A penny for your thoughts
Capitolo 4
Quinn Fabray aveva passato così
tanto tempo a credere che l'amore non facesse per lei, ad
autoconvincersi di non essere in grado di provare un sentimento simile
che, quando l'amore aveva bussato alla sua porta, lei aveva aperto, più
perché infastidita dal metaforico rumore del campanello che per altro,
e aveva annunciato, spazientita, che non c'era nulla che le servisse.
Alla fine la sua faccia era
finita sul retro di un nuovo libro: il terzo.
Quel gruppo di idioti,
altresì conosciuti come i suoi editori, erano riusciti a farle
pubblicare l'ennesimo libro.
Mesi e mesi di via vai.
Mesi e mesi di mezzi
pubblici.
Mesi e mesi alla ricerca di
un viso curioso, di una ragazza dal naso troppo grande e dagli evidenti
problemi di logorrea.
Se ne era scoperta
ossessionata.
Si era sorpresa a guardare
oltre i finestrini dei bus, nella debole speranza di riconoscere quella
figura nota in una ragazza che camminava sorseggiando un caffè, in una
che lasciava qualche dollaro agli artisti di strada, in una che
sbraitava contro un taxi che le aveva tagliato la strada.
Talvolta, nella sicurezza di
casa sua, aveva tentato di immaginare cosa stesse facendo in quel
momento, in che modo occupasse la sua vita, cosa, quel giorno, su
quella metro, l'aveva spinta a parlare con lei.
Lei che con le parole, se
non scritte, non ci sapeva proprio fare.
Se ne era accorta, più che
mai, quando le porte della metro si erano chiuse dietro quella banalità
che aveva lasciato come suo ultimo ricordo.
Ci pensava e ci ripensava.
Talvolta si malediceva.
Spesso sbuffava.
All'inizio aveva tentato di
correggere quella che stava diventando un'abitudine, se non addirittura
un vero e proprio vizio. Aveva mandato tutto al diavolo dopo poche
settimane e aveva ammesso a se stessa che sì, quella ricerca, per
quanto persa in partenza, la intrigava e la stimolava, e che i vizi
contribuivano in massima parte a rendere il saporaccio della vita
quantomeno gradevole. Ci volle un po' più di tempo per accettare che si
trattasse di un appiglio.
Non la trovò.
In nessun angolo di strada,
dietro nessuna vetrina, in nessun corpo, in nessun volto.
E guardare, settimana dopo
settimana, il sediolino vuoto accanto al suo fu più difficile.
E fare i conti con quella
porta che lei stessa aveva sbattuto fu più difficile.
Realizzò che quella giovane
donna, quella Rachel, le aveva dato ciò che le era sempre mancato: uno
scopo.
Che ne valesse o meno la
pena, quello che Quinn stava provando era l'agrodolce sapore
dell'attesa che precede la più instabile delle mete e la sua bocca
stava iniziando ad abituarsi ad esso.
Eppure non avrebbe saputo
distinguerne l'origine.
Che sapore aveva l'amore?
Sicuramente non di cucina
tailandese.
Detestava il cibo
tailandese, come detestava il proprietario del ristorante.
Probabilmente più di quanto non avesse mai detestato Miss Joyce e i
suoi nani da giardino. Nonostante questo, due giorni a settimana, il
locale all'angolo teneva prenotato per lei il tavolo accanto alla
vetrata.
Non perché fosse sadica. Non
più del minimo sindacale quantomeno.
Le piaceva il panorama.
Non esisteva, in città,
posto che avesse una vista migliore sul cartellone che pubblicizzava la
riapertura di Funny Girl.
Non esisteva, in città,
posto che avesse una vista migliore sul volto della nuova, sfacciata,
curiosa, interessante e logorroica beniamina di Broadway.
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Note:
Hi guys!
Dunque, credo proprio che il
prossimo sarà il capitolo conclusivo, quindi se stavate pensando di
festeggiare, questo è il momento opportuno.
Non ho molto altro da dire,
ma ci tenevo a fare un'unica precisazione per spiegare soprattutto il
cambiamento subito da Quinn: non credo nell'amore a prima vista, sono
dell'idea che sia un sentimento da coltivare, ma dal momento che
l'intera storia è di per sè un esperimento non credevo avrei mai avuto
occasione migliore.
Se avete ancora qualche
dubbio non esitate a chiedere su Facebook o su Ask.
Alla prossima!
-BB
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