-
Hai degli occhi che non ti ho visto mai.
E
poi
-
Se solo tu lo volessi, potresti salvarti.
[…]
Scivola
via da sotto il mantello e si alza, Elisewin. Con il
suo corpo da ragazzina, nudo, e addosso il tepore di tutta una notte. Raccoglie
i suoi vestiti e si avvicina ai vetri. Il mondo di fuori è sempre là. Puoi fare
qualsiasi cosa ma stai certo che te lo ritrovi al suo posto, sempre.
da “Oceano Mare” di Alessandro Baricco.
Still a little bit
delirious
Forse non sai quel che darei
Perché tu sia felice
Piangi lacrime di aria
Lacrime invisibili
Che solamente gli angeli
San portar via
Ma cambierà stagione
Ci saranno nuove rose
Hiashi
Hyuuga misurava la stanza con sguardo indecifrabile, spostando gli occhi
bianchi a destra e a sinistra, continuamente.
Era
nervoso, e questo Neji poteva dedurlo dal modo in cui le dita si contraevano
sulle braccia, creando pieghe irregolari nel kimono chiaro, e da una minuscola,
quasi invisibile, ruga tra le sopracciglia, che gli scavava appena la fronte.
Hanabi,
invece, faceva trapelare il suo disprezzo, incapace di nasconderlo.
Non
era mai stata brava a celare i suoi sentimenti, la stizza, l’invidia.
Era
una ragazzina cresciuta precocemente, senza maschere, non per naturale indole
di sincerità ma per crudeltà. Un gesto, un atteggiamento, un’espressione, gli
occhi stessi potevano essere fatali senza bisogno di parole e, sapendolo,
Hanabi digrignava la bocca e sputava silenziosamente le sue sentenze nefaste su
tutto il (loro) mondo (costruito su scivoloso candore).
Attendevano
tutti e tre il ritorno dell’Hokage, ciascuno in modi differenti. Hiashi
compostamente seduto dietro la scrivania bianca, Hanabi in piedi vicino al
padre, il peso caricato sul braccio destro poggiato sul tavolo.
Neji
aveva scelto di rimanere in piedi vicino all’uscio, impeccabilmente ritto
accanto alla porta, il mento alto e gli occhi illeggibili, appena appannati di
stanchezza. Era da un’ora ormai, che si trovava eretto rigidamente con la
compagnia silenziosa dei due Hyuuga, e le gambe intorpidite cominciavano a
dolergli.
Ma
non si sarebbe mosso mai da lì, per
orgoglio e sfida.
(Non chinerò mai il capo.
Non mostrerò mai a loro i
miei sentimenti. Mai.)
Il
rumore del pannello di carta di riso lo ridestò dai suoi pensieri e si concesse
di abbassare appena il volto, scorgendo il profilo asettico e flemmatico del
nuovo Hokage invadere la stanza bianca, colorandola con i crini dorati che
dondolavano, divisi in due, sul seno sproporzionato.
<<
Allora? >> domandò subito Hiashi, le mani intrecciate sotto il mento e la
bocca chiusa in un’espressione austera, arrogante.
Tsunade
lo ignorò per un po’ e, dopo aver letto un’altra volta gli appunti che portava
tra le braccia scoperte, allungò il plico di fogli scritti con una grafia
sottile alla sua assistente, Shizune, apparsa qualche secondo dopo dietro la
maestra, il capo chinato in segno di rispetto. Nessuno degli Hyuuga presenti si
premurò di risponderle.
Le
dita di Hiashi si contrassero, altro segno di nervosismo.
(Non mi importerà mai nulla
al di fuori dell’onore del clan. Non mi lascerò mai mettere sotto da niente e
nessuno. Mai.)
Il
sopracciglio scuro di Neji si alzò verso l’alto e le labbra si strinsero
impercettibilmente, mentre immaginava le invettive contro l’Hokage del capoclan
a cena e l’orrore dei servi, che sarebbero stati disprezzati e strumento di
sfogo per l’ira repressa di Hiashi.
<<
Allora, Hokage-sama? Ha scoperto qualcosa? >>
La
donna alzò gli occhi color caramello e si scontrò con il byakugan vuoto di
Hiashi.
<<
Nulla. >> confessò infine, con lentezza.
Neji
avvertì l’aria farsi così fredda che respirandola gli doleva il petto, ma non
fece commenti, limitandosi a guardare Hiashi, sempre più criptico in volto, e
con la coda dell’occhio Hanabi, che aveva le labbra piegate all’insù in un
sorriso: un’espressione inconsueta e strana per lei, che stonava
incredibilmente sul suo viso duro e la faceva apparire grottesca.
Sembrava
che avesse assaggiato una mela acidula.
(La rappresentazione della
Discordia.)
<<
Si spieghi meglio, Hokage. >>
Tsunade
non distolse lo sguardo, nemmeno un attimo.
<<
Non ho trovato una cura. Non è un malore che si possa curare con il chakra, Hyuuga-san. Mi spiace dirvelo, ma non sono di nessuno aiuto
per vostra figlia Hinata. La sua guarigione dipende solo da lei. >>
La
risata perforante di Hanabi rimbalzò sulle pareti immacolate e rimbombò nelle
orecchie dei presenti, che si irrigidirono di colpo.
<<
Hinata non ha mai lottato per nulla! >> ululava, con disprezzo e ilarità.
<< Mai, mai! >>
(Non la perdonerò mai per
essere così infima. Non sarà mai degna di essere mia sorella. Mai.)
Tsunade
fece schioccare la lingua sul palato, con disapprovazione, e Shizune dietro di
lei strinse i fogli al petto con turbamento evidente in volto.
<<
Tsunade-sama…? >>
<<
Un attimo e ce ne andiamo da questa casa, Shizune. >> la tranquillizzò
l’Hokage con tono zuccherino, rassicurante come quello di una madre. << Hyuuga-san… voglio che monitori sua figlia e mi faccia un
rapporto del suo comportamento. >>
Hiashi
abbassò lo sguardo sulle carte e, prendendo tra le dita un pennino, appoggiò la
punta di metallo sulla carta e l’inchiostro si allargò nelle venature della
carta capillarmente.
<<
Quella non è mia figlia, non voglio
averci nulla a che fare. >>
La
risata di Hanabi, meno scrosciante ma ugualmente invadente, fu soffocata dalla
mano candida della ragazzina che coprì la bocca socchiusa, ma non gli occhi
bianchi che scintillavano crudeli.
Tsunade
non batté ciglio davanti a quell’affermazione.
<<
Allora ti ordino di farlo, come Hokage. >>
Hiashi
tentò di ferire la donna con un’occhiata carica di odio, ma Tsunade non
cedette, inflessibile.
<<
Ricorda che come ninja della Foglia mi devi obbedienza. >> gli rammentò
con durezza.
Hiashi
contrasse le dita, ancora, e la
risata di Hanabi, nello stesso istante, si fermò in un ghigno saccente.
<<
Lo ricordo bene. >> borbottò infine lo Hyuuga e tornò a compilare le sue
carte.
<<
Aspetto il rapporto. >>
<<
Glielo porterà Neji. >>
<<
Bene. Andiamo Shizune, il nostro compito è finito. >>
Mentre
le due donne scomparivano, Neji desiderò ardentemente raggiungere le sue
stanze, dove non c’era né l’espressione (folle)
di Hanabi né l’indifferenza (piena d’ira)
di Hiashi.
<<
Quell’ufficio è di un bianco accecante, sai Neji-niisan?
Credo impazzirei, là dentro. >>
*
Vorrei rinascere per te
E ricominciare insieme come se
Non sentissi più dolore
Ma tu hai tessuto sogni di cristallo
Troppo coraggiosi e fragili
Per morire adesso
Solo per un rimpianto
La
Casata Cadetta non faceva altro che bisbigliare alle spalle di Hiashi, e ciò lo
aveva reso parecchio irritabile e sottilmente più crudele nell’impartire gli
ordini.
Nel
giro di una settimana dalla visita dell’Hokage, il lavoro per i Cadetti si era
triplicato.
Con
la scusa della Primavera, Hiashi aveva ordinato il completo restauro e la
pulizia dell’intera tenuta, aveva mandato qualche Hyuuga a controllare i loro
terreni, catalogare i loro tesori, e una buona parte della Casata Principale si
trovava all’estero a commerciare, accompagnata dal proprio servitore.
Ma
questo non aveva fermato il cicaleccio.
Neji
sentiva i borbottii scontrosi dei compagni, da cui si era distanziato man mano
negli anni, preferendo alla collaborazione tra parenti una gloriosa solitudine.
Per molto tempo lo avevano insultato, definendolo “Il Privilegiato”, ma in quel
momento l’attenzione era rivolta ad altro.
Si
attendeva la crisi della Casata Principale, si preparava un’insurrezione.
Neji
lo sapeva e fremeva, inebriandosi del profumo fresco della libertà, mai stata
così vicina; tuttavia, c’era anche l’odore di sapone di Hinata-sama,
delicato e pulito, nelle sue memorie.
Non
riusciva a togliersi dalla mente il viso paffuto e dolce, la linea leziosa del
collo morbidamente reclinato verso la finestra, gli occhi pieni di luce rivolti
al giardino verde, dietro il vetro.
Se
non l’avesse vista più volte in presa a crisi nevrotiche, Neji avrebbe detto
che Hinata-sama era la creatura più simile ad una
ninfa che avesse mai visto.
Entrò
senza bussare nella stanza.
Giallo
girasole, verde-acqua, rosa antico e celeste si alternavano nelle pareti,
pitturate con cura quasi maniacale.
Neji
aveva assistito a quella trasformazione lenta: ricordava le scorse due
settimane passate in quel luogo con Hinata-sama, lei
che spalmava i colori accesi con insolita energia – quasi con disperazione –,
in piedi con titubanza sulla scala traballante di ferro, che lui tratteneva dal
sotto, facendo attenzione che l’erede Hyuuga non cadesse.
I
colori caldi con cui era tinta la stanza gli davano uno strano senso di
estraneità. Entrare in quella stanza era un po’ come affogare, dopo tutto il
bianco di villa Hyuuga.
Però
non si stava male; era come un neonato che, entrato in un mondo nuovo, prendeva
i primi dolorosi respiri, annaspando per abituarsi all’aria carica di ossigeno
– e vita.
Gli
trasmetteva una strana sensazione di tranquillità e famigliarità.
(La famiglia è bianca. Bianca.)
Hinata
era seduta con la schiena ben ritta davanti ad un pannello di carta ingiallita,
ben tirata, e osservava meditabonda la tavolozza di colori che teneva tra le
dita.
Esitò
per qualche secondo; poi intinse il pennello di peli di bue nella tempera verde
pistacchio e appoggiò il colore sulla carta, tracciando una lunga linea che
divideva al tela a metà. Mescolò il verde ad una tintura color zafferano, e
riempì di chiazze bicolore il quadrato, quasi febbrilmente.
Attorno
a lei, poggiati a terra in ordine cromatico, barattoli di tempera vivacizzavano
il pavimento coperto da cartone. Sulle pareti, alcuni quadri, altri a terra,
accatastati in un angolo.
<< Padre… vorrei acquistare un po’ di tintura. Per… dipingere. >>
<< Cosa?
>>
Hinata abbassò il
capo e si morse le labbra, ben nascosta dalla frangetta.
<< Vorrei… ci sono i quadri della mamma per casa e io pensavo
– >>
<< Non ho
bisogno di un’artista in casa. >>
<< Io –
>>
<< Non ha
sentito? >>
Hiashi la fissò con
disgusto, impegnandosi a rendere palese l’odio per quella timida richiesta.
Hanabi sorrise,
attorcigliandosi attorno ad un dito una ciocca di capelli scuri, soddisfatta.
Neji sull’uscio era
distante e bellissimo, immobile come un kuros greco.
<< Non voglio
artisti in casa. Stupidi pazzi sognatori… qui non ne
abbiamo bisogno. Sono stato chiaro? >>
La voce di Hinata
tremava.
<< S-sì. >>
<<
Hinata-sama. >>
Si
sforzò di tenere gli occhi bassi, in modo che lei non potesse vedere il
Byakugan.
(Nessuno specchio, nessuno
spicchio bianco. Nulla.)
Al
richiamo, lei girò appena il capo, e Neji osservò con la coda dell’occhio i
lunghi crini scuri cadere sulla spalla destra in un movimento lento, quasi
libidinoso.
Il
petto di Hinata si alzò e il suono di un sospiro gli arrivò alle orecchie.
Leggero
come quel respiro affranto. Ecco come si sentiva Neji in quella stanza. E un
po’ accaldato. Chissà perché.
(Poteva guardare solo il
corpo di Hinata. Era un supplizio – dolce – non poter alzare il capo.)
<<
Oh, Neji. >>
Seguì
la mano bianca di Hinata mentre appoggiava, in un bicchiere pieno d’acqua, il
pennello.
Seguì
i piedi piccoli, fasciati da garze ingrigite, appoggiarsi delicatamente sul
cartone e camminare verso di lui, le ginocchia piegarsi e il corpo di Hinata
ricadere con eleganza a terra, vicino ad una tinozza piena d’acqua.
Si
concesse di aprire gli occhi, Neji; sapeva bene che Hinata chiudeva le palpebre
per lavarsi, evitando i suoi occhi troppo, troppo
bianchi.
<< Eh? Vuoi
dire che mia sorella soffre di ‘albo-fobia’? >>
Hanabi rise davanti
al viso serio di Neji.
<< Che
grandissima stronzata! >>
<<
Come sta mio padre? E mia sorella? >>
Glielo
chiedeva sempre, con voce esile ma non più balbettante; Neji aveva pensato
seriamente che l’avesse persa chissà dove , la voce, e che ora Hinata cercasse
di imitare la parlata smarrita, fallendo.
Il
suono era totalmente diverso.
Tutto
era nuovo, in quella stanza, non vi era nulla di Hyuuga.
Oh,
già. Hinata non era una Hyuuga, secondo le parole di Hiashi.
Neji
osservò attentamente il volto tondo della ragazza, morbido ma immobile, quasi avesse
perso sensibilità. Però gli occhi sotto le palpebre tremavano, appena.
Neji
si rilassò impercettibilmente.
(Era ancora più forte di
lei.)
<<
Hiashi-sama sta rimettendo a posto la Tenuta, vostra
sorella invece si allena con me. Questo mi occupa più tempo del previsto, mi
spiace del ritardo, Hinata-sama. >>
<<
Fa nulla. >> gli rispose, ma deglutì a disagio.
Neji
lo notò, non bastava un metro di distanza perché entrambi non vedessero le
reazioni dell’altro, o le potessero immaginare.
Erano
così assuefatti della reciproca presenza in quel mondo colorato, che potevano
capirsi anche solo con un leggero movimento.
Il
rumore delle mani intinte nell’acqua riempì il silenzio accomodante.
Hinata
ruotò il busto e le gambe, e cominciò a strofinare uno straccio per pulire il
pennello. Neji la osservò a lungo, il volto nuovamente chino.
La trovò rinchiusa a
chiave nello studio.
L’ennesima
cattiveria di Hanabi, che in quel momento trotterellava per il giardino,
ridendo come un piccolo spirito maligno.
Hiashi non le
avrebbe mai detto nulla.
Neji fu costretto a
scardinare la porta, dietro cui si sentivano grida strazianti.
Quando entrò nello
studiolo, rimase pietrificato da quella visione, così distorta e sbagliata: Hinata si contorceva su se stessa, si
graffiava le braccia, completamente nuda, il kimono bianco buttato lontano e
stracciato, gridava come una donna in preda le doglie, di vero dolore, e
piangeva, Dio, piangeva come se stesse morendo, come se –
Hinata lo fissò
negli occhi, e si ammutolì di colpo.
Poi le lacrime le
rigarono nuovamente le guance e poi ancora grida, graffi, << Fermatevi Hinata-sama! >>, urla, << E’ tutto bianco Neji,
bianco, bianco! >>, piccoli pugni contro il suo petto, la stretta di un
abbraccio coraggioso, << E’ il nulla Neji, capisci? Tutto qui è sterile,
così sterile! >>, << Shh. State calma.
>>, i singhiozzi contro il suo petto, le unghie di Hinata nel collo e
Hiashi che li fissava attonito dallo stipite, il viso di Neji che diventava
marmo, e Hanabi con gli occhi spalancati, ardenti di invidia e –
Nulla.
Già. Nulla. Solo
bianco.
<<
È cambiato qualcosa? >>
Neji
sbatté le palpebre, e tentò di riprendersi dall’assalto caotico di pensieri,
sotto i quali stava soccombendo.
<<
Intendo, novità in famiglia? >>
<<
No, Hinata-sama. >>
Lei
sospirò, e appoggiò un pennello alla sua destra con lentezza.
<<
Nulla di nuovo? Nulla? Proprio nulla? >>
Era
quasi una richiesta irrequieta.
<<
No. >> Neji esitò per un attimo, e poi aggiunse: << Non cambierà mai nulla, Hinata-sama.
>>
Un
piccolo sorriso triste spezzò l’espressione immobile di Hinata, e le guance si
scavarono, morbide, dolci come mele.
(Frutto della Sapienza.)
La
tentazione di alzare il capo era tanta. Il mento imberbe di Neji si sollevò
appena, incerto se disubbidire o meno all’ordine di Hiashi di tenere sempre gli
occhi a terra, con Hinata.
Chissà
come appariva in quel momento Hinata.
(Bellissima e invitante, tu
lo sai. Se la mangi, saprai tutto, conoscerai. E farà male, ma poi, chissà,
magari il paradiso lo conquisti lo stesso, Neji. Magari hai assaggiato solo
l’inferno.)
<<
Sai quale parola non voglio pronunciare, Neji? >>
Lui
non rispose, ma chinò per la prima volta il capo volontariamente, per non guardare Hinata negli occhi d’un bianco
febbricitante.
<<
‘Mai’. Non vuoi sapere p-perché? >>
Notò
di sfuggita che Hinata aveva ripreso a balbettare.
<<
T-te lo d-dico lo s-stesso. ‘Mai’ è una p-parola che
s-spezza i s-s-sogni. >>
Fermati.
Il
capo di Neji si alzò con lentezza, con un movimento elegante e dosato.
Fermati.
Le
sue pupille vuote si scontrarono con le iridi tremanti di Hinata, lucide di
lacrime trattenute e pezzi di vetro che erano entrati dentro quegl’occhi
speranzosi, rendendoli apatici.*
Fermati, fermati, fermati.
<<
E per chi di sogni non ne ha, Hinata-sama? Cos’è il
‘mai’, per loro? >>
Hinata
scostò bruscamente il volto e lo porse verso uno dei quadri appesi alla parete,
osservando le macchie colorate, così verdi, così rosse, così vive.
Rabbrividiva
convulsamente, mentre una lacrima le rotolava lungo la guancia di marmo e, con
essa, usciva il pezzo di vetro che le aveva offuscato la mente.
<<
A loro non avevo pensato, Neji. >>
Lo
sussurrò così piano che lui fece fatica ad ascoltarla, o forse Hinata faceva
apposta a mormorare parole che potevano essere ambivalenti.
<<
Non ci avevo mai pensato. >>
Il
cuore di Neji batteva impazzito nel petto.
(Il ‘mai’ diventava per
Hinata una parola disillusa e vuota. Per chi, come loro, non aveva sogni.
No. Impossibile. Non lei.)
<<
Vai via per favore… Neji. >>
(Stava piangendo? E le
lacrime, dove sono Hinata?)
Il
giorno dopo, Hinata chiese all’Hokage una sistemazione nell’ospedale di Konoha.
Nel
clan Hyuuga non si parlò d’altro per tutto il giorno, definendo questa
decisione: ‘la più insana che potesse prendere
l’erede del Clan’.
Hiashi
rinnegò ancora una volta Hinata, trattenendo appena l’ira, Hanabi fremette
vistosamente di rabbia e invidia.
Neji,
invece, rimase nelle sue camere, aggrovigliandosi in una matasse di lenzuola
sudate e sogni fatti di occhi bianchi febbricitanti e mani che lo accarezzavano
teneramente, come quelle di un neonato che cerca il contatto.
*
Ci sarà
Dentro te e al di là
dell’orizzonte
Una piccola poesia
Ci sarà
O forse esiste già al di là
dell’orizzonte
Una poesia anche per te
<<
- lascerò la mia eredità a Neji, mi ci hai costretto. È colpa tua. >>
<<
Sì, padre. >>
<<
Devo pensare al bene del Clan, e a chi altri posso darlo se non a Neji?
Intelligente, talentuoso, razionale. Sarà un ottimo Capoclan. >>
<<
Sì, padre. >> Una pausa, esitante. << E Hanabi? >>
<<
Lei non riuscirebbe a gestire tutto… >>
<<
Sì, padre. >>
…
<<
Non sei mai stata mia figlia. >>
<<
Lo so… padre.
>>
Neji
si scostò dalla porta e disattivò il Byakugan. Hiashi aprì l’uscio in quell’istante,
uscendo dalla stanza di ospedale con un’espressione incolore.
<<
Arriverà Hanabi nel pomeriggio, vuole fare visita alla sor- a Hinata. >>
Neji
annuì rigidamente.
<<
Arrivederci, Neji. >>
<<
Sayonara, Hiashi-sama.
>>
Attese
che l’eco dei passi pesanti di Hiashi fosse soffocato dal silenzio del
corridoio dell’ospedale, spezzato occasionalmente da qualche grido dei pazienti
o dai passi affrettati delle infermiere; poi entrò a tenere compagnia a Hinata.
Lei
guardava come sempre verso la finestra, forse voleva rifuggiva il suo sguardo.
Neji
si chiese se era necessario che tenesse basso il capo, ma si obbligò a farlo,
ricordando cosa era successo l’ultima volta che aveva guardato Hinata dritto
negli occhi.
(E il brivido caldo che gli
aveva serrato la bocca dello stomaco.)
La
Hyuuga sospirò e si lisciò i capelli con lentezza, intrecciandoli tra le dita
scarne.
<<
Neji… ti chiedo perdono. >>
Lui
non rispose, limitandosi a inclinare il capo di lato e sedersi accanto al
letto, in perfetto silenzio.
Hinata
sorrise lievemente, lieta che Neji non gli avesse chiesto ‘perché’.
Tra
poco, tanto, lo avrebbe scoperto.
E
sarebbero stati tutti liberi da quella prigione di fili trasparenti, di
cerimoniali da rispettare, onore da mantenere.
Basta.
O
sarebbe impazzita davvero.
Tuttavia
in quel momento, pur sapendo che c’era una recita da portare avanti per la
salvezza, Hinata si ritrovò a guardare il cugino, lo sguardo abbassato verso
terra solo per lei.
Desiderò,
per un piccolo, fragile istante, abbracciarlo.
Ma
non era il tempo.
C’era
Hanabi, prima. Sì, c’era Hanabi.
Hanabi.
Il
sapore di quel nome, mormorato mutamente tra le labbra dischiuse, era salato
come le lacrime.
<<
Che essere inutile. >>
Hanabi
strinse le labbra in una smorfia di disprezzo, e picchiò il piede a terra, con
forza.
Nemmeno
aveva salutato la sorella, entrando. Subito l’aveva attaccata.
<<
Inutile! Inutile! >>
Hinata
contrasse le dita a pugno sul lenzuolo del lettino d’ospedale, ma non si voltò
a fissare in viso Hanabi. Il byakugan osservava i pini verdi che svettavano
verso il cielo, quasi toccandolo, e una parte del suo cuore desiderò ancora
avere la capacità di raggiungerlo, quel pezzo d’azzurro.
(Sogni bruciati dal sale.)
<<
Non fare finta che non ci sia! Capito?! Lo so chi sei tu, Hinata, so come sei
fatta e non riuscirai a farmi cadere! Capito?! >>
La
voce di Hanabi si era fatta stridula, così acuta da incrinare l’espressione
neutra di Hinata in una angosciata, le nere sopracciglia piegate verso il
basso, quasi in segno di scuse.
<<
Perché ti chiamano pazza?! Non sei pazza! Sei solo una perdente! >>
Hinata
sospirò pesantemente e prese tra le dita il cuscino, portandolo al petto. Un
piccolo effimero scudo, ma si stava meglio, così.
<<
Hinata! Hinata, guardami! >>
L’ombra
di Hanabi le copriva interamente il capo, il kunai sopra la sua testa
scintillò, come la falce di una ghigliottina.
Hinata
guardava l’alta figura della sorella incedere su di lei con il byakugan che
bruciava per le lacrime, e si chiese se la morte era bianca.
<<
Ti sto guardando. Sei tu che non hai il coraggio di guardare me. >>
Hanabi
sbarrò gli occhi.
Non sono io la codarda. Non
lo sarò mai, mai!
Eppure
non riusciva ad abbassare lo sguardo, in modo da specchiarsi nelle iridi lattee
di Hinata.
Non
riusciva. Lei. La più talentuosa,
coraggiosa, forte.
(Falliva. Lei che non
falliva mai.)
<<
Ricordi quando giocavano a nascondino, Hanabi? >>
Lei
annuì, deglutendo, sentendosi come soffocare.
Il
kunai nel palmo destro tornò a penzolare sul suo fianco, inerte.
<<
Ti nascondevi sempre nell’ufficio di nostro padre, sapendo che odiavo quel
posto. >> Hinata piangeva. Piangeva davvero. << Quando hai
cominciato a sentirti incenerire dal bianco delle pareti? >>
Hanabi
rimase in silenzio, completamente immobilizzata.
Lei sa. Lei sa.
<<
Hanabi? >>
Il
kunai si erse verso il soffitto candido, pronto a calare sulla Hyuuga.
Quando
rientrò nella stanza di Hinata-sama, Neji notò tre
particolari.
Il
primo era Hinata, accucciata nel suo letto, le braccia strette attorno alle
ginocchia dove il volto si nascondeva. I lunghi capelli neri le scendevano
lungo i polpacci, sui quali vi erano piccoli schizzi di rosso, in contrasto con
la pelle nivea.
Il
secondo fu piccola pozza vermiglia ai piedi del letto, che iniziava dal seno
sinistro di Hanabi, rovinato da una lunga ferita, e finiva sulle piastrelle
fredde del pavimento, a pochi centimetri dal fianco destro; piccole gocce
scarlatte scendevano dal kimono bianco pregno di sangue e ricadevano a terra,
ritmicamente.
Il
terzo fu una crepa nelle pareti bianche dell’ospedale dietro le spalle di
Hinata, una lunga striscia grigio cenere che spezzava quel candore.
Si
stupì a sospirare, come se in tutta quella scena ci fosse qualcosa di buono.
E
pensò anche che Hiashi-sama sarebbe impazzito, senza
la perfezione del bianco.
Il
silenzio permeò la stanza per minuti interi, e nessuno dei due pareva volerlo
spezzare.
Neji
sentiva i muscoli irrigiditi e stanchi; provò una voglia irrazionale di
buttarsi a terra accanto ad Hanabi e prendere con sé Hinata, baciandola,
costringendola a guardarlo, ad amarlo almeno
un po’, e stare abbracciati senza nessun pensiero, senza futuro, sul freddo
pavimento.
Invece
lasciò che fosse lei a ricercarlo.
(Mai, mai mostrerò
sentimenti, maimaimai– )
Il
suo corpo attendeva di incontrare – ancora
una volta, ti prego, una sola – le iridi fantasma di Hinata. Magari, quelle
innocenti e disarmanti da bambina.
Alla
fine Hinata crollò.
La
schiena prese a tremare convulsamente e le dita si serrarono sulla pelle, le
nocche sbiancarono.
<<
Neji… >>
Un
richiamo, una richiesta di aiuto. A cui lui non rispose.
<<
Neji… Hanabi si è suicidata. >>
E voi, Hinata, quando avete
deciso di uccidere la vostra indole passiva?
<<
La sua ambizione era di non essere mai come me, e io sono diventata folle,
esattamente come lei. >>
Tutto per spezzare la
follia che porta questo bianco accecante?
<<
L’ambizione di mio padre era mantenere l’onore del clan Hyuuga, ora compromesso
da uno scandalo. >>
L’avete fatto per voi? O
ancora una volta per gli altri?
Troppo amore in voi, troppo
amore.
<<
E la tua ambizione… >>
Hinata
alzò il capo, e si morse il labbro.
Le
pallide e longilinee gambe scivolarono sul lenzuolo, producendo un suono quasi
inudibile, e la portarono davanti allo sguardo indefinibile di lui.
Le
sottili braccia di marmo si allungarono nell’aria, protese verso di lui in un
gesto di disperazione.
<<
Mi spiace, Neji, Dio quanto mi spiace! >>
Neji
si limitò a rimanere rigidamente in piedi nella stanza d’ospedale, il corpo di
Hinata che singhiozzava convulsamente stretto al petto, il viso chinato verso
di lei.
Turbato
da emozioni.
<<
Perdona, se puoi, questo mondo! Perdona me!
>>
(Colei che macchiò il
bianco, la salvatrice delle anime meccaniche.)
<<
Hai realizzato la tua ambizione, Hinata-sama.
>>
Lei
non sorrise, ma si strinse di più a lui, quasi soffocandolo, con una forza che
non avrebbe mai immaginato in quelle piccole braccia da ballerina.
<<
…ora posso riavere i miei sogni, nii-san?
Posso? >>
Neji
sospirò e le accarezzò una guancia, tristemente.
<<
Credo che siano andati perduti. >>
Una
pausa. Il tono più incerto.
<<
Ma se vuoi, ti aiuto a cercarli. >>
<< M-mi aiuti a c-cercare Hanabi, nii-san?
N-non la t-trovo! >>
Neji osservò la
piccola cugina dall’alto verso il basso.
Si allontanò
ignorandola.
Hinata
annuì e strofinò il naso nel morbido tessuto caldo del kimono di Neji.
Dietro
di loro, sulla soglia, la falce continuava a brillare oscura come la morte tra
il bianco ingrigito degli occhi di Hiashi.
Il
kunai era tratto in aria.
E
l’ira era scoppiata, impossibile da contenere con l’indifferenza.
(Troppo bianco,
nell’innocente abbraccio di due neo-nati da Venere.
Un’altra macchia. Un’altra
crepa.)
E dare tutto, e dare tanto
Quanto il tempo in cui il tuo segno rimarrà
Questo nodo lo sciolga il sole
Come sa fare con la neve
( Una poesia anche per te – Elisa )
*^*^*
*
Ripresa della leggenda della Regina delle Nevi.
Ah, albo-fobia è un termine di mia invenzione ed è appositamente inventato:
Hanabi per prendere in giro Hinata conierebbe un termine simile. ù_ù
Allora,
devo ammettere che come fabbricato finale mi piace, è una delle mie prima fic sulla ‘follia’, insomma, una di quelle un po’
febbricitanti che tanto apprezzo di solito. Non sono ancora un’esperta, ma
posso dire che di questa nel complesso mi piace… ma
non mi aspettavo assolutamente un Secondo Posto! *_* Sarà che era OOC, sarà che
non era proprio NejiHina stretta, pensavo che – beh,
insomma, non è importante quello che pensavo! L’importante è il risultato
finale, di cui vado orgogliosa! ^^
Ringrazio
per i giudizi Killer Queen 7 e ladykiki, e i
miei complimenti a tutte le partecipanti, in particolare i complimenti alla Cami, arwen5786, – a cui li faccio sempre ù.ù – a Mao-chan91 e a Kokky,
le podiste! ^^
Remember: NejiHina is
love! <3
Grazie
a tutti quelli che leggeranno la pappardella e la commenteranno. Adios!
Bye,
Kaho