† La riconoscenza del corvo †
Capitolo I
Colui che salvò
il peccatore
Cra... cra...
Era un gracchiare aspro quello che lacerò la quiete
di quella gelida alba.
Cra... cra...
Gemiti di doloro, richieste d’aiuto
che si perdevano nel pallore del cielo.
Cra... cra...
Fu il suono dolente di chi soffre a
dischiudere i suoi occhi ciechi.
Il ragazzo si tirò su a sedere sulla stuoia dove
dormiva.
Cos’era stato quel rumore?
Cra... cra...
Il lamento che aveva udito risuonò ancora nell’aria,
ma questa volta gli parve più flebile, più lieve.
Si alzò dal suo giaciglio, attento a non fare il benché
minimo rumore per non svegliare i propri genitori ed uscì
silenzioso dalla piccola capanna che chiamava casa.
Aiuto... aiuto...
E’ questo che
vorrei gridare, ma non mi è permesso.
Non più almeno,
perché un tempo fui uomo.
Avevo labbra rosse al
posto di questo duro becco, braccia e mani invece di queste nere ali, gambe e
piedi, non ridicole zampette di uccello.
Un tempo fui uomo, ma ahimé fui anche peccatore.
Un
tempo cosparsi la terra con il
sangue dei miei nemici, rubai, m’insozzai di colpe terribili senza
provare rimorso alcuno, senza accorgermi che stavo facendo a pezzi la mia anima
con le mie stesse mani. Ma un giorno, inevitabile, giunse il castigo ed io mi
tramutai in nefasto presagio dal canto di nera sciagura, costretto a nutrirmi
di topi, di bisce, della fatica contadina che speranzosa sparge
di semi sterili un campo arido e brullo.
Un tempo fui uomo ed ora son corvo.
Mi fugge la gente come
mi fuggiva allora, quando, però, ad addolcire
la solitudine, c’erano il potere, il denaro, l’arroganza e la
sicurezza di essere il più forte. Ma gli uccelli non hanno potere, della
ricchezza e del denaro non se ne fanno nulla e debbono
dimenticare l’arroganza perché le frecce dei cacciatori, quando colpiscono
il bersaglio, sono più forti di loro.
Un tempo fui uomo ed ebbi tutto quel che desideravo, però poi,
di colpo, tutto scomparve, tutto eccetto la solitudine, unica mia compagna nel
volo.
Un tempo fui uomo, ora son corvo e forse tra qualche attimo non
sarò più.
Perché la vita possiede ali più veloci
delle mie, spezzate, vinte dai sassi.
Cra... cra...
M’illudo forse
che qualcuno venga a salvarmi?
Devo essere impazzito,
chi mai desidererebbe salvare un peccatore della peggior specie, qual son io?
Chi mai desidererebbe salvare un corvo?
Chiuderò gli
occhi per riaprirli all’inferno, com’è giusto che sia,
consapevole che nessuno pregherà per la salvezza della mia anima,
più nera di queste piume.
Forse sei il mio piccolo
cuore di uccello smorzasse i suoi battiti questo
sentimento che voi uomini chiamate rimorso si placherà, mi
lascerà in pace una volta per tutte...
Non voglio più
soffrire...
Sono così stanco...
S’inginocchiò a terra e delicatamente lasciò
che le proprie mani esplorassero ciò che lo circondava su quella strada
polverosa e deserta.
Poi lo sentì.
I polpastrelli scivolarono sulle piume lisce e lucide, le
dita avvolsero con dolcezza quel corpicino tremante di paura e di dolore,
quella piccola vita già tiepida e più vicina alla morte di quanto
non avrebbe dovuto.
L’accarezzò piano, come per calmarlo, mentre la
sensazione di bagnato che sentì sulle dite e l’odore ferrigno che avvertì
lo fecero sussultare: sangue.
Strinse al petto nudo la creaturina appena raccolta e
tornò verso casa il più velocemente possibile.
Cos’è?
Cos’è
questo tocco gentile, questo tepore così
amorevole che mi accoglie?
Dove sono le dita fredde ed ossute della morte?
Cosa sono queste carezze, come fanno a lenire
tanto il dolore?
E questo profumo che sento? questa pelle liscia che sporco con il mio sangue di
malvagio? Cos’è questo battere forte e concitato che odo
così distinto, così chiaro?
Che sai forse...un cuore?
Sì, non c’è
dubbio, è un cuore.
E’ un curo giovane, forte, puro, che non conosce il peccato.
E allora perché mi ha raccolto?
Perché non teme di macchiarsi con il mio sangue?
Dev’essere un cuore ingenuo, perché non
sa che ad aiutare il malvagio ci si rimette sempre: il serpente velenoso morde la
rana che l’ha aiutato a passare il fiume.
Un cuore ingenuo e
misericordioso...
***
Sgranò i neri occhietti di corvo a causa de male
atroce che s’accanì contro quelle che un
tempo erano state braccia ed il suo corpo tremò in preda agli spasmi tra
le mani del ragazzino, che se ne stava seduto all’ombra di un grande
albero.
-Calmo... calmo...- sussurrò all’animaletto
cominciando ad accarezzarlo piano, senza fargli male -E’ doloroso, lo so,
ma presto passerà, ti sentirai meglio e potrai volare di nuovo...- il
tocco delicato delle dita del suo salvatore ebbe di
nuovo il suo miracoloso effetto: il dolore, e non solo quello fisico, pian piano
diminuì, quasi fino a scomparire, ad annullarsi, mentre il corpo e l’anima,
che credeva d’aver perso, d’aver venduto al miglior offerente,
trovarono ristoro, si rigenerarono.
Dio, è come
rinascere...
-E’ stata la mamma a medicarti, sai? Lei è
molto brava in questo genere di cose, ricordo che da piccolo, quando mi
sbucciavo le ginocchia, sapeva sempre come farmi smettere di piangere...- le
sue dita lo sfiorarono lievi per tutta la lunghezza del suo misero,
caldo corpicino, sopperendo a quella funzione cui gli occhi lattei non avrebbero
saputo adempiere.
Cra... cra...
Gracchiò piano, riconoscente, lasciandosi cullare
ancor un po’ da quelle mani così gentili.
Grazie... grazie...
Ti devo la vita.
Io che ho ucciso, io
che ho rubato, io che ho stuprato, io che ho seminato terrore, distruzione e
morte, io che fui uomo temuto e peccatore devo la vita
a te, ad un ragazzino cieco che non potrò ricompensare in modo alcuno
per il suo atto d’amore.
Anche avessi la bellezza del pavone sarebbe
inutile perché non potresti vedermi, ma, purtroppo, non mi appartiene
neppure il canto dolce e soave dell’usignolo con il quale mi piacerebbe
dilettarti.
Quando io canto, con quella mia voce stridule ed antipatica che la natura,
come un castigo, mi ha riservato,
tutti scappano, perché mi credono foriero di rovina, mentre i più
coraggiosi tiran pietre, convinti che se faranno
centro, riusciranno ad uccidere la sfortuna che li colpisce.
Lapidato...sì,
forse è così che dovrei morire: una pietra per ogni mio
peccato...
-Sai, quando ti ho trovato ho avuto paura, credevo che non
saresti sopravvissuto, ho pensato davvero che fosse troppo tardi, ma alla fine,
per fortuna, ce l’hai fatta. Ora hai le ali
fasciate, ma ti prometto che quando saranno guarite e potrai volare ti
libererò... sei contento?-
Hai avuto paura... per
me?
Hai davvero temuto che
la mia anima fosse raggiunta prima dal gelo senza scampo della morte che al tepore
del tuo petto al quale mi hai stretto, incurante del
sangue, mentre correvi?
Non sapevi e non sai nulla di me, eppure ho sentito il tuo cuore battere veloce
in preda al panico per la mia sorte, per il mio destino, che pareva ormai
essere giunto al termine.
Hai un cuore nobile,
ragazzo, ma forse è proprio perché non mi conosci che hai avuto
il coraggio di salvarmi dalle fiamme dell’inferno che avrebbe dovuto
accogliere la mia anima già molto tempo fa. Non sai chi sono, non conosci i miei peccati, non sei stato vittima
della mia follia, altrimenti non avresti usato tanta misericordia nel miei
confronti, tanto amore.
Perché non c’è
perdono per la mia anima, né remissione per i mie
peccati.
Perché pur avendo un paio d’ali non sono mai
stato libero, non fino in fondo, almeno.
A quale folle,
illusoria libertà vorresti rendere le mie
membra stanche?
Il cielo è
troppo grande per me, troppo vasto e alle volte ho paura del mio stesso
continuo vagare, mi chiedo se avrà mai fine, se mai troverò un
posto sicuro dove potermi fermare a riposare, un posto in cui nessuno punti il dito per giudicare ed accusare.
Un posto che io possa,
senza timore alcuno, chiamare casa.
Sai ragazzo, non avrei
mai creduto che un luogo del genere potesse esistere, non nella realtà
almeno, eppure le tue mani che mi proteggono sono proprio
come quell’Eden che tanto a lungo e tanto invano ho rincorso, come quel
paradiso che ho tanto sognato...
Perché mi hai raccolto?
Mi sarà cos
difficile ora separarmi da te, dalla tua voce, dal tuo
sorriso, dalle tue mani...
Se solo tu mi avessi lasciato là dov’ero a quest’ora
non conoscerei l’amore, né la sofferenza che ad esso sempre s’accompagna...
Forse avresti dovuto
usare la tua misericordia per aiutare qualcuno più meritevole...
Angolino del supplizio: allora...è la prima volta che
scrivo qualcosa di fantasy, quindi sappiate esser clementi con me e
ditemi ciò che ne pensate di questo primo, breve, capitolo.
Non c’è molto da dire
sulla storia, se non che, per come è strutturata, sicuramente a molti di
voi non piacerà, ma così l’ho scritta per la prima volta e
così ho voluto lasciarla, nonostante quello che mi è stato detto,
ovvero che forse è troppo veloce e va, per così dire, un po’
di palo in frasca... non piacerà a Chiku per il tipo di linguaggio
usato, ma in fondo non importa, perché a me piace...
Forse sarò presuntuosa, ma non posso farci niente, mi
avrebbe fatto male il cuore a cambiare anche una sola
virgola...
Ogni vostro commento sarà ben gradito...
Isi.