We are Broken
From the Start.
Retrace I: Prelude.
La “Casa di Fianna” ufficialmente era un normalissimo
orfanotrofio dell’East End, come tanti altri, e in ben pochi erano a conoscenza
della sua vera natura. Era davvero un orfanotrofio, ma i suoi ospiti erano
tutti maghi e streghe.
“Verrebbe da chiedersi
per quale motivo abbiano deciso di erigere una struttura per maghi in un
quartiere babbano”.
Leo sbadigliò e girò pigramente una pagina de: “Gli Animali
Fantastici: dove trovarli”, per poi essere disturbato dal rumore delle porte
della biblioteca che venivano aperte rumorosamente, permettendo ad una selva di
bambini di invadere il suo santuario.
Ma certo, dopotutto giocare ad acchiapparella dove lui stava
cercando di studiare doveva essere il massimo del divertimento, no?
“Okay, fine della
pace. Conta fino a dieci, Leo, e poi cruciali tutti dal primo all’ultimo”.
Nonostante fosse un’idea allettante, decise che farsi
spezzare la bacchetta e passare la vita ad Azkaban non rientrasse propriamente
nella sua definizione di “sogno nel cassetto”, quindi si limitò a chiudere il
libro con un sospiro esasperato e si incamminò fuori dalla biblioteca.
Quello era l’ultimo giorno delle vacanze estive e avrebbe di
gran lunga preferito passare tutta a giornata a leggere, piuttosto che bighellonare
per la struttura alla ricerca di un angolino appartato, ma dall’estate prima
–cioè da quando l’avevano scoperto- gli era stato tassativamente vietato di
chiudersi a chiave nella biblioteca e per colpa delle leggi assurde della DALM
non poteva nemmeno ammutolire ed immobilizzare i bambini con qualche
incantesimo.
Guardò fuori dalla finestra senza realmente vedere ciò che
c’era fuori, perdendosi nei suoi pensieri. Era contento di tornare ad Hogwarts
e non per qualche motivo prefabbricato simile ad: “Hogwarts è la mia casa” ma
perché negli ultimi anni trovava che c’era qualcosa di tremendamente sbagliato
nell’atmosfera che regnava all’orfanotrofio e non vedeva l’ora di
allontanarsene.
Sembrava che periodicamente i bambini residenti in quel
posto venissero Obliviati, dato che ogni volta che accadeva qualcosa di
spiacevole, poco dopo tutti ne perdevano il ricordo.
Solo un mese prima un bambino, James, era morto per
un’infezione magica incurabile e sebbene al momento tutti erano stati molto
tristi, dopo meno di una settimana non si ricordavano nemmeno dell’esistenza di
un orfano di nome “James”.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma tutto ciò gli metteva i
brividi. Com’era successo agli altri, poteva succedere anche lui di dimenticare
tutto in modo così assurdo, no? Anzi, forse gli era già anche successo e non
poteva averne conferma; quel pensiero lo faceva letteralmente impazzire.
Dulcis in fundo,
aveva ricominciato a sentire quelle voci.
Sapeva perfettamente che sentire voci nella propria testa
non era normale nemmeno nel mondo magico, dove tutto sfiorava i livelli
dell’assurdo, ma a lui capitava da che aveva memoria e se per un lungo periodo
aveva smesso di sentirle, al momento erano ritornate, probabilmente attirate
dallo stress che sentiva addosso.
Forse stava semplicemente
diventando pazzo, come aveva più volte ipotizzato quell’idiota Grifondoro di
Elliot; forse doveva davvero prendere in considerazione una visita da uno
psicomago, ma quello era l’anno dei G.U.F.O e non poteva permettersi una
distrazione del genere se voleva raggiungere la quota di almeno dieci E.
Scacciò quei pensieri come avrebbe fatto con una mosca
molesta: presto avrebbe lasciato la Casa di Fianna e per dimenticare ogni cosa,
come succedeva agli altri ospiti dell’orfanotrofio, gli sarebbe bastato
ignorare le voci.
Semplice, no?
“E allora perché
rifiuti questa possibilità con tutto te stesso?”
La risposta non era difficile. Nonostante le apparenze, non
era capace di far finta di nulla, voleva capire cosa stesse accadendo e mettere
fine a quella situazione.
Si sentì improvvisamente impotente di fronte a quelle
vicende e strinse forte i pugni, con rabbia, per poi allontanarsi di scatto
dalla finestra, quasi il davanzale lo avesse scottato.
Decise di scendere in giardino, probabilmente per prendere a
calci qualche albero, reo di essere malauguratamente stato piantato sulla sua
strada, ma appena fuori dalla struttura si trovò davanti un paio di occhi
azzurri, freddi, e la rabbia svanì all’istante.
Elliot Nightray sapeva di essere empatico quanto un Ungaro
Spinato, ma ormai conosceva Leo da quattro anni e aveva imparato a capirne
l’umore dai piccoli particolari.
Ad esempio, nonostante gli occhi dell’amico fossero quasi
totalmente nascosti dagli occhiali spessi, riuscì a capire quanto Leo fosse
turbato e arrabbiato semplicemente dalla fossetta che si era creata tra le
sopracciglia appena aggrottate e dai tendini terribilmente tesi sul collo.
Questo, tuttavia, durò solo pochi attimi, poi il moro si
rilassò visibilmente.
Tirò un sospiro di sollievo: se c’era una cosa che aveva
imparato in quegli anni era appunto che avere a che fare con un Leo arrabbiato,
voleva dire finire ricoperto di lividi dalla testa ai piedi a causa dei libri e
del mobilio vario che il moro si divertiva a lanciare contro chi osava
rivolgergli la parola.
«Per un momento ho pensato che mi avresti cruciato» confessò.
«Non escluderlo ancora, Nightray».
«Prefetto Nightray,
prego».
Si scambiarono un ghigno che ad onor del vero Elliot ritenne
un po’ troppo poco Grifondoro per se stesso, ma alla fine andava bene, dato che
aveva sentito gli ultimi rimasugli di tensione sciogliersi.
Leo tirò fuori la sua spilla verde-argento e la lanciò in
aria per poi recuperarla al volo, «anche tu prefetto? Non era Oz il Golden Boy
di Grifondoro~?»
«A quanto pare essere il figlio del ministro non è
sufficiente» rispose, chiaramente compiaciuto, andandosi a sedere sotto un
albero per ripararsi dal sole.
Leo lo seguì e si sedette accanto a lui.
Guardandolo attentamente così da vicino era evidente che in
fondo non si era davvero calmato del tutto; la mascella serrata e le labbra
ridotte ad una linea sottile erano abbastanza rivelatorie, quindi tanto valeva
cercare di scoprire cosa stesse accadendo all’amico. Abbandonare un Serpeverde
a se stesso non era mai una buona idea, tendevano a farsi più castelli mentali
di chiunque.
«Allora, devo usare del Veritaserum o parli da solo?»
Da come Leo si irrigidì subito, capì che qualunque fosse il
problema, doveva essere serio.
«Sei tu quello venuto qua senza essere stato invitato: parla
tu» si sentì rispondere con tono scocciato, cosa che gli fece venir una gran
voglia di prendere a pugni l’amico.
«C’è qualcosa che non va ed è abbastanza evidente. Parla».
Leo aveva davvero voglia di lanciare qualcosa. Ovviamente
Elliot aveva capito subito che qualcosa non andava ed aveva avuto la brillante
idea di iniziare a fare domande.
“Non potevo scegliermi
un amico meno ficcanaso?” .
Scosse impercettibilmente la testa, dopotutto sapeva che se
era così legato ad Elliot era proprio perché riusciva a capirlo meglio di
chiunque altro, anche se dovette ammettere che la capacità del biondo di
leggergli dentro con tanta facilità cominciava ad inquietarlo.
“Non starà usando la
Legilimanzia?”
Il tono definitivo usato da Elliot non gli lasciò che
capitolare… be’, almeno in parte.
«Sento di nuovo le voci» si risolse a rispondere. Il ché,
ovviamente, era vero, ma era solo una piccola parte della verità.
Elliot non fece una piega, essendo l’unico a cui aveva
parlato di quel suo piccolo problema.
«Questa volta riesci a capire cosa dicono?»
Si portò le mani alle orecchie, tappandole, come se in quel
modo potesse smettere di sentire quelle voci. Sapeva che non si sarebbero
fermate per così poco, ma non riuscì a farne a meno, gli dava un vago sentore
di sollievo.
«No… sono così caotiche…» sospirò, guadagnandosi una
solidale pacca sulla spalla.
Nessuno dei due era molto avvezzo al contatto fisico, ma in
quel momento non c’era davvero nulla da dire, in casi del genere le parole
erano fin troppo sopravvalutate; era sicuro che sarebbe stato perfettamente in
grado di picchiare Elliot se avesse osato dire qualcosa con l’intenzione di
consolarlo, quindi non gli restò che apprezzare profondamente quel breve
contatto fisico.
Decise che era il momento adatto per cambiare discorso,
prima che al Grifondoro potesse venir in mente di approfondire la questione e
diventare insistente.
«Non mi hai ancora detto per quale motivo hai portato le tue
nobilissime terga Purosangue nell’East End» indagò. Non poteva essere venuto in
uno dei quartieri più malfamati della Londra Babbana solo per vederlo, dal
momento che si sarebbero comunque incontrati il giorno dopo sull’Espresso per
Hogwarts.
«Be’, l’altro giorno non hai risposto al mio gufo e sono
venuto a vedere se stavi bene…»
“Va bene, come non
detto. È proprio stupido come sembra” pensò, senza riuscire ad impedire ad
un leggerissimo rossore di salirgli alla guance… insomma, Elliot era
indubbiamente stupido, ma era venuto ad assicurarsi che stesse bene solo perché
non aveva risposto ad uno stupidissimo gufo… a cui, tra l’altro, non aveva
risposto per pura pigrizia.
Lungi dal sentirsi anche solo minimamente in colpa, rivolse
all’amico un sorrisetto degno del miglior Serpeverde «oh, quello… mi ero
completamente scordato di rispondere~»
cinguettò, schivando abilmente il prevedibilissimo pugno che Elliot cercò di
tirargli. Sospirò in modo drammatico, «questi Grifondoro, sempre così maneschi~».
Elliot si alzò con un versetto stizzito «ci vediamo domani.
E guai a te se fai tardi» borbottò, infilandosi le mani intasca e avviandosi
verso il cancello.
Non gli rimase che salutarlo.
[…]
Oz era quel tipo di ragazzo che difficilmente arrivava ad
odiare qualcosa o qualcuno, ma in tutta onestà non sarebbe mai riuscito a
negare di odiare profondamente le vacanze estive.
Riflettendoci meglio, arrivò alla conclusione che non erano
propriamente le vacanze estive, che odiava, ma qualunque pretesto lo
costringesse a stare a casa.
Si rigirò svogliatamente nel letto nonostante fosse
pomeriggio inoltrato, preferendo di gran lunga passare quell’ultimo giorno di
vacanza a poltrire chiuso in camera sua che a sorbirsi l’atmosfera poco salubre
che regnava nel resto magione dei Vessalius.
Di uscire non se ne parlava neanche; come qualunque casata
Purosangue che si rispetti, la loro magione era situata in un punto talmente
isolato che per raggiungere un qualsiasi agglomerato di civiltà moderna avrebbe
impiegato ore.
Non poteva nemmeno contare su suo zio, impegnato con la sua
squadra Auror in un’operazione congiunta in Francia, o qualcosa di simile. Ovviamente nemmeno Ada era in casa, era
uscita quella mattina presto per una “rimpatriata” con le altre ragazze del
sesto anno.
“Qualcuno mi spieghi
la logica di una rimpatriata il giorno prima dell’inizio della scuola” pensò
placidamente Oz, per poi rispondersi che doveva essere roba incomprensibile da
ragazze.
“Davvero, preferisco
non capire”.
Abbracciò sconsolato il cuscino, arrendendosi al fatto che
sarebbe morto per la noia prima ancora di poter mettere piede sull’espresso per
Hogwarts.
C’erano volte –la maggior parte, a dire il vero- in cui
odiava profondamente essere un purosangue, non faceva affatto per lui: non era
ingessato, silenzioso, composto e, soprattutto, adorava far casino come un
qualsiasi altro adolescente.
«Voglio tornare ad Hogwarts» borbottò sconsolato, rivolto al
suo cuscino, per poi sentire bussare molto poco gentilmente alla finestra della
sua stanza.
Saltò giù dal letto e andò ad aprire le ante della finestra,
armato di bacchetta; abbassò subito la guardia nel ritrovarsi davanti
nientemeno che Alice, tranquillamente a cavallo della sua scopa e con in viso
uno sguardo di sufficienza.
«Puntami ancora addosso quel legnetto e te lo spezzo» disse
lei, candidamente.
«Alice?»
«No, sono quell’oca di tua sorella».
Sbuffò esasperato, beccandosi una doverosa occhiataccia da
parte dell’amica.
«Muoviti e sali sulla scopa, prima che mi passi la voglia di
salvarti dal tuo suicidio sociale a base di noia».
Il biondo sapeva benissimo che Alice sarebbe stata davvero
capace di cambiare idea e andarsene, quindi senza fare domande obbedì,
ignorando i mille motivi per cui avrebbe dovuto rifiutare.
“Oh, al diavolo, è
tutto il giorno che piagnucolo perché mi annoio”.
Dopo essere salito, si ricordò di due piccoli particolari:
Alice aveva scoperto già dal loro primo anno che lui aveva una leggera fobia per la velocità… e sempre
Alice aveva un’indole terribilmente sadica.
“No, no, no…”
E invece sì.
Alice ovviamente decise di accelerare subito e dal lieve
tremolio delle sue spalle ne dedusse che doveva starsi divertendo un sacco a
spese sue.
Fu solo per orgoglio che non supplicò la ragazza di
rallentare, ma non poté impedirsi di stare rigido come uno stoccafisso,
sperando che il viaggio in scopa durasse il meno possibile.
Le sue preghiere vennero esaudite: in poco tempo si
ritrovarono a sorvolare il Paiolo Magico e Alice fece atterrare la scopa
direttamente nel piccolo cortile sul retro.
«Diagon Alley?»
Il tono della sua voce dovette tradire una nota di
scetticismo, perché la ragazza si voltò a guardarlo male «hey, se preferisci ti
riporto in quel coso sperduto in cui
vivi».
«Sarebbe una magione…»
«Una magione mortalmente noiosa»
Il ché non faceva una piega, quindi si limitò a toccare con
la bacchetta i mattoni che aprivano il passaggio per Diagon Alley.
La prima volta che c’era stato, ad undici anni, era rimasto
senza parole, ma ormai il piccolo villaggio magico non gli faceva più alcun
effetto; ciononostante, era decisamente meglio essere lì che in camera sua,
quindi andava bene.
Sì, certo, tutto bene almeno finché un Bolide impazzito
scappato da “Accessori di prima qualità
per il Quidditch” non decise di colpirlo in piena
nuca.
Il buio lo inghiottì prima ancora che potesse rendersi conto
di alcunché.
Si trovava in un luogo scuro, dall’aria pesante e opprimente;
cercò di guardarsi attorno, ma si rese conto che non c’era niente da guardare.
Non c’era inizio, non c’era fine, non c’era nessuna via
d’uscita, si trovava nel mezzo di un’infinita distesa di nulla.
Era in trappola.
«Oz».
Si voltò di scatto verso la fonte della voce, ma non c’era
nessuno.
«Oz, devi fermarli!»
La voce continuava a spostarsi, un attimo prima era sopra di
lui, poi al suo fianco e così via, senza accennare a fermarsi. Il suo
interlocutore era ogni cosa che lo circondava.
«Sono ad Hogwarts, devi fermarli!»
Death Note: Buonsalve!
Be’, sinceramente non ho idea di come
sia uscita fuori questa “cosa”, ma mi
è sempre piaciuta l’idea di ambientare Pandora ad Hogwarts~ ditemi che non sono l’unica~.
Cooomunque, devo ancora decidere la maggior parte dei Pair,
per ora l’unica certa è l’Elleo u.u
E niente, recensite in tanti o il mio
Jabberwock da giardino vi spedirà nell’Abisso <3
Ja ne~