"Speravo fosse nel 2046 e
quindi sono andato a cercarla lì"
(2046, di Wong Kar-wai)
Guardò attentamente il calice in cristallo, vuoto e pulito,
con
affianco la bottiglia di vino rosso che stava sul tavolino.
Tutto proprio di fronte alla poltrona dove era seduto.
Guardò attentamente,
rifletté, mise a fuoco ogni cosa che gli stava intorno e
sospirò.
Il diaframma andò sù e giù lentamente.
Doveva assolutamente mantenersi sveglio e attivo.
Erano già passate trentatré ore da quando era
entrato in
quella camera d'albergo e aveva cessato di avere contatti con il mondo
esterno.
L'unica eccezione erano state le telefonate interne per il servizio in
camera e dei ben educati grazie al personale.
All'inizio aveva sistemato la sua strumentazione con cura, quasi a non
voler dare fastidio all'ambiente circostante di cui sarebbe rimasto un
pallino pieno sull'elenco. Poi, aveva iniziato a prendere
confindenza e a collezionare la lista dei dettagli particolari di
quella
stanza. I due lumi rossi posti sui comodini immediatamente ad entrambi
i lati del letto, un quadretto con un gufo e un altro con una copia de
Il bacio di Klimt, i tulipani gialli freschi nel vaso sul
comò.
Infine, si era limitato a mantenere la stessa posizione.
Solo, con un respiro in più che gravava in petto.
La stava aspettando.
Si spostò verso la scrivania e mirò lo schermo
del pc che mostrava una pagina con pentagrammi immacolati.
Era da un mese, Dio ma quanto durava gennaio, che aveva accettato di
comporre
un tema musicale per un film. Tom aveva fatto da intermediario e a lui
riciclarsi come autore era sembrata un'idea interessante.
Aveva
già deciso di infilare nella composizione tutto il possibile
immaginabile, sprezzo della misura compreso. Avrebbe fatto
ciò che gli riusciva meglio, senza sentire il minimo
senso di colpa.
Sarebbe stato facile dato che non avrebbe
dovuto avere a che fare con le parole. Solo suono, pura comunicazione.
Bisognava infilare le note con la stessa velocità con cui
sviava le domande più antipatiche con ulteriori quesiti.
Dunque, si era ritrovato in un vicolo cieco. L'ego continuava a
divertirsi prendendosi gioco di lui.
Il problema era che per l'intera durata del film i personaggi
principali non avrebbero parlato, la musica l'avrebbe
fatto
al posto loro.
Ebbene, certo, particolare come progetto ma lui era
leggermente sotto pressione.
Così, aveva deciso di staccare verso una direzione nuova. Si
era ritirato in
quell'hotel con il minimo indispensabile per comporre e l'impazienza di
rincontrarla.
Quella tana di salvataggio si stava rivelando,
però, inutile. C'era
tutto lo spazio che gli occoreva per fare le sue cose eppure
nulla di nulla.
La verità era che tra l'avere voglia di creare e il mettersi
a
creare stava in mezzo un immenso silenzio d'attesa. Per la
cronaca, forse, non
aveva tantissima voglia di lavorare. Mangiare italiano, quello
sì. Avrebbe fatto meglio ad andarsene.
Probabilmente lei non sarebbe venuta, l'avrebbe lasciato lì,
insoddisfatto, costretto a cercarla in un posto diverso.
Scosse la testa e pensò a sua madre che lo
rimproverava
spesso con un "Quante volte te lo dobbiamo ripetere di non portare
Fiocco così vicino al viso? Potrebbe graffiarti?" e a se
stesso
piccolo e testardo, che le rispondeva con
"Ma non mi fa niente. Lui mi vuole bene". Aveva imparato solo molto
dopo che tra le due azioni spesso non
c'è una correlazione così netta. Anzi, quello che
si
ferisce di più è ciò che è
più
vicino al cuore.
Quella compagna di sventure gli mancava e tra l'imbarazzo
del rivedersi dopo tanto tempo e quel vago abisso
avrebbe preferito il primo un milione di volte.
Il guaio era che non aveva mai potuto trattenerla con un filo intorno
al dito o affittarla come con quella stanza.
Prese in mano una chitarra acustica per accordarla.
Poteva solo aspettarla.
Qualcosa risalì in superficie, in mezzo al cuore.
Era arrivata, musa imperfetta. Piano piano si
sistemò sentendosi a casa, facendo di lui un suo spazio.
Con l'intenzione di fare il prezioso, lui brontolò fino a
tirare il coraggio di mettere in
mostra la propria intimità.
Ogni problema era stato ridimensionato e fu come se non si fosse mai
sentito scoraggiato o abbandonato. Fu come essere esattamente dove si
trovava, era la prima volta dopo troppi mesi.
Il senso pratico lo portò a farsi
subito una doccia.
Lei rimase ferma in un angolo, messa in
pausa, vincolata ad un'ennesima lunga riflessione. Non ci volle molto,
però, che si mischiò alla clavicola e alle lunga
dita di
lui sotto il getto d'acqua e come l'acqua
gli si insinuò sotto la pelle.
L'ost prese vita sino a visualizzare le note. La partenza morbida, che
instilla il desiderio, che so, di far crescere margherite o comprare
oggetti inutili, e, dopo, uno
slancio più entusiasta che parte da dentro e graffia ma non
importa e, infine, la musica che rallenta là dove gli
accordi si sfiancano e hai voglia di sorridere un po' di
più.
Anche lui, completata la melodia, sorrise, tra sé e
sé, a
lei che era tornata dopo il crollo di un muro abbastanza alto.
Ne era uscito un lavoro discreto e le valige erano pronte per uscire
dalla stanza 2046.
Self.self.self: Salve, sono ritornata un momentino con questa shot.
Spero non abbia fatto storcere troppo il naso. Se vi va, commentate.
Mercì.