Penumbra

di Mao_chan91
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A Silvia, che quest’anno sta compiendo tanti passi importanti, tipo raggiungere i vent’anni.
A te, maledetta donna, che sai migliorare la giornata di chi soffre sentimenti pateticamente sbagliati.
Grazie per ora, grazie per sempre. Di tutto.
Ti offro un pezzo di cuore strappandomi questa storia, che mi è costata tanta pena.
Sa di male ma anche di speranza. Sa di tanto, e del male me ne sono liberata piantandolo qui, la speranza è per te.
Il mio pensiero “segreto” e ritardatario per il tuo compleanno.

Penumbra
[For a minute there, I lost myself]



She is the sunlight and the sun is gone.
[Trading yesterday, She is the sunlight]

Quando avevo otto anni, mi fecero una domanda innocente in un contesto assurdo.
“E se ce ne andassimo?”
Fu così improvvisa che, anche se le mie unghie erano affondate nelle lenzuola di mia madre e l’odore di medicinali mi toglieva il fiato, il mio animo di bambino traumatizzato rispose per me.
E fu un sì.

-

Winry indossava i suoi pantaloncini più comodi. Blu.
Al indossava la maglietta col gattino che la mamma gli aveva cucito per il suo ultimo compleanno. Di uno splendido, triste verde speranza.
Non erano affatto in tinta col mio umore, anche se quei colori luminosi dovevano ben essere stati scelti a mio incoraggiamento.
Non ero né triste né smarrito, alla ricerca di una luce.
C’ero e non c’ero.
Il mondo attorno ai miei occhi, semplicemente, pareva scomparire nel bianco profondo di una coscienza che non avevo mai avuto.
Il mio primo rimorso.
Non piansi mai senza un buon motivo, nella mia vita, ma quello lo era.
Affondai la testa nelle spalle, e, disperato al pensiero che potessero vedermi, feci loro strada nel sentiero già buio, troppo distante perché potessero intuire lo scuotersi delle mie spalle.
Ma mi conoscevano meglio di chiunque al mondo.

Il mondo si schiudeva davanti ai miei occhi, ma non vedevo nulla che non avessi già visto.
“Quando ci fermiamo?”, avrebbe usualmente chiesto Winry o forse Al, in una situazione normale.
Eravamo in cammino ormai da ore, a scavalcare recinti e poi rocce affilate.
Ma questa non era una situazione normale; sentivo i loro respiri affannosi, ma non me ne curavo.
Ero l’unico troppo orgoglioso per mostrare stanchezza, e i graffi e i lividi sui miei polpacci incuranti non erano niente in confronto alle scorse giornate.
Il solo ricordo era peggio di qualunque altra cosa, quindi più che una sopportazione ai miei occhi quella fuga non era né più né meno che una benedizione.
Nemmeno loro, d’altro canto, me lo facevano pesare:l’idea era stata loro, io mi ero limitato ad assentire.
Avevo ormai più bisogno di proteggere me stesso che loro, ed era una situazione paradossale rispetto al resto della mia vita, a quello che era e sarebbe stato.
Avevo bisogno di qualcosa a cui aggrapparmi per non crollare, di rafforzarmi prima di affrontare l’inevitabile verità.
Di qualche colore per evitare il grigio che mi aveva inghiottito e in cui annaspavo e annaspavo senza trovare aria.

Permisi loro di fermarsi solo quando trovai in me un briciolo di compassione e spazio per loro.
L’idea di essere diventato un tale egoista era spaventosa, ma anche assolutamente necessaria, per me.
Ci fermammo in uno spazio abbastanza largo da poterci sistemare in terra tutti e tre; esaminai le loro ginocchia e, con grande turbamento, realizzai che Alphonse aveva una grossa escoriazione sul ginocchio destro, circondata da graffi su graffi.
Non mi ero neanche accorto di quante zone accidentate avessimo oltrepassato. Avevo scelto il sentiero quasi senza guardare, guidato dall’istinto in tutta casualità.
Lo stesso, loro mi avevano seguito nei percorsi più assurdi senza dire niente.
E la cosa più sconcertante era che nessuno me ne avrebbe fatto mai una colpa.
Immaginai Alphonse cadere in terra senza gridare, sanguinando senza cura per i moscerini che gli ronzavano attorno.
O forse aveva gridato ma io non l’avevo sentito.
Doveva essere stato per questo, che erano rimasti tanto indietro.
Forse il loro silenzio era tutta una maniera sottile di odiarmi, senza esprimere niente.
Forse.
Winry si chinò all’altezza delle ginocchia di Al, strappando un pezzo di stoffa dai suoi già laceri pantaloncini.
I suoi preferiti. Blu.
Tirò fuori un po’ d’acqua dalla bottiglietta nel suo zaino e lavò quella ferita che aveva atteso già troppo; baciò la sua pelle intimandole di guarire presto, con un fare materno tutto suo, e lo bendò.
Per qualche istante, il mio fratellino, rosso per vari motivi, mi sembrò la persona più fortunata del mondo.
Per questo, lo odiai.

-

To know why hope dies
Losing what was found, a world so hollow
Suspended in a compromise
[Trading yesterday, Shattered]


Sapevo che mio fratello aveva bisogno di aiuto e mi ero limitato a fornirglielo.
L’idea era stata di Winry, mio il tempo impiegato a convincerlo. Pochi secondi, ma così intensi da poter essere ritagliati e conservati in un album di foto.
Fu come se mi avesse preso la mano per non cadere da un burrone. Ed era in salvo.

-

Mi sentii pentito di avere acconsentito a convincerlo.
Winry stessa era così distrutta da essere solo vagamente riconoscibile; affogata nel suo stesso sudore, sporca e lacera, ma con gli occhi vivi come sempre.
La luce guida di cui avevamo entrambi bisogno.
La amavano e l’amiamo ancora per questo, in modi diversi.
Si adatta alle situazioni senza mai perdere la sua luce, senza mai smettere di guidarci.
E’ il trofeo che chiunque vorrebbe sollevare con fierezza per vedere meglio e nel contempo celare per gelosia.
Mi sentivo ardere di fatica, imbarazzo e per lo sguardo acuminato di Ed fisso su di me, lì a mortificarmi.
Guarda, sono io che ho bisogno di aiuto e tu perdi tempo così. Non dovresti farlo. Non dovresti.
Non parlammo molto; ogni tanto Winry sussurrava due parole scarne, poi si allontanò a raccogliere qualche mora fra i cespugli, e restammo solo io e lui.
Giochicchiava col coltellino che si era portato dietro, incidendo segni alchemici sulla terra e moncando qualche ramo vicino.
Così, per distrazione.
Dal canto mio, fingevo ardentemente di non essere lì.
Per un attimo pensai anche di andare via, ma nessuno me lo avrebbe mai perdonato.
Io non me lo sarei mai perdonato; perciò rimasi, e il suo coltellino che spezzava qualcosa era l’unico orologio che scandisse il mio tempo, mentre mi sentivo impazzire.
Cosa ci facevamo noi, lì, con la mamma che stava morendo a casa?
Cosa ci facevamo, lì?
Accontentavamo la disperazione egocentrica di mio fratello, senza un lamento.
Dovevamo essere diventati tutti pazzi.
“Sai, Al.” esordì lui, spaventandomi con l’improvvisa comparsa di parole in quella foresta silenziosa, “con questo io, se lo incontrò, lo ucciderò.”
Deglutii, amareggiato.
“Chi ucciderai?”
“Quell’uomo.”
“Papà?”
“Quello. Lo ucciderò. Anzi, ho proprio voglia di andare a cercarlo.”
Si leccò le labbra per rinfrescarle.
“Non andare, per favore. Winry vorrà trovarci entrambi, quando tornerà.”
Lui chinò la testa e stette in silenzio, borbottando qualcosa mentre annuiva.
Ma nel tempo di un battito di ciglia, non lo trovai più lì.
Quantomeno, non trovai mio fratello, perché mio fratello non aveva mai avuto occhi così estraniati dal mondo.
Così sconosciuti.

Qualche istante dopo, fu lui ad andarsene.
Sentivamo un fiume scorrere nei paraggi, e lui disse che avrebbe provato a prendere un pesce o qualcosa del genere.
Non lo stavo realmente ascoltando.
Realizzavo, finalmente, che Ed non avrebbe mai capito da sé che non era l’unico protagonista della tragedia.
Che non era solo.
Che io ero l’unico ad accorgersi che Winry non era ancora tornata.

-

There is a hope beyond this night
There is a Savior in the sky
Giving His life to set this world on fire

[Trading yesterday, World on fire]

Sapevo che l’evasione era l’arma perfetta contro la disperazione, e sapere che Ed aveva acconsentito mi aveva resa peccaminosamente orgogliosa.
In cuor mio, gioivo per Ed che si era concesso una possibilità per prendere nuovo fiato, a occhi asciutti.

-

Non ero poi così devastata, tutto sommato.
Potevo fare i conti facilmente con le caviglie arrossate e i piedi gonfi di calli, nelle scarpe diventate troppo strette; e se anche non avessi potuto, avrei dovuto comunque.
Raccolsi frutti su frutti, mi alzavo sulle punte dei piedi in continuazione per coglierle.
Quelle più mature erano malauguratamente in cima a una sporgenza di collina, e dovetti arrampicarmi malamente per coglierle.
Di sicuro avere lo stomaco pieno avrebbe risollevato lo scarso morale del gruppo.
Mi feci forza, ancorandomi bene coi piedi, ma proprio quando le ebbi tra le mani il dolore mi tradì e caddi giù, con quello che era ormai semplice succo di more spiaccicato sulla maglietta.
Mi veniva un po’ da piangere, di disperazione ed inettitudine.
Avrei voluto essere a casa, dopotutto. Avrei dovuto essere a casa, dove qualcuno avrebbe cucinato per me e il mio stomaco non avrebbe brontolato così forte da urtare la mia reputazione.
Ma dovevo tener duro per poter contare qualcosa, lì.
La nostra competitività era qualcosa di spaventoso, ed in mezzo a due maschi ancora più acuta.
Il rischio di sentirmi ed essere inutile era così terrificante da darmi tutta la forza che mi sarebbe altrimenti mancata, così mi feci animo e mi spinsi un po’ più in là a raccogliere frutti.
Mi schiaffeggiai il viso per scacciare una mosca e forse fu per questo che piansi.
Un venale capriccetto non concesso ad alcun pubblico.

Poi, lo vidi. Con i pantaloni tirati su sino alle cosce, chino sul fiumiciattolo.
La sua schiena curva e rigida, le sue braccia perfettamente perpendicolari e i suoi occhi taglienti, appena visibili sotto i capelli.
Pareva fatto d’acciaio.
Nel contempo lo ammirai e me ne spaventai.
Così forte da non sembrare vero.
Crudele, una visione troppo crudele per i miei giovani occhi.
Come un’ombra. L’ombra di Edward Elric.
Mi parve di osservarlo per giorni.
I pesci gli passavano vicino ma i suoi occhi vuoti non li vedevano; quando gliene capitò uno vergognosamente vicino, con noncuranza lo trafisse col suo coltello.
Poi lo tenne tra le mani, sorpreso, e quasi per pena lo gettò via sulla riva.
Senza agitarsi, il pesce giacque immobile e lui non si curò del sangue rimastogli invischiato sulle mani.

-

I've got to walk away while there's still hope
[Trading yesterday, My last goodbye]

Mi sedetti un attimo, perché avere le mani sporche m’infastidiva ma sentivo che lavarle sarebbe stato inutile.
Per qualche istante, riflettetti.

Prego di non vederti, prego di non sentirti fino al momento dell’inesorabile addio.
Qualche ricordo di mio padre soggiaceva, sbiadito e fastidioso, nei recessi della mia mente.
Sono un bambino. Non voglio vederti perché sarò libero di sperare che in mia assenza tu possa migliorare.
Qualcosa di luminoso. Colori luminosi.

Sono un bambino. Non voglio vederti perché sarò libero di sperare che in mia assenza tu possa migliorare.
Ed erano dorati i suoi occhi.

Sarò libero di sperare di non aver contribuito alla tua morte come mio padre.
Come i miei, come quelli di Al.

Sarò libero di sperare di essere migliore di lui.
Come i riflessi del meraviglioso sole su quelle acque cristalline.

Sarò libero di sperare…
Come le ciocche che cadevano ora al mio fianco; e strinsi quei capelli, che urlarono ed il mondo esplose con la mia rabbia e strappai, tirai, strinsi l’oro e scivolai giù, giù e mi sentivo in pace con me stesso mentre strangolavo mio padre, l’uomo che stava uccidendo mia madre.
Non urlò molto; in preda all’estasi, le mie dita quasi tremavano su quel collo incredibilmenente liscio e sottile e così inadeguato a quell’uomo mostruoso che stava uccidendo mia madre, ma non mi feci scrupoli finché i suoi rantolii non divenirono solo brevi vibrazioni di gola.

…di non essere diventato…
Rotolai a cavalcioni su di lui, godendo nel graffiare dapprima il suo collo per inciderci la parola ‘bastardo’ e poi, solo poi tornare a dedicarmi alla pressione finale.
E poi…poi qualcosa mi saltò addosso; mio padre rotolò lontano.
Qualcosa mi sferrò un pugno e poi un altro e un altro ancora; mi rivoltai ed ottenni solo una bastonata sui denti.
Il sangue m’impastava la bocca colando giù, ed aprii solo per un istante gli occhi, steso a terra.
Il sole mi accecò ed accarezzai il coltello che avevo in tasca.
Avevo commesso un errore, ma ammetterne due sarebbe stato eccessivo.
Il Qualcosa si voltò e sollevai la lama all’altezza del suo cuore.

…un assassino.

-

If I hold out my hand
would it change where you're standing now?
Just come back to me

[Trading yesterday, Come back to me]

Avevo urlato il nome di entrambi senza ricevere risposte, forse senza essere neanche udito.
Avevo corso come un folle senza fermarmi né osare incespicare nell’erba incolta.
Quando lo vidi, quando li vidi, desiderai solo urlare.
E quando riconobbi il corpo che stava strangolando con le sue mani, lo feci.
Urlai e mi rovesciai su mio fratello salvando il corpo bianco di Winry; colpii, colpii e lo riempii, incontrollato nel furore (la nostra Winry, la nostra Winry, cosa aveva potuto farle…?), di sangue.
Credendolo già inoffensivo, lo lasciai respirare un poco e respirai anch’io; ma il sole scintillò e mio fratello già volgeva una lama affilata al mio petto.
Pochi, fugaci, istanti di panico e la lama affondò.
Nella sua stessa spalla.
Non la penetrò interamente, ma soffrì abbastanza da salvarmi.
Finalmente, seppi che era finita.
Lo osservai per qualche istante, lui, il suo fiato mozzo e i suoi occhi persi nel cielo, e poi mi precipitai con gran ritardo da Winry, che respirava pochissimo.
Seppi cosa fare grazie a quello che avevo letto su un libro e, prendendo fiato, salvai anche lei.

-

Sono cambiato quell’anno, nel bosco della mia infanzia.
Non so dove fossi finito, fatto sta che non ero più lì, non ero più con loro.

Non c’ero più.
E sembra tutto così reale, ancora oggi, così reale…
Ma nessuno ne parla più, ormai. Nessuno lo ha dimenticato, d’altronde.
Io non dimentico.
Non dimentico la gioia perversa di avere in mano una vita e di poterla buttare via.
La fragilità mentale che mi stava facendo stroncare allora tutto quello in cui credo adesso. Loro.

E sono loro, senza dei quali morirei, perché sarebbe l’unica cosa giusta da fare.

-

Il suo male è stato cieco, ma non è stato più lo stesso di allora.
Ha chiuso gli occhi assieme a sua madre, gettato in un cassetto senza chiave tutto quello che non gli serviva più (voglia di fuggire, occhi puri, ingenuità, mani morbide).
Forse l’ha anche bruciato, quel cassetto. Non so più a cosa chiedere.
Non so più cosa trovare quando mi guardo allo specchio, quando sfioro il mio corpo, perché potrei essere già morta senz’aria, senza forze e con gli occhi sbarrati tanti, tanti anni fa.
Ma poi, in un cassetto spalancato, trovo la sua immagine in lacrime, le sue spalle agitate mentre ci da le spalle.
Poi una mano tesa (ruvida ma di carne), un sorriso di scherno (dal sapore nostalgico), e ancora, ancora un cuore che batte (vivo), ma che sciocca, forse è solo il tuo.
Ancora oggi, trovo speranza.

Ed espongo il mio corpo da pochi anni, ventre, collo, gambe, solo da quando ho deciso di dimostrare al mondo che non provo rancore e a me stessa che sono viva, senza cicatrici.

-

Per un certo periodo di tempo, una volta tornati, frettolosamente, a casa, capitò che Winry mi si stringesse accanto prendendomi la mano e chinando la testa, Ed davanti a noi.
Ogni tanto si passava una mano sul collo, e le sue dita ci indugiavano a lungo, come ritrovandosi incredula nel respirare ancora.
E noi osservavamo, osservavamo mio fratello morire ancora un po’, turbati.
Mio fratello che teneva le mani della mamma, che ancora invocava il nome di papà, e che teneva gli occhi aperti ma non guardava niente.
Mio fratello che ci schivava con mortificazione nel corridoio, o nella stanza stessa.
Mio fratello per il quale eravamo entrambi diventati un motivo di vergogna, un peccato.
Mio fratello che ci amava e si odiava per questo.
Perché c’è sempre stato un motivo superiore al semplice rispetto per una donna violenta, se Winry lo colpisce tanto, a distanza, e lui incassa senza restituire niente.
Se il loro rapportarsi è così goffo e disturbato.
Non si tratta di cura o affetto, quanto di semplici difesa ed espiazione.
Perché c’erano voluti tre pugni e un naso rotto per rendere mio fratello quello che era in quei giorni, un morto che camminava; e c’era voluta la morte di nostra madre per renderlo quello che è ora: Edward Elric, colui che insegue miraggi tinti d’oro e rosso per restituire la vita che è stato a un passo dal sottrarci di nuovo.

Fine

-

Un ambientazione un po’ ispirata a La bambina che amava Tom Gordon, di Stephen King.
L’ultima frase intende che Ed è stato a un passo dal sottrarre ad Al la vita e a Winry quella di entrambi, così importanti per lei, ma forse era chiaro.
La musica inizia a scomparire, mentre inizialmente separava i POV. Semplicemente, non c’è più bisogno di niente, quando tutto è così chiaro.
Anche se adoro le canzoni dei Trading yesterday, come si può intuire.
E Ed, spero, non così IC, considerando lo stato mentale.
Sìl, ricordati che non ti ho fatto betar niente solo perché sono frettolosa e non volevo asfissiarti subito.
Ti asfissierò presto comunque, non temere XD. Non combinerei niente, senza il tuo animo spietato.
Ok, la fic rischia di essere il mio primo OOC, anche se nella mia testa era un momento di squilibrio che può capitare a chiunque, imprevedibile e pentito. Ma se sarà giudicata tale, apporrò la dicitura senza problemi. Nella mia testa ha senso, poi mi rimetto alla clemenza della corte.
Grazie per il primo commento che mi ha dato modo di ripensarci, beautiful_disaster ^^.
Grazie a chi ha sempre commentato, e a chi commenterà (Siyah, se passi di qui, credo non ti sia arrivata la mia e-mail, se mi contatti tu è meglio!).

Alla prossima.





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