Flashback (or not?)
"Every second's soaked in
sadness
Every weekend is a war
And I'm drowning in the déjà-vu
we've seen it all before."
Seen it all before, Bring
Me The Horizon
“Na-Nathalie?”
Un
ragazzo goffo e dinoccolato, in un
paio di pantaloni color cachi e una felpa spiegazzata lunga fino alle
ginocchia, mi venne incontro mentre uscivo dall’ufficio del
preside. Se c’era
una cosa che odiavo più dei discorsi di presentazione dei
responsabili nelle
scuola, quella era l’alunno, o l’alunna che fosse,
che mi affibbiavano come
guida turistica nel mio primo giorno di scuola, o meglio in uno dei
miei troppi primi giorni di scuola.
“Sì,
sono io.” Mormorai, senza
prestargli troppa attenzione, mentre cercavo tra il plico incipiente di
fogli
da firmare che avevo tra le braccia quello con gli orari.
“Io
sono Ben.”
Ben.
Chissà perché dovevano sempre
avere nomi scontati.
Sentendo
che non proseguiva, alzai sul
sguardo su di lui, e non appena incrociammo lo sguardo, lui divenne di
un
imbarazzante rosso pomodoro, “Devo … devo
accompagnarti all’aula della lezione
che hai ora.” Esclamò impacciato, dopo un lasso di
tempo che sembrò durare
qualche secolo.
Continuai
a fissarlo, in attesa di una
qualche annotazione aggiuntiva, ma lui restava zitto, la bocca
leggermente
spalancata e gli occhi dilatati, senza riuscire a scollarmi gli occhi
di dosso.
Sembrava
un chiaro segno divino del
fatto che avrei fatto meglio a starmene segregata in casa, come avevo
fatto
nell’ultimo anno. La verità, però,
è che mi sentivo sola. In tutto quel tempo,
i miei unici contatti con il mondo esterno erano stati il fattorino
della pizza
e quello del cinese, oltre a qualche compagnia casuale, pescata a caso
dal bar
sottocasa, per le notti in cui la solitudine era davvero insostenibile.
Soffocando tra quelle quattro mura, mi era sembrata una grande idea,
quella di
andare in qualche scuola lontana e remota, in un paese non troppo
grande, a
mischiarmi con i miei coetanei. Sarebbe stato sicuramente
meglio che vivere da eremita, anche se 'vivere' non era il termine
esatto.
Solo
che, vista la reazione di Ben, mi
chiesi istintivamente cosa ci fosse dopotutto di così
sbagliato nello stare
rinchiusa nell’attico a fissare il soffitto e origliare le
conversazioni
altrui, oltre a sapere a memoria tutti i film e le serie tv che fossero
mai
stati prodotte. Soprattutto rispetto ad un qualunque adolescente
brufoloso,
goffo, e visibilmente abbagliato da me. Ok, forse quello non era colpa
sua. Lo
spirito di persuasione estremo usato con il responsabile per
convincerlo ad
accettarmi nonostante le parecchie irregolarità nei miei
documenti, ancora mi
avvolgeva come un’aura, e sapevo che guardandolo non gli
semplificavo di certo
la vita. Ma per la miseria, doveva solo accompagnarmi in
un’aula e andarsene.
Probabilmente ce l’avrei fatta anche da sola, ma al di
là del solito fastidio
era divertente vederlo tentennare alla ricerca di un vocabolario
pressoché
capibile.
Finalmente,
si riprese. Trasformando
il rosso pomodoro del suo viso in un viola melanzana, mi fece segno con
il
braccio di seguirlo.
Sospirai
di sollievo, mentre mi
accodavo al suo passo caracollante nei corridoi ampi della
McShort’s School,
rimuginando su me stessa e chiedendomi cosa ci fosse di sbagliato e
tanto
masochista nel mio cervello. Mentre passavo accanto a tutti quegli
studenti
accalcati, percependo fin troppo chiaramente il calore della loro
pelle, mi si
affollavano alla mente tutti i motivi per cui l’anno prima
l’idea della
reclusione mi era parsa così buona e sensata, andando a
oscurare quelli che mi
avevano spinta a fare un altro tentativo. Convivevo con il mio segreto
da
troppo tempo ormai per pensare ingenuamente che sarebbe stato facile
fingermi
come tutti gli altri, nonostante gli innumerevoli anni di pratica, e
sapevo che
mi ero praticamente puntata una pistola alla tempia da sola. Non avevo
problemi
a fingermi timida e dimessa, ma il mio aspetto non passava inosservato.
Non lo
faceva mai. Fissavano i miei lunghi capelli corvini e ribelli, i miei
occhi
neri, in cui non si riusciva a vedere l’iride, le mie labbra
carnose e il corpo
perfetto. Vedevano in me la bellezza ideale e non riuscivano a non
guardarmi (o
almeno non avevo ancora incontrato nessun umano che resistesse anche
solo al
dare un’occhiatina.) O mi invidiavano o mi amavano alla
follia, fino a
diventare molesti e insopportabili in entrambi i casi. Mi vedevano
minuta e
fragile, ignorando le mie capacità e quanto in
realtà fossi poco
vulnerabile. La loro stupidità mista ad ingenuità
mi faceva tenerezza, ma difficilmente
sopportavo a lungo la pressione che queste situazioni sviluppavano nei
miei
confronti. Ad un certo punto capivo di essere giunta al limite,
smettevo di
frequentare la scuola, tagliavo i pochi ponti creati e ricominciavo da
zero,
cancellando completamente le mie tracce. Sapevo che c’era
gente che avrebbe
pagato per essere al mio posto, ma a volte desideravo solo essere
normale e non
aver addosso il macigno di un segreto che non avrei mai potuto rivelare
a
nessuno. La prima volta che qualcuno ne era stato a conoscenza era
stata anche
l’ultima, oltre a segnare drasticamente la fine della mia
vita e l’inizio di
questa, che era molto più simile ad una sopravvivenza.
Fortunatamente mi resi
conto di quale brutta piega stesse prendendo la mia mente giusto un
attimo
prima che il volto dei miei genitori vi irrompesse, portando con
sé i ricordi
che avevo dell’ultima volta che li avevo visti, prima che
finisse tutto.
Mi
scrollai di dosso all’istante quei pensieri troppo dolorosi,
cercando di
scorgere Ben in mezzo alla massa che mi circondava, e ringraziando il
cielo
quando riconobbi la sua testa arruffata e la sua falcata. Le sue gambe
lunghe
gli permettevano un passo molto più spedito del mio, oltre
al fatto che nemmeno
si girava a guardarmi, cercando di portare a termine la sua impresa
senza farsi
distrarre da me. In fin dei conti questo gli faceva onore e, in minima
parte,
alzava la mia stima nei suoi confronti, rispetto
all’imbarazzante gaffe di poco
prima.
Questo,
insieme all’inesorabilità di
ciò che avevo scelto di subire, mi fece sperare che magari
questa volta sarebbe
stata quella buona. Anche se, più che una speranza, nella
mia testa suonava
molto più come una preghiera.
Non mi sembra ancora vero di
essere riuscita a pubblicare il primo capitolo di questa storia su EFP.
Unicorni, lettori, lettrici, gatti, potterhead, tributes,
fan-di-qualsiasi-fandom, se vi va potete lasciare un commento per farmi
capire se vi piace, vi ispira, se c'è qualcosa che
cambiereste ecc.. qualsiasi idea è ben accetta e
probabilmente vi amerei tanto tanto! (ovviamente per chi lo fa
c'è in premio un biscotto virtuale lol)
Sperando che vi piaccia, vi abbraccio tutti fortissimo.
Al prossimo capitolo (che prometto sarà più lungo)
S.
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