Dopo il cappuccino fumavamo Marijuana... Poi a
ricreazione... Bim, vai con un'altra canna! - canticchiava il ragazzo
che guidava, seguendo il filo della canzone intrappolata fra le maglie
plastiche del Cd infilato nell'autoradio. Alessandro, per tutti Spino,
per i capelli, che quand'erano corti come li aveva ora, erano tutti
dritti, e sembravano tante spine. Era bassino, con i capelli mori.
Eppure, se fossero stati lunghi, sarebbero stati belli e mossi. Occhi
neri screziati di marrone, fissavano vigili la strada notturna.
Salaria. Fissavano canzonatori quell'asfalto, come a sfidare la
Provvidenza a mandagli contro qualsiasi dosso, o buco, e lui l'avrebbe
sfidato e l'avrebbe vinto. Occhi segnati da un dolore lontano, forse,
che si strozzava nell'imbocco del dimenticatoio.
A bella, ma che piove? - Urlava quello che sedeva accanto al
conducente, sporto dal finestrino, col sorriso sulle labbra. E fissava
una prostituta che camminava sul bordo della grande strada, con solo
una maglietta di qualche taglia in più per il suo corpo
formoso, e le copriva solo in parte le natiche nude. In mano,
un'ombrello. Si, in effetti pioveva. Quello che inveiva contro la
meretrice si chiamava Alessandro, come l'altro. Però tutti
lo chiamavano Dito. Una contrazione della parola Dirt, il soprannome
che s'era dato. Sporco. E per prenderlo in giro, non trovando un senso
apparente in quell'appellativo, lo identificavano come un'appendice
composta da tre falangi. La testa totalmente rasata, ma dalle tempie in
sù i capelli erano lievemente più lunghi. Gli
occhi castani molto scuri. Un naso con una gobba, aquilino, un
pò come quello di Dante Alighieri. Con i denti bianchissimi.
Un sorriso, che solo a vederlo, ti montava dentro un'allegria
devastante.
Poi ce n'era una, seduta a terra, nel cassone del furgone, ambiente non
separato dai sedili anteriori, come di solito invece è. Che
stava squagliando un grammo d'Hashish sul ginocchio coperto dai Jeans.
Diana, si chiamava. Conosciuta come Cricri, il verso dei grilli.
Perchè quando rideva, aveva una risata così acuta
dal poter essere, sebbene lontamente associata, al suono prodotto dai
suddetti insetti. Aveva lunghi capelli mori, lisci di natura, vagamente
ricci per colpa della piastra. Gli occhi verdi, ma di un verde pallido,
tendente al giallo. E fissava, il tocco vegetale, marrone, che si
faceva molle sotto la fiamma dell'accendino. Lo prese, sbriciolandolo
sull'altra mano in cui era posato del tabacco.
Accanto a Cri, un altro adolescente fissava serafico fuori dal
finestrino di Plexiglass. Un sorriso mesto gl'increspava le labbra, il
sorriso che potrebbe avere Gesù fissando il mondo adesso. Si
chiamava Lucien, e il suo nome l'aveva preso da suo nonno, che era
francese. D'Avignone, per la precisione. Aveva i capelli non molto
lunghi. Tutti scompigliati, impossibili da tenere in ordine. Di un
castano che sembrava il grano maturo, e quando la luce gli colpiva il
capo, quelli brillavano di strambi riflessi rossicci, e biondi. Qualche
lentiggine sulle gote. E fissava quella distesa di palazzi malandati
come se fossero una cosa davvero meravigliosa. Lo chiamavano il Falco.
Perchè era un buon osservatore. Sapeva sempre come sarebbe
andata a finire, perchè leggeva nella gente.
Perchè cacciava solo quando aveva fame. Perchè se
ne stava sul suo ramo. Guardando nel burrone. Alla ricerca, di altri
rapaci.
Perso in mezzo alle valige, alle sacche e agli zaini, dormiva tutto
storto un altro ancora. Con la testa posata su un sacco a pelo. Si
chiamava Cedric, ed era il fratello del Falco. Lo chiamavano il Gufo.
Perchè era sempre prodigo di consigli, perchè era
saggio, perchè se ne stava calmo e pacato, qualsiasi cosa
succedesse. Raccontava un sacco di storie e aneddoti. Gli piacevano i
discorsi complicati. Era robusto, alto, con al posto delle mani due
vanghe, tutto il contrario del consanguineo. E aveva gli stessi capelli
di Lucien, solo più lunghi. Legati in una coda. Russava, a
bocca schiusa, russava sbragato. Tranquillo. E non si sarebbe svegliato
per nessuna ragione.
Eccoli, cinque ragazzi in fuga. Cinque ragazzi in fuga da qualcosa,
cinque ragazzi forse non in fuga forse, alla ricerca di qualcosa troppo
grande, per essere trovato dentro un ufficio.
Ohhh, a Gù, ricchiappate! Daje, svejate quer ciccione. Cri,
la mina è pronta? - Tutte insieme, quelle parole, come una
raffica di mitraglietta. Era Dito, che s'era girato, come se solo
adesso si fosse accorto della presenza dei compagni di viaggio. - Dai
Cri, movite!
Dito, statte zitto n'attimo. Mi distrai. - Rispondeva la ragazza, che
dopo aver girato la mista di tabacco e Hashish dentro la cartina, ne
leccava il bordino colloso.
Cazzo, che busta! Ce mancava er marchio dell'Upim e potevamo anna a fa
shopping. - Inveiva Spino, guardando l'operato della ragazza dallo
specchietto retrovisore. E intanto il Falco se la rideva. - Cazzo te
frega, basta che se fuma. - Ci metteva la sua, quel ragazzo alto circa
uno e settantadue, magro come la morte. Come si dice a Roma. Un cazzo e
du barattoli. Totalmente differente dal colosso adagiato lì
dietro, quello che dormiva.
I'm not doing anything wrong, so let me smoke my joint, and go to work!
- Canticchiava Cri, ad alta voce, andando contro la canzone che girava.
Come per sovrastare le critiche, ridacchiando fra sè e
sè. Mentre si cacciava il filtro fra le labbra. E cominciava
a tirare, accendendola. Con quel Bic rosso, così ordinario.
L'odore subito si spanse nell'aria immobile del furgone. Eccoli qua.
Cinque diciannovenni allo sbando.
Pronti a morire.
Tanto quanto pronti a vivere.
Cri, te busso. - Disse il Gufo, inaspettatamente, con la voce impastata
dal sonno, o semplicemente perchè aveva la faccia pressata
contro il sacco a pelo. Magari s'era appena svegliato, forse fingeva di
dormire.
Ciccione bastardo, tu non stavi dormendo? - Ancora una volta, Dito
s'era girato, fissando truce il compagno più grosso.
Nessuna risposta, allorchè il Falco mentre Cri si voltava
per passare lo spinello al Gufo, intercettò la mina vagante,
cacciandosi fra le labbra il filtro.
Daiiii. - Cri si ribellava a quella presa di posizione, mentre tutto
sereno e incurante del fallo il Falco inspirava tranquillo, con sommo
disappunto del fratello, che si limitava ad osservare pacato la scena.
Quello che vuoi te lo prendi, eh? Che fijo de na mignotta. -
Sogghignava Spino, evitando per un pelo un cartello stradale che
indicava lavori in corso. E il vecchio Fiat Ducato ondeggiava come una
barchetta in preda alla corrente più forte, scuotendo i
passeggeri.
Regolare. - Rispondeva il Falco, buttando un'altra boccata, espirando
con le narici fumo denso. Fissando la sommità della canna
che ardeva
Se non me la passi ti ammazzo. - Sibilava, il Gufo. E sembrò
bastare solo quello, perchè il fratello allungasse il
braccio, così che l'altro rapace immaginario prendesse la
sigaretta d'Hashish.
Regà, siamo sul raccordo. Vai a piazza Mazzini, Spino! Ve lo
ricordate il cornettaro di via Barletta? - Dito, diceva, sporgendosi
tutto contento verso il parabrezza.
Bentornati a casa.
O forse.
Benvenuti.
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