Lai dei Monti

di Delirious Rose
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b Prologo a

 

Con un fragore di legno spezzato, il manipolo di soldati sfondò la porta e si lanciò lungo la scala che si avvolgeva a spirale nel corpo della torre.

«Presto! Presto!» urlò un uomo, l’occhio sinistro nascosto da una benda sporca di sangue mezzo rappreso e che non copriva completamente la ferita. Delle frecce iniziarono a piovere su di loro, e lui ringhiò: «Alzate quei cazzo di scudi e proteggete la Sua Eccellentissima Signoria!»

L’ordine fu eseguito con qualche difficoltà, dovuta più allo scarso spazio che alla volontà dei soldati, eppure qualcuno riuscì a sollevare lo scudo su un cavaliere dall’armatura finemente decorata e dall’elmo forgiato come la testa di uno sparviero, che alzò appena il capo per valutare il numero dei nemici e la loro disposizione.

«Fin quando le guardie ci attaccheranno, saremo ancora in tempo. Ma una volta che quell’abominio avrà finito, sarà la fine per noi,» ringhiò abbastanza forte da essere sentito dai soldati che lo circondavano, quindi aggiunse con un grido: «Ricordate che l’Innominabile è mia! Per i Santi Gemelli ed Elanne!»

Quell’incitazione ebbe l’effetto sperato e, come un’onda di marea viva, gli uomini avanzarono con furia crescente. La lotta sulle scale si faceva più aspra con ogni scalino, ogni ballatoio guadagnato e quando riuscirono a raggiungere l’ultima rampa, una botola si aprì nel ripiano e dell’acqua bollente si riversò su di loro. Alcuni soldati urlarono per il dolore e, con un gesto repentino, l’uomo dall’occhio bendato spinse contro il muro il cavaliere, proteggendolo con il suo stesso corpo.

«Siamo ancora in tempo!» sibilò con una vena di gioia malsana nella voce.

L’altro esitò un attimo, cercando di trovare lo sguardo del suo signore dietro la visiera dell’elmo, senza riuscirci. «Vostra Eccellentissima Signoria, quella che volete compiere è un’empietà. Siete certo di voler…»

Un urlo quasi disumano gli fece morire le parole in gola, mentre schegge di legno e parti umane iniziarono a piovere su di loro. Un mostro d’uomo, dalla pelle piena di tagli e di un colorito innaturalmente verdastro stava distruggendo la botola a colpi d’ascia, incurante che nel processo si trovassero sotto i fendenti nemici o amici, e quando ritenne d’aver allargato sufficientemente l’apertura, s’issò nella stanza posta sulla sommità della torre.

«Andiamo, prima che Grodega mi rubi la mia preda!» ringhiò il cavaliere, scostando gli uomini dal suo cammino con dei gesti impazienti.

La maggior parte delle guardie presenti nella stanza era impegnata con l’uomo dalla pelle verdastra oppure giacevano in pozze di sangue vivo: il cavaliere ignorò quell’opera da macellaio e si diresse a passo spedito verso la tenda giallo oro che delimitava un’alcova, protetto da alcuni dei suoi uomini che lo avevano seguito.

«Non ti permetterò di avanzare oltre, Calliram Gabirai!» gli urlò un uomo sbucando da sotto la tenda e calando la propria spada su di lui. «Non ti lascerò torcere un solo capello alla mia cara Perinni!»

L’uomo dall’occhio bendato parò il fendente e lo ingaggiò in un duello.

«Avresti dovuto pensarci prima di rifiutare mia sorella per quell’abominio, Anchar re di Agrirani,» sogghignò in risposta, quasi sputando con disprezzo quelle ultime quattro parole mentre si toglieva l’elmo e alzava la propria spada sulla tenda.

La testa della levatrice rotolò via con uno sprazzo di sangue e il corpo si accasciò in avanti.

«Per i Santi Gemelli ed Elanne!» ripeté a pieni polmoni, mentre conficcava il proprio pugnale nel ventre della partoriente.

Quella che volete compiere è un’empietà, ripeté la voce del suo braccio destro mentre Calliram Gabirai colpiva di nuovo la donna al petto. Allontanò mentalmente quel pensiero, il viso altero deformato in un ghigno sadico: forse la bellezza esotica sbattuta dal travaglio avrebbe ingannato i più, ma non gli occhi, non quegli occhi così simili a quelli di un neonato. Perché Perinni di Agrirani aveva solo l’aspetto di donna ma non la natura. Perché Perinni di Agrirani era un’Innominabile, un abominio della peggior specie, che solo in quel momento – col ventre ancora gravido – poteva essere ucciso dalla lama o dal veleno, dall’acqua o dal fuoco, dalla terra o dall’aria.

Perinni di Agrirani lo fissò con gli occhi sgranati e gli strinse il polso con una forza inaspettata.

«Ti ammanti di propositi pii ma leggo nei tuoi occhi che sei qui per quel dono che spetterebbe alla mia progenie,» mormorò con una voce sottile e liquida, «per cui imprimi nella tua mente queste parole, Calliram di Vernolia.
«Due volte la tua lama ha affondato in un santo grembo, due volte hai peccato contro i tuoi stessi déi: possano tutte le tue speranze essere come germogli arsi dal gelo e come arbusti avvizziti dalla calura.»

«Non so che farmene delle tue bestemmie, abominio,» rispose lui squarciandole il petto.

E mentre la vita abbandonava Perinni di Agrirani, Sua Eccellentissima Signoria, Suurinos Calliram, calò il proprio sorriso sulla ferita e assaporò quel sangue empio che lo avrebbe protetto dalle lame e dai veleni dei suoi fratelli. Solo quel pugnale che stringeva nella destra, ormai, aveva il potere di porre fine ai suoi giorni, ma era suo e lo avrebbe distrutto.





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