Luce e ombra

di Maiwe
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Infinite volte, nella sua lunga vita, aveva ripensato a quella storia: un principe, per le sue malefatte, veniva trasformato in bestia, l'aspetto sfigurato, ridotto a un'ombra. Ma la storia, lo sapeva, finiva sempre bene: il principe riusciva infine a farsi amare per ciò che era, e l'incantesimo veniva spezzato.

Thranduil amava i lunghi pomeriggi di sole, e le pallide mattine di luce cristallina, quando il gelo ancora attanagliava la terra ma, nell'aria, si potevano già percepire i profumi di un'acerba primavera. Thranduil amava il calore del sole sulla pelle. Occhi chiusi, cercava sempre di assaporarne ogni singolo raggio, assorbirlo, farlo suo.

Thranduil ricordava lunghi pomeriggi sereni, in pace. Una pace breve, ma piacevole. Dorata. Solare.

Poi la guerra era tornata, con le sue spire. Era tornata senza mai essersene davvero andata. E aveva avvolto tutto.

Non c'erano state più corse tra gli alberi, nella luce dorata, per molto tempo. C'era stato il buio, e c'erano state nuvole, e l'aria era da allora densa e fredda, tagliente. Nuvole rosse, all'orizzonte, parevano fatte di terrore, e di rabbia.

Il principe ricordava quell'ultima volta, giù al fiume. Una corsa spensierata.

Un bacio, sulla fronte, per benedizione, un bacio sulle palpebre chiuse.

Era calato il buio, da allora.

Gli alberi erano avvizziti, gli occhi si erano chiusi e il freddo aveva regnato sovrano, proprio là, proprio sotto gli occhi, dove l'incantesimo per i troppi peccati – o forse per la troppa gioia - aveva tramutato il principe in bestia, un demone di fuoco in un regno di alberi.

Il grande re si nascondeva nell'ombra e sapeva di non appartenere più alla luce.

Luce era solo lei, giù al fiume, che rideva, sotto al sole.

Luce era il grande serpente figlio della guerra.

Luce era il sorriso di quel bambino dai capelli scuri come la madre e il volto del padre, quel bambino serrato dentro i grandi cancelli di pietra.

Il grande re non apparteneva all'ombra, ma l'ombra apparteneva ormai da tempo al grande re.






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