La Nausea

di hikachu
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Sono io, credo, ad essere cambiato: è la soluzione più semplice. Ed anche la più irritante, ma alla fine devo ammettere di essere soggetto a tali repentine trasformazioni. (La Nausea, Jean-Paul Sartre)


Oggigiorno la vita prima del nono compleanno di Seishirou è un vuoto. Lui trascorre i giorni sedendo soddisfatto sul grembo di sua madre e questa nozione non lo disturba per nulla.

Tutto ciò che sa è: vi sono cose che sono accadute e cose che gli sono state dette e il fatto che fosse sempre stato l'unico bambino in una folla di visi rugosi, e questi sono i fatti che definiscono il suo concetto di infanzia ed essi sono come colonne di nebbia: a stento visibili ed intoccabili tanto che non ha alcun motivo di pensarvi, eppure essi restano comunque lì, come una necessità. 

Invero, ci sono molti ricordi che riposano silenziosi da qualche parte dentro di lui, anche se a questo punto essi sono ancora meno importanti di quanto lo siano mai stati, e così Seishirou lascia che i volti si sfochino, che eventi e voci si facciano sempre più distanti—troppo flebili per essere notati di nuovo. Impara a svegliarsi al mattino e a lasciare i suoi sogni nascosti nell'oscurità della notte, perché lui non è uno yumemi e non ha bisogno di sogni.

Le uniche cose che tiene strette sono le nozioni di: come muoversi; come sferrare un colpo e come sorridere; preghiere e formule scritte in inchiostro nero su carta putrescente e tutto quello che gli servirà per sopravvivere, tranne che per il sapore dei dolci occidentali che era solito mangiare ogni domenica pomeriggio, che decide di ricordare solo perché dolce e Seishirou ama le cose dolci.

Ciò che Seishirou dimentica per sempre, invece, è che all'inizio ogni cosa era importante.




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