CAP. 13
Sono pessima lo so!
Vi ho già fatto aspettare abbastanza quindi vi lascio a capitolo.
Il mio regalo di San Velentino per voi ♥
"Per quanto tempo è per sempre?"
"A volte, solo un secondo."
- L. Carroll.
Alice in Wonderland
Capitolo 13
-Mamma! -
Sospiro e chiudo gli occhi all’ennesimo richiamo di mia figlia.
Mi rendo conto di quanto sia stupida quando lancio un’occhiata al
letto alle mie spalle dove giace metà del mio guardaroba: sono
ormai tre quarti d’ora che sono chiusa nella mia stanza a
guardare l’armadio nell’attesa di trovare il vestito giusto
da indossare. Stupidamente spero che salti fuori e urli: “eccomi, sono quello giusto”.
Quando ne trovo uno lo tiro fuori, lo infilo, mi guardo allo specchio,
mi ripeto nella testa quanto sono sexy un paio di volte, ma poi
frustrata lo sfilo con rabbia e mi dico che non ho nessuno per cui
apparire sexy.
Stupida.
Stupida e patetica.
Edward mi considera solo un’amica al momento, o peggio ancora,
una conoscente, niente di più. Questa consapevolezza mi ha
portata un paio di volte sulla soglia del pianto. Vorrei dare la colpa
agli ormoni ma la verità è che non posso prendermela con
il mio ciclo se amo follemente un uomo che non si ricorda di me. Se lo
desidero con tutta me stessa senza nemmeno poterglielo dire. Se in
questo momento è a casa con i suoi genitori e ci sta aspettando
per festeggiare insieme il Ringraziamento.
-Mamma! Sono stufa di aspettare! Voglio andare da papà-
Ho costretto Sophie ad essere pronta per le 10:30 e poverina mi sta
aspettando da quasi un’ora sul divano. Ho inserito nel lettore
dvd “La Sirenetta”; sento Sebastian cantare sin da qui
“In fondo al mar” ma nemmeno questo è riuscita a
calmarla.
La sua impazienza e la mia viaggiano su due binari opposti oggi.
Lei non vede l’ora di starsene stretta tra le braccia del padre
io invece rimanderei il nostro incontro a data da destinarsi.
Questo, perché ho avuto così poco tempo per abituarmi
all’idea che lui, in realtà, non ha affatto bisogno di me.
Avevo proposto a Esme di fare due pranzi separati: la famiglia Cullen
avrebbe festeggiato con Sophie ed io sarei andata da mio padre per non
lasciarlo solo.
Edward, che ha assistito alla nostra conversazione, si è mostrato indifferente ed Esme a quel punto ha urlato indignata.
“Non se ne parla! Tu passerai
il Ringraziamento con noi e verrà anche tuo padre. Ho il suo
numero, lo chiamo subito”. Stranamente, rispetto agli anni
passati, mio padre ha accettato più che volentieri e
così, mi ritrovo a dover partecipare alla Festa del
Ringraziamento con tutta la famiglia riunita. Il che non ha senso, se
consideriamo che io e Edward siamo divorziati e che mio padre non
dovrebbe più essere affare loro.
Mi domando che fine abbiano fatto le raccomandazioni che, sia Esme che
Carlisle, ci hanno imposto in Ospedale. Non dovevamo evitare a Edward
qualsiasi tipo di stress? Non dovevamo trattarlo con i guanti gialli
fino alla sua totale guarigione?
Comunque, all’ennesimo richiamo di mia figlia, decido di farla finita.
Diamine, non sono un’adolescente in preda alla prima cotta!
Così, dopo averne provati una decina, acchiappo dal mucchio sul
mio letto il primo vestito che avevo scelto: verde petrolio, con
scollatura rotonda e maniche lunghe, aderente fino al ginocchio con
cintura beige in vita e scarpe dello stesso colore.
Do una spazzolata ai capelli e metto giusto un filo di trucco per
mascherare un po’ i segni della notte passata a rigirarmi nel
letto.
Raggiungo Sophie e per poco non scoppio a ridere nel trovarla appesa alla spalliera del divano; sembra una scimmietta.
-Sophie! - la sgrido bonariamente – hai sgualcito tutto il
vestito. E guarda i capelli! Che fine ha fatto il ferrettino? - una
cascata di capelli rossi le copre gli occhi e la sua faccia è
così buffa che non riesco davvero a trattenere le risate.
-Mami, tu non arrivavi più-
-Lo so amore, scusami. Tua madre è davvero una stupida. Su,
aiutami a trovare il fermaglio e andiamo via. Papà ci sta
aspettando-
**********
Arriviamo a casa dei Cullen intorno alle 12:00. Nel parcheggio riservato c’è già la macchina di mio padre.
-Hai visto? Nonno Charlie è già arrivato- dico a Sophie,
ma mi ritrovo a parlare da sola visto che ha già raggiunto
l’ascensore e aspetta me per salire su.
-Tutta suo padre…- commento tra i denti.
Era un vizio di Edward lasciarmi a borbottare da sola quando
litigavamo. Passavano minuti prima che mi accorgessi della sua assenza
e il più delle volte, quando mi giravo a cercarlo, lo trovavo a
fissarmi a braccia conserte e con il sorriso sulle labbra.
“Ti odio quando fai così” gli dicevo sempre e lui
per tutta risposta mi prendeva in giro dicendomi “stai
peggiorando Swan, ci hai messo più delle altre volte”.
Farei di tutto per riavere indietro anche le nostre litigate.
In ascensore Sophie non riesce a stare calma: sembra un grillo in preda ad una crisi isterica.
-Smettila, ti farai male se continui a saltare così- la
rimprovero ma lei nemmeno mi sta a sentire -bene, valgo così
poco come madre? - lei mi risponde con un sorriso e mi tira il braccio
per farmi abbassare e lasciarmi un bacio sulla guancia.
“Dio, quanto ti amo” penso mentre le porte si aprono con un dlin.
-Ben arrivata cara- mi saluta con un sorriso Mrs. Truman – Felice Ringraziamento-
Sophie nemmeno si preoccupa di salutarla troppo impegnata a correre
incontro a Edward fermo sotto l’arco, sulla soglia del corridoio,
a sorreggerlo una stampella d’acciaio.
-Papà! -
-Ciao Principessa- dice mentre sua figlia cerca di arrampicarglisi su
per la gamba buona. Le accarezza i capelli mentre mi rivolge un saluto.
-I cappotti Bella- la voce di Mrs. Truman mi riporta alla
realtà. Le consegno i soprabiti che lei appende con cura nella
cabina accanto all’ingresso e non posso fare a meno di pensare
all’incontro segreto che ho avuto con il mio Edward nello stesso
guardaroba, nemmeno un mese fa.
-Ciao Bella- mi saluta quest’ultimo facendomi tremare le ginocchia.
“Dio, amo follemente anche te”
-Sophie non provarci nemmeno, tuo padre non sta ancora bene- la
acchiappo prima che possa fargli male e la riporto a terra –
andiamo a salutare i nonni e la zia, su-
Mentre lei si avvia Edward mi blocca per augurami un Felice Ringraziamento
-Grazie, Felice Ringraziamento anche a te. Avrai molto per cui ringraziare, dico bene? -
-Beh sì, giusto un paio di cose- ci incamminiamo insieme verso
il salotto ma con Edward per metà zoppo ci mettiamo più
tempo del previsto. Vorrei chiedergli se ha bisogno di una mano ma tra
di noi cala una sorta di silenzio imbarazzante interrotto solo dallo
stridio della gomma della stampella sul parquet, eppure non posso fare
a meno di notare con la coda dell’occhio Edward lanciarmi sguardi
furtivi.
-Qualcosa non va? - mi chiede all’improvviso arrestandosi in corridoio.
-No, perché? - la sua domanda mi spiazza un po’.
-Ti sento più distante. Ho fatto qualcosa di sbagliato? -
Alla faccia della sincerità,
penso – ma no, tranquillo. Non ho dormito molto bene stanotte-
non posso mica dirgli che mi sono rigirata nel letto perché sono
rimasta delusa dalla sua decisione di tornare a vivere a casa dei suoi.
Mica posso dirgli che la sua indifferenza mi ha ferita come non mi sarei mai aspettata.
Mica posso dirgli che ho una voglia matta di mettermi a piangere e che nemmeno io so il perché.
-Come mai? –
-Mmmh beh… non che siano affari tuoi- gli dico con un sorriso sulle labbra. E ora cosa mi invento? – ma un po’ di mal di pancia mi ha tenuta sveglia tutta la notte-
Mi guarda ancora come se non parlassimo la stessa lingua.
-Ho il ciclo, ecco tutto! – sbotto alzando gli occhi al cielo.
-Pensa un po’. Per un momento mi è passato per la testa
che non volessi essere qui, oggi- mi rivolge uno sguardo di sufficienza.
-Come, scusa? -
-Nulla, avrò sicuramene frainteso- non aspetta che gli risponda,
riprende a camminare mentre fisso imbambolata la sua schiena
allontanarsi sempre di più.
Come diavolo avrà fatto a capire?
Sì, è vero, ho qualcosa che non va, ma non pensavo lo notasse, né tanto meno che gli importasse qualcosa.
Sembra… “offeso”
Sospiro frustrata, non è questo lo spirito che volevo avere per
questa giornata, anche io, dopotutto, ho molto per cui ringraziare.
Ammetto con me stessa che mi sto comportando come una ragazzina e
raggiungo gli altri in salotto; sul mio viso, un sorriso che ha poco di
autentico, ma che spero cambi nel corso della giornata.
Esme mi offre subito da bere mentre gli altri si avvicinano per augurarmi un buon Ringraziamento.
Mi siedo sul divano accanto a mio padre mentre osservo Edward e Sophie
intrattenere una conversazione sul perché oggi sia un giorno da
festeggiare.
Edward, spalleggiato da Alice, comincia a raccontarle la storia dei
Padri Pellegrini e dei nativi americani eccetera eccetera, mentre lei
gli racconta dei bei lavoretti che ha fatto a scuola.
-Sembra divertirsi, non trovi? - mi sussurra mio padre all’orecchio.
-Sai quanto sia ciarliera tua nipote- rispondo con un sorrisino divertito sulle labbra.
-Non parlo di Sophie, mi riferisco a Edward. Lo vedo tranquillo. Se non
sapessi quello che ha passato giurerei di trovarmi di fronte
l’Edward di sempre- già è vero. Se qualcuno non
sapesse del suo incidente non potrebbe mai dire di trovarsi davanti a
un Edward diverso.
-Beh, lo conosci, lui ha sempre avuto la capacità innata di
trovarsi bene con chiunque. E viceversa, riesce a mettere a proprio
agio qualunque persona si trovi a parlare con lui. Cosa ti ha detto
quando sei arrivato? -
- Sapeva che ci sarei stato anche io quindi avrà avuto tutto il
tempo di abituarsi all’idea, ma per lui sono un estraneo, pur
rimanendo sempre tuo padre e il nonno di Sophie. Comunque l’ho
trovato molto tranquillo, pensa che mi ha addirittura chiesto scusa
perché non si ricorda di me- le ultime parole gli sfuggono dalla
bocca con un sorriso.
-Ha chiesto scusa anche me. È stata la prima cosa che mi ha
detto quando ci siamo visti in ospedale dopo il suo risveglio-
-Sai quanto me però che dentro sta soffrendo molto-
Stringo la mano sinistra libera dal bicchiere sul ginocchio e sospiro dispiaciuta.
-Sì, lo so- o almeno lo immagino.
Sorseggiamo il nostro aperitivo mentre la signora Truman dispone sulla
tavola ben imbandita a festa i manicaretti che ha cucinato con tanta
cura. Sophie getta un urletto quando vede entrare nella stanza Larry,
il cameriere, con un enorme vassoio in mano e un grosso tacchino al
centro: il piatto principale che non può mancare in nessun
pranzo nel Giorno del Ringraziamento.
Sulla tavola ci sono già le pannocchie arrostite e le patate
dolci, più tante ciotole sparse qua e là contenenti la
Gravy e la salsa di mirtilli rossi.
Carlisle si alza per primo e ci invita a sederci a tavola.
Io prendo posto accanto a mio padre e a Sophie che, naturalmente, si
è seduta accanto a Edward. I calici di cristallo vengono
immediatamente riempiti con del vino rosso dal solerte Larry mentre
Carlisle si schiarisce la voce per attirare l’attenzione.
-Grazie per essere venuti- comincia alzando il bicchiere di vino appena
riempito – è una gioia vedervi tutti riuniti intorno a
questo tavolo. Soprattutto perché, viste le ultime vicende,
abbiamo molto per cui ringraziare- Edward abbassa gli occhi per
sorridere a Sophie e lancia uno sguardo anche alla sottoscritta. Io non
posso fare altro che ricambiare.
-Edward- dice Carlisle rivolgendosi al figlio – a te la parola-
-Papà…- Edward si schiarisce la voce un po’ emozionata e poi, molto spontaneamente, comincia a parlare.
-Bene, da dove cominciare se non col dirvi grazie per essere qui? Un
uomo nelle mie condizioni deve rivolgere il suo grazie più
sentito a Dio ovviamente, ma io, il mio grazie più sentito
voglio rivolgerlo a voi- ci guarda tutti, uno per uno- per esserci ora,
ma soprattutto per esserci stati nel momento in cui ho avuto più
bisogno.
Mamma, papà, senza di voi non ce l’avrei mai fatta-
Carlisle allunga un fazzoletto di stoffa alla moglie per pulirsi le
lacrime mentre io cerco di trattenere le mie- quando mi sono svegliato
e ho capito quello che era successo… credo che sarei impazzito
se non vi avessi avuto al mio fianco. Lo stesso vale per te –
punta l’indice verso la sorella – Alice, grazie. Mi hai
fatto trovare la forza di rialzarmi proprio quando la notizia di Mike
mi aveva messo ko- Alice abbassa la testa come imbarazzata ma io so che
si sta guardando la pancia. Il ringraziamento di Edward infatti
è un chiaro riferimento alla gravidanza, ma questo lo capiamo
solo io e lei- grazie a Jasper e a Charlie per essere qui, mi dispiace
immensamente non ricordarmi di voi. Ma soprattutto devo dire grazie a
te, Bella- si volta verso di me ed io sento i brividi corrermi lungo la
schiena- grazie per aver avuto il coraggio di fare quello che avrei
dovuto fare io- con una mano accarezza i capelli ramati di Sophie ed io
penso che tra qualche secondo mi metterò a singhiozzare come una
bambina. La diga che ho costruito da quando ho aperto gli occhi
stamattina rischia pericolosamente di rompere gli argini.
-Grazie per essermi stata accanto tutti i giorni e per avermi aiutato, tassello dopo tassello, a ricostruire la mia vita-
*****
La torta di zucca della signora Truman è il paradiso dei dolci,
accompagnata da una pallina di gelato alla vaniglia poi, diventa divina!
Dopo i tradizionali ringraziamenti abbiamo passato i successivi
sessanta minuti ad ingozzarci come maiali, tanto che sto valutando se
correre in bagno ad allentare il buco alla cintura.
-Penso che tra poco scoppierò – sbuffo mandando giù
l’ultimo boccone di torta, Edward al mio fianco mi guarda
divertito mentre si concede un’altra fetta. Sophie ha alzato
bandiera bianca dopo dieci minuti per correre in cucina a pasticciare
come suo solito lasciando quindi il posto in mezzo a noi vuoto. Non ci
sono voluti più di dieci secondi prima che venisse occupato da
lui.
È stato difficile non soffocare ogni volta che il suo braccio sfiorava il mio e viceversa.
-Tu invece sei alla terza fetta di torta? - lo guardo stupita e sbalordita.
-Sarà che in ospedale non ho fatto altro che mangiare cose salutari e con pochi grassi, ma io ho una fame da lupi-
-E si vede! Non hai paura di sentirti male? - per tutta risposta accosta alla torta un’enorme palla di gelato.
Mi metto a ridere sentendo la torta che ho appena ingollato gorgogliare nello stomaco.
-A proposito, grazie-
-E per cosa? - lo guardo distratta mentre mi accorgo che siamo rimasti
soli a parlare, gli altri si sono diretti verso l’angolo bar del
salone.
-Per quello che hai detto prima-
Non so dove abbia trovato la forza per parlare dopo il discorso di mio
padre, che mi ha fatto versare più di qualche lacrima, eppure ce
l’ho fatta. Ho preso il mio bicchiere di vino in mano e dopo un
bel respiro e aver ricacciato dentro il magone ho detto semplicemente...
-Io sono… felice. Davvero non
posso che riassumere in questo modo il mio stato d’animo in
questo giorno speciale. Ci tengo a ringraziare ognuno di voi
perché rendete più bella la mia vita.
Papà, mi hai fatto piangere e
sono sincera, forse il mio grazie più sentito va a te.
Perché sei di nuovo il padre a cui ho voluto tanto bene e non so
esprimerti a parole quello che sei per me. Voi siete la mia famiglia,
anche se non più legalmente, ma io vi considero ancora tale.
Prima eravamo solo io e Sophie, ora siamo di nuovo tutti insieme e di
questo dobbiamo ringraziare Edward, per l’affetto che ci tiene
legati a lui. Ringrazio Dio per avergli dato la possibilità di
essere qui con noi oggi, non mi stancherò mai di ripeterlo, non
so come avremmo fatto ad andare avanti senza di lui-
-Non devi- gli dico tornando con la mente al presente – è
la verità. Tu sei l’ingrediente speciale che ci tiene
uniti-
-Mm, ingrediente speciale eh? Nessuno mi aveva mai definito
così, almeno per quello che ricordo, la mia memoria fa cilecca
ultimamente- ridiamo insieme alla sua battuta anche se so quanto sia
difficile per lui accettare le sue condizioni- comunque, cosa sarei
sentiamo? -
-Cosa? - gli chiedo non capendo l’allusione.
-Mi hai definito “ingrediente speciale” cosa sarei in
questo caso: del bacon? Della panna acida? Un carciofo? – deve
alzare la voce per farsi sentire sopra la mia risata. Amo vederlo
così spensierato e non riesco a nasconderlo, così sto al
gioco.
-Tu sei… sei un uovo! -
-Un uovo? -
-Sì, un uovo- penso a quello che sto per dirgli e a quanto
potrei sembrargli una stupida, ma è la prima volta da quando si
è svegliato che parliamo come se l’incidente non ci fosse
mai stato, come se gli ultimi sei anni non fossero mai scomparsi dalla
sua mente. Per la prima volta sento di poter essere me stessa senza la
paura di dire qualcosa di sbagliato.
-Vediamo… l’uovo è il legante per eccellenza e non
può essere sostituito facilmente a differenza di altri
ingredienti. Se una ricetta prevede l’utilizzo dell’uovo
è impossibile avvalersi di un altro ingrediente che lo
rimpiazzi. L’uovo è ricco di proteine e di altre sostanze
che fanno bene all’organismo così come tu arricchisci di
buono le nostre vite. L’uovo ha un involucro liscio e perfetto ma
è anche molto fragile, e anche tu lo sei. Fragile intendo per
quanto non posso negare che sei l’uovo più bello che ho
mai visto- distolgo lo sguardo per nascondere il rossore alle guance.
Cosa mi sta succedendo, dovrei darmi una calmata. Sentirmi finalmente a
mio agio con lui mi dà il diritto di provarci? - Però sei
anche forte – mi riprendo dall’imbarazzo ma lui mi
interrompe avvicinandosi pericolosamente alla mia faccia.
-Tu invece sei come la cioccolata- arrossisco dall’attaccatura
dei capelli fino alla punta dei piedi, guardo la torta che
c’è nel suo piatto e il gelato quasi completamente sciolto
ad affogarla, penso di stare anche io lì lì per affogare;
spero che non se ne accorga.
-I tuoi occhi e i tuoi capelli sono come la cioccolata- prende una
ciocca e se la rigira tra le dita prima di lasciarla andare- sai essere
dolce come una cioccolata calda e amara come la polvere di cacao- pendo
dalle sue labbra, non riesco a staccarmi o a pensare ad altro. Siamo in
una bolla isolata, il resto del mondo l’ho quasi dimenticato
– mi metti di buon umore e vorrei dirti, senza sembrarti uno
squilibrato, che muoio dalla voglia di assaggiarti. Come se ne
dipendesse della mia vita-
Un attimo! Non sono sicura di avere sentito bene ma il mio cuore
rischia di esplodermi nel petto e le mani cominciano a formicolare
dall’emozione. La fitta allo stomaco si trasforma in un
fuocherello e ho paura possa esplodere da un momento all’altro se
non mi allontano. Penso a quanto questa situazione sia irreale ma poi
mi rendo conto che la prima volta ci sono bastati solo quattordici
giorni per perdere la testa l’una per l’altro e decidere
che sarebbe diventato l’uomo della mia vita, ora dopo soli
ventiquattro giorni siamo di nuovo punto e a capo.
Stamattina mi sono svegliata con la convinzione che per lui sono solo
una conoscente e ora mi confessa che prova qualcosa per me?
Allora perché si è dimostrato freddo quando sua madre mi
ha invitato a passare il Ringraziamento a casa loro? Perché ora
reagisce così? Continuo a ripetermi che non è possibile
mentre né io né lui muoviamo un solo millimetro nella
direzione dell’altro. C’è attrazione tra di noi, la
sento chiara e indistinta; potrei tagliarla con un coltello. Eppure
rimaniamo immobili a studiarci e a mangiarci con gli occhi.
La nostra bolla si infrange quando Sophie corre dalla cucina urlando
perché, neanche a farlo a posta, si è macchiata tutto il
vestitino di cioccolata.
Entrambi ci allontaniamo con il fiato corto, come se avessimo scalato
una montagna nel frattempo. A Edward spunta un sorrisino malizioso
sulle labbra quando vede la macchia scura sul vestitino candido di
Sophie. Per non rischiare di prendere fuoco, mi alzo di scatto e vado
verso la mia bambina, come un automa la prendo e la porto in bagno per
cercare di salvare il salvabile.
-Mami quando andiamo a vedere la parata? -
La tradizionale parata del Giorno del Ringraziamento organizzata dai
grandi magazzini Macy's è diventata parte della nostra
tradizione di famiglia. Sophie impazzisce per i giganteschi pupazzi e
palloni gonfiabili che volteggiano nell'aria con le sembianze dei
personaggi dei cartoons e dei fumetti. Sfilano per le strade insieme a
clowns, bande musicali e personaggi famosi che si esibiscono per
l’occasione. La parata viene anche trasmessa in diretta nazionale
dalla NBC, ma Sophie mi ucciderebbe se non la portassi personalmente a
vederla. Così con circa 3,5 milioni di persone lungo le strade
di Manhattan a scoraggiarmi ogni volta non posso fare altro che
accontentarla. In genere la portavo io e Edward ci raggiungeva per
poter stare anche solo qualche minuto in sua compagnia, oggi
dovrò accontentarmi di andarci da sola.
Alla luce di questo approfitto del fatto che è mezza nuda sul divanetto in bagno per imbottirla con abiti pesanti.
-Se mi prometti che non combini altri guai, ti porto subito, altrimenti ce ne torniamo a casa signorina-
-Ma mamma! -
-Niente “ma mamma” Sophie. Quante volte devo ricordarti che
giocare in cucina può essere pericoloso? Ora ti è caduta
addosso la cioccolata e se avessi afferrato una pentola di acqua calda?
O di olio bollente? -
Sul suo visino mortificato spunta subito il labbro tremolante e gli
occhietti le si abbassano per evitare di guardarmi. Odio sgridarla, ma
quando è necessario non ci sono alternative e non posso nemmeno
prendermela con Mrs Truman, indaffarata com’è a mandare
avanti la cucina.
-Sophie, non fare così. Io lo dico perché ti voglio bene
e perché mi preoccupo per te. Non voglio che ti faccia male, mi
prometti che starai più attenta? -
-Sì- risponde dopo un po’ dispiaciuta.
-Okay, allora finisco di vestirti e andiamo alla Parata- si rianima all'istante e mi abbraccia forte in segno di gratitudine.
-Lo diciamo anche a papà vero mami? – mi blocco senza
sapere esattamente cosa dirle. Mi tornano in mente le immagini di poco
fa e non posso evitare di sentire un formicolio nello stomaco.
-Non lo so Sophie, non riesce a camminare bene hai visto, non vorrei che si affaticasse e poi si ammalasse-
-Dio, non dirmi che mi hai scambiato per un vecchio? – non faccio
nemmeno in tempo a finire di parlare che Edward compare sulla soglia
del bagno.
-No… non volevo dire questo, è che tu…-
-Sì, lo so cosa volevi dire- quando si avvicina sento il
formicolio allo stomaco farsi più insistente – ma non
avrei problemi a venire, certo se avete piacere che io venga-
-Sììì papi! Vieni anche tu, vieni anche tu, vieni
anche tu! Vero mami che può venire anche papà? –
-Certo- dico riprendendo a vestire Sophie – naturale che può venire anche lui, se se la sente…-
-Me la sento- risponde la sua voce dall’alto.
-È deciso allora-
*********
Arriviamo in Herald Square che la parata è quasi terminata; facciamo in tempo a vedere l’arrivo di Babbo Natale.
Sophie getta un urletto eccitato alla vista del panciuto Signore
vestito di rosso. Devo sporgermi più che posso per farle vedere
più cose possibili ma il mio metro e sessantacinque è un
po’ limitato. Edward al nostro fianco insiste perché
sia lui a prenderla in braccio per farla stare più in alto.
-Ma no, non ce la fai con una gamba sola, ti affaticherai- ribatto mentre nostra figlia allunga le braccia per essere presa.
-Ce la faccio Bella, non preoccuparti. Solo sorreggimi sul fianco-
Sophie si accoccola immediatamente tra le sue braccia infischiandosene
di tutte le mie proteste. Alla fine ci rinuncio e mi metto sul lato
destro di Edward per sostenerlo il più possibile. Non voglio che
sforzi troppo la gamba, ragion per cui gli dico di mettere Sophie sul
braccio vicino al mio in modo da poterla sorreggere entrambi.
Mi accorgo troppo tardi che in questa posizione è come se ci
stessimo abbracciando. Il calore che emana la sua mano avvinghiata
sulla mia spalla mi fa sentire subito il cuore in gola e allo stesso
tempo mi fa sentire bene. Ripenso a quello che è successo a casa
dei suoi e nella mia testa si forma il caos.
Rifletto sulla conversazione avuta ieri, a quanto la sua indifferenza
mi abbia ferita mentre le immagini di noi due quasi pronti a saltarci
addosso durante il pranzo del Ringraziamento si accavallano sulle
prime. Mi viene da chiedermi a che gioco sta giocando.
No, non sta giocando mi rispondo subito, è soltanto confuso.
Tutto quello che sta vivendo non è affatto facile.
Per questo sembra che abbia l’umore impazzito di una donna incinta?
Guardo il suo profilo mentre parla con Sophie e mi fa male il cuore per
quanto è bello. Sembra la tipica frase da romanzo rosa lo so, ma
mi sento ribollire il sangue nelle vene quando lo guardo, quando penso
a quello che provo per lui.
Edward abbassa gli occhi per un istante, un istante solo, e mi trova a fissarlo.
Un instante che sembra durare una vita.
Un istante in cui i nostri occhi si incollano e tutto il resto scompare.
Mi sento avvampare ma non mi importa nulla, mi importa solo di noi.
Se non ha capito ora quello che provo per lui allora non so come farglielo capire.
Sophie starnutisce sonoramente e mi fa ripiombare con i piedi per terra
in maniera così violenta che ho quasi difficoltà a
respirare regolarmente.
Prendo subito un fazzoletto dalla borsa e le pulisco il nasino. Mi
rendo conto che si gela e forse il maglioncino di lana che le ho messo
non è abbastanza caldo visto che ci sono sì e no 4 gradi.
Mi faccio prendere dalla paranoia ma non vorrei che le tornasse la
febbre visto che le è passata da poco. Edward sembra intuire i
miei pensieri, come se fare il padre fosse naturale quanto respirare
per uno che ha perso la memoria e non si ricorda assolutamente nulla di
come si faccia il padre, in realtà.
-Forse è meglio se andiamo a casa che ne dici? -
-Sì, hai ragione, fa troppo freddo- ho i piedi gelati nelle
decolté e non è esattamente il massimo del confort.
Sophie protesta ma Edward lascia che la prenda tra le braccia e insieme
ci dirigiamo verso l’auto. Visto che ho dovuto parcheggiare a un
isolato di distanza dico a Edward di aspettarmi su una panchina per non
farlo affaticare troppo; certe volte dimentica che è uscito solo
ieri dall’ospedale!
Sophie insiste per stare con lui così corro a recuperare la macchina.
Ci metto più tempo del previsto ad arrivare con tutte le guardie
a dirigere il traffico e che ti mandano da una strada all’altra
per via delle interruzioni.
Accosto al marciapiede, beccandomi l’insulto della macchina dietro la mia, e faccio salire entrambi.
Il riscaldamento dona subito un colorito rosato alla loro pelle gelata.
-Scusate se ci ho messo così tanto, ma il traffico è in tilt-
-Non preoccuparti- dice Edward mettendo le mani a coppa sul viso e soffiandoci del calore.
-A proposito… mi sa che la Lexington è bloccata, dobbiamo
andare avanti sulla 1st Avenue e tornare indietro per riportarti a
casa. Allungheremo un po’ ma non fa niente-
-E se invece venissi da voi? -
Sophie sul sedile posteriore getta un urlo spaccatimpani – sì papà, vieni a casa con noi! -
Edward mi rivolge un sorriso bellissimo.
-Okay, andiamo-
-Giuro che non c’ho mai messo tanto ad arrivare a casa- sbuffo
quando spengo il motore della macchina nel garage coperto, sotto il
palazzo in cui abito –un’ora! –
-Dai è normale, la città è in subbuglio-
-Non lo è sempre? - non a caso la chiamano la Città che non dorme mai.
Ci voltiamo entrambi nello stesso momento a guardare Sophie. Si
è addormentata da circa mezz’ora e ora è
rannicchiata sul sedile coperta dal mio cappotto.
-È esausta- sussurra Edward vicinissimo al mio orecchio.
-Mi dispiace che si sia addormentata, ti abbiamo fatto venire fin qui per nulla-
-Non dire sciocchezze, sono felice di essere venuto. Dai andiamo…- si blocca mentre scende dall’auto.
Sono quasi sicura che stesse per dire “a casa”. Dai andiamo a casa…
Il mio cuore fa una capriola nel petto.
Scendo anche io e apro lo sportello posteriore per prendere Sophie in
braccio. La afferro delicatamente sotto le ascelle e la adagio sulla
mia spalla; non vorrei svegliarla, dorme così serena.
Con l’ascensore del garage saliamo fino al piano terra e poi
usciamo per prendere il secondo che ci porterà
all’appartamento.
Per tutto il tragitto non ho fatto che avere un martello pneumatico al
posto del cuore. Sono così agitata all’idea di avere
Edward finalmente a casa.
Una volta sul pianerottolo apro la porta con una manovra degna di un prestigiatore e in men che non si dica siamo dentro.
Suggerisco a Edward di mettersi comodo e corro subito a stendere Sophie
sul suo lettino. La adagio sul materasso mentre mi accorgo di quanto
sia calda.
In un nanosecondo afferro il termometro dalla cesta rosa sul comò e le misuro la temperatura.
-“37.8” non ci voleva. Povera cucciola- le accarezzo i
capelli e la lascio dormire un altro po’. Aspetterò che
salga fino a 38 per darle le gocce di antipiretico.
Torno in soggiorno e trovo Edward concentrato a fissare una foto di noi
tre insieme. Erano rare le volte in cui ci facevamo scattare delle foto
insieme io e lui ma questa con Sophie è davvero meravigliosa.
Siamo nel giardino della Villa di Riverbank, dietro di noi
l’Hudson risplende sotto i raggi del sole. Ridiamo tutti e tre in
maniera così spontanea che sembriamo davvero una famiglia felice.
Mi si stringe un nodo in gola al pensiero di quello che avevamo prima.
Nonostante non andassimo d’accordo era preferibile rispetto alla
consapevolezza di non fare più parte dei ricordi di Edward.
Mi fa quasi male respirare, ma mi avvicino al divano e mi siedo accanto a lui.
-Eravamo felici qui, non è vero? - mi chiede cupo.
-Sì, molto, o almeno in quel momento-
-Quando è stata scattata questa foto? -
-Quasi un anno fa-
-Siamo alla villa di Riverbank? Riconosco quella fila di alberi laggiù- indica con un dito un filare di pioppi.
-Si, era durante il compleanno di tua madre-
Accarezza ancora qualche secondo la foto e poi la poggia sul tavolino davanti a noi.
-Riesci a ricordare qualcosa? - gli chiedo nervosa.
-No, nulla- risponde mortificato.
Rimaniamo in silenzio per un po’; il tempo scandito dal ticchettio delle lancette.
-Preparo un Tè, mi tieni compagnia? -
-Molto volentieri-
Lo porto in cucina e lo faccio sedere al tavolo. Riempio il bollitore e
accendo il fuoco. Faccio tutto molto silenziosamente mentre sento due
occhi perforarmi la schiena.
Poi mi ricordo della febbre di Sophie.
-Oh, Sophie ha un po’ di febbre-
-Lo immaginavo, le ho visto gli occhietti rossi e lucidi quando eravamo alla Parata-
-È incredibile sai? -
-Cosa? -
-Che tu sia così bravo a fare il padre quando in realtà non ricordi nulla di come si faccia-
-Penso che sia una cosa innata, come per le donne-
-Mm forse hai ragione…-
Preparo due tazze con due filtri di Tè e le porto al tavolo.
-Tu invece sei bravissima - dice fissandosi le mani che giocherellano con il filo del filtro.
-Non è vero, sono solo una mamma come le altre-
-Io non credo sai? Sei perfetta con Sophie. Ho visto come la educhi e
come cerchi di insegnarle le cose importanti anche se è ancora
così piccola. Nostra figlia è una bambina meravigliosa e
questo è merito tuo- mi si riempie il petto di orgoglio a
sentirlo parlare in questo modo, specialmente alla parola “nostra”, ma il merito non è tutto mio.
-Non è solo merito mio, tutto quello che vedi in lei lo abbiamo costruito insieme. Eri… sei-
mi correggo - un padre magnifico. Stai facendo un ottimo lavoro con
Sophie. Non deve essere facile, hai avuto pochissimi giorni per
abituarti all’idea–
-È vero, ma lei spazza via tutte le mie incertezze. È
come se nel profondo, qui dentro- si porta una mano al petto- sento che
farei qualsiasi cosa per lei-
Il fischio del bollitore ci interrompe ma ho tutto il tempo di pensare
a quello che ha appena detto e mi domando: perché se sente tutto
questo trasporto nei suoi confronti non mi ha chiesto di venire a stare
da noi? Anche per pochi giorni, solo per vedere come si sarebbe trovato.
La mia bocca, che non ha mai imparato a starsene zitta, ignora completamente le mie volontà e agisce per conto proprio.
-Allora non ti allontanare. Se devo essere sincera…- mi
interrompo e con la gradazione di rosso più accesa che si sia
mai vista sulle mie guance, mi avvicino al tavolo e verso l’acqua
calda in entrambe le tazze.
-Bella?-
-Non so se parlartene- ci vado cauta questa volta.
-Devi, per favore Bella, voglio che tu sia sincera con me. Non sopporto di essere trattato come un bambino-
Ha ragione, l’Edward che conoscevo non avrebbe mai accettato un comportamento simile.
-Mi aspettavo che venissi a stare da noi- dico tutto d’un fiato - dopo che hai conosciuto Sophie intendo-
-Ah…-
-Non voglio farti pressioni ma vorrei sapere se almeno c’hai pensato-
-Certo che l’ho fatto- rivela con impeto - da quando mi sono
risvegliato ho potuto contare sempre su di te, nonostante non ti
conoscessi ho sentito sin da subito una legame tra noi due. Poi mi hai
rivelato di Sophie e credimi, per quanto mi sembrasse strano, ho
veramente pensato a come poteva essere la mia vita con voi due.
Perciò sì, c’ho pensato-
-Eppure…-
-No, non dirlo. So che stai per dire “eppure sei andato a casa con i tuoi” come se fosse una colpa. Non potevo semplicemente venire a vivere qua. Non con tutto il caos che avevo in testa-
Non mi sfugge il tempo al passato.
Mescolo il mio Tè e lo porto alla bocca cercando di prendere qualche minuto prima di rispondergli.
-La tua indifferenza mi manda fuori di testa! –
-Come, scusa? – per poco non soffoco mentre deglutisco.
-Non so cosa pensare. Un momento mi fai capire una cosa e quello dopo me ne fai capire un’altra-
Per quanto vorrei mettermi a urlare indignata mi impongo di stare calma e di ascoltare quello che ha da dirmi.
-Io non sono indifferente- se solo sapessi quanto ti amo non lo penseresti affatto.
-E allora perché non mi parli e non dici quello che pensi? –
-Vuoi la verità? – dico agitandomi un po’.
-Sì, ti sto chiedendo di essere sincera con me-
-Avrei voluto che venissi a vivere qui con noi. Avrei voluto che
chiedessi a me di aiutarti a riprendere in mano la tua vita, a
ricostruire un passato che non ti ricordi e ad andare avanti- mi
interrompo per deglutire e per calmare un po’ i battiti cardiaci
– con me e con nostra figlia-
- Anche io voglio tutto questo, Bella. Lo voglio in maniera così
forte che nemmeno io so spiegarmi il perché- mi afferra la mano
e nel momento in cui la mia pelle viene a contatto con la sua una
scarica di elettricità si propaga per tutto il mio corpo; dal
collo, per tutta la spina dorsale e giù fino ai piedi.
Vado a controllare Sophie per vedere se la febbre è salita o
meno ma in realtà ho solo bisogno di allontanarmi un attimo
dalla cucina.
Edward mi ha guardata in maniera così intensa che sarebbero bastati pochissimi secondi e entrambi avremmo preso fuoco.
Ed io so che non è ancora pronto, nessuno di noi due lo è.
La temperatura di Sophie è salita ancora; aspetterò dopo cena per darle le gocce.
Quando mi sembra che sia passato un tempo ragionevolmente lungo, mi faccio coraggio e torno da Edward.
Le tazze che erano sul tavolo sono sparite, mi guardo in giro e le
trovo capovolte sul lavello: le ha lavate. Sul fuoco c’è
una padella con dentro qualcosa che sfrigola e un odore inebriante si
diffonde per tutta la stanza.
È incredibile, si è messo a cucinare!
Mi lascia a bocca aperta, non perché non conosca le doti
culinarie di Edward ma perché non pensavo di trovarlo ai
fornelli.
-Cosa stai facendo? - domando per quanto la risposta sia palese ai miei occhi.
-Sto cucinando la cena-
-Ti fermi a mangiare con noi? –
-La risposta corretta è: mi trasferisco qui da voi-
A questa risposta credo che se la mia mascella non fosse attaccata al
resto della faccia probabilmente si troverebbe a rotolare sul pavimento.
Di tutte le domande che mi frullano in testa però, l’unica
di cui ho veramente bisogno di sentire la risposta è questa:
-Ne sei sicuro? –
-Più di qualsiasi altra cosa al mondo-
Vi ringrazio immensamente, solo questo.
Se siete arrivate fin qui vuol dire
che apprezzate ancora la storia e questo non può che rendermi
felice. Vi devo delle scuse supermegagalatiche per tutto il tempo
che vi ho fatto aspettare (4 mesi), capirò se non vorrete
più seguirmi. A tal proposito vi annuncio che i capitoli (salvo
variazioni dell’ultimo minuto in fase di stesura) dovrebbero
essere 4 più un epilogo.
Baciii e alla prossima!
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