A
Silvia, che quest’anno sta compiendo tanti passi
importanti, tipo raggiungere i vent’anni.
A te, maledetta donna, che sai migliorare la giornata
di chi soffre sentimenti pateticamente sbagliati.
Grazie per ora, grazie per sempre. Di tutto.
Ti offro un pezzo di cuore strappandomi questa storia, che mi
è costata tanta pena.
Sa di male ma anche di speranza. Sa di tanto, e del male me ne sono
liberata
piantandolo qui, la speranza è per te.
Il mio pensiero “segreto” e ritardatario per il tuo
compleanno.
Penumbra
[For
a minute there, I lost myself]
She is the sunlight and the sun is gone.
[Trading yesterday, She is the sunlight]
Quando avevo otto anni, mi
fecero una domanda innocente in un contesto assurdo.
“E se ce ne andassimo?”
Fu così improvvisa che, anche se le mie unghie erano
affondate nelle lenzuola
di mia madre e l’odore di medicinali mi toglieva il fiato, il
mio animo di
bambino traumatizzato rispose per me.
E fu un sì.
-
Winry indossava i suoi
pantaloncini più comodi. Blu.
Al indossava la maglietta col gattino che la mamma gli aveva cucito per
il suo
ultimo compleanno. Di uno splendido, triste verde speranza.
Non erano affatto in tinta col mio umore, anche se quei colori luminosi
dovevano ben essere stati scelti a mio incoraggiamento.
Non ero né triste né smarrito, alla ricerca di
una luce.
C’ero e non c’ero.
Il mondo attorno ai miei occhi, semplicemente, pareva scomparire nel
bianco
profondo di una coscienza che non avevo mai avuto.
Il mio primo rimorso.
Non piansi mai senza un buon motivo, nella mia vita, ma quello lo era.
Affondai la testa nelle
spalle, e, disperato al pensiero che potessero vedermi, feci loro
strada nel
sentiero già buio, troppo distante perché
potessero intuire lo scuotersi delle
mie spalle.
Ma mi conoscevano meglio di chiunque al mondo.
Il mondo si schiudeva davanti ai miei occhi, ma non vedevo nulla che
non avessi
già visto.
“Quando ci fermiamo?”, avrebbe usualmente chiesto
Winry o forse Al, in una
situazione normale.
Eravamo in cammino ormai da
ore, a scavalcare recinti e poi rocce affilate.
Ma questa non era una situazione normale; sentivo i loro respiri
affannosi, ma
non me ne curavo.
Ero l’unico troppo orgoglioso per mostrare stanchezza, e i
graffi e i lividi
sui miei polpacci incuranti non erano niente in confronto alle scorse
giornate.
Il solo ricordo era peggio di qualunque altra cosa, quindi
più che una
sopportazione ai miei occhi quella fuga non era né
più né meno che una
benedizione.
Nemmeno loro, d’altro canto,
me lo facevano pesare:l’idea era stata loro, io mi ero
limitato ad assentire.
Avevo ormai più bisogno di
proteggere me stesso che loro, ed era una situazione paradossale
rispetto al
resto della mia vita, a quello che era e sarebbe stato.
Avevo bisogno di qualcosa a cui aggrapparmi per non crollare, di
rafforzarmi
prima di affrontare l’inevitabile verità.
Di qualche colore per evitare
il grigio che mi aveva inghiottito e in cui annaspavo e annaspavo senza
trovare
aria.
Permisi loro di fermarsi solo
quando trovai in me un briciolo di compassione e spazio per loro.
L’idea di essere diventato un tale egoista era spaventosa, ma
anche
assolutamente necessaria, per me.
Ci fermammo in uno spazio abbastanza largo da poterci sistemare in
terra tutti
e tre; esaminai le loro ginocchia e, con grande turbamento, realizzai
che
Alphonse aveva una grossa escoriazione sul ginocchio destro, circondata
da
graffi su graffi.
Non mi ero neanche accorto di
quante zone accidentate avessimo oltrepassato. Avevo scelto il sentiero
quasi
senza guardare, guidato dall’istinto in tutta
casualità.
Lo stesso, loro mi avevano
seguito nei percorsi più assurdi senza dire niente.
E la cosa più sconcertante
era che nessuno me ne avrebbe fatto mai una colpa.
Immaginai Alphonse cadere in terra senza gridare, sanguinando senza
cura per i
moscerini che gli ronzavano attorno.
O forse aveva gridato ma io
non l’avevo sentito.
Doveva essere stato per
questo, che erano rimasti tanto indietro.
Forse il loro silenzio era
tutta una maniera sottile di odiarmi, senza esprimere niente.
Forse.
Winry si chinò all’altezza
delle ginocchia di Al, strappando un pezzo di stoffa dai suoi
già laceri
pantaloncini.
I suoi preferiti. Blu.
Tirò fuori un po’ d’acqua dalla
bottiglietta nel suo zaino e lavò quella ferita
che aveva atteso già troppo; baciò la sua pelle
intimandole di guarire presto,
con un fare materno tutto suo, e lo bendò.
Per qualche istante, il mio fratellino, rosso per vari motivi, mi
sembrò la
persona più fortunata del mondo.
Per questo, lo odiai.
-
To know why hope dies
Losing what was found, a world so hollow
Suspended in a compromise
[Trading yesterday, Shattered]
Sapevo che mio fratello aveva
bisogno di aiuto e mi ero limitato a fornirglielo.
L’idea era stata di Winry, mio il tempo impiegato a
convincerlo. Pochi secondi,
ma così intensi da poter essere ritagliati e conservati in
un album di foto.
Fu come se mi avesse preso la
mano per non cadere da un burrone. Ed era in salvo.
-
Mi sentii pentito di avere
acconsentito a convincerlo.
Winry stessa era così
distrutta da essere solo vagamente riconoscibile; affogata nel suo
stesso
sudore, sporca e lacera, ma con gli occhi vivi come sempre.
La luce guida di cui avevamo
entrambi bisogno.
La amavano e l’amiamo ancora
per questo, in modi diversi.
Si adatta alle situazioni senza mai perdere la sua luce, senza mai
smettere di
guidarci.
E’ il trofeo che chiunque vorrebbe sollevare con fierezza per
vedere meglio e
nel contempo celare per gelosia.
Mi sentivo ardere di fatica, imbarazzo e per lo sguardo acuminato di Ed
fisso
su di me, lì a mortificarmi.
Guarda, sono io che ho bisogno di aiuto e
tu perdi tempo così. Non dovresti farlo. Non dovresti.
Non parlammo molto; ogni
tanto Winry sussurrava due parole scarne, poi si allontanò a
raccogliere
qualche mora fra i cespugli, e restammo solo io e lui.
Giochicchiava col coltellino che si era portato dietro, incidendo segni
alchemici sulla terra e moncando qualche ramo vicino.
Così, per distrazione.
Dal canto mio, fingevo
ardentemente di non essere lì.
Per un attimo pensai anche di andare via, ma nessuno me lo avrebbe mai
perdonato.
Io non me lo sarei mai
perdonato; perciò rimasi, e il suo coltellino che spezzava
qualcosa era l’unico
orologio che scandisse il mio tempo, mentre mi sentivo impazzire.
Cosa ci facevamo noi, lì, con la mamma che stava morendo a
casa?
Cosa ci facevamo, lì?
Accontentavamo la disperazione egocentrica di mio fratello, senza un
lamento.
Dovevamo essere diventati
tutti pazzi.
“Sai, Al.” esordì lui, spaventandomi con
l’improvvisa comparsa di parole in
quella foresta silenziosa, “con questo io, se lo
incontrò, lo ucciderò.”
Deglutii, amareggiato.
“Chi ucciderai?”
“Quell’uomo.”
“Papà?”
“Quello. Lo ucciderò. Anzi, ho proprio voglia di
andare a cercarlo.”
Si leccò le labbra per rinfrescarle.
“Non andare, per favore.
Winry vorrà trovarci entrambi, quando
tornerà.”
Lui chinò la testa e stette
in silenzio, borbottando qualcosa mentre annuiva.
Ma nel tempo di un battito di ciglia, non lo trovai più
lì.
Quantomeno, non trovai mio fratello,
perché mio
fratello non aveva mai avuto occhi così estraniati dal mondo.
Così sconosciuti.
Qualche istante dopo, fu lui ad
andarsene.
Sentivamo un fiume scorrere nei paraggi, e lui disse che avrebbe
provato a
prendere un pesce o qualcosa del genere.
Non lo stavo realmente
ascoltando.
Realizzavo, finalmente, che
Ed non avrebbe mai capito da sé che non era
l’unico protagonista della
tragedia.
Che non era solo.
Che io ero l’unico ad accorgersi che Winry non era ancora
tornata.
-
There
is a hope beyond this night
There is a Savior in the sky
Giving His life to set this world on fire
[Trading yesterday,
World on fire]
Sapevo che l’evasione era
l’arma perfetta contro la disperazione, e sapere che Ed aveva
acconsentito mi
aveva resa peccaminosamente orgogliosa.
In cuor mio, gioivo per Ed
che si era concesso una possibilità per prendere nuovo
fiato, a occhi asciutti.
-
Non ero poi così
devastata,
tutto sommato.
Potevo fare i conti
facilmente con le caviglie arrossate e i piedi gonfi di calli, nelle
scarpe
diventate troppo strette; e se anche non avessi potuto, avrei dovuto
comunque.
Raccolsi frutti su frutti, mi
alzavo sulle punte dei piedi in continuazione per coglierle.
Quelle più mature erano
malauguratamente in cima a una sporgenza di collina, e dovetti
arrampicarmi
malamente per coglierle.
Di sicuro avere lo stomaco
pieno avrebbe risollevato lo scarso morale del gruppo.
Mi feci forza, ancorandomi
bene coi piedi, ma proprio quando le ebbi tra le mani il dolore mi
tradì e
caddi giù, con quello che era ormai semplice succo di more
spiaccicato sulla
maglietta.
Mi veniva un po’ da piangere,
di disperazione ed inettitudine.
Avrei voluto essere a casa,
dopotutto. Avrei dovuto essere a
casa, dove qualcuno avrebbe cucinato per me e il mio stomaco non
avrebbe
brontolato così forte da urtare la mia reputazione.
Ma dovevo tener duro per poter contare qualcosa, lì.
La nostra competitività era qualcosa di spaventoso, ed in
mezzo a due maschi
ancora più acuta.
Il rischio di sentirmi ed essere inutile era così
terrificante da darmi tutta
la forza che mi sarebbe altrimenti mancata, così mi feci
animo e mi spinsi un
po’ più in là a raccogliere frutti.
Mi schiaffeggiai il viso per scacciare una mosca e forse fu per questo
che
piansi.
Un venale capriccetto non
concesso ad alcun pubblico.
Poi, lo vidi. Con i pantaloni
tirati su sino alle cosce, chino sul fiumiciattolo.
La sua schiena curva e rigida, le sue braccia perfettamente
perpendicolari e i
suoi occhi taglienti, appena visibili sotto i capelli.
Pareva fatto d’acciaio.
Nel contempo lo ammirai e me ne spaventai.
Così forte da non sembrare vero.
Crudele, una visione troppo crudele per i miei giovani occhi.
Come un’ombra. L’ombra di Edward Elric.
Mi parve di osservarlo per
giorni.
I pesci gli passavano vicino ma i suoi occhi vuoti non li vedevano;
quando
gliene capitò uno vergognosamente vicino, con noncuranza lo
trafisse col suo coltello.
Poi lo tenne tra le mani, sorpreso, e quasi per pena lo
gettò via sulla riva.
Senza agitarsi, il pesce giacque immobile e lui non si curò
del sangue rimastogli
invischiato sulle mani.
-
I've
got to walk away while there's still hope
[Trading
yesterday, My
last goodbye]
Mi sedetti un attimo,
perché
avere le mani sporche m’infastidiva ma sentivo che lavarle
sarebbe stato
inutile.
Per qualche istante,
riflettetti.
Prego
di non vederti, prego di non sentirti fino al
momento dell’inesorabile addio.
Qualche
ricordo di mio padre
soggiaceva, sbiadito e fastidioso, nei recessi della mia mente.
Sono
un bambino. Non voglio vederti perché sarò libero
di sperare che in mia assenza tu possa migliorare.
Qualcosa di luminoso. Colori luminosi.
Sono
un bambino. Non voglio vederti perché sarò libero
di sperare che in mia assenza tu possa migliorare.
Ed erano dorati i suoi occhi.
Sarò
libero di sperare di non aver contribuito alla
tua morte come mio padre.
Come i miei, come quelli di Al.
Sarò
libero di sperare di essere migliore di lui.
Come i riflessi del meraviglioso sole su quelle acque cristalline.
Sarò
libero di sperare…
Come le ciocche che cadevano ora al mio fianco; e strinsi quei capelli, che
urlarono ed
il mondo esplose con la mia rabbia e strappai, tirai, strinsi
l’oro e scivolai
giù, giù e mi sentivo in pace con me stesso
mentre strangolavo mio padre,
l’uomo che stava uccidendo mia madre.
Non urlò molto; in preda
all’estasi, le mie dita quasi tremavano su quel collo
incredibilmenente liscio
e sottile e così inadeguato a quell’uomo mostruoso
che stava uccidendo mia
madre, ma non mi feci scrupoli finché i suoi rantolii non
divenirono solo brevi
vibrazioni di gola.
…di non essere
diventato…
Rotolai a cavalcioni su di lui, godendo nel graffiare dapprima il suo
collo per
inciderci la parola ‘bastardo’ e poi, solo poi
tornare a dedicarmi alla
pressione finale.
E poi…poi qualcosa mi saltò addosso; mio padre
rotolò lontano.
Qualcosa mi sferrò un pugno e
poi un altro e un altro ancora; mi rivoltai ed ottenni solo una
bastonata sui
denti.
Il sangue m’impastava la bocca colando giù, ed
aprii solo per un istante gli
occhi, steso a terra.
Il sole mi accecò ed accarezzai il coltello che avevo in
tasca.
Avevo commesso un errore, ma ammetterne due sarebbe stato eccessivo.
Il Qualcosa si voltò e sollevai la lama
all’altezza del suo cuore.
…un assassino.
-
If
I hold out my hand
would it change where you're standing now?
Just come back to me
[Trading
yesterday, Come
back to me]
Avevo urlato il nome di
entrambi senza ricevere risposte, forse senza essere neanche udito.
Avevo corso come un folle
senza fermarmi né osare incespicare nell’erba
incolta.
Quando lo vidi, quando li vidi,
desiderai solo urlare.
E quando riconobbi il corpo
che stava strangolando con le sue mani, lo feci.
Urlai e mi rovesciai su mio
fratello salvando il corpo bianco di Winry; colpii, colpii e lo
riempii,
incontrollato nel furore (la nostra
Winry, la nostra Winry, cosa aveva potuto farle…?),
di sangue.
Credendolo già inoffensivo, lo lasciai respirare un poco e
respirai anch’io; ma
il sole scintillò e mio fratello già volgeva una
lama affilata al mio petto.
Pochi, fugaci, istanti di panico e la lama affondò.
Nella sua stessa spalla.
Non la penetrò interamente, ma soffrì abbastanza
da salvarmi.
Finalmente, seppi che era finita.
Lo osservai per qualche istante, lui, il suo fiato mozzo e i suoi occhi
persi
nel cielo, e poi mi precipitai con gran ritardo da Winry, che respirava
pochissimo.
Seppi cosa fare grazie a quello che avevo letto su un libro e,
prendendo fiato,
salvai anche lei.
-
Sono cambiato quell’anno,
nel
bosco della mia infanzia.
Non so dove fossi finito,
fatto sta che non ero più lì, non ero
più con loro.
Non
c’ero più.
E sembra tutto così reale, ancora oggi, così
reale…
Ma nessuno ne parla più, ormai. Nessuno lo ha dimenticato,
d’altronde.
Io non dimentico.
Non dimentico la gioia
perversa di avere in mano una vita e di poterla buttare via.
La fragilità mentale che mi
stava facendo stroncare allora tutto quello in cui credo adesso. Loro.
E sono loro, senza dei quali
morirei,
perché sarebbe l’unica cosa giusta da fare.
-
Il suo male è stato
cieco, ma
non è stato più lo stesso di allora.
Ha chiuso gli occhi assieme a sua madre, gettato in un cassetto senza
chiave
tutto quello che non gli serviva più (voglia di fuggire,
occhi puri, ingenuità,
mani morbide).
Forse l’ha anche bruciato, quel cassetto. Non so
più a cosa chiedere.
Non so più cosa trovare quando mi guardo allo specchio,
quando sfioro il mio
corpo, perché potrei essere già morta
senz’aria, senza forze e con gli occhi
sbarrati tanti, tanti anni fa.
Ma poi, in un cassetto spalancato, trovo la sua immagine in lacrime, le
sue
spalle agitate mentre ci da le spalle.
Poi una mano tesa (ruvida ma di carne), un sorriso di scherno (dal
sapore
nostalgico), e ancora, ancora un cuore che batte (vivo), ma che
sciocca, forse
è solo il tuo.
Ancora oggi, trovo speranza.
Ed espongo
il mio corpo da
pochi anni, ventre, collo, gambe, solo da quando ho deciso di
dimostrare al
mondo che non provo rancore e a me stessa che sono viva, senza
cicatrici.
-
Per un certo periodo di tempo,
una volta tornati, frettolosamente, a casa, capitò che Winry
mi si stringesse
accanto prendendomi la mano e chinando la testa, Ed davanti a noi.
Ogni tanto si passava una mano sul collo, e le sue dita ci indugiavano
a lungo,
come ritrovandosi incredula nel respirare ancora.
E noi osservavamo,
osservavamo mio fratello morire ancora un po’, turbati.
Mio fratello che teneva le mani della mamma, che ancora invocava il
nome di
papà, e che teneva gli occhi aperti ma non guardava niente.
Mio fratello che ci schivava
con mortificazione nel corridoio, o nella stanza stessa.
Mio fratello per il quale eravamo entrambi diventati un motivo di
vergogna, un
peccato.
Mio fratello che ci amava e si odiava per questo.
Perché c’è sempre stato un motivo
superiore al semplice rispetto per una donna
violenta, se Winry lo colpisce tanto, a distanza, e lui incassa senza
restituire niente.
Se il loro rapportarsi è così
goffo e disturbato.
Non si tratta di cura o affetto, quanto di semplici difesa ed
espiazione.
Perché c’erano voluti tre pugni e un naso rotto
per rendere mio fratello quello
che era in quei giorni, un morto che camminava; e c’era
voluta la morte di
nostra madre per renderlo quello che è ora: Edward Elric,
colui che insegue
miraggi tinti d’oro e rosso per restituire la vita che
è stato a un passo dal
sottrarci di nuovo.
Fine
-
Un ambientazione un po’
ispirata
a La bambina che amava Tom Gordon,
di
Stephen King.
L’ultima frase intende che Ed è stato a un passo
dal sottrarre ad Al la vita e
a Winry quella di entrambi, così importanti per lei, ma
forse era chiaro.
La musica inizia a scomparire, mentre inizialmente separava i POV.
Semplicemente, non c’è più bisogno di
niente, quando tutto è così chiaro.
Anche se adoro le canzoni dei Trading yesterday, come si può
intuire.
E Ed, spero, non così IC, considerando lo stato mentale.
Sìl, ricordati che non ti ho fatto betar niente solo
perché sono frettolosa e
non volevo asfissiarti subito.
Ti asfissierò presto comunque, non temere XD. Non combinerei
niente, senza il
tuo animo spietato.
Ok, la fic rischia di essere il mio primo OOC, anche se nella mia testa era un momento di squilibrio che può capitare a chiunque, imprevedibile e pentito. Ma se sarà giudicata tale, apporrò la dicitura senza problemi. Nella mia testa ha senso, poi mi rimetto alla clemenza della corte.
Grazie per il primo commento che mi ha dato modo di ripensarci, beautiful_disaster ^^.
Grazie a chi ha sempre commentato, e a chi commenterà (Siyah,
se passi di qui,
credo non ti sia arrivata la mia e-mail, se mi contatti tu è
meglio!).
Alla prossima.
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