Quindici anni
Quindici
anni
Esattamente
quindici anni fa, al fianco di mio padre, pensai che tu fossi carina.
Crescendo,
quando ormai mio padre era morto a causa del tuo, imparai ad odiarti.
E
oggi...
Le feste di compleanno degli Hyuuga non erano semplici
buffet, o raduni tra amici; da anni ormai, dalla fondazione del
villaggio, ogni compleanno era l’occasione per un grande
ricevimento e la proclamazione di un intero giorno di festa. Gli
Hyuuga sapevano bene come sfruttare il loro status, al punto che, per
il diciottesimo compleanno della primogenita, avevano chiesto e
ottenuto il permesso di riservare a tutti i membri del clan un giorno
di esonero dalle missioni, da dedicare ai festeggiamenti.
Eppure, la grande protagonista dell’evento non ne era
affatto contenta.
«Felicitazioni, madamigella Hinata»
«I nostri più sentiti auguri»
«Siete splendida, il kimono vi dona!»
Ad ogni vuoto complimento, Hinata sorrideva e annuiva,
mostrandosi graziosa e cortese, abbassando le palpebre e chinando la
testa. E, quando nessuno la notava, si guardava attorno. Si guardava
attorno e si chiedeva chi fossero tutte quelle persone che la
circondavano, a chi appartenessero i volti sconosciuti che le
sorridevano, cosa nascondessero gli occhi chiari che la scrutavano e
valutavano.
Il grande salone di villa Hyuuga non era decorato né
addobbato a festa. Le intelaiature nere delle finestre spiccavano sul
giallo spento della carta di riso, e il pavimento lucido era
impeccabile sotto i sandali di classe degli invitati. Soltanto i
buffet distribuiti lungo le pareti conservavano una parvenza di
festosità, ma solo perché una domestica in vena di
disobbedienza aveva avvolto un fiocco rosso ad ognuno dei delicati
centrotavola floreali.
I diciotto anni della primogenita erano un evento
importante. Tutto il clan era tenuto a partecipare alla cerimonia e
ad assistere al conseguimento della maggiore età, e tutti
dovevano accertarsi delle qualità dell’erede.
Ma,
purtroppo, non era un mistero che Hinata non rispondesse alle
aspettative.
Le
sembrava quasi di riuscire a leggere nella mente di ognuno dei suoi
parenti, da quelli più stretti a quelli più lontani:
non ce la
farà mai. La schiacceranno. Forse sarebbe bene che morisse in
missione. E
ogni pensiero, ogni sguardo rapido, era una pugnalata al petto.
«Madamigella Hinata, volete qualcosa da bere?»
Hinata
sentì un fruscio al suo fianco, e si voltò, pronta a
sorridere cortesemente – falsa
–
e ringraziare per gli auguri, quando si rese conto che nessuno si
stava congratulando con lei; la mano di Neji Hyuuga si posò
leggermente sul suo braccio, e i suoi occhi la scrutarono per un
lungo istante, indagatori.
«Mi sembrate stanca» commentò a voce
bassa.
Dopo il primo attimo di timore, Hinata si rilassò
impercettibilmente, lasciandosi andare a un debole sorriso.
«Sì,
qualcosa da bere mi farebbe molto piacere» sussurrò in
risposta, grata. Dopo il centesimo ‘vi
ringrazio molto, ne sono lusingata’,
la sua gola aveva iniziato ad asciugarsi, ma non avrebbe mai pensato
che qualcuno le avrebbe permesso di mostrare in pubblico una
debolezza come quella.
Rimase a osservare Neji che raggiungeva uno dei tavoli
disposti attorno alla stanza, e lo guardò ancora mentre
riempiva un bicchiere d’acqua, con la schiena dritta e i movimenti
aggraziati di un vero gentiluomo. Fissandolo, si trovò a
pensare che era così che un capoclan avrebbe dovuto apparire:
non goffo e incerto come era lei, ma altero e sicuro di sé; in
una parola, perfetto.
Strinse leggermente le mani sul grembo, e si costrinse a
distogliere lo sguardo quando Neji si voltò per portarle da
bere.
Al suo fianco si sentiva sempre goffa e stupida.
«Tenete» le offrì lui,
raggiungendola, e Hinata prese dalle sue dita il bicchiere e lo
sorseggiò cauta, quasi temendo di farsi vedere. «Avete
assaggiato qualcosa?» continuò lui, con una patina di
cortese freddezza nel tono.
«Io... no, veramente. E’ che...» Hinata
arrossì, chinando il capo. «A dire il vero mi sento lo
stomaco chiuso...» confessò.
Sulla fronte altrimenti perfetta di Neji si disegnò
una ruga leggera, ma non aprì bocca.
Hinata
riabbassò lo sguardo e si concentrò sul bicchiere,
vergognosa. Ogni volta che lui la guardava così, in silenzio,
ogni volta che la fissava e lei sapeva
che dentro di sé la disprezzava, ma non poteva dirlo, Hinata
si sentiva una stretta allo stomaco.
Aveva voluto dimostrare a Naruto di essere forte, di
essere in grado di tenere duro e non arrendersi mai, durante il primo
torneo per la selezione dei chunin. Aveva sfidato Neji e il suo
disprezzo, accantonando ogni tentativo di discutere, di spiegare,
forse di chiedere perdono, ed era stata sconfitta su tutta la linea.
A che serviva tenere duro se alla fine non poteva
comunque dimenticare la sua debolezza? A che serviva lottare e
stringere i denti, se alla fine avrebbe chiuso gli occhi?
La volontà non sempre era sufficiente.
Anzi, quasi mai.
Poi c’era stato il secondo torneo, quello in cui,
finalmente, era riuscita a passare di grado. All’epoca era ancora
convinta che sforzandosi sarebbe riuscita a raggiungere i suoi
obiettivi, a conquistare l’ammirazione di qualcuno e anche a
diventare forte. Ma quell’anno erano stati promossi almeno altri
dodici chunin, e lei era stata solo un numero tra i tanti.
Quando aveva cercato tra la folla uno sguardo
soddisfatto, aveva trovato solo gli occhi freddi e leggermente
seccati di suo padre, e poi quelli altrettanto neutri di Neji, che
invece riceveva tutte le lodi per aver ottenuto il miglior risultato.
Naruto era lontano. Ma anche quando era tornato, non
aveva avuto occhi che per Sasuke e Sakura, le ossessioni della sua
vita. Hinata aveva vergogna di mostrarsi a lui. Aveva sperato di
migliorare e raggiungere il suo livello negli anni che li avevano
tenuti separati, ma si era resa conto per l’ennesima volta di non
essere all’altezza, di non essere degna di paragonarsi a nessuno
del suo anno, insicura e fragile com’era ancora.
E, a quel punto, era arrivato Neji.
«Madamigella Hinata, i miei migliori auguri!»
«Vi ringrazio, ne sono lusingata»
La voce le era uscita automaticamente, senza che
l’occhio riconoscesse la persona che aveva davanti. Sorrise,
abbassò le palpebre, chinò il capo. E quando lo rialzò
incontrò un piccolo cenno di approvazione da parte del padre,
o così le parve.
Ben misera soddisfazione: conosceva l’etichetta. Ma
ancora, non era una figlia di cui andare fieri.
«Potete dare a me il bicchiere» le disse
Neji piano, sfiorandole una mano per attirare la sua attenzione.
Hinata sussultò e quasi lasciò andare la
presa, ma lui afferrò il vetro prima che cadesse. Lei,
mortificata, abbassò la testa.
«M-Mi dispiace!» si affrettò a
garantire, accorgendosi con imbarazzo che aveva ricominciato a
balbettare.
«Non è successo niente» assicurò
lui, con voce quasi impercettibile, e il suo fiato le solleticò
lievemente i capelli dietro l’orecchio. Dopodiché le diede
le spalle e si allontanò, diretto ancora una volta verso i
tavoli.
Hinata si strinse le braccia al petto, calmando
l’inopportuno brivido che l’aveva scossa per un istante. Sentiva
il viso accaldato e la testa che girava, e non sapeva fino a che
punto fosse dovuto alla calca e alla festa.
Devo
smetterla... O sarà peggio che con Naruto,
si disse afflitta.
E poi Neji tornò, e questa volta la sua mano
sulla schiena fu molto difficile da ignorare.
«Credo che abbiate bisogno di riposarvi un poco,
madamigella Hinata» le disse pacato, guardandola senza
imbarazzo. «Mi sembrate provata»
Provata? Decisamente.
«Non credo che...» tentò di opporsi
lei, gettando un’occhiata spaventata a Hiashi che chiacchierava
poco più in là. «Mio padre non approverebbe»
«Spiegherò io a vostro padre» la
rassicurò Neji, premendo leggermente sulla sua schiena. «Ora
avete bisogno di qualche minuto di tranquillità»
Hinata
lo guardò, smarrita e – ancora
una volta
– indecisa. L’idea di allontanarsi dalla festa insieme a Neji la
attirava più di quanto fosse giusto, ma d’altro canto la
prospettiva di un rimprovero del padre, magari pubblico, la
terrorizzava.
«Non si accorgerà nemmeno che vi ho portata
via» le assicurò Neji, intuendo i suoi pensieri, e
Hinata si sentì arrossire.
Ma alla fine, come in fondo sapeva da subito, annuì.
All’inizio
erano solo imbarazzo e curiosità.
Poi
si trasformarono in smarrimento e confusione, perché mi odiavi
e non ne capivo la ragione.
Quando
perdonasti mio padre, e lui con me, fu la volta del rispetto.
Ma
ora, è qualcosa di molto diverso.
Far uscire Hinata dal salone della festa fu un gioco da
ragazzi per il nobile Neji, jonin della Foglia e membro di spicco del
clan Hyuuga. Era come se i suoi passi fossero impercettibili e la sua
figura invisibile, quando solitamente tutti sapevano sempre come
individuarlo per complimentarsi e adularlo. Bastarono poche rapide
falcate, sempre con quella mano sulla schiena di Hinata, e raggiunse
le porte scorrevoli che davano sul corridoio esterno, quello che
circondava il cortile dei ciliegi. Scambiò un cenno rapido con
uno dei domestici, che vedendolo insieme a Hinata si affrettò
a chinare il capo, promettendo silenziosamente di tenere la bocca
chiusa, e un attimo dopo la porta strusciò sul suo binario di
legno e il vociare della festa si trasformò in un brusio
ovattato.
Hinata tirò un impercettibile sospiro di
sollievo, e Neji riuscì a sentire ogni singola vertebra sotto
la stoffa, mentre il loro respiro si condensava in nuvolette di
vapore bianco.
«Ti ringrazio» sussurrò Hinata
sorridendo, alzando finalmente gli occhi a incontrarlo. «Se
fossi rimasta là dentro un minuto in più, probabilmente
mi sarebbe mancato il fiato»
«I membri del clan sanno essere oppressivi»
rispose Neji, prendendo a camminare lungo il portico.
Lui conosceva bene il peso delle aspettative degli
Hyuuga, poiché ogni giorno doveva sopportarlo, e lo sentiva
sulle spalle come un grosso macigno d’oro, prezioso ma detestabile.
Essere il migliore non era facile né scontato, e spesso
portava più fatiche che soddisfazioni, soprattutto quando sul
suo collo pendeva continuamente la minaccia di essere rispedito alla
casata cadetta: dopo la sua promozione a jonin – il più
giovane degli ultimi dieci anni – sembrava che gli Hyuuga avessero
temporaneamente scordato le sue origini, ma Neji era perfettamente
consapevole della precarietà della sua posizione, e sapeva
quanto poco sarebbe bastato a farlo precipitare.
«Volete prendere un po’ d’aria in giardino?»
propose, fermandosi e accennandole il cortile, in quel momento
imbiancato e luccicante nel sole malato di dicembre.
Hinata guardò il sentierino che attraversava il
prato candido, esposto agli sguardi del salone principale, e si morse
il labbro senza farsi vedere. La prospettiva di suo padre che veniva
a riprenderla iroso era molto poco gradita.
«Se potessi raggiungere le mie stanze...»
mormorò esitante, e poi si interruppe all’improvviso. «Oh,
forse è meglio di no»
«Perché?» domandò Neji.
«Perché mio padre verrà subito a
cercarmi lì» Hinata arrossì, chinando il capo
colpevole. Sapeva che mostrarsi così poco inclini a
partecipare alla festa non era un comportamento degno della
primogenita, ma non era riuscita a fermarsi in tempo.
Neji la scrutò per un lungo istante, fermo
accanto a lei. Hinata gli arrivava sì e no alle spalle, e
aveva sempre pensato che fosse fin troppo fragile per essere una
kunoichi. Quando l’aveva affrontata in combattimento, anni prima,
si era stupito della sua inaspettata resistenza, e anche oggi gli era
difficile credere che una ragazzina tanto timida fosse uscita viva
dai suoi tentativi di vendicarsi. Ogni volta che la guardava, gli
sembrava che portasse un macigno identico al suo, ma di pietra, e che
non avesse le forze per sostenerlo. E, inspiegabilmente, provava il
desiderio di proteggerla da quel peso tanto gravoso.
«Potete riposarvi nelle mie stanze» propose,
dopo un attimo di indecisione.
Hinata sollevò bruscamente lo sguardo, arrossendo
all’improvviso, e Neji la vide spalancare gli occhi come poche
volte aveva fatto, da quando la conosceva. Ma non abbassò il
viso, e rimase fermo a guardarla, quasi ad analizzare le sfumature
che erano comparse nel bianco solito delle sue iridi.
Hinata aprì e chiuse la bocca, smarrita, e alla
fine deglutì, distogliendo il viso.
«Se... Se mio padre mi trovasse nelle tue
stanze...» mormorò, torcendosi nervosamente le dita.
«Passeresti dei guai, credo»
Neji
rifletté che non erano propriamente guai
quelli cui andava incontro, quanto piuttosto vere e proprie
catastrofi
per il suo futuro in bilico tra successo e rovina. Ma ospitare Hinata
nelle sue stanze per mezzora o poco più non comportava
necessariamente che Hiashi li trovasse, e vedendola così
rigida e tesa per festeggiamenti che non sentiva minimamente, sentiva
ancora più forte il desiderio di alleggerire il suo peso.
«Non preoccupatevi, non succederà nulla di
simile» la rassicurò, sfoderando un sorriso pacato.
«Basteranno pochi minuti, respirerete un po’ di tranquillità,
e poi tornerete ad affrontare gli invitati. Io verrò indietro,
e vostro padre non penserà di cercarvi nelle mie stanze»
Hinata dovette mascherare la delusione alla notizia che
sarebbe rimasta sola, ma fu abbastanza abile da trasformarla in
gratitudine. In fondo sarebbe stata tesa, mentre disobbediva al
padre, ma non avrebbe dovuto sopportare anche la vicinanza di Neji.
Dimenticò di calcolare qualcosa di fondamentale.
Non appena mise piede nella stanza di Neji, il cuore
accelerò bruscamente nel petto di Hinata: ogni cosa, persino
l’aria, lì dentro, era impregnata del suo odore. Nonostante
l’ambiente in sé fosse neutro e praticamente spoglio, fin
nel legno era penetrato il profumo sottile di Neji, e aveva lasciato
la sua traccia indelebile.
«C’è qualche problema?» chiese lui,
vedendola ferma sulla soglia.
«N-No no, nessun problema!» scattò
lei, avanzando rigidamente.
Neji si accigliò appena, scrutandola perplesso.
Sapeva che Hinata doveva ancora avere paura di lui – e non la
biasimava, considerato l’astio passato – ma sperava che ormai si
fosse abituata perlomeno alla sua presenza.
Vedendola sudare nel centro della stanza, però,
iniziò a pensare di essersi soltanto illuso.
Hiashi si guardò attorno con leggera impazienza,
e una ruga disegnata sulla fronte. Per quanto cercasse in lungo e in
largo attraverso la stanza, non riusciva a trovare Hinata.
«Padre,
è finito il sushi» disse Hanabi, raggiungendolo con un
piattino pieno di raffinati biscotti di riso. «Ma ho preso i
senbei,
ne vuoi qualcuno?»
«Hai visto tua sorella?» replicò lui,
gettandole solo un’occhiata vaga.
Hanabi incurvò impercettibilmente le spalle.
Veniva sempre prima Hinata. Per quanto fosse incapace, debole e
petulante, era sempre al primo posto nei pensieri paterni.
Se
solo fossi nata prima di lei...
«Allora, l’hai vista?» insisté
Hiashi.
Ma prima che Hanabi potesse rispondere, uno degli
anziani del clan si avvicinò a entrambi, e attaccò
bottone.
La
pallida e invisibile secondogenita di Hiashi chinò allora la
testa e fissò con disgusto i senbei
nel suo piatto.
E dire che a lei facevano schifo.
«Siete sicura che stare qui non vi crei disturbo?»
insisté Neji per la seconda volta, mentre Hinata si guardava
attorno, rigida come un pezzo di legno.
«Nessun disturbo, davvero» ripeté lei
meccanicamente, con la bocca asciutta.
«Siete qua per rilassarvi, non vorrei che...»
«Sto bene!»
Hinata arrossì, accorgendosi di aver alzato
troppo la voce, e si affrettò a fissarsi i piedi, imbarazzata.
«Sto... Sto bene» ripeté sottovoce.
Neji inspirò a fondo.
Lo sapeva. Sapeva che Hinata ancora non si sentiva a suo
agio con lui. Normalmente a quel punto si sarebbe inchinato e le
avrebbe voltato le spalle, lasciandole tirare il fiato, ma quella
volta non si mosse. Voleva essere sicuro di lasciarla in un posto in
cui potesse rilassarsi, e non nel quartier generale del suo incubo
peggiore.
«Forse è meglio si vi porto fino alle
vostre stanze» suggerì, facendo un passo verso di lei.
D’istinto Hinata arretrò, e lui si bloccò
sul posto.
Lei sussultò, portandosi una mano alla bocca, e
si rese conto di aver fatto un passo falso. Lui la fissò,
accigliandosi lentamente, e strinse i pugni che spuntavano dalle
maniche del kimono.
«Madamigella Hinata» disse, suo malgrado
asciutto. «Io capisco che in passato il mio comportamento sia
stato fonte di grande disagio per voi, ma ritengo di avervi
dimostrato ampiamente che sono cambiato»
O
mi illudevo soltanto?
Hinata sbiancò, fissandolo ammutolita.
«No, non... non è per...» balbettò
in un soffio, torcendosi le mani sotto il mento. «Non è
per... per quello...»
Neji ricambiò lo sguardo con una nota di
confusione, senza capire.
«Prego?» chiese.
E Hinata si rese conto solo allora della piega
pericolosa che aveva preso il discorso.
Quando aveva pensato di non poter mai raggiungere
Naruto, era stata a un passo dal cedere.
Ma poi era arrivato Neji.
Neji con i suoi allenamenti, Neji che non si seccava mai
se lo cercava più volte al giorno, Neji che era paziente con i
suoi errori e perfetto nel correggerla. Neji che la guardava.
E lentamente, senza quasi rendersene conto, gli
allenamenti di Hinata erano cambiati: non combatteva più per
raggiungere Naruto. Combatteva perché Neji la guidasse.
Ma
naturalmente non avrebbe mai
potuto
dirglielo.
Se
non aveva trovato il coraggio di parlare a Naruto, così
inoffensivo e semplice, come poteva fare discorsi del genere al
freddo e complicato Neji? Non riusciva quasi a dirgli grazie alla
fine degli allenamenti, figurarsi se poteva dirgli guardami.
Deglutì a vuoto, incapace di staccare lo sguardo
dal suo, e sentì le mani che tremavano l’una contro l’altra,
incontrollabili.
Neji la studiò ancora, confuso.
Se Hinata non lo teneva a distanza per la vecchia
faccenda di Hiashi, allora perché? Quali altre ragioni
potevano renderla tanto timorosa?
Oltre
alla mia gelida apparenza?
Ecco, si era risposto da solo.
Distolse lo sguardo, a disagio, e la ruga sulla sua
fronte si ispessì.
Avrebbe fatto meglio ad andarsene. Qualunque fosse la
ragione del timore di Hinata, era evidente che restando con lei non
l’avrebbe aiutata a rilassarsi.
«Perdonate l’intrusione» disse, tornando a
fissarla. «Ora vi lascio sola»
Hinata si sentì gelare.
Sì,
lascia che se ne vada ancora una volta, e così per sempre.
Lascia che si perda, e che smetta di guardarti.
La voce uscì dalla sua bocca prima che la mente
potesse controllarla.
«A-Aspetta!»
Finalmente liberatosi dell’uomo che lo aveva tediato
per un quarto d’ora con ininfluenti questioni di terreni, Hiashi
raggiunse uno dei buffet e si versò un sorso di liquore per
bagnarsi la bocca. Gli anziani avevano il terribile vizio di parlare
molto e molto lentamente, e quando non perdeva il filo a metà
discorso, si sentiva sempre un po’ rintronato dopo l’ultima
parola.
Svuotò
il bicchiere che teneva in mano, e con un sospiro tornò a
pensare a Hinata, che ancora sembrava sparita nel nulla. Vide Hanabi
che mangiucchiava svogliatamente dei senbei,
con la schiena appoggiata a una parete, e la vide scambiare qualche
parola con i pochi ragazzini che avevano avuto il privilegio di
presenziare al ricevimento.
La sua secondogenita non era un problema: se la sarebbe
sempre cavata in qualche modo, nel bene o nel male riusciva sempre a
guadagnare qualcosa; era la primogenita a destare in lui le maggiori
preoccupazioni: era Hinata la ragione per cui non dormiva la notte.
E ora era scomparsa.
Forse
è uscita per prendere una boccata d’aria; non ha mai amato
la folla.
Intravide il secondo anziano che lo cercava per parlare
di chissà cosa, e decise di bandire ogni indugio. Fingendo di
non averlo notato affatto, mise giù il bicchiere e attraversò
in fretta la stanza, diretto alla porta che dava sul cortile dei
ciliegi.
Aspetta.
Hinata aveva davvero detto a Neji di aspettare.
Sì,
bene. Ottima prova di coraggio. Ma aspettare per dirgli cosa?
Sembrava che anche Neji si ponesse la stessa domanda,
mentre la fissava perplesso, sempre più confuso e sempre meno
altero.
«C-Cioè...» balbettò Hinata,
con la bocca asciutta, e abbassò lo sguardo sulle mani che
ancora si torcevano. «S-Se devi andare... Nel senso, non ti
trattengo... Mio padre vorrà sapere... Beh, ecco, vai pure!»
Ormai definitivamente in preda al panico, cercò
un appiglio qualunque e fece un passo nervoso fino all’unico
soprammobile della stanza, un portafiori di ceramica sistemato da
qualche domestica fin troppo solerte. Per evitare lo sguardo del
cugino, si costrinse a sistemare i fiori secchi che conteneva, con la
testa china e incassata tra le spalle.
Gran
bel risultato, Hinata.
Neji
non le scollò gli occhi di dosso, ormai quasi stordito dalla
confusione. Aveva la vaga sensazione che lei volesse dirgli qualcosa,
ma non capiva che
cosa. E
ne era indispettito. Molto indispettito.
Aprì e chiuse i pugni più volte, incapace
di fare un passo avanti o indietro.
Cosa doveva fare ora? Qual era il comportamento
migliore?
Mentre ancora cercava di capirlo, vide Hinata gettargli
un’occhiata di sfuggita da sopra la spalla. E quando la vide anche
arrossire e distogliere subito il viso, si infuriò.
«Cosa devo fare ancora?» chiese, e anche se
la sua voce era la solita, bassa e morbida, aveva una sfumatura di
ira che spinse Hinata a non dargli più le spalle, e a fissarlo
attonita. «Mi sono allenato con voi, ho avuto pazienza, vi sono
stato accanto giorno dopo giorno, eppure non è bastato a
convincervi che ora farvi del male è il mio ultimo desiderio!
Perché mi guardate ancora come un animale braccato?»
Hinata strinse le mani l’una all’altra, arrossendo.
«Io non... non ho paura di te!» sussurrò
impacciata. «Non ne ho mai avuta, Neji»
E a questo punto, lui non capì più nulla.
«Mai?» ripeté, dopo un paio di
penosi secondi di silenzio.
Nemmeno
quando ho cercato consapevolmente di uccidervi?,
avrebbe voluto aggiungere, ma preferì tenerlo per sé.
Hinata
rilassò lentamente le braccia, abbassandole fino alla vita.
«Eri tu a odiarmi, non io» spiegò sottovoce,
sbattendo le palpebre e schivando gli occhi di Neji. «Io sapevo
perché provavi rancore nei confronti della casata principale,
e ne capivo la ragione. Sapevo anche che volevi davvero farmi del
male, e... ecco...» un brivido la scosse leggermente. «Non
è che lo considerassi giusto... e non è che non fossi
spaventata... Ma non ho mai pensato che fosse del tutto sbagliato.
Ho pensato che il mio compito fosse diventare abbastanza forte da...
da sopravvivere. E poi avrei voluto parlarti. Perché...»
chinò il capo, arrossendo. «Perché con Hanabi non
ho alcun rapporto, perché mio padre mi disprezza, e perché
speravo che almeno tu, che odiavi l’intero clan, forse avresti
avuto compassione di me»
Neji
ascoltò parola dopo parola, e i suoi occhi si sgranarono
lentamente.
Aveva
sempre visto Hinata terrorizzata
da lui. Aveva sempre pensato che i suoi sguardi spaventati fossero
solo un’amplificazione di quelli che gettava a suo padre. Ma a
quanto pare non aveva capito niente.
Hinata
cercava aiuto da lui. Non voleva allontanarlo, ma avvicinarlo. Gli
tendeva una mano, e lui pensava che volesse schermarsi.
«Ma
allora...» mormorò, confuso. «Perché adesso
mi tenete a distanza comunque?»
Le
guance di Hinata presero fuoco, e le mani risalirono al mento.
«I-Io...
Ecco, v-veramente...» balbettò.
Come faceva a dirgli che stare nella sua stanza, con
lui, in preda alle confessioni più impensabili, non era
esattamente rilassante? Come faceva a dirgli che lei per prima non
sapeva come avrebbe reagito alle sue mosse?
Però lui le stava dando una possibilità.
Invece di lasciarla, freddo, e allontanarsi senza una
parola, per una volta stava lì e la ascoltava. Ed era molto
più di quanto avesse fatto chiunque, Naruto incluso. Era la
sua occasione per parlare, finalmente... se solo non fosse stato così
orribilmente difficile.
«Io...» ripeté, sentendo il sudore
che le inumidiva il collo, rigido quanto lei. «Non... Non è...
paura»
«E allora cos’è?»
Hinata sentì le unghie penetrare nella pelle
delle mani, tanto forte le stringeva l’una all’altra, e per un
attimo temette seriamente che sarebbe svenuta.
Capì che a parole non ci sarebbe mai riuscita.
E allora si costrinse a fare un passo avanti.
Era un rischio, forse il più grande che si fosse
mai presa. Ma era la sua occasione. Probabilmente la sua unica
occasione. E se c’era una cosa che aveva imparato da Naruto, e che
non sarebbe mai cambiata, chiunque avesse amato, era che bisognava
sforzarsi fino all’ultima goccia di sangue per ottenere ciò
che si voleva.
La sua mano raggiunse il petto di Neji, e sfiorò
il kimono bianco che lo copriva, tremando.
Le stanze di Hinata erano deserte.
Hiashi rimase a fissare gli ambienti vuoti con la fronte
corrugata, interdetto.
Pensava che avrebbe trovato sua figlia rintanata in un
angolo della sua camera, come aveva sempre fatto fino ad allora,
perché la neve all’esterno le impediva di nascondersi in
giardino. Eppure non era lì.
Richiuse la porta scorrevole e le diede le spalle,
tornando sui suoi passi.
Dov’è
finita quella benedetta ragazza?,
si domandò con irritazione. Non può
scomparire nel mezzo dei festeggiamenti per il SUO compleanno!
Hiashi ripercorse i corridoi che aveva attraversato per
arrivare fin lì, e si trovò di nuovo nel cortile dei
ciliegi. Uno spiffero di aria fredda si insinuò sotto il suo
kimono, e se lo strinse addosso con un brivido. Il suo sguardo si
posò sul domestico inginocchiato accanto alla porta del
salone.
«Tu» lo chiamò, avvicinandosi.
Quello lo vide arrivare impettito, e subito raddrizzò
la schiena, rimpiangendo la piccola stufetta sulla quale si era
rannicchiato.
«Dov’è andata mia figlia?»
Il ricordo di Hinata e Neji che abbandonavano la festa
fu un lampo decisamente nitido, nella memoria del domestico.
Da quanto tempo Neji non sentiva il cuore battere tanto
velocemente per qualcosa che non fosse una battaglia?
La mano di Hinata sul suo petto era inaspettatamente
calda, anche attraverso la stoffa, e anche se non poteva vedere i
suoi occhi, sapeva che sarebbero stati molto diversi dal solito.
«N-Neji...» balbettò Hinata,
stringendo la mano sul suo kimono come una bambina, senza il coraggio
di guardarlo in faccia. «Non è paura... E’... E’
solo che...» lentamente, con uno sforzo quasi tangibile,
sollevò il viso arrossato. «E’ solo che è...
difficile, da dire»
E
io prego che tu capisca da solo. E che non mi derida.
Un pensiero impossibile sfiorò la testa di Neji.
Un pensiero che era più un desiderio e una speranza, e al
contempo un’insana illusione.
Senza dire nulla, sollevò una mano e andò
a stringere quella di lei, sul kimono. L’aveva trovata calda contro
il petto, ma ora, tra le sue dita, la sentiva piccola e fredda.
Uno dei due doveva esporsi per primo, lo sapeva. E Neji
era abbastanza cavaliere da sacrificarsi, almeno per quello. In
fondo, non pensava seriamente che Hinata potesse deridere alcunché,
meno che mai un amore non ricambiato, considerati suoi trascorsi con
Naruto.
«Hinata, io ho smesso di odiarti tempo fa»
mormorò, lasciando perdere ogni titolo onorifico. «Ho
smesso di odiarti e ho iniziato ad ammirarti. Consideravo la casata
principale il covo dei nemici, e non avevo mai provato interesse per
ciò che succedeva al suo interno; ma dopo che tuo padre mi ha
raccontato come andarono le cose quindici anni fa, ho iniziato a
guardarmi attorno più attentamente. E ho visto i tuoi sforzi,
la tua costanza, la tua resistenza. Non una persona, non una sola, ha
mai fatto qualcosa per te, in questa casata. Ma tu sei andata avanti
senza mai cedere, e non ti ho sentita una sola volta parlare male di
qualcuno. A conti fatti, sei stata molto migliore di me...»
aumentò la stretta sulla sua mano, premendosela contro il
petto, e continuò a guardarla, consapevole del suo sgomento ma
incapace di fermarsi. «Ho voluto essere la persona che avrebbe
fatto qualcosa per te» continuò. «Ho cercato di
starti accanto, di aiutarti a tenere la testa alta, di darti i mezzi
per conquistare il rispetto di tuo padre. Non so se ci sono riuscito.
Ma, in tutto questo tempo, sono cambiato. Tu mi hai fatto cambiare. E
mi sono innamorato di te»
Hinata trattenne bruscamente il respiro, e il suo cuore
smise di battere a un ritmo umanamente riconoscibile.
«I-Inna...» balbettò, con un alito di
voce, e per un attimo fu certa che ora sì, sarebbe
svenuta.
«Perdonami se te lo dico in questo modo»
aggiunse lui, lasciando la sua mano. «Se è un fastidio,
puoi dimenticare le mie parole»
Hinata boccheggiò.
Fastidio?
Fastidio?
«Io pensavo mi disprezzassi» sussurrò.
«Che mi trovassi patetica, che non fossi degna di essere la
primogenita... Pensavo... pensavo che... Non immaginavo affatto...»
Neji sentì una stretta al cuore.
Come volevasi dimostrare, la sua era stata un’illusione:
aveva sperato, per un attimo, che anche Hinata fosse innamorata di
lui. Ma di fronte alla sua evidente confusione e al disagio che
provava, si rendeva conto che la sua confessione improvvisa era
soltanto un fastidio per lei.
«Madamigella Hinata» disse, facendo un
piccolo passo indietro. «Dimenticate quello che avete sentito.
Non intendevo turbar...»
«Neji» lo interruppe lei, facendosi
nuovamente vicina. Le sue mani tornarono al kimono, di nuovo lo
strinsero, e questa volta non abbassò lo sguardo. «Smettila
di usare il voi, ti prego» sussurrò, ed era a così
breve distanza che Neji sentì il calore del suo fiato sul
collo, e rabbrividì. «Quello... Quello che mi hai appena
detto, è esattamente quello che cercavo di dirti io»
Neji la fissò.
La situazione era inaspettata. Lui confessava a Hinata
di essere innamorato, e lei confessava di ricambiarlo. Nel mezzo
della loro fuga dalla sua festa di compleanno.
Esattamente a quindici anni dal loro primo incontro.
E il freddo, adulto, complicato Neji, tornò per
un attimo un bambino di quattro anni con una piccola cotta e tanti
istinti.
Afferrò Hinata per le spalle, e, prima che
potesse anche solo sorprendersi, premette le labbra contro le sue.
Hiashi rientrò nel salone dei festeggiamenti di
umore decisamente cupo.
Il domestico fuori dalla porta aveva detto di non aver
visto Hinata, e si era scusato per quasi dieci minuti, blaterando
qualcosa sul freddo, la distrazione e l’età. Hiashi lo aveva
lasciato perdere ed era tornato ai festeggiamenti, sbuffando tra sé.
Hinata era una kunoichi mediocre, ma questa volta era
sparita in maniera perfetta.
Quasi come un rapimento.
Hiashi ricordò ciò che era accaduto
quindici anni prima, e una leggera nota di inquietudine andò a
formicolare nel suo stomaco.
Dovrei
chiedere a Neji di cercarla, si
disse.
E
allora si accorse che anche Neji era scomparso.
«N-Neji...!»
ansimò Hinata, con le braccia strette attorno alla sua
schiena, e soffocò un gemito contro la sua spalla quando la
sua lingua andò a lambirle l’orecchio. «N-Neji, forse
do-dovremmo... Non siamo un po’ precipitosi...?»
«Shh...»
mormorò lui, e Hinata sentì le sue mani che
scioglievano il nodo dell’obi, e il suo respiro caldo sul collo.
«Ho aspettato più di quanto tu possa sapere... Se solo
avessi immaginato... Se avessi avuto il coraggio di parlare prima...
Hinata...»
L’obi
scivolò a terra, e il kimono si aprì sul petto,
scostato dalla mano di Neji che si intrufolava sotto la stoffa.
Hinata chiuse gli occhi, trattenendo il respiro mentre lui la
accarezzava, e strinse i suoi capelli tra le dita.
Era
tutto infinitamente più confuso del previsto, ma era anche
tutto ciò che volevano, e pensieri come la festa e le
convenzioni scivolarono via insieme al kimono che cadeva a terra.
Neji
sollevò Hinata per i fianchi, e lei avvolse le gambe attorno
alla sua vita, le braccia al suo collo, e affondò il viso nei
suoi capelli. Lui la portò fino al letto, e la fece stendere
con delicatezza, baciandole l’incavo delle clavicole.
«Neji,
davvero, forse non...» ansimò lei, e lui si sollevò
in ginocchio, sfilandosi il kimono chiaro. Quando rimase a torso
nudo, il sangue prese a scorrere più veloce nelle vene di
Hinata, e le sue mani si mossero da sole, andando a percorrere i
pettorali e su fino al collo. Lo attirò a sé, lo baciò,
dimenticando anche le ultime remore, e lui sentì i loro corpi
premere l’uno contro l’altro, e perse la cognizione del tempo e
di qualunque altra cosa.
Hiashi
era nel giardino dei ciliegi, solo in mezzo alla neve.
Hinata
scomparsa.
Neji
scomparso.
Nessuno
li aveva visti allontanarsi, nessuno sapeva dove fossero.
Ma
la cosa davvero importante era: perché insieme?
Hiashi
era convinto che si odiassero. O perlomeno che lui disprezzasse lei e
lei trovasse lui terrorizzante. In quegli anni aveva cercato di
migliorare il loro rapporto, aveva disposto che Neji aiutasse Hinata
nei suoi allenamenti, li aveva affiancati durante le missioni, e
aveva sperato che la sua goffa primogenita imparasse qualcosa dal
genio del clan. Ma pensava che i suoi tentativi fossero inutili.
E
invece ora Neji e Hinata erano spariti insieme.
Un
pugno di neve cadde dal ramo asciutto di un ciliegio, piombando sul
terreno imbiancato con un tonfo sordo.
Era
un bene che il rapporto tra Neji e Hinata si distendesse.
Certo
che era un bene.
Solo,
non doveva distendersi troppo,
perché lei era l’erede, ed era sua figlia. Soprattutto sua
figlia. E Neji, per quanto suo fidatissimo nipote, era anche un uomo.
D’altro
canto, il fatto che fossero scomparsi insieme non significava
necessariamente che fossero nello stesso luogo... Forse Neji si era
stufato di assistere ai festeggiamenti e se ne era andato. Forse era
nelle sue stanze.
E
forse era il caso di andare a controllare.
Con
un ultimo ansito roco, Neji smise di muoversi su Hinata, rallentando
il ritmo fino a fermarsi. Sotto di lui, lei respirava affannosamente,
e le sue dita avevano lasciato segni rossi sulla sua schiena dove
avevano premuto con troppa forza. Neji ripiegò la testa sulla
sua spalla per riprendere fiato, le baciò l’incavo del
collo, assaggiando il sapore insolito della sua pelle, e Hinata
sospirò, mentre lui le asciugava le lacrime con il pollice.
«Scusa...»
sussurrò al suo orecchio, sollevandosi leggermente sulle
ginocchia per non pesarle addosso. «Non potevo aspettare
ancora»
«Neji»
rispose lei, scostandogli i capelli umidi dal viso e guardandolo con
occhi nuovi. «Siamo tutti e due così sciocchi...»
sorrise. «Se solo avessimo parlato, se avessimo trovato il
coraggio... sarebbe potuto essere molto prima»
A
terra e sul letto, tra le lenzuola stropicciate, giacevano
abbandonati i loro vestiti. La stanza innaturalmente bianca era
immersa nella luce lattiginosa che si rifletteva sulla neve
all’esterno, e i loro capelli che si intersecavano erano l’unico
stacco nero in quel mare di candore.
Neji
sorrise, evento raro, e le baciò le labbra lentamente.
«Io
ti amo» sussurrò lei, non appena lui le lasciò
uno spiraglio.
«Io
ti amo» rispose lui, in tono pacato.
E
anche se non era fuoco che scoppiettava, anche se non le prometteva
eterna fedeltà in mezzo a una piazza, come avrebbe fatto
Naruto, era altrettanto intenso. Hinata sorrise, e si protese a
baciarlo di nuovo.
Ma
all’improvviso spalancò gli occhi, e lo allontanò
leggermente.
«La
festa!» esclamò, portandosi una mano alla bocca. «Mio
padre si starà chiedendo che fine abbiamo fatto!»
Neji
si accigliò, con una smorfia di insofferenza.
«L’etichetta...»
mormorò, con un ultimo bacio sul suo collo. «Ma prima o
poi, tuo... pardon, vostro
padre dovrà saperlo, madamigella Hinata»
Hiashi
raggiunse il corridoio in cui si trovavano le stanze di Neji con una
sorta di vago malessere. Aveva una specie di presentimento, la
sensazione che qualcosa non fosse come doveva essere, e il sospetto
che la stanza del nipote avrebbe riservato sorprese sgradite.
Che
genere di sorprese sgradite?,
chiese una voce dentro di lui. Ma piuttosto che rispondersi, avrebbe
fatto prima a scoprirlo da solo.
Si
fermò davanti alla porta, immobile. Fissò
l’intelaiatura d’ebano degli shogi,
e sulla sua fronte si disegnò una ruga netta.
Hinata
poteva anche non essere con Neji.
E
non era scontato che, comunque, fossero lì.
Ma
quella sensazione...
Irrigidì
la mandibola, e tese una mano.
«Padre!»
Hiashi
trasalì, voltandosi di scatto, e vide Hanabi venirgli incontro
con passo leggero.
«Che
fai qui?» gli chiese la ragazzina, scrutandolo perplesso.
Cerco
tua sorella nelle stanze di tuo cugino.
Bella risposta, per quanto impossibile.
«Hai
bisogno di qualcosa, Hanabi?» replicò, rimettendo
insieme i cocci della sua bella presenza.
«Ti
cerca il consigliere Taifu, nel salone» rispose lei, scrutando
con curiosità la porta davanti alla quale era fermo Hiashi.
«Ed è ricomparsa Hinata: era uscita con Neji a prendere
una boccata d’aria, non stava bene» aggiunse con una smorfia.
La
mente di Hiashi si svuotò improvvisamente di tutti i presagi e
le sensazioni di poco prima.
Certo,
Neji l’ha accompagnata. In fondo sono stato proprio io a spingere
perché il loro rapporto si distendesse...
Sorrise
con aria compassata, ma Hanabi fu contenta lo stesso, perché
un sorriso di suo padre era una grande ricompensa, per lei.
«Torniamo
nel salone?» propose orgogliosa, felice all’idea di camminare
al suo fianco, e lui annuì, molto più tranquillo.
«Ti
hanno detto dove hanno passeggiato Hinata e Neji?» chiese,
incamminandosi lungo il corridoio.
«Oh,
non molto lontano» rispose Hanabi stringendosi nelle spalle.
«Erano nel giardino dei ciliegi, proprio davanti al salone.
Buffo che tu non li abbia visti, eh padre?»
E il sorriso si congelò sulle labbra di Hiashi.
Ok,
sono ancora perplessa di fronte a questa shot, ma è il tuo
regalo e la aspettavi da tanto tempo, quindi te la regalo cercando di
vedendo il meglio che ha da offrire.
Auguri, Cami, e resta sempre così come sei.
Ti voglio bene.
Susi
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