Note:
Questa storia partecipa al
contest: “Sette vizi capitali: quando questi diventano ossessione” indetto dal
gruppo facebook “La crème de la crème di EFP”.
Parassita
La
guardo ed è come bruciare.
Le
fiamme del mio peccato s’espandono sottopelle e mi portano via ogni brandello
di lucidità – non sono mai stata così viva.
La
vita non può esser priva di scopo, qualcosa per non aprire gli occhi al
mattino; io m’infiammo per lei, per tutto ciò che da me la rende distante – io non
sono lei: è questo che ogni giorno accende l’alba di un nuovo significato.
È
bella. Disgustosamente bella. Con quel suo fare disinvolto, quasi non se ne
accorgesse neanche, come se la perfezione fosse normale, un banale dettaglio
della quotidianità. La sua bellezza è incastrata nella semplicità di ogni gesto
- nel modo in cui cammina, viso all’insù come presa da qualcosa d’inaccessibile
se non ai suoi occhi azzurri che ogni volta sposano il cielo.
La
odio e la desidero. La odio perché la desidero.
Voler
essere lei m’infiamma le carni e non sembro più io, ma è l’unico modo d’essere
in cui mi riconosco.
Brucerò
all’inferno per questo, Dio? Per questo desiderio distruttivo d’altre membra?
Non
m’importa. Io ho uno scopo. Lei vive, lei non è me e io non sarò mai lei – ho
uno scopo.
Le
cammino dietro – sono invisibile, io, un’ombra discreta condannata alla
dimenticanza, i miei occhi muti predatori d’ogni suo tratto – e mi sembra di cogliere
il fragore delle macerie della mia esistenza che mi crollano alle spalle, ma
non m’importa. Lei è viva – quelle sue curve fasciate nei jeans di una
taglia che non indosserò mai e quei capelli che sembrano nutrirsi del sole – e
lo sono anch’io, perché la divoro, lei è mia, è mia e non lo sa, vivo in lei
perché è lei che voglio essere, gli uomini guardano me quando si soffermano sul
suo seno tondo e discreto e le labbra, quelle labbra disegnate da Venere.
Queste
fiamme – l’inferno è già qui - ogni istante mi bruciano e sempre mi rimettono
al mondo; mi disintegro per ricompormi in ogni sguardo che l’ama e la rapisce.
Vorrei
morisse, vedere la sua anima risucchiata via dalla dimenticanza – conquisterei quell’involucro
di carne che bramo ogni giorno.
Dio,
tu che per la mia invidia mi condannerai all’inferno, credi davvero lei mi
possegga? Che la sua bellezza - incorruttibile armonia di carne e gesti sottili
- la delicatezza di ogni suo fare, mi conquistino fino a distruggermi?
Sei
solo un illuso, Dio – e non è cosa nuova, dato che speravi che il sacrificio
d’un figlio potesse redimerci tutti – perché in realtà sono io a possederla, io
la bramo e io, con questa mia voluttà viscerale, ogni attimo di ogni
giorno mi distruggo.
Nulla
mi rimane, perché nulla di me valeva la pena salvassi.
Che
vita è, la mia?
Io
non vivo da me, Dio, perché la mia pelle non conosce che il tocco delle mie
mani e i miei occhi non hanno mai bevuto l’amore di altri; sono assetata, un parassita
– vivo attraverso i suoi amori, il suo profumo, quel suo modo di offrirsi agli
uomini come stesse concedendo loro un privilegio.
Rido,
Dio. Sai perché?
Lei
non sa.
Non immagina. Sono un dettaglio trascurabile del suo quotidiano – mimesi sempre
troppo facile, la mia – e vive ignara della maledizione che scaglio ogni volta
sulla sua bellezza.
Sono
ovunque, dietro ogni angolo, in ogni sorriso e in tutti gli sguardi - ogni dove
io la maledico; lei sempre mi riconosce senza sapermi, mi sorride, a volte, ingenua,
come persuasa che per me ci sia speranza di redenzione.
Ma
è sempre stato così. Per me non c’è via di scampo.
Ho
coscienza della perversione del mio essere al mondo, ho firmato un patto col
diavolo perché sopravvivessi alle fiamme – cent’anni dannata, ma sempre qui a
guardarla, mai sazia dell’odio che alimenta la mia ammirazione e non conosco
altro modo d’essere al mondo – mi avvicino, sento il suo profumo – lei profuma
di fiori, io di marcio, sulla mia pelle l’olezzo di ciò che su di lei fiorisce
e in me si decompone – e penso che sarebbe molto più difficile odiarla così se
fosse consapevole almeno di un decimo di ciò che è.
Logora,
io, disarmonica sempre, tutto ciò che non sarò mai in lei esplode.
Poi
si volta – le sue labbra snocciolano parole bellissime, i suoi pensieri son
perle, incorrotta e afrodisiaca dentro come lo è fuori – e mi vede, crede
nelle coincidenze, sorride.
«Eris,
sorellina, buongiorno! Che coincidenza trovarti qui!»