Quando
la
sfiga…
Quando era
iniziata la battaglia, la Gatta aveva preso il posto di Felicia.
Pensava in
modo più razionale, sapeva come sfruttare al meglio le
proprie capacità, e
aveva imparato moltissimo da Bastet, la dea da cui in parte discendeva.
Tutti attorno a lei urlavano, pensavano a salvare le persone care, a
far
evacuare New York, ma lei aveva solo un pensiero in testa, un solo e
unico
obiettivo: il pesciolino dalle uova d’oro non poteva morire.
Con Kamar, aveva
guadagnato moltissimo durante le missioni dello SFIGA, e avrebbe fatto
di tutto
per salvarlo.
Era suo amico.
Un amico sincero come pochi, su cui aveva potuto contare. Felicia si
era
affezionata moltissimo a lui.
Per quello, con l’aiuto di Gary, quando era tornata in
sé, si era impegnata a
preparare quella pizza per poter attirare il leviatano che il tritone
era
diventato.
L’aveva preparata concentrandosi al massimo, nonostante
l’ansia, nonostante la
paura di fallire…e soprattutto, la paura che aveva per i
propri genitori,
lontani da lei.
La sua determinazione l’aveva sostenuta per tutto il tempo,
senza di essa non
avrebbe retto.
La sua determinazione era la molla per tutto.
Per sé stessa, per i suoi amici…avrebbe fatto di
tutto.
Si era perfino calata dentro il mostro che Kamar era diventato, lungo
l’esofago, per salvare il divino Thor, finito dentro il suo
stomaco, per poi farlo
rigurgitare.
E ci era riuscita, era tornata viva fuori.
Ma qualcosa, poi, era morto.
In entrambe le sue identità.
Un lampo rosso, che la aveva quasi accecata, aveva portato la sua
attenzione
verso Crono, la divinità del tempo, che aveva trapassato il
cranio del
leviatano con la lorpav, l’arma atlantidea per eccellenza,
usando tutta la sua
forza.
Il tempo sia era quasi fermato.
Una frazione di secondo, e tutto era cambiato.
Qualcosa era sfuggito.
Il presente le era piombato come un macigno.
Il cuore aveva perso qualche battito, il respiro era venuto meno,
quando vide
Kamar precipitare in forma umana su una delle collinette di Central
Park, privo
di sensi.
“Maru!” gemette Felicia, preoccupata. Anche se era
lontana, e non poteva certo
sentirla in quello stato, era stato un gesto involontario, un bisogno
che aveva
sentito dal profondo del suo animo. Doveva raggiungerlo.
Kamar era suo amico, uno dei suoi pochi amici, non avrebbe potuto
perderlo.
Non avrebbe dovuto!
“Non stare lì….alzati in
piedi…” sussurrava, tra sé e
sé, convinta che a breve,
il tritone si sarebbe alzato in piedi, sorretto da Lucas e Lyra, per
poi
sorridere come al solito.
Immagini e ricordi le passarono frammentati e veloci nella mente, mano
a mano
che si avvicinava al punto dov’era caduto, quando si
sentì afferrare da delle
mani forti, e voltandosi si trovò di fronte gli amerindi,
che la fissavano
impassibili.
“Lasciatemi.” Sibilò, quasi un soffio
irato, gli occhi ridotti a fessure e le
pupille verticali che indicavano nuovamente la presenza della Gatta.
Doveva vedere come stava, accertarsi che stesse bene.
Ma…
Quell’altare, quelle parole dette dal dio del
tempo…
“Maru!” gridò ancora, ansante, mentre
cercava di liberarsi dalla stretta di
quegli uomini che la tenevano bloccata, graffiando con le unghie
diamantate e
scalciando come un gatto randagio, incapace di arrendersi.
E infine…
Quel colpo. La testa di Kamar, ora tenuta come un trofeo compiaciuto da
quel
dio azteco, era uno spettacolo raccapricciante.
Il mondo sembrò fermarsi.
Lanciò un grido, un lungo grido. Sofferente, impregnato di
un dolore che la
rendeva sorda e ignara di ciò che aveva attorno a
sé. Gridò, fino a perdere la
voce, come se quello avrebbe potuto toglierle la stretta al petto, quel
sapore
di bile nel palato, quell’amaro che non aveva mai provato
prima.
Annaspò, sentendo le lacrime scenderle copiose e gelide
lungo le guance,
incapace di dire altro, di muovere anche solo un muscolo.
Non ci sarebbe stata una prossima volta.
Era tutto finito.
Era tutto finito, e non erano riusciti a salvarlo.
Qualcosa, una parte di sé, ed era certa di tutti loro, era
morta, persa.
Questa volta, la sfiga non era stata d’aiuto.
Questa volta, la sfiga aveva colpito quanto più duramente
possibile tutti loro.
Parla
Tomocchi: Breve
One-Shot sul personaggio di Felicia durante la battaglia contro il
leviatano a
New York, cos’ha provato e come l’ha vissuta.
Non è stato
semplice scriverla, era un momento difficile per tutti, e ognuno ha
affrontato il dolore a modo suo…e spero di esserci riuscita
nonostante il
personaggio non mi appartiene >.<
I personaggi appunto
non mi appartengono, ma sono di Baldr della storia
Quest’amore
è un calcio nei c…
La storia partecipa al
contest indetta dal gruppo Baldr
H- perché la fantasia
è
un optional, e mi è piaciuta tantissimo come
iniziativa!
>w< grazie per l'opportunità <3
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