash d’immagini che
sembravano
confermare quei momenti passati, quelle occasioni perse come un
monito a non lasciare che ciò avvenisse nuovamente,
“e tu non hai
mai fatto nulla per importi, neppure quando ti ho ferito”.
“Brittany”,
le
sorrise con tale comprensione e tenerezza che Brittany temette di non
riuscire a concludere.
“Credevo
di star
proteggendo la mamma all’inizio, anche se ho capito quanto vi
amate”, continuò e le parole scivolarono in modo
più fluido,
quasi ansiose però di dare suono ad una verità
seppellita a lungo
nei meandri della sua quotidianità.
“Ma
stavo soltanto
proteggendo me stessa, perché non avrei potuto sopportare
che
qualcun altro mi lasciasse, da un giorno
all’altro”, era stata la
confessione più rauca che ne aveva fatto luccicare gli occhi
e reso
la gola più stretta.
Sembrò
in procinto di
replicare, Neal, ma ancora una volta la ragazza lo procedette: gli si
avvicinò, guardandolo dal basso, il viso inclinato di un
lato, il
sorriso più timido e delicato, prima di proferire quelle
parole
trattenute probabilmente troppo a lungo e più che mai vitali
e
necessarie per ripartire. Questa volta insieme.
“Sarò tua figlia,
se ancora vorrai essere mio padre”.
Era la prima
volta che
vedeva quel luccichio nello sguardo dell’uomo che aveva di
fronte,
ma non vi fu bisogno di risposta pronunciata a chiare lettere. Neal
finalmente coprì la distanza e la strinse con calore e
un’energia
tale che sembrava serbare tutto l’amore e la dedizione
serbati in
silenzio fino a quel momento, tutte le parole ancora non pronunciate
e tutte le promesse che avrebbero stretto da quel nuovo inizio.
Brittany
affondò contro
il suo petto come se null’altro fosse possibile e non
restasse che
abbandonarsi completamente a lui con fiducia e bisogno.
Lasciò che
le sfiorasse i capelli in un tocco vellutato e quasi devoto, e
finalmente comprese il significato di un legame scaturito da una
reciproca necessità e non da una traccia genetica.
“Scusami
per tutto, ”
mugugnò con la voce soffocata contro la divisa che
indossava.
Scosse il capo,
Neal, la
scostò appena per sfiorarne le gote a rimuoverne le lacrime
e ne
baciò la fronte. “Avrei atteso altri
cent’anni per questo
momento”, aveva rivelato, per poi trarla a sé un
altro lungo
istante, quasi non fosse stato sufficiente o necessitasse di
un’altra
stasi per convincersi che fosse tutto reale.
“E
ora andiamo, ” si
era scostato rapidamente, recuperando quel guizzo sbarazzino e
complice ma guadagnandosi uno sguardo confuso da parte
dell’altra,
“abbiamo un Glee Club da far vincere”.
Boccheggiò,
Brittany,
facendo mente locale prima di scuotere il capo. “Ma io non
sono più
iscritta”.
Fu allora che
Neal
sorrise con aria persino più accattivante. “Potrei
distrattamente
non aver ancora firmato la tua richiesta di ritiro: potrai
partecipare e da domani non sarai più una studentessa di
quest’Accademia”.
Aveva sorriso,
Brittany,
all’idea di ciò che poteva averlo trattenuto
dall’apporre una
semplice firma e da ciò che ne sarebbe conseguito. Un altro
pensiero, tuttavia, le procurò un brivido lungo la spina
dorsale e
sentì il respiro farsi più rado, nonostante le
sue motivazioni dopo
la partenza da Washington. “Lo apprezzo molto, ma non so se
sia il
caso”.
Si era
accigliato, Neal.
“Qual è la prima regola di un buon soldato? Non
abbandonare mai i
compagni in difficoltà, qualunque sia il tipo
d’ostacolo”.
Brittany si era
morsa il
labbro. “Non credo che mi vorranno con loro e non potrei
biasimarli”, aveva obiettato, lo scintillio più
affranto all’idea
dell’addio tanto freddo e formale con Hunter.
Neal scosse il
capo e le
cinse le spalle, conducendola verso l’uscio per poi
rivolgerle uno
sguardo divertito. “Se stai parlando di un aitante Capitano,
per
cui sospetto che tua madre abbia un’infatuazione inquietante,
alto
un metro e ottantatré centimetri, spalle larghe e occhi
verdi,
allora temo di dover dissentire”.
Una nuova
vampata di
calore aveva sfiorato le gote di Brittany. “Te l’ha
detto la
mamma?”, aveva pigolato dopo essersi schiarita la voce,
cercando di
darsi un contegno.
“Diciamo
che i soldati
hanno un loro modo di dimostrare affetto e di questo sono
più che
informato e poi… è così
evidente?”, aveva chiesto con aria
quasi rassegnata che aveva fatto ridere la ragazza, smussando
l’imbarazzo e la tensione.
“No,
ma apprezzo lo
sforzo”.
Si era
nuovamente fatto
serio, Neal, e le aveva cinto le spalle. “Era
all’aeroporto quel
giorno, ma non ha avuto tempo di parlarti”.
Aveva sentito
il cuore
fermarsi in gola, Brittany, una nuova speranza che si
accompagnò ad
un moto di calore ad irradiarle dal petto. Un vago sorriso nel
domandarsi come sarebbero andate le cose se il volo avesse ritardato
a sufficienza da consentire loro un ultimo dialogo. Chissà
se
sarebbe ancora stata disposta a partire o avrebbe compreso in modo
più nitido di appartenere alle persone che l'avrebbero
guardata
andarsene.
Si era riscossa
per
osservare l’uomo con aria più dolce e un misto di
gratitudine e di
tenerezza. “Sarai un papà meraviglioso”,
aveva asserito in un
sussurro più tremulo.
Parve molto
compiaciuto,
Neal, ma la strinse più forte, prima di rilasciare un
sospiro.
“Dovremo fissare delle regole se tra voi…
sì, insomma, se
diventerà qualcosa d’ufficiale,
capisci?”. Era sembrato lui
stesso quasi timoroso di esprimere quell'eventualità e
ciò aveva
fatto sorridere la ragazza con persino più tenerezza.
Nonostante il
nuovo
rossore sulle gote, si era portata la mano alla fronte.
“Signorsì,
Signore!”, aveva esclamato nella tonalità che
più compiaceva
Kitty.
Se quello era
stato
soltanto l’inizio, non aveva alcun dubbio che tutto sarebbe
stato
meraviglioso da quel momento in poi.
~
Era la prima
volta che
Brittany prendeva parte ad un’occasione simile: finora la
danza, ad
eccezione delle prove degli ultimi mesi, era sempre stata un evento
privato e personale. Ma all’Accademia aveva imparato,
più che mai,
lo spirito di squadra, il cameratismo (talvolta anche
nell’accezione
peggiore) e il significato dell’unione: dell’essere
una parte del
successo dell’altro.
Erano arrivati
trafelati
al Teatro della città, il rinomato Fine Arts Center,
allestito per l’occasione e si confusero tra la folla:
Brittany si
guardò attorno con aria smarrita e preoccupata, fino a
quando
Jonathan Clarington, la cui imponente altezza lo rendeva facilmente
rintracciabile, si fece largo per raggiungerli.
Il viso era
notevolmente
sereno nel vederli insieme.
“Come
stanno andando?”,
chiese ansiosamente Neal.
L'altro emise
un breve
sospiro. “Non sarà facile spuntarla: ci sono molti
concorrenti e
altrettanti talenti”, spiegò in tono pacato.
“Il duetto di
Hunter e del Capitano Wilde credo abbia avuto molta presa in
generale, ma disgraziatamente la ragazza è sembrata
dolorante nel
secondo numero. Dipenderà tutto dal numero finale... il che
ci
rimanda all’arma segreta, immagino”.
Brittany parve
ancora più
confusa: se aveva sentito il cuore in gola alla realizzazione che
Hunter fosse in quello stesso edificio e lo avrebbe rivisto da
lì a
poco, fu ancora più sconcertante, quando i due adulti la
guardarono
con un sorriso evidentemente allusivo. Fu quasi tentata di guardarsi
attorno, quasi aspettandosi un ballerino di talento, magari
fuoriuscito dalla fiction “Paso Adelante”,
ma sgranò gli
occhi alla comprensione. “Io?”.
“Lo
sei sempre stata,”
aveva asserito Neal con evidente orgoglio. “un pessimo
soldato
ma-”.
“Hey!”,
aveva
borbottato in risposta, le braccia incrociate al petto e il cipiglio
di puerile disappunto.
“Ha
anche fatto un
ottimo saggio di storia”, intervenne Jonathan con un sorriso,
“un
peccato che non faccia media su un giudizio finale”.
“Ma
è la danza che ti
scorre dentro,” aveva continuato Neal in tono più
dolce, “e mi
dispiace di essermi lasciato trascinare e averti costretto a qualcosa
di diverso”.
Aveva scosso il
capo,
Brittany. “Non rimpiango nulla… o
quasi”, aveva appena
raggrinzito il naso al ricordo delle angherie di Kitty.
“Allora,
vuoi condurre
il Glee Club alla vittoria?”
Aveva sorriso
con aria
più compiaciuta. “Sono qui per questo”.
Jonathan la
scortò lungo
il dedalo di corridoi verso il camerino, per poi indicarle la porta
corrispondente all’alloggio della loro Accademia,
contraddistinto
da una targa che le procurò una nuova aritmia.
“Buona
fortuna”, si
era congedato con un ultimo sorriso.
Brittany
temette il
momento del ritorno persino più del momento in cui sarebbero
saliti
sul palco: quanti sarebbero stati effettivamente felici di rivederla?
Hunter sarebbe stato uno di loro? Sentiva il cuore in gola in quel
momento e sfiorò la superficie dell’uscio che la
separava da
quella verità.
Cercò
di cacciare dalla mente l’immagine di un
momento simile e ascoltò il brusio proveniente
dall’interno: prese
un profondo respiro e, infine, schiuse la porta.
Come un unico
corpo, si
erano tutti voltati verso l’uscio e parvero restare congelati
sul
posto. Brittany ebbe appena modo di scorgere lo sguardo sorpreso e
spiazzato di Hunter e di Kitty, prima che Marley, uno strillo felice,
le gettasse le braccia al collo.
“Sei
tornata per
vederci?”, le chiese quest’ultima quasi
dondolandola in
quell’abbraccio e strappandole un sorriso mentre la cingeva a
sua
volta, quasi necessitasse, in assenza del suo gatto (sperò
che
l’autista del taxi lo avesse consegnato a casa con cura: un
peccato
non poter scorgere la reazione della madre alla vista della gabbietta
e del messaggio accluso), di quel contatto.
Brittany
guardava Hunter
che, dopo quel momento di puro sbigottimento, era tornato a scrutare
il foglio che teneva tra le mani: appariva più che mai
concentrato,
soltanto la mascella contratta e l’irrigidimento della
postura ne
tradivano una qualche emozione.
“Molto
commovente,
Barbie, ma non abbiamo tempo per i convenevoli”, fu la secca
replica di Kitty. La stava scrutando con aria arcigna, mentre si
sedeva su un divanetto, stendendo la gamba per appoggiare del
ghiaccio sulla caviglia.
Scosse il capo,
Brittany,
dopo essersi dolcemente svincolata dall’abbraccio
dell’amica a
cui trattenne la mano. “Sono venuta per
partecipare”, aveva
precisato, la voce leggermente tremula.
Sentì
il silenzio
gravoso sugli astanti, Marley aveva rafforzato la stretta, Ryder,
Jeff e Mike le sorrisero con evidente approvazione, ma era i due
Capitani che stava tuttora scrutando, consapevole che fossero solo
loro ad avere voce in capitolo.
“Se
me lo
permetterete”, aveva aggiunto.
“Dobbiamo,
dobbiamo,
dobbiamo”, era stato il suggerimento di Jeff che
sembrò
letteralmente saltellare sul posto, ma fu allo sguardo gelido di
Hunter che si fermò, la stessa espressione di un bambino
trovato con
le mani sporche di marmellata.
Fu Kitty ad
alzarsi,
gettando la confezione di ghiaccio sul pavimento, facendo sussultare
Brittany.
“Te
ne vai, lasciandoci
nella merda totale per il tuo bisogno di riconciliarti con il mondo
di Barbie e poi torni, pretendendo che noi ti permettiamo di tornare,
come se nulla fosse accaduto”, lo sguardo era glaciale, la
voce
altisonante che aveva fatto congelare tutti sul posto, compresa
Marley a cui Brittany si aggrappò con più
intensità.
Aveva annuito,
sostenendo
lo sguardo del Capitano e sospirando. “Non posso cancellare i
miei
errori,” sussurrò in tono contrito in
quell’ammissione, “e mi
dispiace di avervi egoisticamente coinvolto, ma lasciate che mi
scusi, facendo l’unica cosa che mi riesce bene, specialmente
se
questo può aiutarvi”.
Si era voltato
verso
Hunter, Jeff, la stessa espressione di un bambino implorante,
qualcosa di simile a quella che Marley stava gettando al Capitano
Wilde che si era portata le mani sui fianchi e continuava a scrutare
la sua ex recluta come non chiedesse di meglio di prenderla per i
capelli. E farla cozzare contro la parete. Ripetutamente. Fino a
quando non avesse perso i sensi.
“Ho
capito che eri una
piantagrane dal primo momento in cui ti ho vista e lo penso
ancora”,
aveva esordito e Brittany si mordicchiò il labbro,
sollevando le
mani.
“Io-”.
Aveva sbuffato,
Kitty, le
braccia serrate al petto nel fissarla con aria ancora piena di
biasimo e di rancore, prima di scuotere il capo. “Ballerai al
mio
posto”, sancì e un silenzio stupefatto cadde tra
gli astanti.
Non ebbe
neppure modo di
sentire lo squittio felice di Marley o il modo in cui le stava
cingendo il braccio, letteralmente saltellando, perché non
riusciva
neppure a contenere quel nuovo scoppio di gioia e d’energia
che le
fece scalpitare il cuore.
“La
coreografia è un
po’ cambiata,” continuò Kitty,
un’occhiata gelida alla sua
amica per placarne il moto di felicità, “ma non
abbiamo tempo di
fartela memorizzare”, era avanzata in sua direzione e le
aveva
cinto le spalle per poi guardarla intensamente, costringendola a
chinarsi verso di sé.
“Dovrai
seguire Hunter
e lasciarti guidare da lui: leggere e anticipare i suoi movimenti e
far in modo che ogni tuo passo sembri completare il suo, credi di
riuscirci?”.
Aveva deglutito
nervosamente, Brittany, ma l’aveva guardata dritta negli
occhi ed
aveva annuito.
Si era rivolta
a Marley,
Kitty, con un cenno del mento. “Andate a cambiarvi, le darai
il tuo
vestito”.
“Signorsì,
Signora”,
aveva replicato Marley che non sembrava affatto dispiaciuta. Brittany
sapeva avrebbe dovuto ringraziarla e non soltanto per aver rinunciato
a quell’ultima esibizione in suo favore e senza alcun
risentimento.
Al contrario, trattenendola ancora per mano, la stava lei stessa
sospingendo verso il bagno.
“E
Barbie?”.
Si era voltata,
Brittany,
e Kitty le fece cenno di avvicinarsi. Sembrava piuttosto contrariata
nel continuare a scrutarla con le braccia incrociate al petto e le
labbra serrate in una smorfia.
“Gli
sei mancata,”
aveva commentato in tono spiccio, quasi volesse assicurarsi di
parlare, prima di cambiare idea, “ma se lo vedrò
di nuovo giù di
tono a causa tua, ti strapperò i capelli uno per uno e te li
farò
ingoiare, mi sono spiegata?”.
Aveva sentito
il cuore
farsi più pesante, Brittany, lo sguardo corse al ragazzo che
non le
aveva più neppure rivolto un’occhiata e che
sembrava totalmente
incurante del suo ritorno. Non aveva neppure preso parola sulla
questione, malgrado fosse stato il primo a spronarla ed esortarla, il
primo a desiderare di vederla unirsi al Glee Club.
Era tornata ad
osservare
Kitty, consapevole quanto quelle parole dovevano esserle sofferte,
soprattutto per il reale affetto verso lo stesso ragazzo. Aveva
annuito con un sorriso di gratitudine.
“E
ora fila, abbiamo
già perso abbastanza tempo”.
Si era
morsicata il
labbro, Brittany, ma l’aveva cinta impulsivamente in un
abbraccio
che aveva strappato sguardi increduli e qualche fischio canzonatorio
tra i ragazzi. Era rimasta rigida, Kitty, come un pezzo di ghiaccio.
“Grazie,”
aveva
sussurrato Brittany con voce pregna di reale commozione, ma Kitty si
era divincolata bruscamente.
“Sto
cercando di
trattenermi dal darti un pugno, Pierce”, aveva borbottato per
risposta, scostandola da sé.
La
fissò incredula,
Brittany.
“Che
c’è?”, le
abbaiò contro l’altra. “Non penserai di
essermi davvero
mancata?”.
“Mi
hai chiamata per
cognome”, era parsa incredula.
Aveva sbattuto
il piede a
terra, Kitty, le labbra contratte prima che notasse qualcosa e le
prendesse rudemente il braccio. “Sono unghie
finte?”, lo chiese
in un sibilo minaccioso quanto il detonatore di una bomba.
“Toglile,
prima che te le strappi via io”, si era voltata per poi
lasciarsi
cadere sul divano, una smorfia risentita nel prendere il ghiaccio e
borbottare, con aria contrariata: “unghie finte, puah!”.
~
Carezzò
il tessuto
dell’abito, il cuore in gola e una sensazione di nausea a
stringerle lo stomaco, il pensiero che da lì a poco avrebbe
dovuto
ballare di fronte ad una platea e avrebbe dovuto farlo con il ragazzo
che amava e ancora non le aveva rivolto parola.
“Esci
subito dal bagno,
Barbie, non hai tempo di sentirti vagamente desiderabile”.
Un vago sorriso
ad
incresparle le labbra: per la prima volta ebbe la sensazione che non
si trattasse di un mero tentativo di offenderla.
Si fece largo
tra i
compagni, un ultimo abbraccio a Marley, e seguì le
indicazioni verso
il palco sul quale si sarebbero esibiti. Con il cuore in gola e il
respiro tremulo, il solo rumore delle sue scarpe con tacco a sfiorare
la piattaforma, raggiunse la prima linea e la sagoma di Hunter
già
schierato e perfettamente padrone di sé.
Rimirò
il sipario che si
sarebbe levato da lì a pochi secondi: sentiva il cuore in
gola, ma
avrebbe potuto onestamente affermare che non fosse del tutto dovuto
al nervosismo per la competizione, quanto il pensiero del giovane al
suo fianco di cui stava scrutando il profilo, le mani strette in
grembo. Restò ad osservarlo per quelli che parvero istanti
interminabili, prima di allungare timidamente la mano a cingerne
appena il braccio, quasi avesse il reale bisogno di sentirlo
al suo fianco, in quel momento, malgrado tutto ciò che era
accaduto.
Malgrado quel divario che sentiva più intenso che mai.
Si era voltato
ad
osservarla e Brittany deglutì di fronte al suo sguardo
impenetrabile, soltanto un lieve corrugamento delle sopracciglia
nell’osservarne la mano che lo stava trattenendo: sembrava lo
stesso Capitano rigido ed inflessibile che aveva conosciuto al suo
arrivo in Accademia.
Ciò
non fece che
accrescere l’ansioso timore che fosse troppo tardi.
“Hunter,
io-”.
Aveva scosso il
capo, il
giovane, tornando ad osservare innanzi a sé. “Non
è questo il
momento”, aveva commentato, quasi neppure muovendo le labbra.
Sospirò,
Brittany, ma ne
lasciò il braccio e cercò di farsi coraggio:
dopotutto era già
riuscita una volta a solcare quell’apparente freddezza e
avrebbe
dovuto concedergli più tempo.
In quel momento
avrebbe
soltanto dovuto concentrarsi sulla gara, su una coreografia che aveva
subito modifiche e sul dover analizzare lui e sui suoi movimenti,
lasciando da parte i trascorsi o lasciando che le sue emozioni
fossero esternate a quella maniera unica e particolare, che lui lo
comprendesse o meno.
Il sipario si
stava
levando e si concentrò su quell’aritmia quasi
soffocante.
Le prime note
infransero
il silenzio: era la seconda volta che si accingeva a ballare con il
giovane e, come la prima volta, i loro pensieri sembravano distanti
come una muraglia, ma ciò non le impediva di riuscire ad
entrare in
contatto con lui, ad una maniera silenziosa.
Ancora una
volta, tutto
il resto del mondo sembrò confuso e distante: gli altri
ballerini
sulla pista, il pubblico partecipe: ne seguiva ogni passo, lo
anticipava e lo accompagnava come fossero da sempre destinati a
vivere insieme quel momento. Qualcosa sembrava farle credere, in
quella circostanza, che non potesse esserci un reale distacco. Non
fin quando i loro sguardi si fossero fusi come un’estensione
dei
loro movimenti complementari ed affini, non quando le sue braccia la
sorreggevano perfettamente e le dava quello slancio per farle toccare
le vette più alte per poi ricadere nella sua presa salda e
sicura,
una promessa silenziosa. La consapevolezza che quel legame non si era
mai realmente infranto e non se ne fosse mai andata.
Erano entrambi
affannati,
il suo volto vicino, ma la rimise in piedi senza fatica: lo scroscio
degli applausi pareva distante e lontano e così gli
schiamazzi dei
compagni.
Ne stringeva
ancora la
mano, Brittany. Hunter abbassò lo sguardo ad osservare le
loro dita
intrecciate, probabilmente condividendo la sua stessa sorpresa:
rinsaldò la presa e le fece cenno con il mento alla platea e
si
chinarono in simultanea.
Ma il punto
era, almeno
per Brittany, che lui non la lasciò andare e ciò
sembrò più
eloquente di qualunque parola potesse pronunciare, prima che
potessero ritrovarsi soli.
Probabilmente
con il
tempo avrebbe smarrito quei ricordi ed immagini, la proclamazione
della loro vittoria compresa: aveva lasciato che sfilasse con Kitty
per ritirare il loro trofeo che sarebbe stato posto in una teca
all’ingresso dell’Accademia.
Si
affrettò a scendere
dal palco quando scorse la sagoma della madre: il cuore in gola nel
raggiungere lei e Neal. La donna la cinse con rinnovata energia e
sentì le lacrime di gioia scorrerle sul volto.
Fu un lungo
istante
quello in cui tutte le voci sembrarono acquietarsi e si
lasciò
andare in quell’abbraccio, dimentica di tutto il resto e
semplicemente accertandosi che lei fosse lì e
l’avrebbe ancora
trattenuta a lungo, senza più lasciarla andare.
“Oh,
Britty Woman,”
la sua solita intonazione allegra sembrava smorzata
dall’autentica
commozione.
“Sei
stata un incanto:
una principessa danzante”, aveva sussurrato una volta
scostata dal
suo abbraccio. Le aveva sfiorato le gote a rimuoverne le lacrime e ne
aveva baciato la fronte, tornando a stringerla e dondolarla tra le
sue braccia.
“Lo
è sempre stata”,
era intervenuto Neal nel baciarle a sua volta il capo, ma Shirley
nuovamente la strattonò a sé, con fare possessivo
ed energico che
le strappò una risata.
“Non
ti lascerò più
andare: a costo di legarti: dobbiamo andare a casa, voglio che mi
racconti tutto quanto”.
Si era
divincolata
dolcemente, Brittany, lo sguardo che cercava nuovamente il ragazzo
che stava parlando altrettanto allegramente con il padre. Quasi
attratto dagli occhi azzurri che lo stavano osservando, si era
voltato in sua direzione e le aveva sorriso.
Aveva mantenuto
quel
contatto di sguardi, Brittany, prima di voltarsi verso i due adulti:
“So che da domani non sarò più una
studentessa dell’Accademia,
ma vorrei passare là l’ultima notte, se per voi va
bene”.
Persino vedere
nuovamente
quel sorriso compiaciuto della madre, che aveva seguito il suo
sguardo, fu quasi commovente, persino concedendole di porre da parte
le sue istanze. Neal, al contrario, sembrò invece sudare
freddo,
tormentandosi appena i capelli “I-Immagino che sia giusto,
tecnicamente dovresti farlo, ma non sei obbligata e-”.
“Da
domani sarai agli
arresti domiciliari, a casa”, aveva sancito Shirley nella sua
migliore espressione severa, malgrado l’ammiccamento finale.
Aveva riso,
Brittany, per
poi schiarirsi la voce ed assumere la posa di comando.
“Signorsì,
Signora!”.
“Dobbiamo
festeggiare,
vero Hunter, vero, vero?”.
Sterling stava
letteralmente saltellando sul posto come un cucciolo sovra-eccitato
ma, alla sua occhiata guardinga, si era congelato sul posto,
realizzando la gaffe. Aveva assunto un’espressione quasi
mortificata. “Volevo dire Capitano Clarington”,
aveva soggiunto
con voce quasi timida.
Scosse il capo,
Hunter,
un vago sorriso ad incresparne le labbra, ma lo sguardo verde era
fisso sulla sagoma della giovane impegnata con la madre e il
fidanzato. Giocherellava con una ciocca di capelli e si stava
avvicinando lentamente al gruppo, dopo essersi congedata da entrambi
con un bacio.
“Voi
andate pure:
niente coprifuoco stasera”.
Incurante del
moto di
felicità che aveva innescato e del modo scomposto in cui
Sterling si
era lanciato addosso a Chang e Puckerman per festeggiare, raggiunti
da Hudson (la cui mole aveva fatto scricchiolare pericolosamente le
assi di legno della pedana) che sembrava un’appendice del
giovane
con la cresta, si era allontanato dal gruppo.
La stava ancora
rimirando
ed attese che si sciogliesse dall’ennesimo abbraccio con la
recluta
Rose, prima che, a sua volta, gli si facesse incontro.
Non disse
nulla, Hunter,
le porse la mano che lei prese: un sorriso emozionato ma consapevole
che i loro pensieri fossero più che mai allineati e che, una
volta
ritrovati, non avrebbero lasciato facilmente quel contatto.
~
Sorrise,
Brittany,
entrando nella camera del giovane: non pareva affatto cambiata
dall'ultima volta. Era come se potesse serbare ricordi dei momenti
più piacevoli vissuti tra quelle mura. Come se non vi fosse
mai
stata davvero una separazione. Pur nella speranza
che quello
stato d'animo fosse condiviso, sarebbe stata in grado, allora, di
dare voce a quei pensieri, a quello stato d'animo?
Sospirò
a
quell'interrogativo, ma ne varcò la soglia e sorrise alla
vista del
gatto persiano che le si era subito avvicinato e che aveva preso in
braccio, mentre il giovane si richiudeva la porta alle spalle.
“Non
è cambiato
nulla”, diede voce ai suoi pensieri e, al suo cenno, si
accomodò
sul materasso, imitata dal giovane che si strinse nelle spalle ma
continuò ad osservarla intensamente.
“Quasi
nulla”,
replicò, infatti, e le indicò la scrivania.
Brittany
sgranò gli
occhi alla vista della cornice che aveva trovato nel cassetto.
Sembrava passata una vita e, da una certa prospettiva, si sentiva
diversa dalla ragazza che si era rivelata sprovveduta ed impulsiva in
quel gesto indiscreto. Si volse nuovamente in sua direzione.
“Mi
dispiace per quel giorno”, iniziò morsicandosi
appena il labbro.
Non
finì la frase perché
il giovane scosse il capo. “Non ti ho mai chiesto perdono
come ho
reagito”, sussurrò, ma prima che potesse
replicare, continuò,
quasi ciò rendesse più facile lasciar
completamente andare quelle
parole e dare voce ai propri pensieri. Era come se volesse liberarsi
di quel velo di riservatezza che lo contraddistingueva, ma Brittany
attese.
Distolse lo
sguardo il
giovane, la mascella contratta a tradirne il nervosismo. “Ero
un
bambino, quando morì ed è come se la mia vita da
allora si fosse
fermata”.
La sua voce era
divenuta
più bassa e Brittany ne aveva cinto la mano come silenziosa
consolazione: l'aveva stretta tra le proprie, Hunter, e ancora una
volta genuinamente la ragazza si sorprese di quanto fossero grandi ma
dalla presa salda e forte.
“Era
la notte di
Capodanno e mio padre era impegnato per una festa qui in Accademia:
lei pensò che fosse meglio che andassi alla festa di un
compagno di
scuola dove ci sarebbero stati i miei coetanei. Erano le due di
notte, quando venne a prendermi e... ci fu l'incidente”, il
resoconto si interruppe, lo sguardo volto al pavimento e Brittany si
domandò se fosse la prima volta che pronunciasse tali parole
a voce
alta o se, ancora a distanza di tempo, il dolore fosse fresco ed
intenso come allora. Lasciò che indugiasse in quel momento,
non
assecondò l'istinto di sfiorarlo, ma gli concesse tutto il
tempo
necessario a riprendere parola.
“Attesi
per delle ore
senza capire, fino a quando non giunse mio padre alle prime luci del
giorno: non ricordo di averlo mai visto tanto sconvolto, per quanto
cercasse di apparire in sé”.
Aveva
sospirato,
Brittany, lo sguardo nuovamente corse a quel volto, immortalato in un
momento d’autentica serenità e di gioia, ma il cui
ricordo era
così fragile e delicato che sembrava potersi spezzare al
solo
sguardo. O essere troppo intimo per poterlo inficiare di una sincera
curiosità.
Era tornata a
scrutare il
profilo del giovane, riuscendo mentalmente a ritrovare ordine e nuova
spiegazione a tanti interrogativi passati e persino avendo quasi
l'impressione che lui stesso fosse diverso dal giovane che aveva
lasciato tra quelle stesse mura.
“Non
lo dissi a
nessuno, ” continuò improvvisamente e Brittany
rinsaldò la presa
e gli si fece più vicina ad appoggiare la spalla esile alla
sua, “ma
non ho potuto fare a meno di incolparmi e la cosa peggiore era il
pensiero di essere mai voluto restare senza di lei a quella maledetta
festa. Forse avrei dovuto insistere o pregarla di tenermi con
sé
o...”. .
Aveva scosso il
capo, ma
la sua voce spezzata bastò a procurarle una dolorosa fitta
al petto:
scosse il capo energicamente e gli avvolse le braccia intorno al
collo e ne sfiorò la nuca ad una maniera dolce e
rassicurante.
Appoggiò la gota alla sua e parlò in un sussurro
delicato,
inframmezzato dalla sua stessa apprensione e da quel dolore condiviso
che ne aveva fatto stringere la gola.
“Eri
solo un bambino e
nessuno a quell'età dovrebbe vivere un dolore simile o,
peggio
ancora, ritenersi responsabile”, lo aveva trattenuto quasi
con
forza, cercando di imprimere l'intensità di quelle parole
con
l'energia stessa di quel contatto, ma contrastandolo con la voce
appena sussurrata, quasi timorosa di essere invasiva, persino nel
dolore appena espresso ad alta voce. “Ha sempre voluto che tu
fossi
felice e sono sicura che è ciò che desidera anche
adesso: non ti
avrebbe mai lasciato per nessun motivo, se non avesse pensato che
ciò
sarebbe stato meglio per te”.
Aveva scosso
fermamente
il capo, Hunter, e Brittany aveva lasciato che si divincolasse
dolcemente, il capo ancora chinato prima di sollevare lo sguardo di
un verde striato in quel momento che le procurò un'altra
dolorosa
fitta al petto. “E' da allora che non più creduto
di poter essere
felice”.
Scosse il capo,
Brittany,
il viso inclinato di un lato. “Non dovresti torturarti
così, sono
sicura che non è ciò che vorrebbe: dovresti
ricordare quel sorriso
e sapere che anche il suo ultimo gesto era per assicurarsi che tu lo
fossi. Se non vuoi farlo per te stesso, dovresti farlo per
lei”,
aveva suggerito con voce più dolce, lasciando che le dita ne
sfiorassero la gota in un tocco rassicurante e vellutato.
“Non
ho più
festeggiato la notte di San Silvestro”.
Aveva annuito,
Brittany,
con aria più assorta. “Grazie di avermelo detto,
ma non ti
permetterò di passarla di nuovo da solo”, era
stata la promessa
solenne, per poi sorridere con fare più accattivante, nel
tentativo
di smussare la tensione.
“Potremo
anche
allenarci se è quello che preferisci, ma a patto che non
piova”,
aveva soggiunto ad una maniera più scherzosa, sollevata nel
vederne
un sorriso incresparne le labbra, malgrado tutto.
“Non
sono una buona
compagnia”, si era schermito con uno scrollo di spalle per
poi
soggiungere, altrettanto ironicamente: “E tu non sei proprio
la
recluta migliore”.
Aveva
ridacchiato,
Brittany, per poi raggrinzire il naso. “L'ho già
sentito dire, ma
visto che non posso dire il contrario, fingerò di non aver
sentito”.
Lasciò
che la cingesse
nuovamente e affondò contro la sua spalla con gli occhi
socchiusi a
trattenerlo in quel momento di serenità e di reciproco
conforto,
dalla sola consapevolezza di esserti ritrovati in una solitudine
simile. A lasciare che il suo profumo la cullasse e la sensazione
della sua presenza, riuscisse a schermare le sue paure e i suoi
dubbi, tranquillizzarla e farla, nuovamente, sentire a casa. Una
promessa implicita che non se ne sarebbe più andata.
Probabilmente
stava
pensando qualcosa di simile perché, l'attimo dopo, la
scostò appena
per rimirarla in volto, le sopracciglia inarcate. “Non mi hai
detto
di tuo padre”.
Aveva contratto
le
labbra, Brittany, in un sorriso più amaro. “Non
c'è molto da
dire, temo: è andato avanti con la sua vita, come abbiamo
fatto la
mamma ed io ma... mi sentivo bloccata”,
aveva distolto lo
sguardo, un vago sospiro nel ripercorrere i suoi dubbi e tormenti
segreti.
“Mia
madre ha
rinunciato a tutto, quando sono nata, aveva solo diciassette anni e
un futuro nella danza, ma lo ha fatto senza rimpianti e io avrei
voluto essere abbastanza forte da essere disposta a sacrificarmi a
mia volta, ma non riuscivo a pensare di sostituirlo con
Neal”.
Aveva scosso il
capo, il
giovane. “Nessuno si sarebbe mai aspettato che tu lo facessi:
è
stato importante per te... nel bene e nel male”.
Aveva annuito,
ma non
aveva potuto fare a meno di sospirare e scuotere il capo.
“Credevo
che sarei stata meglio, se avessi avuto le risposte che volevo e,
anche se so che adesso è felice, sapere che ero un ostacolo
alla sua
carriera o alle sue ambizioni-”, si era morsicata il labbro e
lo
sguardo era divenuto più contrito e amareggiato.
“So
che non dovrei, ma
una parte di me continua a domandarsi se sarebbero stati più
felici
e se sarebbero stati ancora insieme, se io... se io non fossi
nata”,
aveva concluso in un gorgoglio e il giovane l'aveva accolta tra le
sue braccia e aveva appoggiato il mento ai suoi capelli.
L'aveva cullata
a lungo
senza pronunciare parola e Brittany aveva socchiuso gli occhi,
completamente abbandonata a quel contatto e quel calore che
sembrò
sciogliere quel nodo in gola. Tutto poteva essere rimandato, anche
risposte più spinose: fino a quando fosse sostata alla sua
presenza,
consapevole che, fin quando fosse rimasta con lui, tutto sarebbe
stato chiaro e limpido e non avrebbe più dubitato di
sé.
L'aveva
scostata da sé
per guardarla in volto.
“La
loro vita è
cambiata, ma sono stati loro a decidere come: non è mai
stata una
tua responsabilità. Non dovresti mai pensare di essere un
errore:
faresti un torto a tua madre che ti ama più d’ogni
altra persona
al mondo. A Neal che vuole entrambe nella sua vita e... a
me”, ne
sfiorò le gote con movimenti circolari delle dita e
appoggiò la
fronte alla sua. “Non voglio pensare ad una vita in Accademia
senza
che arrivi una recluta dal trolley rosa e che sembra appena uscita da
una beauty farm per Barbie”.
Aveva sorriso,
Brittany,
annuendo con vigore e ritrovando il sorriso. Lasciò che ne
scostasse
i capelli dal viso, le mani più esili appoggiate al suo
petto, quasi
a trattenerlo.
“E'
la mia ultima
giornata qui”, aveva asserito in un bisbiglio, l'attimo dopo.
“Lo
so,” aveva
risposto il giovane, senza smettere di osservarla intensamente,
“ma
aspetterò i weekend oppure”, parve pensarci sopra,
un sorriso più
vispo e divertito che raramente ne increspava le labbra,
“potrei
assumerti come aiuto cuoca o inserviente, a te la scelta”.
Aveva simulato
un broncio
vagamente offeso prima di tornare a adagiarsi contro il suo petto,
socchiudendo gli occhi e crogiolandosi di quel dolce profumo e dalla
consapevolezza che tutto era perfetto in quel momento e non vi erano
più fratture tra loro. Quel semplice contatto sembrava dire
tutto. O
quasi.
Si
scostò poco dopo per
osservarlo. “Neal ha detto che eri venuto in aeroporto quel
giorno”, aveva sussurrato e Hunter, per la prima volta, parve
vagamente a disagio.
Annuì.
Prese un libro
appoggiato sul comodino e ne estrasse la busta che Brittany
rimirò
con occhi sgranati e le guance arrossate, quasi se ne fosse
completamente dimenticata fino a quel momento.
Sorrise il
ragazzo nel
depositarla sul letto, cingendone maggiormente la vita, e attraendola
nuovamente a sé. “Credevo che la Bestia smettesse
di essere tale
alla dichiarazione di Belle”, sembrò riferirsi a
quell'appellativo
finale del “Principe camuffato da Bestia”.
“I-Io”,
era arrossita
profondamente e, seppur la lettera avrebbe dovuto semplificarle il
riuscire a palesargli i suoi sentimenti, sembrava più che
mai
difficile sostenerne lo sguardo limpido.
Sorrise,
Hunter, ma
scosse impercettibilmente il capo e la trasse maggiormente contro di
sé, quasi disperasse di mantenere quel contatto,
appoggiò le labbra
alla sua tempia e rilasciò un dolce sospiro contro il suo
orecchio.
“Sarebbe la mia gioia, essere il tuo Principe”,
aveva sussurrato
con voce appena percepibile.
Scosse il capo,
Brittany,
scostandosi appena per rimirarlo e sfiorandone delicatamente il
volto. “Una favola,” lo corresse, “non
solo un Principe: vivo
una favola, da quando ti conosco”.
L'aveva stretta
più
intensamente prima di rilassarsi e stendersi sul letto, trattenendola
contro il proprio petto, sfiorandone delicatamente i capelli e
sollevando le coperte su entrambi, quasi isolandosi dal resto del
mondo in quell'anfratto soltanto loro.
O quasi,
considerando
come Mr Pussy, che aveva trottato ai loro piedi, si fosse a sua volta
accoccolato in grembo alla giovane.
“Avremo
il nostro happy
ending?”, le chiese, la voce sembrava provenire anch'essa da
un
mondo fatato, continuando a cingerla per poi porgere una carezza al
micio.
Annuì,
Brittany,
sostenendosi appena al gomito per osservarlo. “Devi solo
crederci e
seguire il tuo sogno”.
“E'
da tanto che non mi
chiedo più quale sia”, aveva ammesso con voce
distante,
probabilmente ripensando al passato.
Aveva sorriso,
Brittany,
mantenendosi su un fianco. “Allora è il momento di
ricominciare”
“Come?”,
la incalzò,
il viso inclinato di un lato, quasi allietato da come le risposte le
sembravano naturali, quasi fosse lei stessa fonte di quella sicurezza
a cui aggrapparsi.
“Non
andandomene più
da qui per cominciare”, aveva riflettuto, le bionde
sopracciglia
contratte per l'aria pensierosa.
Aveva annuito,
con aria
fintamente pensierosa. “Sono d'accordo”,
sussurrò e rinsaldò la
pressione delle braccia attorno alla sua vita.
“E
comunque non te lo
avrei permesso”, aveva concluso nell'appoggiare nuovamente la
fronte alla sua.
Non era
probabilmente la
frase d'amore più consueta o la formula più
diffusa, Brittany lo
sapeva, ma in cuor suo era certa che non avrebbe potuto esservene una
migliore o più vissuta.
L’inizio
di una loro
favola.
To
be continued...
Spero
di essere riuscita a farmi perdonare l'atmosfera più amara
di questi
ultimi capitoli: mi sembra davvero incredibile essere giunti a questo
punto, quando si ha la sensazione di aver cominciato da poco.
Ma
non credo sia il caso di cominciare discorsi d’addio, quindi
vi
lascio qualche piccola anticipazione dell'epilogo:
“Realizzerò
la tua favola: credo di avere già l’idea
adatta”.
“Sono
entrata per mia madre, ma era per te che volevo restare”.
“Vorrei
chiederle di concedermi il primo ballo padre e figlia”.
“Oh,
avanti, non fare-“. “La bestia?”.
Come
sempre ringrazio tutti voi che mi seguite e un esercito di unicorni
per tutte voi che siete sempre così dolci e gentili da
condividere
le vostre emozioni e allietare il mio Venerdì <3 Non
sarebbe lo
stesso senza di voi!
Non
mi resta che augurarvi un buon fine-settimana,
a
presto,
Kiki87
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