-Leila-
Il sorriso che mi rivolse Jake Milligan m'infastidì
più di una ditata in un occhio.
- Leila, sei venuta alla fine!- trillò con aria allegra
– Ne sono felice!
Provai a scorgere una punta di malizia nella parola
“venuta” – Luke non riusciva mai a star
serio pronunciandola - ma, con somma delusione, constatai che Jake non
era in vena di doppi sensi. Probabilmente nemmeno sapeva cosa fosse un
doppio senso.
- Ne sei felice?- ripetei, con una punta di sarcasmo – Non so
se la tua fidanzata sarà dello stesso parere…
- Te la presento subito!- rispose eccitato lui, senza cancellarsi dalla
faccia quel sorrisino idiota – Come mai sei vestita
così?
- E’ un problema?- soffiai sulla difensiva, pronta a
piazzargli una scenata.
Lui scosse la testa e mi prese per mano, conducendomi dai suoi adorati
parenti. Non so se fece più male la vista della sua
amichetta oppure il fatto di non provare assolutamente nulla quando le
sue dita incontrarono le mie.
I signori Milligan non parevano cattive persone: lui alto e
dinoccolato, coi capelli brizzolati e l’aria sveglia; lei di
media altezza e un po’ rotondina, con i capelli color
caramello ed un sorriso molto dolce.
- La signorina Leila, immagino – sorrise il signor Milligan,
tendendomi la mano – Dave Milligan, molto piacere.
- Ehm… sì, il piacere è mio
– balbettai, gettando occhiate nervose qua e là.
- Io sono Mara- soggiunse la donna – Da dove vieni, cara? Non
mi pare tu sia del Nevada…
- Georgia… sono di Atlanta…
- Ci sono stato due anni fa- si intromise il tipo dai capelli biondi
pieni di gel che intuii essere il signor Kingston – Paesino
grazioso…
- In realtà è una città, non un
paesino- lo interruppi in modo brusco, leggermente punta
nell’orgoglio – Ed è pure più
grande di Las Vegas.
La ragazza bionda, che doveva essere Caroline, emise una leggera
risatina: - La tua amica è suscettibile, Jackie. Beh, un
po’ di patriottismo non fa mai male, no?
Mi rivolse un ampio sorriso, mettendo in mostra una dentatura
leggermente cavallina.
Jake mi posò una mano sulla spalla e mi indicò i
genitori di lei: - Il signor e la signora Kingston, proprietari del
Mirage. E lei è la mia fidanzata Caroline…
- Sì, l’avevo capito- risposi annoiata,
aggrottando la fronte non appena Caroline si sporse verso di me,
prendendomi la mano e sorridendo ancora più apertamente.
Per la prima volta riuscii a guardarla bene in faccia: dimostrava circa
venticinque anni, aveva il naso aquilino, gli occhi di un bel marrone
intenso –anche se ero sicura indossasse delle lenti a
contatto colorate – ed uno strato di fondotinta parecchio
scuro spalmato sul viso, che metteva ancora più in risalto
il suo collo color yogurt.
Indossava un abito grigio-azzurro in stile Anni Cinquanta, con la gonna
tagliata sopra il ginocchio, ed i suoi capelli color platino erano
palesemente tinti.
A prima vista non pareva una di quelle ochette vanitose e stupide con
cui avevo avuto a che fare a scuola, eppure una strana sensazione mi
tormentava, una sensazione di “sbagliato”, che non
aveva minimamente a che fare col fatto che fosse la fidanzata del padre
di mia figlia. Non riuscivo però a capire di cosa si
trattasse…
- Signorina, Jake non l’aveva avvertita che questo sarebbe
stato un Ballo di Gala?- domandò la signora Kingston, una
tipa bassa dai capelli a caschetto nerissimi – I
suoi abiti non mi sembrano… appropriati…
- Non sono nuda, signora- replicai acida – Perciò
non trovo un senso nella parola “inappropriati”.
La donna sgranò gli occhi stupita, ma, prima che potesse
svenire o farsi prendere da una crisi isterica, il signor Milligan
indicò il lungo tavolo apparecchiato che si trovava alle
nostre spalle: - Jake, perché tu e Caroline non portate
Leila a bere qualcosa?
- Oh, sì, servono ottimi spritz, io me ne sono
già scolati due!- rise la signora Milligan, facendo
arricciare il naso ai signori Kingston.
- E’ un’ottima idea!- sorrise Caroline, prendendomi
sottobraccio a tradimento – Vieni, Leila.
L’accompagnai al tavolo un po’ riluttante, con Jake
che ci tallonava con sguardo inebetito. Pareva tanto un cagnolino
sottomesso e mi morsi la lingua per non farmi sfuggire un commento
simile.
- Hai almeno vent’un anni, giusto?- mi domandò
Caroline, mentre faceva cenno ad un inserviente di preparare tre spritz.
- Sì, ne ho ventidue, Caroline – risposi annoiata,
afferrando il bicchierino di cristallo che mi porgeva, contenente un
liquido gassoso color rosso corallo.
Bevvi qualche sorso, facendo scorrere lo sguardo distrattamente da una
parte all’altra del salone. Mi sentivo a disagio quando
Caroline mi fissava, perciò evitai il più
possibile di incontrare il suo sguardo, almeno nei momenti in cui
parlava con Jake.
Per qualche secondo, i miei occhi si soffermarono su un ragazzo dai
capelli neri appoggiato a una parete con aria annoiata, leggermente
scostato dal resto degli invitati.
Esattamente come me, sembrava parecchio fuori posto: indossava dei
jeans strappati ed una giacca in pelle nera con le borchie. Immaginai
che fosse il figlio ribelle di un qualche riccone amico dei Kingston,
ma non riuscii a pormi altre domande poiché distolsi lo
sguardo imbarazzata non appena lui, accorgendosi di me, mi
strizzò l’occhio.
- Leila?
Sussultai non appena mi trovai il volto di Caroline a pochi centimetri
dal mio: - Che vuoi?
Lei sorrise, indietreggiando di un passo: - Ti ho chiesto di cosa ti
occupi. So che alloggi al Caesar, quindi devi essere ricca di famiglia
o svolgere un lavoro che ti permetta una vacanza simile.
- Non sono in vacanza – sibilai, cercando di inventare su due
piedi una scusa plausibile – Io… sono qui per
lavoro… sì, scrivo recensioni sugli alberghi per
l’Olympus Express, una rivista abbastanza nota ad Atlanta.
-Uh, interessante! – trillò Caroline, allargando
il sorriso equino – Ma i due ragazzini che hanno preso il
tè con noi sono tuoi parenti?
- No, sono stagisti – mi affrettai a rispondere, pestando il
piede a Jake che aveva appena aperto la bocca per dire qualcosa
– Forse Annabeth verrà anche assunta a fine anno.
E’ una ragazzina piuttosto sveglia.
- Sì, l’ho notato – asserì
mielosa Caroline, appoggiando poi la mano sulla mia spalla –
Perché continui a distrarti? Cosa stai guardando?
Una morsa mi serrò lo stomaco, ma cercai di non perdere la
calma.
- Quel ragazzo appoggiato al muro – risposi incerta,
indicando con un cenno il tipo dai capelli neri – Lo conosci?
Lei lo osservò per qualche secondo, poi fece una smorfia: -
Oh, è Ian St Mark, i suoi parenti gestiscono il Venetian
Hotel. E’ un tipo parecchio strano, sembra sempre arrabbiato
col mondo… sinceramente non ne capisco il motivo –
concluse, prendendo un ultimo sorso di spritz.
Aprii la bocca per rispondere, quando un movimento sospetto oltre le
grandi finestre della sala attirò la mia attenzione.
Con una scusa, mi allontanai da Jake e Caroline – cosa che
non sembrò infastidirli particolarmente – e mi
affacciai ad una delle enormi vetrate.
Il “giardino polinesiano” del Mirage, illuminato da
una miriade di piccole fiaccole, sembrava piuttosto tranquillo. Non
potei fare a meno di osservare che, nonostante i proprietari
dell’albergo fossero degli insopportabili snob, la cura quasi
maniacale dei dettagli non stonava affatto in un contesto simile.
Dovetti riconoscere che il Mirage era davvero un hotel stupendo.
All’improvviso, una mano gelida sul collo mi fece sobbalzare
e a stento trattenni un grido.
Mi voltai, pronta ad afferrare il piccolo pugnale legato al polpaccio
che avevo nascosto sotto i jeans, quando mi ritrovai davanti ad un paio
di iridi color ghiaccio che, nonostante dessero un po’ i
brividi, parevano decisamente umane.
- Nervosa?
Indietreggia di un passo, fissando un po’ guardinga Ian St
Mark che, come se niente fosse, stava mangiando una mela dalla buccia
rossa, sorridendo appena con fare quasi furbo.
Colsi per qualche secondo l’occasione per osservarlo meglio:
dimostrava più o meno vent’anni, era abbastanza
alto e la sua carnagione pallida creava un contrasto parecchio spettrale con gli abiti scuri che indossava. Un filo leggero di
eye-liner evidenziava il contorno un po’ allungato dei suoi
occhi azzurri, mentre i suoi capelli, neri e lucidi, erano leggermente
disordinati e pieni di gel.
Era sicuramente un bel ragazzo, nonostante i suoi lineamenti fossero un
po’ aguzzi, ma, per un’ignota ragione, il suo
aspetto mi inquietava.
- Che intendi dire? – domandai, restando sulla difensiva.
Ian diede un altro morso alla mela, poi alzò le spalle: -
Appena ti ho toccata hai sobbalzato come se ti avessi punta con uno
spillone. Mi sembra un atteggiamento da persona nervosa.
- Non hai pensato che potesse esser colpa della tua mano congelata?
– replicai ironica, appoggiando le mani sui fianchi
– Se mi avessi appoggiato un cubetto di ghiaccio sul collo
forse avrei avuto una
reazione più tranquilla…
Il ragazzo mi fissò per un po’ senza parlare, poi
alzò il lato sinistro delle labbra verso l’alto: -
Non ci posso fare nulla, io ho sempre le mani fredde.
L’importante è che tu non sia sempre nervosa, ho
sentito dire che lo stress non fa bene.
Ma che cavolo di problemi aveva? Tra tutte le persone presenti in sala
aveva deciso di importunare proprio me?
- Non hai qualcun altro con cui chiacchierare, Ian? –
sbuffai, serrando le mani nelle tasche dei jeans – Che ne so,
uno dei tuoi parenti, o…
- Sei l’unica ad indossare abiti informali oltre a me, qui
dentro – mi interruppe con fare impassibile –
E’ una cosa che mi incuriosisce. Sarei tentato di chiederti
come fai a conoscere il mio nome, ma visto che prima parlavi con
Caroline Kingston credo non sia necessario. Comunque, come mai sei
vestita così? E’ un gesto di ribellione o non ti
senti a tuo agio in abiti formali?
Il mio sguardo cadde istintivamente sulla maglietta colorata che
indossavo. Arrossii leggermente: - Mi andava di vestirmi
così.
- Perfetto, atto di ribellione quindi – concluse lui,
porgendomi la mela prima che potessi protestare – Vuoi un
morso?
Qualsiasi parola stesse per uscire dalle mie labbra morì
immediatamente sulla punta della lingua. Sbarrai gli occhi, facendoli
scorrere da Ian alla mela rossa, cercando di capire se stesse
scherzando o meno.
Ero sul punto di scuotere la testa e allontanarmi, quando notai
Caroline Kingston guardarsi attorno, molto probabilmente in mia
ricerca, così, senza pensarci due volte, afferrai il pomo
mezzo mangiato e ne staccai un morso dalla parte ancora intatta.
- Grazie – biascicai, mandando giù un
po’ a fatica e restituendo il frutto al legittimo
proprietario.
Ian diede una seconda alzata di spalle ed aprì la bocca per
rispondere, quando il suo sguardo si posò su qualcosa che si
trovava dietro di me: - E quello cos’è?
Mi voltai di scatto, scorgendo un rapido movimento fuori dalla
finestra.
- Sembrava una donna – mormorò Ian, dando
distrattamente l’ultimo morso al suo torsolo di mela
– Anche se aveva una pelle orribile. Sembrava quasi un
serpente. Boh, forse lo spritz che ho bevuto era più forte
del solito…
- Io non credo – lo interruppi preoccupata, appoggiando le
mani contro la vetrata fredda – Non penso proprio
che…
- Leila!
La voce acuta di Caroline mi fece sobbalzare di brutto tanto che,
voltandomi di scatto, rischiai di rompere il vetro della finestra con
una gomitata.
La biondina lanciò un’occhiata scettica a Ian, poi
mi sorrise: - Non dovresti appoggiare le mani alle vetrate, rischi di
rovinarle.
- Mi dispiace – bofonchiai, ficcando i pugni in tasca ed
evitando di guardare negli occhi lei e Jake, che sorrideva come un
idiota.
Caroline mi diede una leggera pacca sulla spalla: - Fà
attenzione, mi raccomando! Senti, perché non ti unisci a noi
per il brindisi? Mio padre ha già dato l’ordine ai
camerieri di portare lo champagne.
- Uh, d’accordo – balbettai, lanciando
d’istinto un’occhiata verso Ian, che
piegò le labbra in un sorrisetto. Non so perché,
ma quello sguardo mi ricordava qualcosa…
- Se non vi dispiace, io vado fuori a fumare –
sospirò con flemma, pienamente consapevole dello sguardo
disgustato che Caroline gli stava rivolgendo – Magari anche
la Donna Serpente sarà felice di farsi un tiro…
Mise il torsolo di mela in mano alla figlia dei Kingston e, come se
nulla fosse, tirò fuori dalla tasca dei jeans un pacchetto
di sigarette e si avviò verso l’uscita principale.
A quel punto, sia io sia Caroline ci trovammo in uno stato di
imbarazzatissimo mutismo: lei fissava ad occhi sbarrati il frutto
mangiucchiato che giaceva sul proprio palmo, mentre io avevo rivolto lo
sguardo alle punte delle mie scarpe che, in qualche modo, mi sembravano
la cosa più rassicurante all’interno di quella
sala.
Non sapevo perché, ma in qualche modo mi sentivo
indirettamente responsabile, come se io ed Ian St Mark ci fossimo messi
d’accordo per fare un dispetto alla giovane ereditiera.
Finalmente, Caroline aprì la bocca per dire qualcosa, ma fu
interrotta da un singulto di Jake. Lo scricchiolio alle mie spalle non
mi diede tempo di ragionare sul da farsi: sguainai il coltello e mi
voltai di scatto, giusto in tempo per vedere la vetrata della finestra
infrangersi in mille pezzi.
Alzai il braccio per ripararmi il viso, venendo sfiorata appena da
qualche scheggia, mentre Jake e Caroline inciamparono
all’indietro per la sorpresa, piantando il culo a terra.
Qualcuno degli invitati gridò: una dracena dai capelli neri
e unti sibilava ferocemente, strappandosi dalla pelle squamosa
frammenti di vetro appuntiti.
- Maledizione! – imprecai, indietreggiando in posizione di
guardia.
Udii la signora Kingston gridare qualcosa al marito, ma non ci feci
molto caso. Non avevo idea di come potesse apparire la Donna Serpente
che stavo fronteggiando agli occhi dei mortali, ma di certo non doveva
avere un aspetto carino.
- Mi sono stancata di voi rettili umanoidi! – gridai, facendo
un passo verso la creatura, che mi soffiò contro furiosa
– Il primo incontro che ho avuto con una della tua razza mi
ha dato gli incubi per mesi!
- Fatti da parte, ssssemidea! – sibilò la dracena
– Non mi interessssi tu, oggi! Non cossstringermi ad
ucciderti!
- E chi ti interesserebbe allora? – domandai con aria di
sfida, parandomi istintivamente davanti a Jake e Caroline, che
boccheggiavano terrorizzati. Non che m’importasse
chissà cosa di lei, ma volevo evitare a tutti i costi che il
padre di mia figlia venisse fatto a pezzi, in caso fosse stato lui il
bersaglio della creatura.
La dracena scosse l’orrenda testa deforme e si
lanciò rabbiosa contro di me. A quanto pare doveva avere una
memoria piuttosto scarsa, visto che solo pochi secondi prima aveva
espressamente detto che non le interessavo affatto.
Mi scansai di lato, rischiando di urtare gli eleganti tavolini bianchi
su cui erano stati disposti ordinatamente cibo e bevande vari. Alcuni
invitati cominciarono a correre scompostamente verso
l’uscita, altri, come i signori Milligan, restarono a
guardare imbambolati, incapaci di reagire.
- Dov’è? – gridò la creatura,
guardandosi attorno – Dove ssssì nasssconde?
- Tu hai seri problemi, bella mia – commentai, facendo un
passo indietro.
Quella si voltò di scatto verso di me, mi studiò
come se mi avesse vista per la prima volta e compì un
secondo balzo.
Puntai il pugnale all’altezza del suo petto, trafiggendola
non appena mi fu addosso, ma l’impeto della sua carica mi
sbilanciò, facendomi finire contro un tavolino sul quale era
stata posta una gigantesca ciotola di cristallo colma di punch. Udii un
grido maschile piuttosto scocciato, ma non riuscii a capire a chi
appartenesse, perché piombai a terra di brutto, procurandomi
dei bei lividi sul lato destro del corpo.
La dracena si dissolse e l’orrenda polvere delle sue ceneri
si depositò sui miei vestiti.
Per un attimo, un opprimente ed imbarazzante silenzio piombò
all’interno della sala, poi, con fare un po’
incerto, la signora Milligan si avvicinò a me e mi
offrì la mano per farmi alzare.
- Dove… dove hai imparato quelle mosse, cara? – mi
domandò con un filo di voce, cercando goffamente di spazzare
via la cenere di mostro dalla mia maglietta.
Prima che potessi trovare una scusa, udii un sibilo stizzito e,
voltandomi, vidi il signor Kingston seduto a terra, gli abiti
fradici e la scodella di punch rovesciata in testa. Evidentemente aveva
cercato di salvare la preziosa terrina e, in un certo senso,
c’era riuscito: la superficie di cristallo non presentava
nemmeno un graffio.
- Wow – esclamò Jake, ignaro delle occhiatacce che
mi stavano rivolgendo i genitori della sua ragazza – Non si
vedono tutti i giorni spettacoli del genere! Che diavolo era quella
cosa?
Prima che potessi replicare, mi scattò una foto col suo
cellulare e lo porse a Caroline, che mi fissava a bocca aperta: -
Twittala per me, per favore…
La biondina non mosse un muscolo, ma io, in compenso, mi diressi a
falcate verso di loro, afferrai il cellulare e lo spensi con rabbia.
- Continua a tenerlo acceso – sibilai minacciosa –
E stai pur certo che prima o poi ti farai davvero molto male.
Era il secondo mostro che si tirava addosso da quando l’avevo
ritrovato. Non mi importava che non sapesse di essere un semidio e che
il suo cellulare fosse peggio di un razzo di segnalazione per i mostri,
ero così arrabbiata per il fatto che fosse davvero
così cambiato –e probabilmente irrecuperabile
– che mi venne molto facile incolparlo silenziosamente di
tutto.
A testa alta, mi avviai verso l’uscita, senza nemmeno degnare
di un saluto lui, Caroline e compagnia bella.
Mentre stavo per varcare la soglia, però, notai con la coda
dell’occhio che Ian St Mark mi fissava in modo strano.
***
Angolo dell’Autrice: Capitolo pubblicato dopo secoli e pure
un po’ deludente forse (io non me ne sento pienamente
convinta). Spero che i prossimi siano migliori.
Comunque, mi sono imposta di aggiornare oggi perché, secondo
i miei calcoli pazzoidi, è il compleanno della nostra
piccola Artemis!
Ancora non è sicuro, ma, appena finirò Find Me,
potrei pubblicare una sorta di spin-off su di lei più
grandicella.
Perciò, auguri Missy!
Per domandarvi perdono, vi allego una piccola immagine di lei,
collegata ovviamente all’ipotetico spin-off!
Grazie per aver letto e scusate per il ritardo e la scarsa
qualità del capitolo.
A presto!
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