DISCLAIMER:
“Once Upon a Time” e tutti i suoi
meravigliosi personaggi appartengono alla ABC e ad Adam Horowitz e ad
Edward Kitsis, eccetera… Io li ho solo presi in prestito con
amore.
TIMELINE: Questa storia si colloca non molto prima
di “An
Apple Red As Blood” (1x21), quando Emma sta iniziando a
considerare l’idea che far pace con Regina e lasciare la
città possa essere la cosa migliore per Henry.
Last Guest
Emma arriva tardi alla festa. Si
sente in ritardo per la festa dal
giorno in cui ha spento una candelina e Henry è apparso alla
sua porta.
È
strano partecipare a una celebrazione a casa della sua
rivale, percorrere senza fretta il viottolo sino alle maestose colonne
di un palazzo di mattoni e malta che ha aperto e contorto il suo cuore
in egual misura. Emma cerca di immaginare questo posto come una casa
accogliente. A quanto pare questa è una serata abituale a
Storybrooke, a quanto pare Regina Mills ospita una festicciola ogni
anno, una settimana prima della fine della scuola. Nel pomeriggio
organizza un po’ di arti e mestieri giusto sul prato, per
raccogliere soldi per i programmi artistici e musicali della scuola. Di
sera i bambini danno un concerto scolastico. Quando il sole tramonta,
gli adulti tornano da Regina per una festa.
Emma
si unisce ai bisboccioni quando la folla si è diradata.
Figure familiari si mescolano e indugiano nella sala al piano terra del
sindaco, sul portico sul davanti della casa, nell’atrio.
Regina
si muove tra la folla, uno snello barlume d’argento.
Questa è nuova per Emma. Regina… vestita di seta.
«Signorina
Swan. Lieta di vedere che si è potuta
unire a noi» dice Regina, la voce cadenzata, le labbra che
forzano un sorrisino mentre Emma varca la soglia. Il sindaco tiene in
equilibrio un drink nella propria mano, il bicchiere di cristallo che
riflette la luce del lampadario. Come il suo vestito, come i suoi
orecchini. Le unghie delle sue mani luccicano d’oro.
Questa
notte è piena di confusione.
«Signora
sindaco». Emma offre un piccolo cenno del
capo mentre entra alla festa. Passa abbastanza vicino a Regina da
cogliere un’inebriante ondata di Dolce & Gabbana.
*
Emma
sta vicino ai muri e alle scale mentre cala la sera e la luna
prende il comando. Guarda Regina. Perché questo è
quello che Emma fa. Lei guarda le persone, cerca di capirle, di
predirne le prossime mosse. È così che trova i
perduti, i dimenticati. Certi giorni Regina è prevedibile in
modo quasi doloroso. Altri è l’enigma
più contorto che Emma abbia mai incontrato.
La
porta di Henry è appena visibile dall’atrio,
ben chiusa senza alcuna luce che si insinui da sotto la porta.
Emma
chiacchiera per un po’ con Ruby. Prende un drink con
Archie vicino allo studio. Non perde mai di vista Regina, e dopo
un’ora, inizia a guardare il suo bicchiere. Il liquido
pregiato cala di livello, si prosciuga, poi si riempie di nuovo.
Emma
coglie il primo e lieve passo falso delle scarpe argentee di
Regina, sul bordo del tappeto ai piedi delle scale. Una mano sulla
ringhiera e il momento è superato e dimenticato. Nessun
altro sembra vederlo.
*
Gli
irriducibili di Storybrooke rimangono più a lungo di
quanto Emma si sarebbe aspettata in questa città
mattino-centrica. I pochi ultimi stanno dicendo i loro arrivederci
mentre la luna si abbassa dietro il melo di Regina.
Regina
accompagna le persone alla porta con tutte le appropriate
formalità e le politiche cortesie. Grazie, mio caro, ed
è stato incantevole vederla. Porti i miei migliori saluti a
sua madre. Questo Emma se lo aspetta. Ha visto mille
sorrisi
diplomaticamente piazzati che mancano di toccare gli occhi di Regina e
vive in questa città solo da qualche mese. Ciò
che non si aspetta è Kathryn. Questa donna snella ed
elegante stringe Regina in un caloroso abbraccio… e Regina
ricambia il gesto con gentilezza. Gli occhi del sindaco si chiudono per
un momento, e lei attira Kathryn più vicino, traendo un
respiro più profondo nelle braccia della donna mentre le sue
mani stringono la presa. Si baciano le guance mentre si separano, le
dita intrecciate, e la gentilezza dello sguardo di Regina sembra dover
essere uno scherzo della luce.
Un
momento più tardi, Regina si gira e sorprende gli occhi
di Emma, e il sorriso beffardo e familiare serve a cancellare
quell’aberrante momento dalla realtà.
*
Emma
è l’ultima a rimanere sotto l’arco
della sala da pranzo di Regina. Perché suo figlio
è al piano di sopra e la sua madre single ha bevuto
incessantemente da quando la luna era nella parte più
lontana del cielo. Vuole solo assicurarsi… di avere la
portata della situazione prima di andarsene. È tutto.
Regina
si ferma in cima ai gradini dell’atrio. Rimane in
piedi, una mano posata con grazia sul ventre mentre il suo sguardo
valuta la donna nella sua casa. C’è
un’agiatezza praticata, una regalità nel
portamento di Regina in abito da sera che lascia Emma a domandarsi per
un disorientante momento se ci sia qualche chicco di verità
nei deliri di Henry. Lei resiste all’impulso di passare il
peso da una gamba all’altra sotto l’esame della
donna più vecchia. Per un momento Regina sembra considerare
la situazione, e proprio quando Emma ha iniziato a sospettare di stare
per essere rimossa di peso dall’edificio, Regina dice
semplicemente: «Posso portarle un altro bicchiere di
vino?»
«Uhm…
no, sono a posto. Devo tornare a casa in
auto».
Regina
sembra voler dire qualcosa in più, ma vacilla e si
limita ad annuire. Passa nel salotto, dal tavolino di servizio, e
allunga una mano verso una bottiglia di vino aperta. La porta al tavolo
da caffè assieme al proprio bicchiere vuoto.
Emma
la segue, fermandosi accanto al divano sgualcito dagli ospiti.
Le
luci sono state abbassate. Ad un certo punto della serata, Regina ha
acceso un certo numero di candele e le ha distribuite lungo il salotto
e il salottino.
«Non
la vedo spesso con un vestito elegante» dice
Regina, facendo cenno all’abbigliamento di Emma.
Emma
getta uno sguardo verso il basso al suo semplice azzurro,
più classico del suo stile usuale, e liscia in modo
impacciato l’abito lavorato a maglia sopra i suoi fianchi e
le sue cosce. «Ah. Sì, be’…
Stavo aiutando Mary Margaret con lo spettacolo corale dei ragazzini, e
lei voleva che i ragazzini si mettessero in ghingheri e ha
detto… che dovevamo dare il buon esempio. È solo
che io… Nessuno dei miei vestiti urlava davvero Concerto
Scolastico dei Ragazzini, così ne ho preso in prestito uno
di Mary Margaret».
Emma
attende il sopracciglio di disapprovazione, il commento maligno
sulla qualità del suo guardaroba serale. Per un momento
disorientante, la fronte di Regina si corruga con qualcosa di simile
alla sincerità, e lei dice semplicemente: «Oh.
Be’. Ti sta bene».
La
stanza sembra arrestarsi sbandando. Okay. Regina è
definitivamente ubriaca.
Regina
gira intorno al tavolo da caffè e affonda con grazia
nei cuscini chiari. Accavalla le gambe attraverso lo spacco del suo
abito da sera e lascia che il vestito di seta torni a colare attorno
alle sue ginocchia. «La prego» dice, «si
sieda».
*
«Pensa…
forse il prossimo dovrebbe essere un
caffè?» propone Emma. È seduta alla
larghezza di un cuscino da Regina, i loro corpi angolati per la
conversazione.
Regina
sembra confusa per un momento, poi indignata. Mentre il suo
sopracciglio si alza, c’è un lampo quasi
confortante del sindaco maligno e provocatorio che Emma ha sempre
conosciuto, molto meno disorientante della seta e della pelle e delle
labbra vermiglie davanti a lei. È sconcertante descrivere
Regina come bellissima, ma negarlo adesso sarebbe una bugia.
«Penso di poter decidere cosa desidero bere, nella mia stessa
casa».
«E
Henry?» dice Emma, lo sguardo che guizza
istintivamente verso le scale.
Il
cipiglio di Regina è istantaneo e genuino, quasi
incredulo. «Pensi che berrei così tanto con mio
figlio in casa?»
Emma
sbatte le palpebre, completamente confusa. «Non
è di sopra?»
Regina
esala con derisione. «Certo che no. È
uscito tre ore fa. Ogni anno il museo di Storybrooke tiene una
permanenza notturna, una caccia al dinosauro per i bambini. David Nolan
è uno degli chaperon volontari stanotte. Ha accompagnato
Henry in auto e baderà a lui per tutta la notte».
Emma
tace. La storia è troppo facilmente confutabile per
essere una bugia, e lei non riesce a trovare niente da ridire. Emma non
è sicura che nel tempo di dieci anni lei potrebbe ottenere
lo stesso.
«Oh»
dice Emma, cercando di trattenere
l’aria genuina di contrizione dal proprio tono.
«Non lo sapevo. Le mie scuse».
Regina
si limita a guardarla attraverso occhi socchiusi per un lungo
momento, poi torna a riempire il proprio bicchiere.
*
La
luce delle candele sta ammorbidendo le perpetue linee del cipiglio
che attraversano la fronte di Regina. O forse è il vino. I
suoi orecchini scintillano mentre lei si muove e attirano una
lusinghiera attenzione sulla regolare scultura dell’incavo
delle sue guance, la sagoma della sua mascella.
A
volte Emma dimentica che Regina Mills è semplicemente una
donna. Una donna che era una ragazza, una volta. Con genitori, una
famiglia, feste di compleanno, e una prima cotta, un primo amore. Vuole
credere che sotto la superficie ci sia una donna che lei davvero non
conosce. Una donna che ha cresciuto suo figlio. Una donna che
avrà cura di lui se Emma… dovesse decidere
di… retrocedere.
Regina
sta giocherellando con un delicato braccialetto d’oro
al suo polso. La sua espressione è pensosa, malinconica,
quasi. Una musica a stento udibile si diffonde da uno stereo da qualche
parte nella stanza accanto. Emma distingue un pianoforte, e forse un
tocco di violino. Non ha mai pensato a quale musica possa trovarsi
nella personale collezione di Regina. Quali interessi lei possa aver
condiviso con Henry.
«I
polsi sono così sensibili» dice
Regina, e alza lo sguardo per catturare quello di Emma. La
concentrazione di Regina è un po’ approssimativa.
Lei è sensata, e la maggior parte delle sue parole sono
chiare, ma c’è un piccolo sforzo in più
in ogni movimento, in ogni articolazione, e i fili del loro scambio
sono lievemente fuori ritmo ed erranti.
Emma
assottiglia gli occhi.
«Sì…» replica cautamente.
«Intende… alla temperatura,
o…»
Regina
scuote la testa. Poi chiude gli occhi per un breve momento
quando il movimento le sembra far girare la stanza. «No,
è solo… è solo che il mio fidanzato
aveva l’abitudine…», lei fa un sorriso
morbido che sciocca Emma con una traccia degli occhi scintillanti di
Henry e che non ha il minimo senso biologico, «aveva questo modo
di… passare le dita… molto leggermente,
nell’interno dei miei polsi» dice Regina. Le sue
dita mimano il gesto sulla sua stessa pelle mentre parla, ed Emma trova
difficile trascinare via il proprio sguardo. «Ogni volta che
ero… fuori di testa per qualcosa, o… spaventata.
Lui poteva…» Una risata sommessa si alza dal petto
di Regina, il suono gutturale e lieve nella stanza coperta di cuscini.
Lei trae un respiro profondo mentre intreccia le proprie dita come per
fermarle. «Quella fu la prima volta che realizzai, come il
contatto fisico e le… reazioni biologiche di una
persona… possono essere tutte ingarbugliate con
l’amore».
Emma
la fissa per un lungo momento negli echi; la parola amore scivola
dalla lingua di questa donna come se lei discutesse il soggetto ogni
giorno, e Regina incontra i suoi occhi con una fermezza snervante e con
aperta disinvoltura. «Lei… Lei aveva un
fidanzato?» farfuglia Emma, la sua voce più
sottile e più debole del tintinnio nella sua testa.
La
replica di Regina è così lenta ad arrivare che
Emma teme di aver concluso la serata. E per la prima volta Emma si
ritrova a domandarsi con una scomoda stretta allo stomaco se
c’è una ragione per cui stanotte Regina si sta
perdendo nel suo bicchiere. Se c’è una ragione per
cui questa creatura di controllo supremo stia allentando le redini.
«È
stato ucciso» dice Regina.
«Molto tempo fa».
Porca miseria. Emma
vuole dire che le dispiace. Non è sicura
che dovrebbe attraversare una tale linea. Non aveva intenzione di
venire qui per un cuore a cuore col Sindaco Mills. Almeno non a
proposito di… cose diverse da Henry.
«Leggevi
per lui? Per Henry? Alla sera?» Le parole
escono dalle labbra di Emma prima che lei possa selezionarle nella sua
mente.
Regina
sbatte le palpebre, ma recupera. «Certo che
sì. Ogni sera finché non è stato
grande abbastanza per leggere da solo. E anche allora».
Emma
si fa coraggio, deglutisce a fatica. Potrebbe star approfittando
dello stato indebolito di Regina, e parte di lei si sente in colpa per
questo, ma parte di lei sta cercando una via ed ha un disperato bisogno
di elusive verità. «Tu e Henry… prima
di tutta questa… cosa delle fiabe. Eravate…
eravate una bella famiglia?»
«Perché?
Cosa vuoi?»
«Voglio
assicurarmi che mio figlio stia bene».
«Mio
figlio. E lui sta bene».
«Dimmelo
e basta, Regina».
L’espressione
di Regina è imperscrutabile, ma
l’abituale maschera del sindaco sta semplicemente
scomparendo. Lei ha recuperato il proprio bicchiere e ancora una volta
si ritira per scrutare nelle sue profondità. Il vino le ha
arrossato le guance, e le sue labbra sono appena bagnate. La sua lingua
scivola sopra il rossetto rimanente. «Non ho mai avuto una
tata a tempo pieno» dice. «Qualcuno doveva guardare
Henry una volta che sono tornata al lavoro, certo, ma… Ho
passeggiato avanti e indietro tutta la notte con Henry quando stava
mettendo i denti. Gli ho insegnato a leggere. Ho lavato tutti i suoi
vestiti. Lui dormiva nel mio letto dopo ogni incubo. Si è
aggrappato alla mia gamba il primo giorno di scuola materna. Ho
impacchettato ogni pranzo con tutti i suoi cibi preferiti, e quelli che
vanno bene per lui. So quali fumetti legge. Un’estate io e
lui abbiamo affisso da noi la carta da parati nella sua stanza. Avevamo
l’abitudine di fare un picnic al parco ogni
giovedì per tutta l’estate. Un anno abbiamo
imparato a far volare un aquilone. E sinché non ha compiuto
nove anni, mi diceva tutto il tempo… che ero la mamma
migliore al mondo».
Emma
si sente come se il suo petto stesse tremando.
«Cos’è successo?»
Regina
solleva il mento con l’aria di qualcosa simile
all’insolenza. O alla sfida. Dice:
«Biancaneve».
Emma
sbatte le palpebre. «Cosa? Intendi… il
libro?»
Il
silenzio si protrae. Regina scrolla le spalle e abbassa la testa. Il
suo sguardo si muove senza sosta dall’arco della sala da
pranzo, al caminetto, al soffice tappeto sotto il tavolo.
«Lui è cresciuto» dice. «Il
lavoro è diventato più impegnativo. Lui
è indipendente, ha una forte volontà. Io sono
rigida. Ci scontriamo. Quella parte era… prevista,
suppongo».
«Ma
poi… le cose sono cambiate… dopo il
libro…»
Regina
non replica.
«Ma
tu gli vuoi bene» dice Emma.
«Non
sono una madre perfetta» dice Regina.
«Ma nessuna madre la è. Voglio bene a Henry. E
sono molto meglio di quanto la mia stessa madre sia mai
stata».
«Almeno
tu avevi una madre da giudicare».
Lo
sguardo di Regina resta attaccato alla luce tremolante delle candele
nel suo bicchiere di vino, e mentre Emma guarda l’elegante
ombra di questa donna, quasi rimpiange le proprie parole secche. Si
aspettava sarcasmo o derisione o risentimento. Il lampo di qualcosa
simile al dolore viscerale è qualcosa per il quale non
è venuta preparata.
Nella
calda luce e nella gonna d’argento, con un
po’ di pelle in mostra e una lieve debolezza di
concentrazione, Regina Mills è più umana di
quanto Emma l’abbia mai vista essere.
C’è un tortuoso anello dorato su una catena
attorno al suo collo – un dono, forse, da un genitore, o da
un amante, o da un amico. Lei era la fidanzata di qualcuno. Lei
è qualcuno con mani aggraziate e con un tocco morbido e
confortante a sera tarda. Qualcuno che veniva custodito e curato e
amato. Lei è la madre di qualcuno.
È
un momento che Emma non vuole. Ed un momento per cui
è grata.
Questa
donna ha cresciuto suo figlio. Lo ha stretto, vestito, gli ha
insegnato… lo ha amato. Lei non vuole che questa donna sia
cattiva.
È
più facile odiare la strega di un libro di
storie. Più difficile odiare una donna con morbidi occhi
castani e un sorriso malinconico mentre le unghie delle sue dita
tracciano i bordi di un bicchiere sporco di rossetto.
*
«Dovrei
andare» dice Emma.
Regina
annuisce e si spinge sui propri piedi per seguire il suo ultimo
ospite sino alla porta. Si destreggia con semplice naturalezza, ed Emma
inizia a pensare che Regina sia più sobria di quanto lei
credesse. Ma a un passo dalla cima delle scale, Regina emette un suono
lieve dal retro della gola e chiude gli occhi, allunga una mano cieca e
in cerca di equilibrio verso il muro. La sua mira è pessima,
ed Emma afferra la mano malferma di Regina giusto in tempo, le dita che
si stringono sul polso del sindaco.
Regina
trae un respiro e apre gli occhi, le sue stesse dita che si
curvano protettivamente verso il suo ventre. «Mi
dispiace» dice lei, un po’ senza fiato.
C’è una genuina traccia di imbarazzo nel suo
sorriso sfuggente. «Un po’ troppo vino, a quanto
pare».
Emma
ignora le sue scuse. «È tutto a posto. Stai
bene?»
Regina
dà un definitivo cenno del capo. «Sto
bene».
La
mano di Emma si sposta e il suo pollice si fa strada per posarsi sul
punto del battito all’interno del polso di Regina. Il battito
cardiaco è un po’ rapido, ma forte e deciso.
«Sì?» chiede lei, piegando appena la
testa, cercando il contatto visivo e una vera conferma.
Lo
sguardo di Regina è fisso sulla mano che le tiene il
polso.
Emma
segue i suoi occhi e vuole staccarsi, ma Regina sembra ancora un
po’ traballante, e davvero Emma non vuole lasciar andare e
finire col raccoglierla dal pavimento. Arriva a un compromesso e libera
il polso di Regina mentre sistema l’altra mano in una presa
equilibrante sull’avambraccio del sindaco.
Regina
si tira più dritta, e retro-illuminata dal salotto,
c’è un’aria di comando e…
potere che fa drizzare i peli sulle braccia di Emma e ancora una volta
porta immagini di castelli e spade e nebbia viola e scombina il suo
senso di realtà. «Ne sono piuttosto certa,
signorina Swan. Può andare».
Se
c’è una cosa che Regina fa bene, è
assicurarsi che uno sappia quando è congedato. Emma sospira,
e fa un passo indietro. Regina non fa alcuno sforzo di fare i pochi
gradini, ed Emma la considera una scelta saggia. «Ha dato una
festa assurda, Signor Sindaco» dice mentre apre la porta. Non
ha nessuna spiegazione per le parole che lasciano le sue labbra proprio
mentre i suoi piedi sono al sicuro sul bordo del portico e lei si gira
di nuovo verso la casa. «Mi dispiace. Per il suo fidanzato.
Nessuno dovrebbe passarci».
L’espressione
di Regina è distante e
imperscrutabile. Morbida e dura e incerta e illeggibile nella luce
posteriore delle candele e nella luce mutevole della luna. Lei non si
muove. Poi Regina fa un passo indietro, gira la testa, e per il
più breve dei momenti nella luce tremolante, Emma coglie una
nitida, breve vista di pelle pallida e gola esposta e lacrime negli
occhi di Regina. Un battito di ciglia è il momento se
n’è andato, e Regina si sta allontanando in un
silenzio calmo e controllato. Si dirige verso le scale, le prende
rapidamente senza un solo passo falso. Ed Emma è lasciata,
nella penombra, a fissare attraverso la porta ancora aperta, sulle
scale illuminate d’oro alle ombre dove la figura in ritirata
di Regina è svanita in un turbinio d’argento. |