Seven Notes

di the spirit eater
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I capelli bianchi mossi dalla brezza del vento seguivano moti ondulati e armoniosi.

Sembrava che quella sagoma stesse per diventare cenere spargendosi delicatamente nell'aria, ispirava fragilità al solo sguardo.

Kaworu Nagisa camminava lentamente, aveva appena parlato con Gendo Ikari. Quello era un uomo veramente affascinante, era stato di poche parole: gli aveva spiegato il motivo per cui lui era lì, avrebbe dovuto incontrare Ikari Shinji, finalmente.

Procedeva senza mutare la sua andatura in quella struttura colorata dal rosso del Third Impact.

Una piccola pianta di fiori bianchi come la neve si era fatta strada tra i lastroni di pietra di quello che un tempo era il Geo Front.

Kaworu si chinò per guardarli meglio: erano fragili, delicati. Provò a stringerli con la mano: una volta riaperto il palmo i petali caddero a terra...Com'era debole, proprio come tutti quegli esseri umani, proprio come lui che era il primo angelo ed era stato soggiogato dagli umani. Lui lo sapeva ma non riusciva a ribellarsi, voleva quel destino, voleva che tutto quello accadesse.

Aspettava di crescere come quella pianta perché un giorno Shinji potesse venire a coglierlo per farlo appassire, per portare la sua missione a compimento.

Un altro debole filo di vento gli mosse i capelli.

Guidato dal suo solo istinto arrivò ad una sala dove vi erano solo un pianoforte ed un albero.

Kaworu dovette trattenere la sua contentezza: conosceva una miriade di brani, doveva solo decidere quale eseguire.

Si avvicinò allo strumento guardando l'arbusto che vi cresceva vicino: le foglie erano verdi, vitali, forti; il tronco era fragile e le radici affondavano nel cemento.

Era ormai a pochi centimetri dall'oggetto del suo desiderio: i tasti bianchi come la sua pelle lo invitavano ad essere toccati, consumati, rovinati.

Nagisa si sedette sul cavalletto, guardò il cielo: ila luminosità del sole gli bruciava gli occhi ma per quante lacrime versasse il ragazzo non intendeva distogliere lo sguardo da qualcosa di così maestoso.

Senza guardare la tastiera fece rovinare un dito sul piano, mentre una lacrima si staccava dal suo mento per infrangersi sulla nera superficie di un tasto.

La prima nota che suonò fu un do.





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