Seduto nel giardino di
casa, Carrick
Grey osservava i suoi nipoti giocare sul prato. Teddy e
Phoebe, rispettivamente quattro e due anni, si rincorrevano
ridendo e squittendo come topolini.
Era sopprattutto Teddy, copia pressochè sputata
di Christian, ad attirare maggiormente la sua attenzione.
Sospirando, lasciò che il proprio sguardo, meditabondo e
malinconico, vagasse
lontano verso l'orizzonte sul mare e che i pensieri gli si affollassero
in mente.
Era così preso dalle sue meditazioni che quasi non si era
accorto che qualcuno si era venuto a sedere vicino a lui e che lo stava
osservando.
"Pensieroso, papà?" la voce di suo figlio Christian gli
giunse improvvisa e tuttavia cara alle orecchie;
"Eh?" domandò, quasi come se si ridestasse da un sogno
"dicevi?";
"Dicevo che ti trovo pensieroso. A cosa stai pensando?",
"A niente...niente di importante";
"Proprio così poco importante non deve essere, vista la tua
espressione. Hai l'aria triste"
Da quando in qua mio
figlio è
diventato così sensibile? Soprattutto nei miei confronti.
Devo
dire che è proprio cambiato. Non avrei mai creduto.
"Vedi, figliolo, il fatto è che
guardavo tuo figlio
e mi sono reso conto che ti assomiglia veramente tanto. Sembra di
vedere te alla sua età, solo che...";
"Solo che lui non è per niente come ero io alla sua
età. Vero papà?";
"Fortunatamente no. Tu eri...Figliolo, non augurerei mai a nessun
bambino di essere come eri tu a quell'età."
Carrick chiuse per
un istante gli occhi, il ricordo delle condizioni in cui avevano
trovato il piccolo Christian era ancora un dolore vivo nel suo animo.
"Eri piccolo e così spaventato. Ricordo che tua madre mi
aveva
telefonato dall'ospedale dicendomi se potevo fare qualcosa per un
bambino che avevano appena ricoverato. Mi era sembrata molto scossa al
telefono, così avevo deciso di andare da lei per aiutarla e
vedere se stava bene. E lì ti ho visto per la prima volta,
Gesù, avevi quattro anni ma ne dimostravi poco
più di due,
tanto eri denutrito e sottopeso. Ti si potevano contare le costole e
tutte le ossa. Eri parecchio disidratato, eri stato per quattro giorni
senza bere né mangiare nulla. Avevi segni di lividi, di
cinghiate e di morsi un po' dappertutto, per non parlare delle ustioni
sul petto e sulla schiena. Quando tua madre mi ha proposto di adottarti
ho accettato subito; speravo di poterti dare tutto l'amore che fino a
quel momento ti era stato negato e non avresti mai più
sofferto
la fame, mai più".
Si accorse di avere gli occhi umidi, li asciugò con il dorso
della mano e continuò il suo racconto:
"Contavo di poterti prendere in braccio, abbracciare, confortare,
coccolare, fare con te tutte le cose che avevo sempre fatto con tuo
fratello Elliot. Ma mi resi conto ben presto che questo non era
possibile. Tu non volevi essere toccato da nessuno, nemmeno da tua
madre o da tuo fratello e avevi paura di me, una paura folle
ingiustificata. Quando mi avvicinavo ti ritraevi e stringevi forte
quella copertina celeste che era il tuo talismano contro
tutto. Non serviva a niente che io cercassi di essere dolce e
pacato nei tuoi confronti, nonostante cercassi in ogni modo
di
farti capire che non dovevi avere niente da temere; comunque eri
terrorizzato. Lo sapevo allora come lo so adesso che non era colpa tua,
che era quello che quel bastardo ti aveva fatto a renderti
così,
ma ne soffrivo, ne soffrivo enormemente. Non potere essere per te padre
allo stesso modo in cui lo ero per tuo fratello e per tua sorella, non
poterti abbracciare o prendere in braccio, rendermi conto che c'era
come un muro fra di noi, un muro con del filo spinato, e che, col
passare del tempo, anziché ridursi o cadere, si ergeva
sempre più massiccio, capire che la
freddezza con cui mi trattavi e con cui trattavi tua madre derivava non
dal tuo carattere o dal nostro comportamento, ma dagli orribili abusi
che avevi subito nella tua prima infanzia, tutto questo, figlio mio, mi
rendeva estremamente triste e amareggiato. Per me, per tua madre, ma
soprattutto per te".
"Oh, papà" disse allora Christian "io ti voglio bene, ne ho
sempre voluto a te e alla mamma. Solo non potevo dimostrarlo, non ci
riuscivo. Non sono mai riuscito a esprimere il mio amore per nessuno
fino a che...fino a che non ho incontrato Ana, lo sai, lei mi ha
cambiato. Solo che è difficile, è ancora molto
difficile
per me potere accettare di amare ed essere amato. Forse, solo adesso
che anch'io
sono padre, incomincio a rendermi conto di che cosa
vuole dire amare senza aspettarsi niente in cambio.
Essere padre mi ha cambiato la vita, mi ha fatto capire tante cose".
Il giovane uomo si passò le mani nei capelli, come era
solito fare
nei momenti di turbamento, poi guardò il proprio padre negli
occhi e proseguì:
"Mi rendo conto solo adesso, papà, quanto deve essere stato
penoso per te. Penso che se non potessi prendere i miei figli in
braccio, se non potessi abbracciarli, coccolarli, fare loro il
solletico, diventerei matto; soprattutto se fossero loro a rifiutare
ogni contatto con me, a scappare, irrigidirsi. Mi dispiace
papà di essere sempre stato freddo con te e la
mamma. La mia era una reazione istintiva, inconscia, ho sempre
desiderato essere oggetto del vostro amore ma qualcosa in me
non riusciva a tollerarlo. Non so se sono ancora pronto, ma ti chiedo
una cosa, papà: abbracciami! Fallo ora, subito, prima che
sia troppo tardi e che io possa cambiare idea. Fallo adesso,
per la prima
volta in
quasi trent'anni. Non spaventarti se inizialmente mi
irrigidirò o cercherò di ritrarmi, vai avanti
senza indugi.
Perché è giusto che sia così,
perché lo hai
sempre desiderato, perché tu ne
hai bisogno, e in realtà ne ho tanto bisogno anch'io".
Carrick non se lo fece ripetere un'altra volta e allacciò
con un braccio le spalle di suo figlio.
Christian inizialmente si irrigidì, avrebbe voluto scostarsi
ed
scappare via ma si sforzò di tenere duro. Chiuse gli occhi,
accostò il proprio viso a quello di suo padre e,
piano
piano, cominciò a rilassarsi e a lasciarsi andare.
Carrick sentiva il cuore del proprio figliolo battere forte contro il
suo, il suo respiro contro la guancia. Lo strinse ancora di
più e, improvvisamente, si rese
conto che non era più un giovane uomo di successo quello che
stava
tenendo fra le braccia in quel momento ma un povero bambino di quattro
anni spaventato e indifeso contro la cattiveria del mondo.
Rimasero a
lungo l'uno fra le braccia dell'altro, Christian piangeva
sommessamente e suo padre gli accarezzava la schiena mormorandogli
"Va tutto bene, va tutto bene figliolo. Ti voglio bene ragazzo mio, ti
voglio bene, tanto bene, tantissimo bene."
Fu solo dopo parecchi minuti che trovarono la forza di staccarsi.
"Grazie, papà" disse Christian "grazie di tutto";
"Grazie a te, figliolo, non sai quanto ho aspettato questo momento. E
sappi che non ho mai rimpianto per un solo istante di averti adottato,
di averti voluto con noi; anche se
non è stato facile. Ma sei mio figlio e ti amo
profondamente,
anche con i tuoi casini, anche con i tuoi problemi. Ci sono e ci
sarò sempre per te, come ci sono sempre stato anche quando
non mi volevi. Tutte le volte che ne avrai bisogno, chiama e io
verrò da te; fino a quando potrò, fintanto che le
mie forze me lo consentiranno. E, ora, prendiamo i bambini e rientriamo
che si sta facendo tardi. Tua madre e tua moglie si staranno domandando
che fine abbiamo fatto" Carrick si accorse di avere
nuovamente gli occhi umidi, li asciugò col dorso
della mano e sorrise quando vide suo figlio fare altrettanto.
Recuperarono i piccoli; Carrick prese Phoebe in braccio, Christian si
caricò Ted a cavallina e, in silenzio, ritornarono insieme a
casa.
Sarà corretto
dire "a cavallina"? E, soprattutto sarà un termine italiano
o piuttosto dialettale? Non importa, l'importante è che si
sia capito.
Allora questa fan fiction la volevo postare per la festa del
papà ma non mi piaceva come mi era venuta e allora me la
sono tenuta in caldo e ho cercato di migliorarla. Non che ne sia molto
convinta ancora adesso, comunque almeno l'ho resa pubblicabile. E,
magari, a qualcuno piacerà anche.
Mi sono un po' commossa nel scriverla.
Sappiatemi dire se vi piace
A presto
Love
Jessie
PS: Father and son è una bellissima canzone di Cat Stevens
(o Yusuf Islam, come si fa chiamare adesso) riproposta qualche anno fa
con successo da Ronan Keating.
Nella versione che vi propongo la eseguono insieme https://www.youtube.com/watch?v=aVbbYYUMI-c