Capitolo 7
All is violent,
all is bright
“Eccoti, finalmente”.
La voce di Andromeda sopraggiunse alle sue spalle, sottile e discreta, prima
ancora che l’eco soffice dei suoi passi la preannunciasse.
Sirius si voltò di soprassalto, piegando istintivamente a metà la pergamena che
aveva tra le mani. La piuma gli scivolò dalle dita e cadendo a terra gli macchiò
la camicia d’inchiostro.
“Dannazione” imprecò, scendendo con un balzo dal tavolaccio di legno dove si era
rifugiato.
Dromeda sorrise affettuosa e lui si sentì in colpa. Nel palmo destro, nascoste
per bene, stavano le parole che non aveva avuto il coraggio di dirle e che,
invece, presto sarebbero state lette da James.
“Credo che anche Meda mi abbia abbandonato”. L’aveva scritto sorridendo tra
se e se, amaramente: ora, davanti a lei, gli sembrò una frase infinitamente
patetica. L’avrebbe cancellata e riscritta da capo.
“Che ci fai qui? Fa un caldo infernale” disse lei, ignorando gentilmente il suo
disagio.
“Sì, beh… stavo evitando…”.
“L’invasione nemica?” lo aiutò Meda, superando la soglia della serra e
addentrandosi nella cappa umida e soffocante che permeava l’ambiente.
Indossava un abito da sera, blu notte, tempestato di preziosi lungo la
scollatura generosa, e aveva i capelli raccolti in un’acconciatura morbida, da
adulta. Era bellissima ma vederla così perfettamente composta, l’ulteriore
elemento in sintonia con lo sfondo del quadro, fece sentire Sirius braccato,
isolato. Distolse lo sguardo dal suo, raccolse la piuma da terra e infilò la
pergamena in tasca, accartocciandola.
“Già” replicò, muovendo due passi nella sua direzione “comunque, stavo per
andarmene”.
“Certo” disse lei, senza mostrare intenzione di liberare l’uscita.
Sirius si fermò prima di arrivarle troppo vicino e tentò di evitare i suoi
occhi, soffermandosi in modo impacciato sul grande coleottero che camminava
lungo il vetro alla sua sinistra, sul grosso fiore carnivoro schiuso ai suoi
piedi, sul gioco di luci aranciate e rossastre che il tramonto proiettava nel
cielo.
“Sirius” il richiamo di Andromeda fu deciso e implacabile.
“Cosa c’è?” sospirò lui, sconfitto.
“Perché mi eviti?” gli chiese, diretta.
Stava per ribattere che non era affatto così, mentendo spudoratamente, ma lo
sguardo di sua cugina lo sondò e lo mise in guardia. Sirius non riuscì a placare
l’insofferenza e ritornò sui suoi passi.
“Somigli a Bella conciata così, sai?” disse, tagliente.
“Non hai risposto alla mia domanda” disse Meda, indifferente alla sua
provocazione.
“Oh sì, invece, l’ho appena fatto” Sirius incrociò le braccia al petto e sollevò
il mento con aria di sfida “Guardati. Sembri il prodotto perfetto del percorso
di indottrinamento Purosangue. Dovrebbero brevettare il metodo, a questo punto”.
Provò a esibire uno dei suoi sorrisi strafottenti ma il tentativo fallì ed ebbe
improvvisamente paura.
“Con te sembra non aver funzionato, però” ribatté lei, tranquillamente.
“Walburga avrebbe dovuto prendere lezioni dalla tua carissima madre. Potresti
suggerirglielo: chissà che non venga anche a lei la brillante idea di combinarmi
un matrimonio. A proposito, ti ha già comunicato il nome del tuo futuro?”.
“Non iniziare, Sir, per favore…” pregò Dromeda, alzando debolmente una mano nel
tentativo di placare la sua rabbia.
Forse quel gesto lo fece infuriare ancora di più, gli fece venire voglia di
ferirla, in profondità.
“Punto su Rosier. Insieme ve la spasserete” disse, misurando la voce “Certo,
dovrai smetterla di andartene in giro insieme ai tuoi amichetti Babbanofili,
fingendoti la nobile sovversiva che non sei mai stata. Evan mi sembra un tipo un
tantino integralista, quindi, fossi in te, sorvolerei sulle scopate clandestine
nel club dei Mezzosangue”.
Andromeda gli fu di fronte in un attimo e… Merlino, lo schiaffo gli arrivò
diritto in viso come una sferzata.
Le afferrò il polso colpevole e lo strinse a lungo, soverchiato dal rancore e
dalla vergogna per quello che era appena successo, per le parole che gli erano
appena uscite di bocca. Lei lo fissava, le guance pallide e lo sguardo di
pietra.
“Diamine, Sirius” mormorò, divincolandosi dalla sua presa con uno strattone
“Come fai a dire certe cose?”.
Avrebbe voluto rimanere in silenzio per il prossimo secolo e piantarla di
sentirsi indifeso anche in quel momento. La superava di una testa in altezza e
sapeva che avrebbe potuto sollevarla, spostarla da lì, se avesse voluto, ma non
ne aveva la forza emotiva.
“Non eri tu la brava bambina dell’altro giorno? Quella che si è cambiata in
tutta fretta per accogliere suo padre? E i tuoi bei vestiti Babbani, che fine
hanno fatto?” sussurrò, inclinando il capo e lasciando che i capelli gli
oscurassero il campo visivo.
“Non è così semplice” disse lei.
“Certo che lo è. Io ero solo”.
Come avrebbe potuto realmente spiegarle cosa aveva provato? Il desiderio intenso
di spartire con qualcuno la sensazione annientante di rifiuto, la condanna, il
disgusto profondo, che dagli occhi dei suoi genitori gli erano stati scagliati
addosso come sassi. Non era più in grado di accusare il colpo e si odiava per
questo.
“Cosa vuoi che faccia? Una sorta di dichiarazione?” chiese Meda, esasperata “Le
tue idee ti lampeggiano in fronte dal giorno in cui sei stato Smistato. Non vale
lo stesso, per me, e lo sai. Certe cose le ho capite davvero solo da pochi anni.
Alcune addirittura in questi giorni… ti prego, dammi tempo. Ho ancora bisogno di
un ultimo momento in compagnia della mia famiglia, voglio fingere che vada tutto
bene, ancora per un momento. Non trattarmi così”.
“Cos’è, una specie di commedia, per te?” disse Sirius.
“Sì” annuì sua cugina “Ho bisogno di continuare a fingere e potrò farlo ancora
per poco. Puoi aspettarmi?”.
Ritrovò il coraggio di guardarla e se ne pentì subito. Bastò la sua prima
occhiata per piegare definitivamente gli istinti bellicosi che, una manciata di
minuti prima, l’avevano spinto a esplodere.
Andromeda lo rinchiuse in un abbraccio stretto, posando la fronte sul suo
torace, proprio vicino al cuore.
“Ti prego, non dire mai più le cose che hai detto” sospirò.
“Scusa” disse Sirius, stringendole le spalle magre “Io… non so cosa mi sia
preso, è che questi giorni sono stati così… estenuanti”.
Lei scosse la testa contro la sua camicia.
“Lo so. Avresti dovuto parlarne con me, invece di evitarmi. Dove hai dormito?
Sono venuta a cercarti nella tua stanza tutte le notti”.
Sirius ingoiò a vuoto.
“Un po’ qui, un po’ lì. Scusa”.
“Ci sarai, questa sera? Ho bisogno di te” disse Meda, ricomponendosi.
Aveva gli occhi un po’ lucidi ma lui finse di non accorgersene.
“Ho già la nausea” mormorò in riposta.
“Devi salvarmi dalle ascelle tossiche di Mulciber: all’ultimo ballo ho dovuto
Affatturarlo per togliermelo dai piedi e non ha gradito” disse lei, implorante.
“Lo farò. Ma me ne pentirò e dovrò bere molto, molto, per dimenticare”.
“Ti innaffierò di Whiskey Incendiario. Ora dobbiamo solo rimediarti un completo
decente”.
Andromeda lo prese per una mano e lo trascinò via di gran carriera. Sirius non
si accorse che la lettera indirizzata a James era scivolata dalla sua tasca e,
distratto, la dimenticò.
“E questa a cosa servirebbe?”.
Andromeda gli stava porgendo una sontuosa maschera veneziana, argentata.
“È una festa in maschera” gli rispose, rifilandogliela a tradimento “Un’idea
geniale di mia madre, suppongo”.
Sirius la guardò riemergere dal suo baule con indosso una delicata mascherina
grigia, che le copriva occhi e naso, lasciando esposta la bocca carnosa.
“Dovrei metterla in faccia?” le chiese, disgustato.
“Sono certa che sapresti farne un uso più fantasioso” rispose lei, aiutandolo a
legare il nastro dietro la nuca “Comunque per iniziare credo che vada bene la
faccia”.
“Sono sempre più elettrizzato” ringhiò Sirius.
Dalle fessure incise in corrispondenza degli occhi riusciva ad avere una buona
visuale.
“Puoi premere qui e farla Evanescere, se vuoi” gli mostrò Dromeda, sfiorandosi
una tempia.
La maschera si dissolse e riapparve solo a un secondo tocco.
“Sto per svenire dalla meraviglia” disse, laconico “Quanto avranno speso i tuoi
per questa follia?”.
“Aspetta di vedere il matrimonio” rispose sua cugina, sistemando il corsetto
sotto il seno “Andiamo?”.
Sirius le porse il braccio, un momento prima che Meda Smaterializzasse entrambi
nell’ampio Giardino Est.
La prima impressione che lo colpì fu di essere stato catapultato in un festino
Serpeverde decisamente sopra le righe. Eleganti lanterne verdi galleggiavano fra
i presenti, intenti a chiacchierare in piccoli gruppi e a bere abbondantemente
dai flute Incantati che anche Walburga amava esibire agli eventi, eredità di
qualche antenato megalomane. Druella aveva rispolverato le anticaglie di
famiglia e tra queste erano compresi diversi parenti lontani. I gioielli delle
nuove generazioni Purosangue si aggiravano impettiti tra i grandi gazebo eretti
sui terrazzati ai piedi di Englefield House, stando ben attenti a non eccedere
sia nel bere che nel mangiare: il momento più opportuno sarebbe arrivato e
allora tutti avrebbero dato il meglio in entrambe le attività. Sirius intercettò
con lo sguardo un paio di elementi veramente sgraditi ai margini della pista da
ballo e spinse con decisione Andromeda verso le scale.
“Che te ne pare? Il party soddisfa le tue aspettative?” gli chiese lei.
“Metà delle persone che ho riconosciuto mi Schianterebbero volentieri anche in
mezzo alla folla. L’altra metà mi eliminerebbe dietro a un cespuglio” rispose
Sirius, esibendo un sorriso.
“Oh, non gongolarti così. Di certo neppure io sono l’ospite d’onore della
serata” ribatté Meda, guidandolo verso uno dei gazebo velati.
“Sì ma vedi, tu sei una donna. Le tette inducono all’indulgenza anche il nemico
più accanito” le spiegò con tono scientifico Sirius.
Dromeda esplose in una risata che fece voltare un paio di Streghe incipriate e
lui ne approfittò per rimediare un paio di calici dal lungo tavolo al quale
erano serviti.
“Non sapevo di questo arcano potere” disse Meda, accettando di buon grado
l’iniziativa.
“Me l’hai insegnato tu: le tette sono la chiave di tutto. Ti prego di notare la
poesia di questa affermazione”.
“Mi sei mancato” disse lei, a bruciapelo.
“Anche tu” disse Sirius “propongo un brindisi speciale tra noi due: alle tette!
Le tue e quelle di qualunque altra fanciulla presente a questo tremendo evento”.
Avevano appena fatto tintinnare i cristalli, quando la voce di Orion distolse
bruscamente la loro attenzione dal fondo dei flute.
“Mi spiace dover infrangere questa parentesi tanto elegante” disse suo padre,
gelido “Ti stavo cercando”.
Sirius nascose il fastidio dietro un’altra maschera ben collaudata e più
resistente: l’indifferenza.
“Eccomi, dunque” ribatté.
“Volevo pregarti di risparmiare alla nostra famiglia e ai nostri ospiti gli
imbarazzi che deriverebbero da una condotta inappropriata. Non intendo mostrarmi
tollerante a idee balzane di nessun tipo”.
Sirius lo degnò di una vaga occhiata e scrollò le spalle.
“Certamente, padre. Sarò l’invitato meno sconveniente della festa, te lo
prometto. Anche perché un paio di degni eredi concorrono al titolo più
vigorosamente di me. Il cugino Rosier sarà almeno all’ottavo bicchiere di
champagne. I flute Incantati sono la trovata più sensata di questa sera”.
Suo padre si limitò ad arricciare le labbra, senza dargli la soddisfazione si
spostare lo sguardo. Sirius sapeva che, dopo un paio di convenevoli
accuratamente studiati per distogliere l’attenzione, avrebbe redarguito anche
Evan.
“Non costringermi a prendere provvedimenti” minacciò, prima di allontanarsi
“Buon proseguimento, Andromeda”.
Sua cugina rispose con un cenno del capo e Orion si dileguò tra la gente facendo
svolazzare il lungo mantello.
“Per Merlino… mia madre deve averla infilata bene e a fondo quella scopa”
sospirò Sirius.
Andromeda rise e qualche goccia alcolica le finì sul mento, mentre, in basso,
l’orchestra iniziava a suonare un motivetto vivace.
“Ti prego, andiamo a ballare” gli disse.
Seguendo Meda incrociò Malfoy, intento a braccare con lo sguardo Narcissa,
l’inconfondibile chioma abbandonata sensualmente lungo la schiena pallida. Non
vi era traccia, invece, della fidanzatina dell’anno. Sirius soffocò le sue
domande e anche la dignità in uno swing agitato.
*
Bella aveva fatto la brava. Aveva accettato gli auguri di chiunque con un bel
sorriso sulle labbra, aveva sopportato le interminabili chiacchiere sull’anello
di fidanzamento – le doleva il dito, per quante volte zie o semi-sconosciute le
avevano artigliato il cimelio di famiglia con aria avida -, sull’abito, sui
preparativi. Aveva perfino tollerato le attenzioni del vecchio Lestrange e le
sue ciance senza senso sulle presunte qualità del futuro sposo. Contro ogni suo
istinto, sulla scia di un paio di bicchieri ricolmi di Ogden’s Old consumati al
sicuro nella sua stanza, aveva finto intimità con Rodolphus, permettendogli di
stringerle la mano e baciarla sulle guance. Quando le mani di lui erano
affondate nei suoi capelli, tuttavia, non era riuscita a non allontanarsi,
fingendo di dover salutare un’ospite muffita. Sua madre aveva fatto spuntare
invitati da ogni dove e gran parte dei presenti Bella non ricordava di averli
mai visti in vita sua. Tutti, in compenso, conoscevano lei: anche perché Druella
le aveva impedito di indossare la maschera. Un particolare che contribuiva a
farla sentire nuda di fronte a un esercito infinito di ospiti. A notte inoltrata
le doleva la testa per il continuo frastuono dell’orchestra e i piedi, infilati
a forza in un paio di scarpe di un numero più piccolo – per rendere il piede più
grazioso, come le aveva detto sua madre – sembravano andare a fuoco. Nessuno
avrebbe visto i suoi piedi, sotterrati dai metri di stoffa della gonna ampia, e
nessuno avrebbe più visto lei, una volta che le sarebbe stato permesso di
mettere la sua maschera.
Rodolphus seguitava a starle addosso, fiutandola come un segugio anche quando
tentava di perdersi tra la folla. La sua presenza rendeva l’aria calda e pesante
dell’estate ancora più irrespirabile.
“È il momento di un bel ballo” le disse a un certo punto, scovandola riparata
dai veli del gazebo.
“Io non ballo” replicò Bella, bruscamente.
Lui rimase spiazzato dal tono, in un primo momento, poi pronunciò le parole
magiche.
“Tua madre ha detto che l’avresti detto. E ha detto di dirti che nessuna buona
moglie rifiuta un ballo al proprio marito” disse, senza nascondere la bieca
soddisfazione.
Bella avrebbe voluto lasciarsi andare a una crisi isterica senza precedenti,
strapparsi di dosso l’abito e quegli stupidi tacchi. Invece, ingoiò l’ennesimo
boccone amaro della serata, stupendosi della sua stessa arrendevolezza.
“Va bene. Permettimi di sottolineare che non siamo ancora né marito né moglie”
disse, gelida, porgendogli la mano.
L’aria tronfia di Rodolphus non fu scalfita dalla sua osservazione.
“Considerala un’esercitazione. Più tardi potremmo fare qualche altro genere di
prove” rispose.
Bella sfiorò la tempia, nascondendo finalmente la sua umiliazione.
Lui la trascinò in pista come una bambola di pezza, la strinse, troppo a tratti,
la fece volteggiare e poi la riportò contro di sé, ribadendo con ogni gesto,
ogni dito impresso sulla sua vita, che ormai lei era una cosa sua. Lei
chiuse gli occhi più volte, dietro la maschera, immaginando di non essere
realmente lì ma altrove. Era un trucco che funzionava sempre quando, da piccola,
Druella la riprendeva per il portamento. “Per Salazar, Bellatrix, sembri un
elefante zoppo”. Quando Rodolphus fece scivolare la mano destra oltre il
confine del suo bacino e poi più giù, chiudere gli occhi non fu sufficiente.
L’orchestra ripartì provvidenzialmente con un ritmo sfrenato e tutti si
disposero per lo scambio delle coppie. Bella approfittò della confusione per
sfuggirgli e rifugiarsi ai margini della pista. Facendo vagare lo sguardo per
evitare di essere scoperta un’ennesima volta intercettò Andromeda e nella mente
le si fece largo un’idea disperata.
Afferrò la sorella per un braccio e la trascinò fuori dal cerchio.
“Bella! Sei impazzita?” esclamò Meda, tentando di mantenere l’equilibrio.
“Scambiamoci le maschere” sibilò immediatamente Bella, slegando la sua in fretta
e furia.
“Perché? Bella, per favore, cosa stai facendo?” mormorò Dromeda, prendendola per
una spalla.
“Non ce la faccio, non ce la faccio” soffocò un singhiozzo ma la voce rimase
tremante “Per favore balla un poco con lui”.
Meda toccò la tempia e fece riaffiorare i suoi occhi, spalancati dalla sorpresa.
“Non posso, se ne accorgerà” rispose, sconcertata.
“Sì che puoi. È praticamente buio, non distinguerà neppure il colore dei
vestiti. Ti supplico, Meda”.
Forse fu la sua aria sconvolta a convincerla, forse la sua preghiera: Bella non
l’avrebbe mai saputo.
Andromeda sfilò la maschera argentata e gliela porse, ottenendo in cambio la
sua, nera come la notte.
Non riuscì a ringraziarla, perché Meda si dileguò in un istante. Poi, prima che
potesse anche solo pensare a quello che sarebbe successo, qualcuno le si
precipitò addosso. Lo sconosciuto le afferrò una mano e la riportò in pista,
scaraventandola tra la folla con una risata.
Quando la prese per la vita e la strinse a sé, il cuore di Bella saltò a piè
pari un battito.
“Sono ubriaco e, esclusivamente per questo, mi sto divertendo” le disse
all’orecchio.
Sirius.
Aveva fatto un passo avventato ed era precipitata nel baratro.
Tentò di sciogliere il corpo ma non ci riuscì.
“Sei stanca?” le chiese lui, allontanandosi un poco e guardandola diritto in
viso.
Se ne sarebbe accorto.
Se ne sarebbe accorto!
Bella scosse la testa vigorosamente.
L’orchestra spiazzò tutti con un lento melenso lanciato senza preavviso.
“Oh bene, puoi riposarti!” disse Sirius, rallentando gradualmente il ritmo.
La musica era così alta che anche lui non parlò più, limitandosi a cullarla, una
mano salda sulla sua schiena. Bella provò a controllare il respiro. Era, forse,
la notte peggiore della sua vita.
Dall’altro lato della pista, intercettò Meda intenta a gestire le attenzioni
pressanti di Rodolphus al suo posto e la sua mente ritornò alla conversazione
che avevano avuto pochi giorni prima. Come aveva potuto accettare una follia
simile? Si sarebbe spezzata in due e sarebbe successo da un momento all’altro.
Quando Sirius volteggiò per evitare una coppia barcollante, Bella finì con il
capo contro il suo petto.
Aveva lo stesso odore di quando era bambino. Perfettamente identico a quello dei
giorni in cui Bella ricordava di essere stata autenticamente felice. Quel
pensiero la fece sentire debole.
“Andiamo, hai bisogno di riprenderti” disse lui, premuroso.
Tenendola per una mano, la guidò lontano dalla musica, seguendo un sentiero
preciso che tagliava a metà il Giardino Est, fino alla serra.
I sensi di Bella urlavano il comando di scappare, il prima possibile, senza
preavviso. Ma le sue gambe rifiutavano di obbedire.
Superarono la serra, arrivarono al Giardino Sud e Sirius le cedette il passo,
facendola camminare davanti a lui.
Anche lì svolazzavano alcune lanterne, sfuggite ai festeggiamenti come loro.
“Perché lo stai facendo?” quella domanda le gelò il sangue nelle vene.
Lui scivolò nuovamente di fronte a lei: la maschera era sparita.
“Perché fai questo, Bella?” disse, allungando le dita fino al suo viso,
sfiorandole la tempia.
Non rispose.
“Ti ho vista, l’altra mattina. Non so cosa credevo, magari che, per Merlino, non
fossi in te, come sempre” mormorò, incredulo, lui “Ma anche ora… Perché?”.
“Non lo so”.
Non era la sua voce, no. Era la voce gentile di qualcun altro. Dopotutto, quella
Bella, per lui, non era mai esistita.
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