Adrenalina
Adrenalina
Stridore
di gomme e puzza di asfalto bruciato.
Luci
a intermittenza, musica ad alto volume, un vocio indistinto ed
euforico.
Sudore,
eccitazione e paura.
E,
al di sopra di tutto, il rombo assordante dei motori.
Sotto
un cielo nero e reso opaco dal fumo, la strada era piena di auto e di
vita. Decine e decine di ragazzi, dalle quindicenni in minigonna ai
trentenni con le mani piene di soldi, si aggiravano tra i parafanghi
e ridevano, allungandosi una sigaretta o lanciandosi occhiate ben
poco caste.
«Dai,
così poco?» si lamentò uno degli
addetti alle
scommesse, con un professionale cartellino con scritto Kiba,
dando di gomito a un ragazzo infastidito. «Punta qualcosa in
più!»
«Non
su quella testa di cazzo» grugnì lui, piccato.
«Prendi
i miei soldi e vai a farti fottere, botolo!»
Ai
piedi di Kiba un grosso cane bianco ringhiò per un attimo, e
l’altro lo squadrò male.
«Bah,
fatti tuoi. Comunque vincerà la viola, fidati!»
«Ma
se ci ho messo un cinquanta solo perché rompevi le palle!
Sparisci, prima che ti mandi via a calci!» abbaiò
l’altro.
«Uhh,
nervosetto...» fischiettò il ragazzo, con un
ghigno. «Ci
vediamo dopo la corsa, eh! E per allora ti pentirai di averci messo
così poco!»
L’altro
brontolò qualcosa, scoccandogli occhiatacce, e poi
ficcò
le mani nelle tasche dei jeans e sputò a terra.
«Oh,
che eleganza»
commentò sprezzante una voce acuta.
Lui
risalì con gli occhi un paio di stivali neri
al ginocchio e una porzione di gambe più che generosa,
arrivando al mini-abitino viola che indossava la bionda davanti a
lui. Sorrise, sornione, con la sua smorfia migliore.
«Scusa,
dolcezza» commentò
strizzandole l’occhio. «Ti avessi vista prima non
avrei perso
tempo guardando altrove»
Lei
lo fissò acida, scrutando con arroganza il
suo abbigliamento poco meno che casual. E poi, con un cenno di
disgusto, fece ondeggiare la coda bionda mentre si voltava e si
allontanava. Il ragazzo si piegò senza pudore e
cercò
di sbirciare sotto la gonna straordinariamente corta, lanciando un
fischio di apprezzamento.
Fu
mentre era in quella scomoda ma piacevole posizione
che fu raggiunto da un calcio dietro le ginocchia, che per poco non
lo mandò faccia a terra.
«Sei
patetico, Kankuro» sibilò la
voce asciutta del rosso alle sue spalle. Molto più magro di
lui, pallido quanto quello era abbronzato, e dagli occhi affilati, si
guardò attorno atono. «Ancora non capisco
perché
siamo qui» commentò.
«Se
ti consola, neanche io» bofonchiò
l’altro massaggiandosi i tendini, e aggiunse un insulto a
malapena
udibile.
«Dov’è
Temari?»
«Se
si è fatta incastrare dall’idiota
delle scommesse la chiudo in un convento, giuro!»
«Lei
non è come te»
Kankuro
fissò il rosso, offeso. «Grazie
fratellino, la mia autostima è cresciuta solo grazie alla
tua
fiducia»
All’improvviso
le sopracciglia inesistenti del ragazzo
pallido si corrugarono per il disappunto.
«Come
si è conciata?» sibilò
irritato.
«Chi?»
chiese Kankuro, seguendo la
traiettoria del suo sguardo, e vide una ragazza avanzare in mezzo
alla folla con passo poco meno che marziale e una quantità
di
stoffa sul corpo che rasentava l’indecenza.
«Prima
che diciate qualunque cosa, non è
colpa mia» ringhiò stizzita raggiungendoli,
cercando
invano di allacciare i bottoni del top sopra il seno.
«Prendetevela
con quell’idiota dell’organizzatore»
«Organizzatore
di che?» allibì Kankuro, fissando stralunato le
gambe
lasciate nude dagli shorts
neri.
«Della
corsa» spiegò lei spiccia.
«Cosa?»
chiese il rosso, irrigidendosi.
«Oh,
non ve l’ho detto?» ghignò
lei, lasciando perdere il top e sistemando i mezzi guanti di pelle.
«Partecipo»
«Cosa?!
Ma sei pazza! Te lo sogni!» inveì
Kankuro.
«Per
una volta concordo» aggiunse il
fratello, gelido.
«E’
una lunga storia» replicò lei,
stringata, e assicurò uno dei quattro codini con cui teneva
fermi i capelli biondi. «Comunque, doveste scommettere,
puntate
su di me»
«Tu
non farai una stronzata del genere!» la
fermò Kankuro, afferrandola per un braccio, ma lei si
divincolò senza quasi guardarlo.
«E
dai, non mi succederà niente. Non sono
una cogliona» protestò rigida.
«Ma
a te non piacciono queste cose! Che cazzo ti è
saltato in mente?» sibilò lui, riafferrandola.
Temari
si morse l’interno della guancia, e poi lo
spinse indietro, altera.
«Ci
vediamo al traguardo» annunciò
fiera. E si lasciò andare a un sorriso soltanto prima di
voltarsi. «Auguratemi almeno buona fortuna»
«Non
ne avrai bisogno» commentò
Kankuro, in tono pratico, e fece crocchiare le nocche con scioltezza.
«Ora una botta in testa e tutto si sistema»
«Kankuro,
per favore, evitiamo le scene patetiche,
eh?» sbuffò Temari. «Non ho la
benché
minima intenzione di schiantarmi, ribaltarmi, andare a fuoco, fare un
testacoda, essere scagliata fuori dall’abitacolo o aprire un
buco
nel parabrezza, ok? Mi conosci, dai. So guidare e so
arrangiarmi»
«Ma
sei una femmina.
Donne al volante, pericolo costante» citò lui, in
un
borbottio.
«Fottiti,
Kankuro» sorrise lei, mielata. «E
ora vado a fare questa stupida gara. Dimostratemi la vostra fiducia
puntando su di me, su! Almeno ci guadagniamo qualcosa!»
Kankuro
bofonchiò qualcosa, ingobbendosi. L’idea
di fermarla con una botta in testa lo allettava ancora parecchio.
«Almeno
dimmi che auto hai» grugnì
alla fine, guardando altrove.
«Quella
viola»
«Oh,
allora abbiamo già cinquanta euro
puntati sopra, e ti danno pure per vincente»
Temari
inarcò le sopracciglia, sorpresa.
«Vincente?» ripeté.
«Cosa
vuoi che ne sappia?»
Lei
sbuffò, tradendo un leggero nervosismo, e
sistemò di nuovo i guanti.
«Va
beh, vado. Fate il tifo per me, eh»
riprese, sforzandosi di sorridere. «Anche tu, Gaara»
Il
rosso si accigliò appena, le braccia
strettamente incrociate sul petto.
«Sta’
attenta» fu il suo unico, sintetico
commento.
Temari
deglutì a vuoto, distogliendo lo sguardo
in fretta.
«Sì,
va bene. Grazie. A dopo» salutò,
simulando un altro sorriso.
Mentre
si allontanava, dando le spalle ai fratelli e
mostrando una generosa dose di schiena attraverso i lacci del top,
Kankuro e Gaara rimasero in silenzio.
«Nessuno
fa nulla per nulla, non te l’hanno insegnato?»
Temari
deglutì, nervosa, e incrociò le braccia per
fermarne il
tremito leggero.
«Avevi
detto che...» iniziò, con voce forzatamente
sicura, ma
lui la interruppe.
«Stronzate»
rise, fissandola con quei suoi occhi così inquietantemente
viola. «Ho detto un mucchio di stronzate»
Le
si avvicinò, le scompigliò rudemente i capelli, e
poi
passò oltre, avvicinandosi alla vetrina che conteneva
l’alcol.
«Non
sono un fottuto samaritano, Temari» proseguì,
versandosi
un bicchiere di scotch con movimenti esperti. «Io ho pagato i
debiti della tua famiglia, e ora sarai tu a darmi qualcosa in
cambio»
Lei
represse un brivido. «Qualcos’altro, vorrai
dire»
mormorò con voce roca, lo sguardo sfuggente. Sentiva
l’irritazione correre lungo le vene, insieme alla delusione,
e si
morse la lingua per non lasciarsi andare alla rabbia.
«Stronzo»
«Ah,
stai dicendo che ho già avuto la mia parte?»
replicò
lui, avvicinandosi alla sua schiena con il bicchiere in mano.
«Non
prendermi per il culo, Hidan!» esclamò Temari,
voltandosi di scatto. «Sono due mesi che...»
«Che
ti sbatto in lungo e in largo? Oh, sì» la
interruppe
lui, di nuovo, stringendole il mento tra le dita e costringendola ad
alzare lo sguardo. «Ma non prendiamoci per il culo: se vengo
con te è solo per darti la possibilità di fare la
fottuta martire. Sei una bambinetta arrogante e non sei nemmeno quel
granché, ti scopo giusto perché ti senti
così in
debito con me da lasciarti fare quello che voglio»
Temari
si liberò della sua morsa con uno strattone, sentendo un
nodo
sgradevole in gola.
“Merda,
merda, merda!”
Lui
rise, freddo, e le scoccò un’occhiata calcolatrice.
«Sai
cosa voglio?» chiese pensieroso, sorseggiando il suo scotch.
«Che partecipi a una corsa d’auto. Niente di
impegnativo, eh,
basta che la fai. Vinci o perdi, per me non fa differenza. Mi servi
ad alzare le scommesse»
«Cosa?»
allibì lei, e per la sorpresa il magone passò.
«Ma
io non so se...»
«Hai
la patente?»
«Sì,
ma...»
«E
allora sai guidare un’auto. O vuoi allenarti un
po’?»
sorrise, sarcastico, arricciando una ciocca dei capelli di lei
attorno al dito.
Temari
si morse le labbra, più vicina di prima alla rabbia cieca.
«Sei
un fottuto bastardo» mormorò, la voce leggermente
incrinata.
«Che
cazzo c’è, ora?» sbuffò lui,
tirandole
leggermente i capelli. «Non metterti a piangere, porca
puttana!
Detesto quando piangete!»
E
anche lei detestava piangere: ma si sentiva delusa, amareggiata e
profondamente idiota. E non poteva farne a meno.
«Dai,
smettila» sospirò lui esasperato, accarezzandole
il
collo come sapeva fare.
Temari,
suo malgrado, si sentì fremere.
(Stronzo.)
E
quando sentì il sapore di scotch della sua bocca e le mani
che
si insinuavano rapide sotto la maglietta, odiò il suo corpo
che reagiva all’unico tocco che conoscesse.
Facendola
fremere, lo scotch freddo scorse sul suo collo fin nella
scollatura...
E
poi, nient’altro al di là della rabbia e delle
lacrime
soffocate.
«Tu
limitati
ad andare dritta, ok? E’ solo uno sprint, cambia le marce
come si
deve e non avrai problemi»
La
voce nervosa
entrava e usciva dalle sue orecchie senza lasciare la benché
minima traccia. Temari tirò ossessivamente i guanti sul
polso,
e aprì e chiuse i pugni più volte.
«Ho
capito!»
scattò stizzita, fulminando con lo sguardo il biondo che si
sporgeva all’interno della sua auto, di un viola acceso.
«Chiudi
quella cazzo di bocca!»
Il
ragazzo corrugò
la fronte, offeso.
«Hai
preso la
parlata di quello stronzo, eh» commentò acido,
tirando
fuori la testa dall’abitacolo. «Comunque, cambia
bene e sei a
cavallo»
«Sì»
ribatté lei tra i denti, stringendo le dita sul volante.
«Ah...
Un’ultima cosa» il ragazzo tornò ad
affacciarsi, e
questa volta si guardò attorno con cautela.
«Più
o meno venti metri dopo la metà c’è un
leggero
dislivello, una cunetta quasi invisibile... occhio»
«Grazie»
annuì lei, meccanicamente.
«E
se vinci
lasciami il cinque percento, ok?» propose lui, ora molto
più
allegro.
«Fottiti,
non
so neanche chi sei!» bofonchiò lei irritata.
«Chiamami
Naruto. Ci conto, eh»
Il
ragazzo le
strizzò l’occhio e di nuovo si
allontanò, attirato da
una bionda in abito viola che appariva e scompariva tra la folla,
riservando sorrisi e smorfie a tutti.
Temari
digrignò
i denti e testò per la trecentesima volta la distanza dei
pedali.
“Cazzo”
si trovò a pensare, scostando la frangia dalla fronte sudata.
Hidan
voleva
qualcosa da lei. Non voleva solo alzare le scommesse, se aveva fatto
la stronzata di darla per favorita. Voleva che vincesse o che
perdesse? Voleva rendere fiduciosi gli scommettitori e stroncarli
subito dopo, o cosa?
«Sta’
calma...» si disse da sola, sentendo i palmi delle mani
sudati.
L’importante
era
arrivare alla fine della gara senza problemi. Molto semplice.
All’improvviso
si
sollevò un boato dalla folla, e un’auto rossa si
fece avanti
a passo d’uomo, diffondendo tutt’attorno la luce
fosforescente
dei neon verdi sotto il telaio.
In
men che non si
dica un nugolo di ragazzine urlanti si attaccò ai vetri
sbattendoci sopra tutto il poco che aveva, e la musica si
attenuò
impercettibilmente, prima di esplodere di nuovo con
l’abbassamento
dei finestrini.
Temari,
rigida,
fissò la calca che cicalava, e imprecò
mentalmente
contro la pelle del suo vestito. Scomoda. Calda.
“‘Fanculo.
Ci mancava solo lo stronzo con lo stuolo di fan”
La
portiera
dell’auto rossa si aprì, e lei lo intuì
soltanto
perché ci fu un’onda nel mare delle ragazzine.
Vide una
bionda in abito viola sporgersi nell’abitacolo, ridendo, e
quando
accanto a lei si profilò un’altra sagoma,
sentì una
stretta allo stomaco.
«Eccolo,
lo
stronzo...» mormorò tesa.
Da
sopra l’auto,
quello si voltò a guardarla, e le sue sopracciglia si
sollevarono sorprese.
Capelli
rossi e
scompigliati, pelle chiara, occhi di bambola ed espressione
terribilmente neutra, si appoggiò al tettuccio con un gomito
e
le sorrise, facendole un cenno.
Lei
rispose a
malapena, inclinando la testa quel tanto che bastava, e un attimo
dopo lui fu impegnato con la bionda, che senza perdere tempo
marcò
il territorio coinvolgendolo in qualcosa di più simile al
sesso che non a un bacio.
Temari
distolse
nervosamente lo sguardo.
Ma
bene. Data per favorita contro il fighetto di turno. Sperando,
ovviamente, che non andasse forte anche
sulle
ruote.
«Tutto
bene?» le chiese una voce all’improvviso, e un
ragazzo moro
si sporse nell’abitacolo come aveva fatto il biondo prima
– che
abitudine irritante.
«Sì»
disse stringata, sperando che la sua occhiata bastasse ad
allontanarlo.
«Ciao,
io sono
Kiba, ho visto che parlavi con Naruto, il mio amico»
proseguì
quello, imperterrito. «Ti ha detto della cunetta,
sì?»
Temari
annuì,
e lui schioccò la lingua con disappunto. «Merda.
Gli hai
promesso il cinque percento, vero?»
«Che
cazzo
vuoi?» cedette Temari, in un sibilo nervoso.
«Facciamo
che
ti do un’informazione più interessante, ci
stai?»
sorrise Kiba, facendosi più vicino.
«Decido
io se
è interessante» ribatté lei,
infastidita.
«Va
bene, va
bene» lui roteò gli occhi, e abbassò la
voce.
«Hidan ha detto che non sei del giro, giusto?» lei
si
irrigidì. «Bene. Allora non sai della bandiera
verde»
«La
cosa?»
chiese tesa.
«La
bandiera
verde. Alla fine dello sprint, se quella sventola, dovete
continuare»
«Continuare
cosa?»
«La
corsa. In
fondo al rettilineo c’è una curva a gomito, e la
strada
prosegue attorno al quartiere. E’ un giro del cazzo, ma sono
tutte
curve a novanta gradi, e se non le sai prendere sei fottuta»
Temari
deglutì
a vuoto, la bocca improvvisamente asciutta.
«Merda!»
imprecò poi, sbattendo la mano sul volante.
«Figlio di
puttana!»
«Ehi,
io non
c’entro!» rise Kiba.
«Non
tu!»
inveì lei, passandosi una mano sulla fronte madida.
«Me
lo dai un
cinque percento, eh?» chiese lui allora, strizzandole
l’occhio.
«Sì,
sì, cazzo! Ma vattene!» ringhiò.
«Ooookay,
a dopo tesoro»
Temari
sbatté
la nuca contro il sedile, frustrata. Così era troppo
difficile! Non se la sarebbe mai cavata! Aveva provato
quell’auto
solo un paio di volte nel pomeriggio, e aveva collaudato le marce,
non lo sterzo!
«Figlio
di
puttana!» ripeté, il cuore a mille.
E
sussultò,
quando una mano batté improvvisa sull’abitacolo.
«Si
parte,
darling!» le gridò una voce, mentre la folla si
ritirava
improvvisamente.
Temari
sentì
un vuoto nello stomaco, trovandosi improvvisamente sola. Chiuse
nervosamente la portiera, e fece rombare il motore per accertarsi che
fosse acceso.
Guardò
nello
specchietto retrovisore, in quelli laterali; fissò il
contachilometri, si mosse tesa sul sedile.
«Cazzo,
cazzo,
cazzo...» mormorò, stringendo il volante con foga.
Vide
la bionda che
si era spalmata sul suo avversario che ancheggiando si metteva in
mezzo alla strada, e per spostarsi rischiò di far spegnere
la
macchina.
«‘Fanculo!»
sibilò, arrossendo per il sussulto dell’auto.
Finalmente
riuscì
ad affiancarsi alla rossa del suo avversario, e gli gettò
un’occhiata nervosa. Lo vide abbassare i finestrini e
sporgersi
verso di lei, e automaticamente abbassò i suoi, cercando di
sfoderare la sua aria più sicura.
«Non
essere
tesa» sorrise lui, e lei si insultò mentalmente.
«Dopo
la gara ti offro una birra per consolarti. Chiedi di Sasori»
La
sintetica ed esauriente risposta di Temari fu: «ma
fottiti!»
E
poi i finestrini
si rialzarono, e la bionda sulla strada sollevò le braccia
pallide, stringendo un fazzoletto rosso tra le dita.
Temari
la fissò,
come se non fosse esistito altro oltre a lei e al suo stupido
fazzoletto, e sentì il sudore imperlarle la fronte, il
motore
del suo avversario che rombava provocatorio.
«Perché
mi sono lasciata incastrare?» gemette.
Non
si azzardò
a distogliere lo sguardo, a cercare i suoi fratelli tra la folla. Che
poi, perché li aveva invitati?
(perché
aveva paura)
«Dai,
cazzo»
ringhiò tra i denti, odiando la bionda che sorrideva al
rosso
e allungava spasmodicamente l’attesa.
E
proprio mentre lo
pensava, quella abbassò le braccia e il fazzoletto
sventolò
nell’aria resa opaca dal fumo.
Prima
che la sua
mente lo registrasse, fu il piede ad abbassarsi
sull’acceleratore,
e l’altro ad alzarsi dalla frizione. Sentì
l’auto balzare
avanti, come già aveva provato quel pomeriggio, e la
lancetta
dei giri schizzò sul rosso in meno di un istante.
Sfiorò
la gonna svolazzante della bionda, muso a muso con l’auto
rossa, e
cambiò meccanicamente, l’adrenalina che scorreva
impetuosa
nelle sue vene.
Attorno
all’auto
era un fiume di luci, nelle sue orecchie solo il rombo del motore, e
avanti a lei un fottuto tunnel illuminato dai fari blu.
E
all’improvviso,
senza averlo premeditato, un sorriso le piegò a forza le
labbra, all’altezza della terza.
«Cazzo»
si trovò a dire, gli occhi brillanti, e suo malgrado si rese
conto che non era male come aveva pensato.
Gettò
un’occhiata veloce al suo avversario, vedendolo leggermente
più
avanti, e cambiò di nuovo marcia, sentendo il motore rombare
e
la pressione contro il sedile che aumentava. Si ricordò
della
cunetta quasi per caso, quando sentì la macchina sobbalzare,
e
strinse le mani sul volante per mantenere la stabilità.
La
fine della corsa
era vicina, il rettilineo terminava bruscamente poco più in
là, e sapeva che avrebbe dovuto frenare sterzando,
perché
stava andando più veloce che nel pomeriggio.
Riuscì a
rimettersi in pari con l’altra auto, provando un moto di
selvaggia
esultanza, quand’ecco che vide la bandiera verde sventolare
sul
traguardo.
«Cazzo!»
sibilò, impallidendo, e premette il piede sul freno con
tutte
le sue forze.
Aveva
raggiunto l’altra auto perché lo
stronzo sapeva,
realizzò, facendo forza sulle braccia per non trovarsi
sbalzata contro il parabrezza. Sterzò, sentendo le ruote
stridere sull’asfalto bollente, e sbatté con la
spalla
contro la carrozzeria, a dieci centimetri dal muro che interrompeva
il rettilineo. Vide l’auto rossa curvare accanto a lei e
ripartire
al volo, con il suo fottuto neon verde, e rabbiosa premette il piede
sull’acceleratore, lanciandosi al suo inseguimento. Altro
rettilineo, debolmente illuminato dai lampioni, e il rombo dei motori
che riempiva ogni cosa. Vide la rossa frenare e sterzare sulla
seconda curva, ma tirò ancora sull’acceleratore,
un secondo
più di lei, e poi freno a mano e sterzo, chiedendosi dove
cazzo avesse trovato il coraggio di farlo, dopo che Kankuro le aveva
fatto provare mille volte quanto fosse terribile.
Si
trovò
immediatamente dietro Sasori, e lo vide spostarsi da destra a
sinistra, per impedirle il sorpasso. Digrignò i denti,
stringendo spasmodicamente le dita sul volante, e cambiò
marcia, aumentando la velocità. A quel ritmo, se si fossero
anche solo sfiorati nel modo sbagliato, sarebbero finiti entrambi in
una carambola.
La
curva successiva
comparve all’improvviso dietro l’auto rossa, che
inchiodò
a un passo da lei. Temari dovette imitarla precipitosamente, ma non
riuscì ad evitare che il muso della sua andasse a cozzare
con
la carrozzeria dell’altra, sul lato, e sentì le
ruote
sbandare bruscamente. Si aggrappò al volante, lottando per
tenerlo sotto controllo, e digrignò i denti tanto da farle
male.
Sasori
perse per un
attimo il controllo, e stridendo rallentò bruscamente,
rischiando di strisciare contro il muro. Temari sfruttò il
brevissimo vantaggio per avventarsi sulle marce e ripartire, il cuore
che le invadeva le orecchie insieme al rombo del motore, e
balzò
in avanti, lanciando un grido d’esultanza che solo lei
poté
sentire.
Guardò
nello
specchietto retrovisore la rossa che ripartiva rombando, ormai
indietro di parecchi metri, e un sorriso tronfio le inclinò
le
labbra.
«Dopo
la gara ti offro una birra»
cantilenò, imitando l’offerta
dell’avversario. «Stronzo!
Dopo la gara ti offro un calcio in culo, ah!»
Vedere
la massa di
persone che si apriva al suo passaggio e tagliare il nastro rosso e
bianco teso in mezzo alla strada, fu una sensazione inebriante per
Temari, che venti metri dopo si degnò di concedere una
sgommata un po’ goffa e tornò indietro lentamente,
per
godersi il bagno di folla.
Sasori
la raggiunse
in una manciata di secondi, e inchiodò una trentina di metri
oltre il traguardo, facendo fumare leggermente le gomme.
Immediatamente gli corse incontro un nutrito gruppo di ragazzine,
tutte ansiose di consolarlo alla loro maniera, e Temari gli
gettò
un’occhiata sprezzante, rallentando in mezzo a chi era
rimasto e
sfoggiando con orgoglio la leggera ammaccatura sul muso.
Non
fece in tempo a
fermarsi che qualcuno le aprì la portiera e quasi la
trascinò
fuori, afferrandola per le braccia e poi per la vita.
«Ma
che
ca...?» iniziò Temari, indignata, e un attimo dopo
sentì
un braccio sulle spalle e un altro attorno ai fianchi.
«La
vincitrice!» gridò una voce familiare, al suo
fianco, e
una mano le sollevò il braccio bruscamente. «Siamo
spiacenti con tutti coloro che avevano puntato su Sasori!
Sarà
per un’altra volta!»
Confusa,
Temari riuscì a voltare la testa e a riconoscere da una
parte
il ragazzo con il cartellino con scritto Kiba,
dall’altra
il biondo che le aveva venduto l’informazione sulla cunetta.
«Per
ritirare
le vincite, tutti qui!» esclamò il biondo,
sfilando di
tasca un mazzo di banconote. «Per i reclami, non rompete le
palle!»
Dalla
folla si
sollevò una risata, e Temari, stordita, iniziò a
trovare fastidiose le mani su di lei. Era sudata, era avvolta in
pelle sintetica, e aveva caldo. Non potevano semplicemente lasciarla
in pace?
«Allora,
giovane promessa, ricordati la mia percentuale»
ghignò
Kiba, mentre la gente confluiva verso Naruto, che si era staccato ed
appoggiato all’auto di Temari, con aria da padrone.
«Ma
se non so
nemmeno quanto ho preso» sbottò lei, liberandosi
della
sua stretta.
«L’importante
è che ti ricordi di me» ridacchiò lui,
e la
attirò di nuovo a sé, imprimendole un bacio
leggermente
umido sulla guancia accaldata.
«Ma
vaffanculo!» ringhiò Temari, allontanandolo. E in
quel
mentre vide lo scatto di un flash, e ne rimase per un attimo
abbagliata.
«Cos...?»
chiese, coprendo gli occhi con una mano, e le parve di intravedere un
codino sparato che scompariva tra la folla, portandosi via una
macchina fotografica.
«Temari!»
la chiamarono in quel momento, da qualche fila più indietro.
«Siamo qui!»
Nel
vociare confuso
della calca, vide un braccio robusto che si agitava al di sopra delle
teste, e riconoscendo la voce di Kankuro tirò un sospiro di
sollievo.
Ne
aveva abbastanza
di quell’atmosfera: vincere era stato bello, sì,
ma l’odore
acre del fumo e della gomma le pizzicava la gola, e, ora che la
tensione era scemata, sentiva le gambe molli per lo stress.
Voleva
tornare a
casa.
«Kankuro!»
chiamò, facendosi avanti.
E
in quel preciso istante scoppiò
il finimondo.
«Porca
puttana!» strillò qualcuno, mentre con un acuto
stridio
di gomme le auto blu e bianche facevano la loro comparsa dagli
estremi della strada. All’istante nell’aria calda
si diffuse il
grido assordante delle sirene, e la folla iniziò a ribollire
agitata, mentre le volanti della polizia sgommavano ai margini del
gruppo, cercando di contenere quante più persone possibili.
«Merda!»
imprecò Temari, sbiancando, e si voltò per
cercare
Kankuro e Gaara.
In
nemmeno un
istante fu travolta dal fiume di gente che correva via, e fu
trascinata nel serpente di coloro che si allontanavano verso i
vicoletti, disperdendosi.
«Kankuro!
Gaara!» gridò, cercando di divincolarsi, ma ci
riuscì
solo quando fu spinta contro un muro dalla mandria che si divideva in
due vicoli. «Gaara!» ripeté, cercando di
farsi
strada controcorrente, ma scoprì fin troppo presto che era
impossibile. Quando poi vide i primi poliziotti a pochi passi di
distanza, armati di sfollagente, sentì un brivido lungo la
schiena improvvisamente gelida.
Con
lo sguardo cercò
un’ultima volta i suoi fratelli, ma non riuscì a
distinguere
nessun volto noto nella calca. E quando per un secondo
incrociò
gli occhi neri di un agente, il suo stomaco si contrasse in una morsa
sgradevole.
“Spero
che abbiano corso con tutte le loro forze!” pensò,
il cuore
a mille nel petto. E poi, odiandosi per la propria vigliaccheria,
girò sui tacchi e scappò in tutta fretta,
infilandosi
in uno dei vicoletti per i quali passavano gli ultimi ritardatari.
Questo,
decise, era
molto peggio di una corsa illegale d’auto in completo
svantaggio.
“Figlio
di puttana, figlio di puttana, figlio di puttana...”
Se
lo ripeteva come
un mantra, adeguandolo al ritmo accelerato del respiro, mentre
correva lungo stradine buie e sconosciute, con le orecchie piene
dell’eco dei suoi passi e di quelli del maledetto bastardo
che la
inseguiva, entrambi ansanti.
Ringraziò
il
cielo che gli stivali che indossava non avevano tacchi, o si sarebbe
spezzata una caviglia già da tanto, ma non poté
fare a
meno di notare che i suoi polmoni erano pericolosamente vicini a
collassare, e le sue gambe a trasudare acido lattico, tanto ne erano
piene.
Sentì
le
lacrime premere dagli angoli degli occhi, per la rabbia, per la
fatica, perché era sola e perché se la stava
facendo
sotto, e poi intravide all’ultimo istante una stradina, sulla
destra, e ci si buttò per disperazione.
Un
vicolo cieco.
Bidoni
della
spazzatura, una palizzata, e il cielo stellato in un rettangolo tra i
palazzi.
«No»
ringhiò tra i denti, la voce quasi incrinata, e, spinta
soltanto dall’istinto di conservazione, buttò un
ginocchio
sopra i bidoni e si issò, gemendo per il dolore alle gambe.
Si
tirò faticosamente in piedi, si aggrappò alla
palizzata, e fece forza per arrampicarsi, aggrappandosi con una gamba
al bordo pieno di schegge.
«Ferma!»
gridò una voce alle sue spalle, mentre il passo terribile
del
poliziotto si faceva più vicino.
«Fottiti,
bastardo!» sussurrò lei ignorandolo, e con un
ultimo
sforzo riuscì a tirarsi su e a restare per un attimo in
bilico, con la pancia attraversata da fitte di dolore e il fiato
mozzo. Incontrò gli occhi scuri del poliziotto, che
ricambiò
lo sguardo con una certa perplessità, e prima di lasciarsi
cadere dall’altra parte, lo vide sospirare e grattarsi la
nuca.
Atterrò
pesantemente sui piedi, e urtò la spalla contro un muro,
gemendo sottovoce.
“Ti
prego, ti prego, fa’ che non sia così ligio da
scavalcare
solo per prendermi” pensò mentalmente,
massaggiandosi il
braccio dolorante. Oltre la palizzata sentì il ronzio di una
ricetrasmittente, e poi la voce dell’uomo che
l’aveva inseguita.
«Sergente
Kakashi. Sì. No. Mi è scappata» lo
sentì
dire, mentre riprendeva fiato. «Rientro»
E
poi, e fu il
rumore più bello del mondo, sentì i suoi passi
che si
allontanavano.
«Dio,
grazie...» sussurrò, chiudendo gli occhi e
appoggiando
la schiena alla palizzata, tremante. Le gambe molli cedettero, e
lentamente scivolò a terra, strusciando la schiena contro il
legno. Ansante, lasciò andare la testa e fissò la
striscia di cielo su di lei, stordita.
«Figlio
di
puttana» gemette, passandosi una mano nei capelli
scompigliati
e liberandosi di un codino praticamente sfatto.
«Hn,
grazie»
mormorò una voce, insospettabilmente vicina.
Temari
sussultò,
irrigidendosi d’istinto, e girò il collo con uno
scatto
repentino.
«Chi
c’è?»
sbottò, il cuore di nuovo impazzito nel petto, la paura che
tornava a percorre le sue vene.
«Rilassati...»
sbuffò una voce, nell’ombra dell’angolo.
«Siamo
nella stessa barca»
Ci
fu uno scatto
leggero, e una fiammella si accese nel buio, andando a illuminare una
sigaretta e un viso leggermente allungato, di ragazzo.
L’estremità
della cicca si fece di brace, e l’accendino scomparve di
nuovo
prima che potesse rivelare altri dettagli.
«Eri
alla
corsa?» indagò Temari, cauta, senza rilassarsi.
«Sì»
rispose laconico l’altro, mentre una sottile spirale di fumo
usciva
dall’ombra e si disperdeva tra loro. «Quella che tu
hai
vinto. Complimenti»
Suo
malgrado, Temari
si sentì arrossire. Passò una mano nelle ciocche
di
capelli che le ricadevano sul viso, distogliendo lo sguardo, e si
strinse nelle spalle per minimizzare.
«Probabilmente
era truccata» bofonchiò.
«Oh,
sicuro. E Sasori non ne sarà affatto contento»
replicò
l’altro, con insospettabile tranquillità.
«Finora le
truccavano perché lui
vincesse»
«Cosa?»
Temari tornò a voltarsi, accigliata.
«Perché
ti stupisci?» chiese il ragazzo, quasi strascicando le
parole.
«E’ tutto truccato, in quest’ambiente.
Spesso guadagna di
più chi perde»
Temari
si morse il
labbro, e all’improvviso batté un pugno a terra.
«Cazzo!
Figlio
di puttana!» esclamò con voce roca.
«Piano...»
sbuffò l’altro. «Devi per forza farci
sgamare?»
«Vaffanculo
anche tu!» insisté lei, passandosi il dorso sulla
fronte
sudata. «Stronzo, figlio di puttana...»
continuò a
voce bassa, e ora il tremito non era più dovuto alla paura.
«Pezzo di merda bastardo... ti venisse un embolo,
cazzo!»
«Mh.
Non male»
fu il commento del ragazzo al buio.
«E
tu taci!»
ringhiò Temari, aggressiva. «Che cazzo ne
sai?!»
Si
sentiva usata,
presa in giro, e anche miracolata.
Se
ogni gara era
truccata, allora lei era ancora lì solo perché a
Hidan
andava che vincesse. E se lui invece avesse deciso che quella sera la
gente avrebbe dovuto vedere un incidente spettacolare e darsela a
gambe senza ritirare i soldi delle scommesse, avrebbe anche potuto
non essere più da nessuna parte, in quel momento.
“Dentro
cosa sono finita?” si chiese, abbracciandosi nervosamente le
ginocchia.
Sapeva
che Hidan era
un uomo pericoloso, ma fino a quel momento non le aveva mai fatto
correre nessun vero rischio, ad eccezione di un certo numero di
possibili gravidanze indesiderate.
Ma
ora,
all’improvviso, aveva paura.
«Vuoi?»
La
voce del ragazzo
la colse di sorpresa, facendola trasalire.
Dall’ombra,
Temari
vide una mano che le porgeva un pacchetto di sigarette, aperto, e lo
fissò stranita per un lungo istante. Ma alla fine si strinse
nelle spalle, rilassandosi impercettibilmente.
«Non
fumo»
rispose piano.
«Peccato»
rispose lui, ritirando l’offerta. «La nicotina
è un
ottimo calmante»
«Non
sono
nervosa» scattò Temari, in automatico.
«Hn?»
fece il ragazzo, senza quasi ascoltarla.
«Abbi
almeno
la decenza di farmi vedere la tua faccia, cazzo!»
sbottò
all’improvviso, irritata. «Mi sembra di parlare da
sola!»
«La
schizofrenia non è una malattia tanto brutta, in
fondo...»
«Vaffan...»
L’insulto
fu
troncato a metà dallo squillo di un cellulare. Temari quasi
sussultò quando sentì la scollatura vibrare, e
solo
allora si ricordò del telefono incastrato tra il seno e il
top
striminzito.
Si
affrettò a
tirarlo fuori e ad aprirlo, e lo portò
all’orecchio
nervosamente.
«Kankuro?»
chiamò, tesa.
Ma
le bastò
sentire la familiare e rassicurante voce del fratello
dall’altra
parte della linea, per rilassarsi visibilmente.
«Sì,
sì... sono scappata, non so dove sono. No, sto bene, ho solo
avuto pau... Sto bene» annuì un paio di volte,
rannicchiata contro la palizzata. «E Gaara? E’ con
te, ok...
Iniziate a tornare a casa, io me la cavo in qualche modo. No... No,
Kankuro, non so nemmeno da che parte sono scappata! Lascia stare, non
ti preoccupare. Ce la faccio da sola. Ce la faccio sempre da sola, lo
sai»
Annuì
una
volta, e poi di nuovo, e alla fine lasciò un saluto
striminzito e richiuse il telefono, con un sospiro profondo.
«Ehi»
chiamò, mentre lo risistemava nella scollatura.
«Tu sai
dove siamo?»
«A
occhio e
croce, a cento metri dalla strada della gara, verso ovest»
rispose il ragazzo dal buio.
«E
questo
luogo ha un nome, signor saputello?» chiese lei con un
pizzico
di irritazione per la qualità dei dettagli della sua
risposta.
«Che
ne so?
Non conosco la zona, ho solo tenuto a mente la strada che ho
fatto»
sbuffò lui annoiato.
Silenzio.
Temari
digrignò
i denti, nervosa.
«Quanto
dovremo stare fermi?» chiese a voce alta, fissandosi le
ginocchia.
«Un’altra
oretta, almeno. La polizia sarà ancora in giro»
«Ah»
Di
nuovo silenzio.
«Almeno
dimmi
come devo chiamarti!» sbottò Temari a un tratto,
irritata.
«Ehi,
non è
che tu ti sia presentata con entusiasmo, sai?»
protestò
lui lievemente offeso.
«Temari»
sibilò lei lapidaria.
«Shikamaru»
rispose lui atono.
«Ok»
fece lei asciutta.
E
lui spense la
sigaretta sull’asfalto, lasciando andare verso il cielo
l’ultima
boccata di fumo.
Temari
si guardò
attorno, senza riuscire a distinguere le ombre che si accalcavano nel
vicolo. Slegò anche gli altri codini, ormai inutili, e
giocherellò con i lacci del top. Di tanto in tanto lanciava
occhiate veloci nell’angolo buio in cui era seduto il
ragazzo, ma
anche dopo parecchi minuti i suoi occhi non riuscivano a distinguere
nulla più di un’ombra vaga.
«Ehi,
sei
vivo?» chiese, quando non sentì più
nessun rumore
dalla sua parte.
Shikamaru
grugnì,
con uno sbuffo. «Cercavo di dormire»
«Dormire?
Come
cavolo fai a dormire in una situazione del genere?»
sbottò
Temari, indignata.
«Infatti
non
dormo» brontolò lui. «Non se tu mi
svegli»
«Non
hai
paura?» insisté lei. «Se un poliziotto
decidesse
di girare questo angolo?»
«Mi
prenderebbe per un ragazzino che è andato a cercarsi una
puttana»
Temari
sentì
il sangue salirle alle guance, e abbassò immediatamente lo
sguardo sui suoi vestiti.
«Senti
un po’,
brutto figlio di...» iniziò, pronta a dar
battaglia, ma
lui la bloccò prima.
«Cazzo»
lo sentì imprecare, e, prima di rendersene conto, si
sentì
spingere contro il muro e se lo trovò addosso.
«Ch...»
tentò di protestare, mentre lui le premeva una mano sulla
bocca e le intimava di stare zitta, e solo allora lei vide il fascio
di luce che andava a illuminare l’angolo in cui lui era stato
fino
a un attimo prima.
Trattenne
il fiato,
mentre la torcia scandagliava lentamente la strada, e quando la vide
avvicinarsi al loro lato, un brivido le corse lungo la schiena.
Ma
prima di
raggiungerli la luce scomparve all’improvviso, bloccata dai
cassonetti della spazzatura lungo il vicolo, e Temari la vide salire
sopra le loro teste e poi scostarsi bruscamente.
«Qui
non c’è
niente» disse una voce a breve distanza.
«Proseguiamo»
Tirò
un
sospiro di sollievo, rilasciando lentamente i muscoli, e Shikamaru
allontanò la mano dalla sua bocca.
«Scusa»
mormorò, facendosi indietro. «Avevo paura che ci
sentissero»
«Non
mi ero
accorta di loro» ammise Temari, con un leggero senso di
umiliazione, ma se non altro per la prima volta riuscì a
studiare nel dettaglio i lineamenti del ragazzo che si trovava
davanti: aveva gli occhi un po’ troppo sottili,
però nel
complesso era abbastanza piacente, anche se probabilmente sarebbe
stato stempiato nel giro di vent’anni. Nulla a che vedere con
Hidan
e la quantità di testosterone che emanava, ma per essere un
ragazzino atono se lo era immaginato peggio.
«Ahh,
che
palle» sbuffò lui, grattandosi la nuca con un
ampio
sbadiglio. «Perché non se ne vanno e mi lasciano
andare
a dormire?»
«Dormire?»
Temari gli regalò un sorrisino di scherno. «Come
diavolo
fai a pensare di dormire in un momento simile?»
«Chiudendo
gli
occhi» rispose lui schietto.
«Coglione»
rise lei, sollevando il mento. «Hai capito cosa intendevo.
L’ansia, la paura, l’inseguimento... Dovresti avere
in corpo due
litri di adrenalina, ora come ora»
«Bah»
fu
il commento atono di Shikamaru, che si grattò un orecchio
con
aria distratta.
Eppure
l’occhio
gli scivolò sulla goccia di sudore che scorreva lungo il
collo
di Temari, diretta lenta verso la scollatura. E Temari se ne accorse.
Non
pensava che
avrebbe sentito lo stomaco contrarsi.
Era
sempre stata abituata alle occhiate avide di Hidan, e credeva che
solo uno sguardo come quello potesse significare minaccia.
Ma all’improvviso si trovava a ricordare che il ragazzino era
un
Hidan in potenza, che se non altro aveva gli stessi attributi di
base, e che lei era sola in un vicolo buio, mezza svestita,
vulnerabile e... eccitata.
“Oh
merda”
si trovò a pensare, stringendosi le gambe al petto.
Il
suo cuore aveva
involontariamente accelerato il ritmo, e sentiva il sangue scorrere
con un po’ più di forza nelle arterie.
Shikamaru
distolse
lo sguardo, grattandosi il collo, e appoggiò la schiena al
muro che faceva angolo con la palizzata di Temari.
Piombò
un
silenzio denso e vischioso, quasi caldo, quasi un abbraccio.
Temari
si fissava le
unghie, facendo guizzare gli occhi sotto le palpebre, e Shikamaru
guardava il cielo, con le mani affondate in tasca.
Lei
gli scoccò
un’occhiata rapida, e incrociò il suo sguardo.
Tamburellò
nervosa sulle ginocchia, senza abbassare il viso.
“Non
farlo. Non farlo, stupida testa di cazzo, non
osare,
non osare pensarci...” si intimò nervosamente.
E
lui, quasi con indolenza, prese a far scorrere gli occhi dal collo
lungo le braccia avvolte attorno alle ginocchia, e poi verso le gambe
nude e il bordo degli shorts,
decisamente troppo corti.
Ok.
Forse non era
poi così tanto assonnato. Forse, e solo forse, un pizzico di
adrenalina scorreva anche nel suo corpo. Era un maschio, dopotutto. E
lei era una femmina semi-svestita a venticinque centimetri di
distanza, per di più dichiaratamente eccitata. Si
passò
la lingua sulle labbra secche, senza quasi accorgersene.
Lei
lo fissò,
e il suo semplice sguardo era molto più di quanto fosse
lecito
in un qualunque luogo pubblico, o almeno così gli sembrava.
E
lui sentì
l’adrenalina cantare, sotto la pelle.
Senza
parlare, si
piegò sulle ginocchia e si sporse verso di lei avanzando
carponi. Arrivò con le mani ai lati dei suoi fianchi e con
il
viso sopra le sue rotule, e allora si fermò, silenzioso.
«Che
stai
facendo?» mormorò lei con voce roca.
Lui
non rispose, e
invece posò una mano sul suo ginocchio, allargandolo
lentamente.
Temari
non si oppose
quando Shikamaru si fece strada tra le sue gambe, fino ad arrivare
con il viso a pochi centimetri dai suoi occhi. Non si oppose nemmeno
quando lui le accarezzò una coscia e si intrufolò
sotto
la stoffa, o quando le sfiorò il naso con il proprio.
«Che
stai
facendo?» si limitò a ripetere in un bisbiglio, il
respiro mozzo e le labbra a un passo da quelle di lui.
E
Shikamaru sussurrò
un’unica parola, contro il suo mento.
«Adrenalina»
*
Quando il sole
sorse, Kankuro svuotò la tredicesima tazzina di
caffè e
si trattenne a stento dal gridare la sua frustrazione al cielo.
«Dov’è?»
sibilò invece, alzandosi di scatto dal tavolo e percorrendo
la
cucina ad ampie falcate.
«Calmati»
gli intimò Gaara, appoggiato con i fianchi allo stipite
della
finestra e con le braccia incrociate sul petto. Le occhiaie sotto i
suoi occhi erano – se possibile – ancora
più marcate di
prima. «Agitandoti non la farai tornare»
«Io non sono
agitato!» ruggì Kankuro, afferrando con astio la
caffettiera e versandosi il quattordicesimo concentrato di caffeina.
Gaara fece una
smorfia infastidita e guardò fuori dalla finestra, lungo la
strada ancora immersa nella luce metallica delle prime ore del
giorno.
Temari non
rispondeva al cellulare da quattro ore, ormai.
Dopo
la prima chiamata avevano provato a ricontattarla più e
più
volte, ma i loro tentativi si erano risolti soltanto in patetici
squilli a vuoto. La loro unica, irascibile, orgogliosa – e
probabilmente vicina all’estinzione – sorella
sembrava scomparsa
dalla faccia della terra – o almeno di quella terra che rispondeva
al telefono, maledizione!
«Quando
torna le faccio il culo viola, e non me ne frega niente se ormai
è
maggiorenne, niente!»
proseguì Kankuro, trangugiando anche l’ultima
tazzina e
sbattendola sul tavolo.
Gaara si accigliò
impercettibilmente, fissando ancora fuori dalla finestra.
«E’
qui»
disse soltanto, inaspettatamente.
«Oh, sia
ringraziato il cielo!» squittì Kankuro, e la
smorfia di
rabbia sul suo viso si trasfigurò in sollievo in un
microsecondo. Prima che Gaara potesse guardarlo con disprezzo, era
già fuori di casa e stritolava Temari in un abbraccio colmo
di
gratitudine e caffeina.
«Dove sei
stata? Perché non rispondevi? Che hai fatto? Non ci sono
problemi, vero?»
Quando entrarono in
casa insieme, il tono delle domande ossessive di Kankuro era
più
o meno quello, mentre la fissava preoccupato.
«Kankuro, sono
stanca...» mugolò Temari sbadigliando.
«Sto bene,
non ho fatto niente. Mi sono solo nascosta, e ora posso andare a
dormire?»
«Oh, sì,
certo. Scusa. Comunque, complimenti per la vittoria»
annuì
lui solerte.
Temari sbadigliò,
e con un cenno stanco scomparve oltre una porta.
Prima che se ne
andasse, Gaara riuscì a intravedere il segno violaceo di un
succhiotto sul suo collo.
Kankuro si schiarì
la voce, e raddrizzò bene la schiena. «La
sgriderò
quando si sveglia» commentò virile. «Ora
non
servirebbe a niente»
Gaara lo squadrò
per un lungo, penoso istante. E poi gli voltò le spalle,
senza
una smorfia.
«Vado a
dormire» disse asciutto.
Il
calore del suo respiro contro la pelle, e le gocce di sudore sui loro
corpi che si mescolavano silenziose.
Era
tutto diverso, ogni singola cosa; era... migliore.
Con
Hidan c’era piacere, c’era dolore, e
c’era rabbia, talvolta.
Con
Shikamaru c’era attesa, c’era sorpresa, e
c’era dolcezza.
Le
sue mani sul seno la accarezzavano, non la stringevano fino a farle
male; le sue labbra sul collo erano calde e morbide, non morsi
roventi; e fare l’amore con lui non era una lotta sfiancante,
ma
era un doppio a tennis. Un doppio nettamente vinto.
Mentre
riprendevano fiato, l’uno contro l’altra, Temari
accarezzava
languida i capelli umidi di sudore sul collo di lui, chiedendosi che
diavolo le fosse successo.
«Ma
cosa abbiamo fatto?» sussurrò, arricciando una
ciocca
scura attorno al dito.
«Non
lo so» rispose lui, baciando lento la curva del suo collo.
«Ma
mi è piaciuto fin troppo»
«Cosa
vuol dire fin troppo?» chiese Temari, accigliandosi.
Lui
la guardò, e le rivolse un sorriso sghembo. «Vuol
dire
che il sesso con una sconosciuta non dovrebbe essere così
bello»
Temari
arrossì, e avvolse le braccia attorno al suo collo.
«Allora
ricominciamo, no?» propose in un bisbiglio, addentando piano
il
suo labbro inferiore.
«Uh,
sembra faticoso...» commentò Shikamaru,
sorridendo.
«Prima una pausa?»
«Fammi
un regalo» sussurrò lei. «Solo
uno»
Lui
la studiò pensieroso per un lungo istante.
«Ti
ho vista con il ragazzo delle scommesse, prima» se ne
uscì
poi, ma non era un rimprovero.
«L’ho
conosciuto stasera» rispose lei stringendosi nelle spalle.
«E
si è preso un bacio sulla guancia e nient’altro.
Non sono il
tipo da fare certe cose, io»
«No?»
ghignò lui, stringendole una natica nella mano.
Temari
arrossì leggermente e lo colpì piano.
«Tu sei
un’eccezione» brontolò. «Tu
sei strano... sei
unico; penso si possa dire così»
«Spero
che sia un complimento» sussurrò Shikamaru,
prendendole
il lobo dell’orecchio tra le labbra. La sentì
gemere piano,
e stringersi a lui, e di nuovo avvertì
l’adrenalina che
pulsava nel suo corpo. «Ma che ci fa una come te in questo
mondo di merda?» si trovò a chiederle
d’impulso.
«Debiti»
fu la sua fievole risposta. «Debiti e Hidan. Ma non parliamo
di
questo... non ora. Non ora...»
Sentì
le labbra di lui chiudersi sulla pelle sotto l’orecchio, e
anche se
sapeva che avrebbe lasciato il segno, non se ne curò.
Quando
Shikamaru finì con il collo e scese verso il seno nudo,
Temari
riuscì a malapena a sentire il sussurro che
sfuggì alle
sue labbra.
«Credo
che te ne farò due, di regali...»
Aveva pensato che il
regalo fosse il numero di telefono che lui le aveva infilato in tasca
prima di andarsene, all’alba.
Ma poi aveva visto
la rivista nel suo espositore, e la foto in prima pagina della sua
auto che tagliava il traguardo.
Aveva comprato il
giornale, uno sciocco settimanale che normalmente non avrebbe mai
guardato, lo aveva aperto febbrile, e aveva letto l’articolo
da
cima a fondo, scoprendo che faceva parte di un’ampia
inchiesta
condotta nel giro della malavita e che andava a coprire anche Hidan.
Lo aveva letto e aveva scoperto che il suo caro, vecchio usuraio era
attualmente incriminato per un lunga, lunga lista di capi
d’accusa.
Aveva
letto anche della corsa. Aveva visto le foto delle auto, della folla,
della fuga dalla polizia. E nell’angolo di ogni foto,
c’era un
nome composto da una sola sillaba, come se il suo proprietario fosse
stato troppo pigro
per allungarlo: Shi.
Ricordò il
fotografo che aveva scattato una foto a lei e Kiba, e
ricordò
che aveva un codino sparato dritto sulla testa. Poi, con un sorriso,
rilesse la parte dell’articolo in cui si diceva che grazie a
un
accurato servizio fotografico erano state raccolte prove fondamentali
per l’accusa.
Probabilmente Hidan
non sarebbe finito dentro, come ogni buon malavitoso. Ma in quel
momento, leggendo quelle parole, per un attimo Temari pensò
che sarebbero potute cambiare molte cose. Senza quasi rendersene
conto, infilò una mano in tasca e tirò fuori il
cartoncino che le aveva lasciato Shikamaru, leggermente spiegazzato.
Sulla carta bianca, di una semplicità disarmante,
c’erano
poche, economiche parole, e un appunto a mano.
Shi
Fotografo
xxx/xxxxxx
ricorda...
adrenalina
FINE
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BLACK
IS BACK
OMN
(Orgoglio Mosca Nera)
Questa shot partecipa
orgogliosamente allo
ShikaTema's
day
(istituito
arbitrariamente da un pugno di autrici del sito!)
In più,
è dedicata a Lily_90, perché me la chiede da
secoli!
[pagina volutamente NERA]
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