Di rabbia e cicatrici

di Valerie Clark
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Dove facciamo la conoscenza di Santana
 
Santana è nata in una baracca di un quartiere malfamato, lontano dalla vera città, lontano dalla vera vita. È venuta al mondo senza piangere, senza versare nemmeno una lacrima; chi lo sa, forse a quei piccoli polmoni non voleva dare aria, forse avrebbe preferito non nascere affatto. Ma lei era nata, controvoglia ma era nata.
Da bambina Santana non parlava mai; o urlava o stava zitta. Non piangeva nemmeno, troppo fiera e orgogliosa anche a quattro anni. Ma quando imparò a scrivere fu la svolta. Scriveva senza mai cancellare e quando le facevano notare un errore si arrabbiava e urlava. Ma non cancellava. Mai. Pensava che cancellare una cosa fosse segno di debolezza, e forse, in un certo senso, questa è una convinzione che le è rimasta per tutta la vita. Faceva errori? Andava avanti, voltava pagina, ma non cancellava. Allora cominciò a scrivere solo con la penna, così che anche se avesse voluto, non avrebbe mai potuto cancellare il suo passato.
Ma anche la piccola Santana non era forte come voleva apparire; dietro una corazza dura e alta, ben nascoste, aveva anche lei le sue paure. Solo che non si vedevano, non si potevano mai vedere, perché sarebbe stato segno di debolezza.
Era convinta che scrivere con la penna senza mai cancellare l’avrebbe portata da qualche parte, al sicuro finalmente.
Si sbagliava.

 




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