Mi chiamavano "la Carogna".
Dicevano che fosse adatto a me perchè, secondo loro, puzzavo
di morto.
Certo, non si azzardavano a dirlo davanti a me. Ogni volta che passavo,
affondando gli stivali nella fanghiglia di quel posto dimenticato da
Dio, ma non dall'avidità dell'uomo, non facevano niente
più che scrutarmi con un silenzio rispettoso,
con un'ira malcelata, con un timore reverenziale che li
disgustava più della mia stessa presenza.
Io non li guardavo, non davo loro attenzione. Sentivo su di me quegli
sguardi, e come un Dio magnanimo, mi limitavo a perdonarli per la loro
stupidità, per la loro inutilità. Inutile carne da macello.
E al macello, appunto, venivano mandati ogni giorno. Non erano tempi
facili, non per noi. Non per quei soldati mandati al fronte, a
combattere contro un nemico invisibile che si celava fra le foglie e il
muschio.
L'ordine era chiaro: uccideteli
tutti.
La traduzione un poco differente:
morite uno ad uno.
Scontri violenti e sanguinolenti, ogni giorno. Ed io ogni giorno
passavo, con la mia divisa sporca soltanto di terra, mai di sangue,
passavo e ne vedevo uno riverso senza un braccio, o uno con la testa
fasciata. O uno coperto come capitava da un lenzuolo stampato con un
motivo mimetico, in mancanza di un luttuoso bianco.
Non esisteva più nulla di bianco, lì. Solo il
verde dell'erba, il castano della terra, l'azzurro del cielo coperto
dalle fronde. E il rosso del sangue.
Io non lo toccavo mai, il sangue. Nè lo vedevo da vicino.
Per questo mi odiavano, perchè non ero un vero soldato. Per
questo mi rispettavano, perchè ero comunque più
considerato di loro.
Perchè ero la
Carogna, ero la Morte Nascosta, ero l'Assassino. Ero il cecchino.
Avevo un rito, proprio io che secondo i miei commilitoni mancavo
totalmente di umanità, secondo quanto bisbigliavano
disgustati nel vedermi camminare impassibile fra loro, senza prestare
attenzione al loro dolore o alla loro morte. Ma sbagliavano, io ero
umano come loro. Io avevo un rito.
Forse era nato da un riflesso involontario, un fatto casuale che nacque
dalla morte di qualcuno. Dalla prima volta che la pressione sul
grilletto del mio Remington 700 modello 40x, o semplicemente M40, aveva
strappato la vita a un uomo che come unica colpa aveva quella di essere
nato in un altro paese. Nel paese nemico.
Fu un attimo. Feci pressione sul grilletto, incassai il leggerissimo
rinculo dell'arma ben fissata al terreno umido sul quale ero sdraiato
ormai da ore, come un falco ad attendere la propria preda.
E lo uccisi.
Cadde a terra senza emettere nè un suono nè un
grido, si accasciò morbidamente e poi rimase immobile. E
sentii la calda carezza di una lacrima solcarmi la guancia, una sola.
Eccolo, il mio rito.
Scusa, amico. Non era
colpa tua, ma neanche mia. La colpa è di questo mondo
bastardo, di questa guerra inutile che ci vede ammazzarci fra di noi,
alzare le armi e l'odio verso i nostri stessi fratelli. Scusa amico.
Riposa in pace e aspettami. Mi scuserò per bene, prima o poi.
I giorni passarono, alla prima vittima ne seguì
un'altra, e un'altra, e un'altra ancora. Mi limitavo a fare rapporto,
puntuale, a confermare con i miei superiori che il bersaglio non
avrebbe più potuto nuocere. E poi attraversavo il campo,
sotto gli sguardi dei miei compagni che si facevano sempre
più disgustati ogni giorno che passava. Sotto gli sguardi
che mi accusavano di non essere alro che un killer. Almeno fosse,
pensavo io. Almeno
avrei una buona paga, e perchè no?, una bionda da tenere
sotto braccio in una villa costruita col sangue altrui.
Ma non c'era gloria, in quel buco umido ed odoroso di
vegetazione. C'era solo il commiato silenzioso della lacrima che
versavo per ogni uomo che strappavo alla terra e rimandavo a Dio.
Passò una stagione, poi un'altra. Cadevano come mosche.
Sia i nemici, sia i compagni. Ma ormai faticavo a distinguerli, se non
per il colore della divisa. Non riconoscevo i visi, nè le
voci. Non parlavo con nessuno, i miei pasti erano consumati
velocemente, da solo, il più delle volte sdraiato sulla
terra umida ad attendere.
La Carogna, la Morte
Nascosta, l'Assassino.
E poi successe, un giorno.
Non ricordo che aspetto avesse quell'uomo. Era identico a tutti gli
altri, solo una figura che si muoveva incerta dentro il mio mirino. Non
mi vide, come tutti gli altri. Cadde, come tutti gli altri. Morì, come tutti gli
altri. Solo in qualcosa la sua morte si
discostò dalle altre.
Attesi, ed attesi. Rimasi immobile per ore, continuando a guardare il
suo cadavere immobile. Ma non successe nulla. Non scese nulla. La mia lacrima, stavolta, non
scese.
Attesi finchè non si fece buio,
finchè la notte non calò ad inghiottire i colori,
ad attutire i suoni.
Ora sì, che avevano ragione quei soldati menomati che non
riuscivo a chiamare compagni. Questa volta sì, avevo perduto
la mia umanità.
Era il quarto della settimana, quel soldato riverso a terra, che
pregnava la terra morbida del suo sangue. Quindi avevo ancora un
proiettile nel mio caricatore. Lo tenni per me.
Non so se dal campo sentirono il suono di quello sparo, nonostante
avessi tolto la sordina all'M40. Non potevo urlare, con la canna del
fucile fra le labbra, perciò volevo che il metallo parlasse
per me, gridasse al mondo la mia redenzione, il mio addio. Non so se lo
sentirono. Ma io lo udii, ne ascoltai l'eco infinita ripetersi e poi
sciogliersi in un'oblìo caldo di sangue, umido di pioggia.
Calore materno e glacialità della morte.
Caddi come tutti gli altri, come tutti gli uomini che avevo ucciso. E
avevo ragione, e avevano ragione gli altri, a chiamarmi Carogna, a
chiamarmi Assassino.
Non piansi neanche
questa volta.
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Post Scriptum: Ed
ecco che smentisco per direttissima quanto scritto nel mio profilo
nuovo fiammante. Niente Fullmetal, qui, solo un'original che mi
frullava in testa da... mesi? e che non avevo ancora trovato il
coraggio di buttar giù. Era una storia che volevo
raccontare, senza riferimenti storici precisi, senza nomi nè
dialoghi, solo una lunga introspezione di qualcuno che è
considerato una macchina per uccidere. Ma che alla fine, non
è altro che un uomo come tutti gli altri.
Someone
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