flavor of life
Questa è la mia prima original ed è stata scritta per il contest
di Morty, Shanny et Princy che prende il nome di “X-Contest”.
Flavor of flower
La storia che voglio raccontarvi non ha molte pretese. Non sarà un
classico, e non sarà nemmeno banale - forse, non sta a me giudicare. E' una di
quelle storie comuni a molti ma importante per pochi, ha il classico inizio del
“c'era una volta”, con una sua trama, il susseguirsi di immagini e suoni, odori
e sapori, ma... anche questa si concluderà con il “E vissero felici e
contenti”?
Questo non lo so, perdonatemi, ma non voglio rovinarvi subito il finale;
perciò, se volete scoprirlo non vi resta che accomodarvi, lasciare da parte
tutto quello che state facendo e prestarmi attenzione.
C'era una volta una fanciulla, Principessa di un regno alimentato
dai sogni, che viveva cibandosi delle illusioni di un mondo che ella stessa
vedeva. Ogni giorno viveva sorretta tra la realtà e l'irrealtà, sostenuta da
una linea immaginaria che le impediva di spezzare il filo che ogni sera la
portava ad immergersi dentro le feste ed i balli, giochi, dove lei era la
protagonista.
La fanciulla, incurante della temperatura bassa della stagione,
sorrideva beata mentre, chiudendo gli occhi, si appoggiava al davanzale della
sua finestra aspirando dolcemente il profumo della notte, lasciando che il
vento le scompigliasse i lunghi e neri capelli.
Inclinò il capo, porgendo la guancia, distendendo ancora di più le labbra, non
appena sentì il vento accarezzarle il viso. Rise.
Si allontanò dalla finestra, mimando con le labbra una melodia e, piroettando
su se stessa, si avvicinò alla toletta; si sedette sul piccolo sgabello e, dopo
aver preso dal ripiano una spazzola, cominciò a passarla delicatamente tra i
capelli.
Mentre la mano si muoveva lentamente sulla sua chioma, non smise di contemplare
la sua immagine allo specchio. Era molto giovane, la pelle delicata e diafana,
pallida quasi fosse malata, contrastava con il nero dei suoi capelli e il
ghiaccio dei suoi occhi.
Non era bellissima, non assomigliava a quelle bambole di porcellana che teneva
sparse sul suo letto dalle lenzuola rosa, coperte di tulle e merletti, capelli
boccolosi o sistemati in elaborate acconciature, labbra piene e rosse distese
in sorrisi; lei aveva il viso spigoloso, le fosse sulle guance - a sottolineare
la sua troppa magrezza -, labbra sottili, bassa, anonima.
Ma a lei non importava, lei stava bene così. Nella sua naturalezza, si
differenziava da quelle bambole, risaltando nella sua immagine di totale
normalità.
Si voltò verso la finestra attirata dal suono del vento che,
soffiando dentro la stanza, riportava alle sue orecchie gli echi di quella
melodia che prima lei stessa stava suonando con le sue labbra.
Si alzò velocemente, lasciando cadere a terra la spazzola, mentre, con il cuore
che le batteva forte per l'emozione, lasciò
quella stanza, unico rifugio, vagando tra i corridoi della sua dimora, scalza.
Attraversò un lungo e silenzioso corridoio, lasciandosi pian piano alle spalle
statue e quadri che, illuminati solo dalla debole luce di quelle candele,
sembravano riservare un aspetto inquietante e spaventoso. Percorse lentamente
la scalinata accarezzando con mano gentile il corrimano, sentendo sulla pelle
il freddo di quel marmo.
Quando arrivò di fronte al grande portone si fermò per portare la mano, dove i
bracciali tintinnarono al movimento del polso, all'orecchio, cercando di
percepire da dove quel suono provenisse.
Spingendo con forza il grande portone, che si aprì con un rumore secco, si
ritrovò a rabbrividire non appena i piedi scalzi toccarono il terreno gelido.
Si mosse prima lentamente, con la mano premuta sul petto e l'altra
lungo lo stomaco mimando un abbraccio, guardando il giardino, curato nei minimi
dettagli, ricolmo di fiori di ogni specie, seguendo il sentiero che l'avrebbe
portata in prossimità delle orchidee.
Anche a metri di distanza poteva bearsi del profumo dei suoi fiori preferiti.
Aveva dato ordini precisi: voleva che quelle piante crescessero anche in quel
luogo, solitario, perché voleva che il suo piccolo angolo di paradiso
fosse speciale e ben disposto ad accoglierla.
Lungo la sua attraversata, lasciò che la mano calasse lungo il suo
fianco e, con le dita tremanti, toccò lievemente quei fiori, tastando la
delicatezza di quei petali di seta. Ne prese uno tra le mani annusandolo,
facendo penetrare dentro la sua stessa anima quel profumo dolce.
Chiudendo per un attimo i suoi occhi, poté concentrarsi sul suono
di quella melodia che tanto adorava. La festa era cominciata, poteva già
sentire i brusii di quelle voci, le risate, calici che si innalzano in alto;
gli ospiti erano arrivati e lei era pronta ad accogliere tutti a quel banchetto
che la vedeva come unica protagonista, perché tutti erano lì per
lei.
Un dolce calore le invase la pelle, ribollendole il sangue che si concentrò
sulle guance, mentre con gli occhi lucidi cominciò a correre in direzione di
quelle voci. Non poteva fare aspettare a lungo tutti, non voleva perdersi
nemmeno un secondo di quella festa, non voleva perdersi lui.
Appena oltrepassò la soglia di quel cancello, si fermò un attimo
per riprendere fiato e si rimproverò mentalmente. Una signorina per bene non
dovrebbe correre così, non le si addice per nulla. Cercò di darsi un contegno,
sistemandosi i capelli e lisciandosi le pieghe di quel vestito bianco.
Sospirò non appena la musica che aveva sentito si fermò: ora c'era silenzio,
tutti si erano voltati verso la sua direzione.
Lei abbassò il capo imbarazzata, inchinandosi, portando le mani sul vestito
allargandolo - mostrando le caviglie sottili e i piedi scalzi -; poi alzò lo
sguardo in direzione di quei volti coperti da un alone scuro e dal quale non
poteva scorgere i lineamenti, ma non ne aveva bisogno, sapeva chi si celava
dietro ognuno di quei visi.
Sorrise quando qualcuno, avvicinatosi a lei, prese la sua mano e
la baciò delicatamente, portandola al centro di quella sala addobbata a festa,
dove le candele facevano danzare le loro fiamme, e tutti se ne stavano fermi
ammirandola, guardandola come se fosse una regina.
Avrebbe dovuto sentirsi in imbarazzo, poiché aveva gli occhi di tutti addosso, e non
era la prima volta che accadeva, ma non era ancora abituata a tutte quelle
attenzioni, a quelle ammirazioni; eppure non si sentiva fuori posto, si sentiva
bene. Quello era il suo posto, e questo lo sapeva.
Quando la sua mano si alzò, l'orchestra ruppe il silenzio
riprendendo a suonare e, mentre si riaprivano le danze, lei si aggirava tra la
folla, che piroettava, osservando la malinconia di quei volti celati.
Non vedeva eppure sentiva, sapeva cosa i suoi ospiti stessero provando in ogni
momento. Lo sentiva scorrere dentro le sue vene, lo avvertiva passando loro
accanto, il brivido della tristezza calava prepotente dentro di lei, lasciando
che quella sensazione di inquietudine venisse fuori, circondando l'aria,
pressando gli animi.
Eppure non si notava, chiunque dall’esterno avesse osservato la scena, avrebbe
detto che quello era solo un banchetto pieno di persone che si stavano godendo
la festa; ma lei non era chiunque, lei non era come tutti gli altri, a lei era
concesso il lusso di sapere, di capire...
Prese a danzare anche lei tra le coppie, seppur da sola,
sorridendo a tutti, inchinandosi, lasciandosi trasportare da quelle note che
scivolavano dentro di lei, percorrendola, scuotendola, sfiorandola lentamente
come se fosse la mano di qualcuno a toccarla. Allora lei si abbandonava, si
lasciava accarezzare, sentendo il dolce tepore di quelle corde che le
pizzicavano l'anima, sfiorando quelle note tramite il battito di quel cuore
che, impazzito, volteggiava al ritmo di quella musica.
Poi arrivò.
Chiuse gli occhi mentre la dolce fragranza di orchidee la attraversava
dolcemente. Senza smettere di danzare, seguì la scia che l'avrebbe indirizzata
a colui che portava quel profumo.
Percorse con gli occhi il profilo di quella persona, dai piedi,
calzati da eleganti scarpe, al corpo coperto di abiti pregiati, al viso che,
nascosto dietro quel velo nero, mostrava il sorriso che tanto aveva atteso.
Arrossì furiosamente accorgendosi che gli occhi della figura sembravano volerla
spogliare tanto erano ipnotici, eppure non riusciva a distogliere lo sguardo,
tanto ammaliante era. Il cuore batteva galoppando dentro di lei come una furia,
le gambe cominciarono a tremare, il profumo continuava a stordirla, la testa
prese a girare, non riuscì a mantenere l'equilibrio a lungo e sarebbe caduta se
due braccia forti e gentili non l'avessero imprigionata in una morsa.
Quando sentì calare come la seta la mano a sfiorarle il volto,
aprì gli occhi di scatto, mentre le dita presero ad accarezzarle dolcemente il
profilo di quel viso fino a posarsi su quelle labbra sottili, a tastare la loro
morbidezza.
Un brivido la percosse con forza facendola tremare, mentre, con gli occhi
lucidi e vitrei, si perdeva dentro quello sguardo.
Avrebbe voluto allontanarsi e ci sarebbe riuscita se, non appena aveva provato
a scostarsi, la mano libera di quella persona non fosse passata dietro il
fianco sottile e l'avesse incatenata al suo torace.
Le mani sul petto, le gambe che tremavano, gli occhi che brillavano, il cuore
che tentava di esplodere, la musica che continuava imperterrita ad accompagnare
la danza di coloro che ignari di tutto continuavano a ballare seguendo le note
di quel walzer, lui che la teneva in una morsa senza scampo, quel viso che si
avvicinava sempre di più, fino a sentire il fiato freddo sul collo; rabbrividì.
- Amaranta, lasciate che vi accompagni anche questa notte. -
Percepì per un attimo quelle labbra fredde sfiorarle il lobo per poi trovarsi a
volteggiare tra le sue braccia e sentirsi leggera, leggiadra come una farfalla
sorretta da quelle mani che fungevano da ali scortandola verso quel volo.
I piedi scalzi che toccavano il freddo manto dell'erba che
seguivano i movimenti di quella danza, il vento leggero che scuoteva le chiome,
il calore che sprigionava il corpo del suo accompagnatore e si propagava in lei
fino a farle ribollire il sangue nelle vene ed il cuore che pulsava impazzito.
E sentiva gli sguardi di tutti che, interrompendo la loro danza, si erano
fermati a circondarli per guardarli con ammirazione.
E poi... poi all'improvviso sentì come se tutto quello che la circondava stesse
via via svanendo; non più musica, non più bisbiglii, non più applausi o risate,
niente persone, niente di niente. Sentiva solo la sensazione di libertà e la
presenza di quel corpo che sembrava volersi fondere con lei.
Poi, quasi senza rendersene conto, si ritrovò a non essere più
stretta tra quelle braccia. E se prima aveva avuto la sensazione di trovarsi a
volare felice e serena, adesso sentiva come se stesse crollando verso un
baratro fitto senza che potesse impedire la caduta. Sentì freddo.
Abbassò lo sguardo appoggiando la mano sul petto, cercando di percepire il
battito del suo cuore: perché non lo udiva? Anche il cuore percepiva quella
sensazione strana?
Perché, quando lui l'aveva allontanata da sé, si era sentita come se
all'improvviso avesse perso una parte importante di se stessa. Era come se
qualcuno le avesse strappato dal petto la voglia di vivere, come se il vuoto si
fosse insinuato in lei senza lasciarle scampo, ed era così forte quella
sensazione che avvertì come se le fossero venuti meno le fondamenta che
reggevano il suo corpo: avrebbe potuto crollare facilmente, perché non c'erano
più quelle braccia a sostenerla, né il calore di quel corpo ad accompagnarla, né
le sue mani a reggerla come ali verso quel volo che tanto aveva amato.
Non voleva, non voleva perdere quelle emozioni, non voleva che
tutto si completasse, non così... non ancora. Non voleva che lui la lasciasse.
Doveva fermarlo. Strinse le mani in pugni, sentendosi così stupida, chiuse gli
occhi strizzandoli così forte da avvertire i muscoli del viso tesi e contratti
e quel rossore che le imporporava le gote, perché, per quanto voleva che lui
rimanesse, si vergognava a chiederlo.
Alzò la testa di scatto quando avvertì che la mano gentile calava
lenta sulla sua spalla, percorrendo il braccio, pian piano, fermandosi sul
gomito e scivolare verso la sua per intrecciare le dita.
Non poté fare a meno di sorridere, perdendosi dentro il calore del suo corpo
che stava riprendendo vita mentre il sangue ricominciava a fluire dentro le
vene e il cuore pulsava come impazzito sotto lo sguardo vitreo di quell'uomo
che tanto la scuoteva dentro come nessuno osava farlo.
Si ritrovò a camminare, mano nella mano, senza riuscire a smettere
di osservarlo, arrossendo quando lui la guardava intensamente, e non poteva far
altro che ridere della sua stessa timidezza.
Poi quasi senza rendersene conto, lasciò la sua mano per correre verso una
fontana e girarci attorno, osservando quella bellissima costruzione in pietra
dalla forma circolare dove al centro partiva lo schizzo d'acqua che ricadeva in
tanti piccoli archi colorati come arcobaleni, illuminati dalle luci colorate
che si estendevano sul bordo della fontana. Si sedette sul bordo, allungando il
braccio e toccando la superficie bagnata rabbrividendo. Poi si voltò verso di
lui, sorridendo furbamente prima di lanciare un po' d'acqua nella sua direzione
e ridere della sua espressione sorpresa.
- Siete tutto bagnato! -
Lui si sedette vicino a lei e le accarezzò il viso senza timidezza
o timore, prima di posarle tra i capelli una delle bellissime orchidee rosa e
annusarne il profumo, per poi posare un bacio lieve sulla gota arrossata.
- Principessa... - le sfiorò il naso con il proprio e lei poté sentire sulle
proprie labbra il respiro freddo; sentì il cuore fermarsi - ... voi
siete come questa orchidea rosa: pura come il vostro sguardo, candida come la
vostra pelle, innocente come i vostri occhi, delicata come la vostra risata,
profumata come solo questo fiore è. -
Quelle parole scivolarono dentro di lei come il miele, scaldandole il cuore nel
profondo, e sentì di doverlo fare. Chiudendo gli occhi, si sporse verso il suo
viso, allungando una mano fino a toccargli la guancia, in un gesto timido, per
avvicinare le sue labbra a quelle della persona che tanto amava.
Fu un tocco leggero, semplice e delicato. Un gesto dettato dall'istinto ma che
suggellava qualcosa di forte, di bramato e desiderato. Un bacio dal sapore
della passione, del desiderio e del tormento, immortalato dalla presenza delle
luci di quella fontana che illuminava il volto di colei che riflettendosi sulla
superficie dell'acqua rimandava l'immagine di una fanciulla protesa, con le
labbra schiuse a baciare qualcuno, quel qualcuno al quale non era concesso
specchiarsi, perché non poteva riflettersi, né vedersi. Non più.
Si guardarono negli occhi a lungo, leggendo ognuno dentro l'altro
tutte quelle parole che non venivano fuori, ma non ce n'era bisogno: gli occhi
sono lo specchio dell'anima e sapevano perfettamente cosa volessero comunicare.
Le parole non servono quando la sincerità di uno sguardo parla per esse.
Ripresero a camminare. Mano nella mano, percorsero le vie
solitarie di quei sentieri, silenziosi, ognuno rinchiuso nella propria sfera di
pensieri, forse per timore di spezzare quella strana complicità tacita.
Ma in fondo al cuore, lui sapeva che il momento più brutto era infine arrivato,
per questo non voleva rovinarlo, voleva viverlo fino alla fine. Strinse forte
la piccola mano della sua amata, sentendola fremere e sussultare.
Si chiese se era giusto così, se fosse un bene per lei vivere in quel modo.
Sorrise amaramente tra sé e sé: conosceva la risposta, l'aveva sempre saputa.
Avrebbe voluto tanto spezzare quel filo che lo teneva ancorato a lei, ma non
poteva. Non valeva. E nemmeno lei lo voleva. Non l'avrebbe mai permesso. Lei,
così testarda, adorabile, dolce, cocciuta.
Ma, per quanto felice fosse accanto all'unica creatura che avrebbe
amato sempre, il dolore di vederla giorno dopo giorno condannata a quella
esistenza, gli impediva di respirare, di vivere.
Si sentiva un vigliacco, un approfittatore, era egoista e lo sapeva. Perché
condannarla era l'unico modo per viverla, per godere della sua presenza. A lui
andava bene, anche se questo significava relegarla dentro quel mondo fatto di
illusioni. Era Amaranta l'artefice di tutto, e lui non le avrebbe mai fatto del
male, non più di quanto già gliene avesse inferto. Non l'avrebbe mai
abbandonata. Mai. Gli bastava, per quanto potesse, restare così. Fino a quando
l'ultimo petalo di quel delicato fiore non fosse caduto seguendo gli altri.
Perché anche un fiore, per quanto bello sia, è destinato ad appassire, a
perdere i suoi petali con lo scorrere del tempo; così, anche la sua dolce
Amaranta sarebbe appassita un giorno, e nemmeno vivere in quel mondo l'avrebbe
preservata per sempre.
Lo scorrere del tempo segna la vita di ogni essere umano e l'orologio della sua
vita si muoveva sempre, scandendo i minuti, le ore, i secondi, gli anni, che
l'avrebbero divisa da lui.
Avrebbe continuato la sua esistenza, fino allo scadere del suo tempo, fino a
quando le lancette non si sarebbero fermate definitivamente. Allora avrebbero
potuto rivedersi, per vivere davvero l'esistenza che gli era stata tolta troppo
presto. La notte ella fermava il tempo, ma era solo un'illusione - perché il
tempo non può essere fermato -, come lo era lui in quel momento.
Sospirò fermandosi, e lei fece lo stesso.
- C'è... c'è qualcosa che vi turba? - aveva chiesto timidamente.
Non capiva perché, ma sentiva nell'aria qualcosa di pesante. Non si respirava
più la tenerezza o la spensieratezza, c'era malinconia, c'era dolore, c'era...
– No… - sussurrò debolmente spalancando gli occhi, ritrovandosi
stretta in un abbraccio struggente. Le mani che prima erano state lasciate
libere a penzolare si mossero per andare ad intrecciarsi dietro la schiena di
lui e stringersi in una morsa forte, quasi a non volerlo lasciare andare. - No!
- Sussurrò ancora, le mani a stringersi sempre di più, e non le importava se
quella stretta le avrebbe mozzato il fiato, avrebbe anche smesso di respirare
se questo significava restare così per l'eternità.
Lui le baciò la fronte accarezzandole i capelli.
- Tornerò, Principessa. Lo sapete. Lo farò sempre. -
- Restate con me! -
- Il nostro tempo è scaduto, lo sapete. -
- Perché non volete portarmi con voi? -
- Perché non è ancora il momento. -
Lei lo fissò negli occhi.
- E quando? Quando sarà? - la voce le tremava. Ma non ricevette nessuna risposta.
Come sempre d'altronde.
Lui la fissò dolcemente baciandole le mani un'ultima volta prima
di svanire.
Si trovò a scivolare sul terreno freddo, affondando le mani sul
manto verde, aggrappandosi con forza a quei fili d'erba, troppo fragili per
resistere a quella forza, troppo deboli per sostenere il suo vuoto.
E l'alba di un nuovo giorno cominciava ad affacciarsi lasciandosi
alle spalle le tenebre della notte.
Non pianse. Non urlò. Lentamente alzò gli occhi mentre i deboli raggi del sole
illuminavano quel posto. Voltò la testa a destra e poi a sinistra, passando a
setaccio ogni bara contenente i corpi senza vita di quel cimitero che ella
stessa aveva fatto costruire. Ognuno era tornato da dove era venuto, la festa
era terminata. Tutto tornava alla normalità. Per ogni tomba un fiore, per ogni
tomba una foto.
Poi, con la mano tremante, sfilò dai capelli quel fiore portandolo
al naso e annusandolo, ripensando alle parole che giorno dopo giorno le
permettevano di sorridere. Lo posò sul freddo marmo di quella lapide che le
stava di fronte. La osservò in silenzio.
Con gli occhi seguì il contorno di quella foto. Le dita tremanti
si accostarono sul freddo vetro; rabbrividì al contatto ma non si allontanò.
Prese ad accarezzare lentamente il profilo di quel viso magro, bello da mozzare
il fiato, le labbra carnose ed invitanti; il cuore le batté forte in petto
quando le dita seguirono il contorno di quegli occhi verdi.
Li aveva amati sin dal primo momento in cui si era ritrovata ad annegarci
dentro, e mai avrebbe smesso di cercarli, mai avrebbe smesso di tremare di
fronte allo sguardo di colui che aveva amato e che avrebbe amato in eterno.
Ogni volta che quelle dita si protendevano verso di lei e lui le prendeva la
mano, ogni volta che sentiva le sue labbra sulle proprie, ogni volta che
danzavano, che lui la guardava, che le sorrideva, avrebbe riscoperto l'emozione
della prima volta, sempre, in eterno, perché non c'era la possibilità di
abituarsi, no, non finché lei reggeva con il suo cuore, alimentandolo con il sangue,
l'emozione di quell'amore che cresceva e si fortificava nel suo profondo.
Perché l'amore è come un fuoco, bisogna alimentarlo per tenerlo acceso*. Lei
l'avrebbe alimentato tramite la fiamma della sua passione, sempre.
E se anche la morte li aveva divisi, maledetta, essa non poteva fare nulla
contro un sentimento come quello, perché lei aveva scelto di vivere la vita
sorretta tra l'irrealtà e la realtà. Una vita che le permetteva di restare
dentro quel mondo che ella stessa si era creata, dove la morte non ha effetto,
dove la morte si anima, dove tutto prende forma. Perché lei era la Principessa
di quel regno, perché lei ne era la custode e protagonista e solo così avrebbe
rivisto l'amato. Finché la morte non fosse venuta a prendere anche lei. Solo così
avrebbe vissuto felice. La notte alimentava le sue speranze, il giorno gliele
sottraeva. E come ogni giorno, baciò la foto. Sorrise alzandosi in piedi.
- A stanotte, amore mio! - Sussurrò tornandosene da dove era venuta, per
crollare nella monotonia della vita, della quotidianità, per venire risucchiata
dalla routine, dai doveri, dalla realtà di una vita che non le apparteneva,
perché lei viveva per la notte, viveva per viverla, viveva perché la notte
sconfiggeva il dolore della perdita, perché la notte alimentava la morte.
Perché se il giorno portava con sé al sorgere del sole il dolore, la notte
poteva solo curarlo.
E così si conclude la nostra storia. La Principessa aveva deciso
di vivere la sua vita, in attesa della morte, sorretta tra la realtà e l'irrealtà:
tutto per poter stare con lui, con colui che amava. Che buffo l'amore, non è
vero? Nemmeno la morte riesce a scalfirlo. Tanto forte quanto fragile. Ma non
sono qui per parlare d'amore, non sono la persona adatta, ahimé! Tornando a
noi.
Potete giudicare questo, un lieto fine?
E vissero tutti felici e contenti?
Non sta a me, come detto altrove, stabilirlo. Ma a voi.
Fine
Note:
-Intanto grazie alle meravigliose Morty, Shanny et Princy per aver
indetto questo meraviglioso contest! Senza di voi non sarei riuscita a provare
ad uscire un po' dai miei schemi ordinari per dilettarmi in quella che è la mia
prima Original *__*.
Ringrazio la Zia e la sua minuziosa recensione. Grazie di tutto e sicuramente
farò tesoro di tutte le indicazioni! Sono sempre arrivata seconda quindi mi sta
benissimo *__* *Lulù che balla felice*
-Ringrazio ovviamente la dolcissima Naco che, come sempre, mi
beta.
-*)Quella frase non so a chi appartenga, ma ovviamente io metto
una specie di Credits indicando che non è mia, anche perché mi ricordo di
averla sentita da qualcuno ma non so da chi o se in qualche libro.
-Il titolo è fonte di ispirazione dalla canzone di Hikaru Utada,
“Flavor of Life” che non c'entra nulla con la fic ma mi piaceva il titolo ed io
ho sostituito Life con Flower!(sono un disastro con i titoli *blink*)
Prompt usati:
Personaggio: Principessa
Beh si nota dal momento in cui la mia protagonista è la principessa di questo
mondo fatto di illusioni e di sogni che le permette di vivere ancora l'amore
verso una persona che non ha mai dimenticato e mai lo farà.
Inoltre il personaggio verrà indicato dallo stesso uomo chiamandola per
l'appunto Principessa.
Citazione: “C’era una volta […] E vissero felici e contenti.”
Qui ho voluto giocare come se fossi io all'inizio a raccontare questa storia,
con il classico inizio stile favole che procede ovviamente con l'intreccio, e
si conclude, come è iniziata, quasi come se volessi che fossero gli altri a
giudicare la fine e non io!
Lo so, sono contorta XD
Colore: rosa
Il rosa: oh, iniziamo dal rosa delle lenzuola, per sottolineare il contrasto
tra la bellezza di quelle bambole e lei che sembra così anonima.
Troviamo ancora il rosa nelle orchidee, fiori tanto amati proprio perché l'uomo
che ama la caratterizza proprio ad una di esse. Orchidee che lei stessa ha
fatto crescere in un luogo solitario e triste, come un cimitero, proprio perché
sia il profumo che i colori potessero, nel contrasto, presentare quel luogo
come il posto che l'avrebbe accolta ogni sera, il luogo che la caratterizza e che
la fa stare bene in presenza, se pur morti, di coloro che ama, in special modo
di LuiXD
Immagine: QUI
L'immagine. Ho voluto fare mia l'immagine ed interpretarla in base a quello che
mi comunicava. Diciamo un'interpretazione piuttosto personale.
Nel mio testo la bambina rappresenta ovviamente Amaranta (che non è piccola),
sospesa tra la realtà, che vive nel suo quotidiano, e l'irrealtà che crea la
notte, in modo che il mondo fatto di illusioni possa venire fuori per poterle
regalare il tesoro più prezioso: lui. Perché la notte è la testimone di questo
mondo fantasioso, che la rende felice ed euforica, tanto è vero che si vede
come la protagonista di questi balli, di queste feste. La notte le permette di
restare con la persona che ama e che amerà sempre. La notte cura il dolore che
invece crea il giorno.
L'orologio simboleggia ovviamente lo scorrere del tempo, perché anche se lei
stessa si è creata questa realtà alternativa, è solo illusione, quindi nulla
impedisce al tempo di continuare a fare il suo corso.
Saluti.
Solarial.
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