Make you feel my love
Sono le cinque di pomeriggio; il sole sta iniziando a calare nel cielo,
conferendogli un nostalgico colore rossastro.
Afferro la mia tazza di Starbucks piena di the fumante e la porto
lentamente alla bocca, soffiando leggermente con un gesto meccanico. La
casa è vuota senza di te, e benché ormai non mi
ci sia abituata ancora sento i silenzi vuoti che hanno preso il posto
della tua risata, così spontanea da farmi venire il mal di
testa.
E’
proprio questa la cosa assurda, sai? Ci sono mille cose di te che non
sopporto, eppure mi manchi lo stesso.
Nessuno riesce a capirlo, e probabilmente nemmeno io l’ho
ancora capito bene, ma è così.
Poso la tazza
che tu mi hai regalato sul tavolo e la fisso, pensierosa. Ha una
piccola sbavatura sulla destra della scritta – un difetto di
fabbrica – ma mi piace proprio per quello. È
unica, anche se agli occhi degli altri può sembrare solo
fatta male.
Mi ricorda un po’ noi, e ogni volta che ci penso mi viene da
sorridere.
Lo so
benissimo che non siamo perfetti insieme, e che potrei stare con
qualcuno con cui combacio perfettamente, ma preferisco mille volte le
nostre differenze e gli spigoli in cui cozziamo, perché sono
reali. Sembra assurdo da dirsi, ma è proprio di quelli che
mi sono innamorata; di tutti i tuoi difetti così
insopportabili e irritanti proprio perché spesso sono anche
i miei e non voglio ammetterlo. Ti ho sempre detto di detestare il tuo
essere orgoglioso, ed è vero, però non potrei mai
farne a meno. Anche se discutiamo per tutto, anche se certe volte non
ti capisco, anche se sei la persona più testarda che io
abbia mai conosciuto, so che non potrei più fare a meno di
tutte le cose di te che mi fanno arrabbiare.
La verità, Louis, è che non mi sono innamorata di
te nonostante
questo, ma per questo.
Mi sono innamorata delle discussioni sulle cose stupide, delle tue
espressioni di disapprovazione, delle risposte pungenti e dei musi
lunghi che ti sforzi di tenere finché non ti viene data
ragione.
Continuo a
detestare tutto ciò, ma non ci rinuncerei per nulla al
mondo, perché è ciò che mi tiene in
piedi ogni giorno.
Tu, con la tua spigliatezza e voglia di vivere, mi dai un motivo per
alzarmi dal letto ogni mattina. Sei l’unico che riesce a
farsi perdonare con un semplice sorriso, l’unico che riesce a
farmi ridere anche se sono incazzata da morire e l’unico di
cui non mi stanco mai, nemmeno quando vorrei. È difficile
stare con te, eppure non ho mai desiderato così tanto
qualcosa in tutta la mia vita, e questo mi spaventa. Ogni giorno penso
che prima o poi ti renderai conto che io non sono nulla di tutto
ciò che volevi e te ne andrai, lasciandomi sola in questa
casa che ormai sa fin troppo d te. Guardo il pianoforte verticale in
salotto e sento gli occhi pungermi; credo di non averlo mai sentito
suonare da quando l’abbiamo comprato. Tu sei sempre in giro
per il mondo e certe volte la distanza appare così abissale
che sedermi davanti a quei tasti e posarci le mani sopra mi sembra
l’unico modo per poterti stare vicina.
È in quei momenti che ricordo tutte le cose che ci separano,
ma anche tutte quelle che invece ci uniscono.
La prima volta
in cui mi hai vista con gli occhiali, rossa in viso perché
detestavo quella montatura, e mi hai sorriso esclamando
“
carini!”, anche se sapevi benissimo che io mi
sentivo un brutto anatroccolo.
“ Non dire
stronzate “ ti ho risposto secca, ma tu mi hai
ignorata.
“ Vediamo come mi
stanno “ hai continuato rubandomeli e andandoti
a guardare nello specchio.
“ Bello come sempre
“ hai modestamente dichiarato mentre io ti
guardavo storto.
“Se
ti piacciono tanto puoi tenerli. Preferisco essere orba piuttosto che
andare in giro con quei cosi!”
“ Eddai, non
esagerare! Ti stanno bene invece “ dicesti senza
arrenderti
“
Sì, certo, come no. Ti detesto quando fingi che io sia
carina qualunque cosa mi metta “
“
E io detesto te quando fingi di non crederci “
Quelle parole
mi colpirono come una freccia che centra in pieno in bersaglio, ma feci
finta di nulla. Per qualche assurdo motivo, diamo sempre più
importanza alle cose brutte che a quelle belle.
“
Va bene, allora fa come cazzo vuoi, Louis “
“
La pianti di dire parolacce? È una cosa che non sopporto!
“
“
Allora vattene, no? Che ci stai a fare con una scaricatrice di porto?
“
Fu uno dei
silenzi più lunghi della mia vita, quella, e il rumore della
porta che si chiudeva alle tue spalle risuonò come uno sparo
nel mio petto. Se ci ripenso ancora ti odio per averlo fatto, ma quella
notte sei tornato. Quando sentii il letto piegarsi sotto il peso del
tuo corpo e le tue braccia avvolgermi fu come tirare un sospiro di
sollievo. Nessuno dei due disse nulla; le tue dita si intrecciarono
alle mie e mi sfiorasti il collo con le labbra.
Rimanemmo
tutta la notte in quel modo, senza dire nulla. Sentivo che quella era
la prima di tante difficoltà, ma fingevo che non mi
importasse. Tu eri lì e mi stavi stringendo contro il tuo
petto; nulla poteva ferirmi finché ero tra le tue braccia.
Adesso sto
guardando la foto che hai messo sulla libreria, quella fatta in
spiaggia poco più di un anno fa, e mi sembra impossibile che
fossimo noi.
Così
sereni, così felici… allora pensavo che nulla
potesse spezzarci.
E invece
eccomi qui, seduta sul pavimento con quella cornice in mano e a
chiedermi dove abbiamo sbagliato.
Ce ne sono mille di cose che non vanno tra noi, eppure lotterei per
loro fino alla morte.
Anche se sono
di più i giorni che siamo lontani di quelli in cui stiamo
insieme, non voglio mollare.
Potrà esserci anche l’oceano a dividerci, ma non
riesco a lasciare che le sue onde ci spazzino via. Voglio che si
infrangano su di noi come su degli scogli, lasciandoci qui, fermi dove
eravamo. Magari un po’ erosi, ma pur sempre qui.
Mi rigiro
sotto le coperte, in un letto troppo grande e troppo vuoto per una
persona sola e mi ritrovo persino a maledire il tuo lavoro, il tuo
sogno. So che cantare è ciò che ami di
più al mondo e mi sento egoista a pensare che preferirei tu
fossi un qualunque ragazzo di vent’anni, ma a volte non posso
proprio farne a meno.
“
Tutto il mondo lo vuole ma solo tu puoi averlo: considerati fortunata
“
È
questo che mi ha detto Maggie ieri, e io non ce l’ho fatta a
dirle che non mi basta; non vale nulla essere la tua fidanzata sulla
bocca della gente se poi viviamo due vite separate.
Ci sono due
venti opposti dentro di me, e ho paura che arrivi il giorno in cui non
saprò più da quale dei due farmi trasportare,
divisa tra la paura di diventare di secondaria importanza e la
determinazione nel voler lottare fino alla fine per quello di cui
– ormai – ho bisogno.
Sento le mie
guance bagnarsi e improvvisamente realizzo di star piangendo. Il
mascara si è ormai sciolto completamente, così lo
asciugo con un dito, sorridendo tristemente tra me e me; a te non
è mai piaciuto che mi truccassi, hai sempre detto che
è un modo infantile di nascondere ciò che si
è, di camuffarsi. Non te l’ho mai detto, ma credo
sia proprio per quello che lo faccio.
Dentro sono
ancora una bambina, anche se fuori vorrei apparire grande.
Sono quella
che abbraccia l’orsacchiotto quando tu non ci sei,
quella che guarda i cartoni in TV e che non vuole mai mangiare la
frutta. Spesso – più di quanto mi piaccia
ammettere – mi chiedo perché tu mai abbia scelto
proprio me. Siamo così irrimediabilmente diversi, Louis, che
ancora mi chiedo come facciano a stare insieme. Io sento la tua
mancanza già un secondo dopo che te ne sei andato, ma
è così anche per te? Non te l’ho mai
chiesto perché ho paura della risposta; ti vedo sempre
così sorridente sul palco durante i concerti, e
più passa il tempo più temo che non ti
mancherò più del tuo microfono.
Le lacrime si
fanno più numerose sulle mie guance, scorrendo veloci e
lasciano una scia bagnata eppure bollente dietro di loro.
Mi lascio cadere sul divano e appoggio la testa sullo schienale,
distrutta. Chiudo gli occhi e in men che non si dica cado in un sonno
profondo.
Nei miei sogni
ci te, come prevedibile, e mi sorridi. Il tuo sorriso illumina tutto, e
nei tuoi occhi percepisco uno sguardo perso, insolito. Senti il mio
cuore accelerare e desidero abbracciarti, ma non ci riesco. Poi una
mano mi tocca, mi scuote, mi chiama.
« El
» sento mormorare, svegliati continua dolcemente la voce, e
saprei riconoscerla tra mille.
Con non poca
difficoltà apro gli occhi; un’ombra sta oscurando
la luce che filtra dalla finestra.
Distinguo la
figura, ma credo di star ancora sognando. « Ciao »
tu sorridi, esattamente come nel sogno, e ti chini su di me.
Sgrano gli occhi, incredula. « Lou? Che ci fai qui?
» domando, tirandomi su rapidamente.
Non riesco a credere che tu sia qui e che non sia solo frutto della mia
immaginazione. « Mi mancavi » rispondi
semplicemente, come se fosse ovvio. Sento gli occhi pungere, la vista
si appanna e so di non poter trattenere a lungo i singhiozzi che
spingono nel mio petto per uscire, così ti butto le braccia
al collo e lascio che tu affondi le labbra nel mio collo, mentre le mie
dita si intrecciano ai tuoi capelli e lascio calmare il mio cuore,
finalmente integro perché a contatto con il tuo.
Le tue mani mi
accarezzano delicatamente la schiena, come se sapessi. Restiamo
così, in silenzio, per dei minuti che sembrano ore. Vorrei
dirti che ti amo, che mi sei mancato, che mi dispiace per come sono e
per non riuscire sempre a far funzionare le cose come vorrei, ma le
parole sono incatenate in fondo alla gola e non vogliono uscire.
«
Quand’è che ti stancherai di me?»
mormoro senza rendermene conto
«
Non potrei mai stancarmi di te. Sei la cosa più bella che mi
sia mai capitata »
Ti stringo
più forte, ancora incapace di dire quello che vorrei.
«
Dovermene stare sempre qui ad aspettarti è terribile
» mugolo con la voce che trema
« Lo
so » rispondi con tono basso e dispiaciuto.
«
Non smetterò mai di farlo »
Non posso
vederti, ma sento che stai sorridendo.
Mi stringi più forte a te, come se volessi avvicinarci
così tanto da fonderci in una sola persona.
Mi scosto
appena per guardarti negli occhi; così azzurri, come il
cielo il giorno in cui ci siamo conosciuti. Vorrei poter essere un
uccello per volarci dentro e perdermici, ma mi rendo conto che lo sto
già facendo.
« Ti
amo » sussurro, ma le parole che dovrebbero uscire dalla mia
bocca hanno un’eco: il tuo.
Ci guardiamo
per un secondo, prima che – di nuovo in contemporanea
– un sorriso spunti sui nostri volti.
Non so come
andrà a finire; se le nostre differenze finiranno con lo
stancarci o magari la lontananza ci dividerà lentamente
senza che ce ne accorgiamo, ma di una cosa sono sicura: anche se siamo
un casino, Louis, anche se siamo diversi e complicati, io voglio te.
Non so se questo potrà mai cambiare o bastare, ma so che non
c’è cosa per cui abbia mai desiderato lottare di
più.
Sento le tue
dita intrecciarsi con le mie e inizio a credere che i kilometri non
potranno mai farmi dimenticare come mi sento adesso.
So che
continuerò ad essere difficile, che piangerò
ancora e non sarà tutto rose e fiori – anzi-, ma
la sensazione di pienezza che provo in questo istante mi fa capire che
non importa. Va bene lo stesso.
Finché
ho te, va bene così.
|