Autrice:
AHARU_
Pairing:
Castiel/Balthazar
Fandom:
Supernatural
Raiting:
Giallo
Words:
2672
NdA: Non
amo particolarmente questa coppia ma ho notato che pochi ci scrivono
qualcosa: così ho raccolto la sfida con me stessa e ci ho
provato.
Allora
tutto parte in quella sala d'albergo dove hanno portato il bimbetto
senz'anima, e finisce nella casa di Balthazar.
Come
al solito, ringrazio chiunque leggerà e, sopratutto, chi
vorrà
commentare <3 ENJOY.
Disclaimer:
I personaggi non mi appartengono (purtroppo) e non ci guadagno nulla.
Il
giorno in cui ti ho perso...
Dean
Winchester non aveva mai visto quell'espressione. Lui, l'uomo giusto
– almeno così avevano detto gli angeli ormai un
vita prima -,
l'uomo che aveva sacrificato tutto quanto solo per avere in premio
ancora più dolore e sofferenza, non aveva mai immaginato che
qualcuno potesse assumere l'espressione che, Castiel, aveva in quel
momento al semplice suono di quel nome.
«Balthazar»
la voce di Dean sputò tra i denti quel nome, troppo deluso, ancora,
da un angelo per riservargli un minimo di rispetto. «Era un
tuo
amico?»
Ma
la sua voce fu abbastanza da riportarlo alla lucidità,
mentre la
realtà ripiombava su di lui.
Sam
puntò gli occhi multicolre sul trench polveroso dell'angelo,
macchiato qua e là da gocce di sangue, cercando di carpire
da quel
viso così inespressivo un indizio su cosa significasse quel
nome.
Ma
Castiel non fece niente. Sistemò i polsini della camicia
sgualcita,
con qualche colpo lasciò cadere a terra i frammenti di vetro
incastrati nelle pieghe del trench ed enumerò nella mente
tutti gli
ingredienti che gli servivano per l'esperiemento.
«Un
grande amico Dean – l'angelo strinse i pugni in un morsa
letale,
perfino le ossa dell dita sembravano essere sul punto di cedere. E
ben presto, la prima, minuscola, goccia di sangue accarezzò
la sua
pelle. - ma pensavo fosse morto in battaglia»
Dean
non si accorse dei muscoli contratti della sua mascella, ne delle
rughe leggere intorno i suoi occhi, divenuti improvvisamente vuoti.
Non si rese conto che l'uomo davanti a lui stava combattendo, con
tutta la forza che possedeva, contro un qualcosa che lo tormentava da
millenni e che, adesso, lo stava investendo con una nuova ondata di
dolore e senso di colpa.
Castiel,
fin da quando aveva memoria, era sempre stato un ottimo soldato.
Aveva ucciso e torturato senza avere il minimo ripensamento: ma una
morte gravava, pesante come un macigno, sulla sua coscenza. Una
morte che aveva tentato di dimenticare, ma che ritornava sempre nei
suoi ricordi: un'immagine fissa che si stampava dietro i suoi occhi,
pugnalandolo ad ogni respiro.
«Voi
figli di puttana avete avuto combattuto anche prima
dell'apocalisse?»
Senza
dire nulla, Castiel preparò l'incantesimo, prendendosi con
forza il
sangue dell'amico. Osservò i due fratelli fissarlo in attesa
di una
risposta, inclinò la testa d'un lato riducendo gli occhi ad
una
fessura.
Ricordava
bene quella guerra.
L'ultima
grande battaglia del paradiso, avvenuta migliaia di anni prima.
E
Castiel era lì, in prima linea, come si confà ad
un soldato devoto
a Dio.
Orgoglioso.
Spavaldo.
Ricordava
quella meravigliosa terra devastata dalla furia dei due schieramenti,
capitanati – un litigio idiota tra fratelli ecco di cosa si
trattava in realtà - da Raffaele e Michele. Angeli creati
dal Padre
per amarsi e sostenersi - per essere fratelli.
Angeli
che fino ad un momento prima salmoneggiavano insieme, e che il
momento dopo furono costretti a scegliere una fazione in cui
combattere. Fazioni diverse solo nel colore dell'armatura.
Castiel
e Balthazar erano riusciti a rimanere uniti. Fianco a fianco durante
gli scontri, a coprirsi le spalle reciprocamente.
Anno
dopo anno.
Fino
a quel giorno.
La
guerra stava lentamente distruggendo il paradiso da più di
dieci
anni: c'erano dei momenti, però, in cui tutto cessava.
Rari
istanti in cui nessun urlo di dolore impregnava l'aria, in cui
nessuno dei suoi fratelli implorava la pietà celeste.
Istanti
in cui regnava solo il silenzio.
E
Balthazar li amava, quei momenti. Al contraro di Castiel: vagare
senza una meta certa, riposare ed aspettare, non erano cose che,
durante la battaglia, riusciva a fare.
Il
volere di Dio, perpetrato da Michele era di sconfiggere Raffaele e le
sue manie di conquista, non di stare a poltrire sotto la pioggia di
un'immensa radura grigiastra.
«Sempre
con il broncio Castiel?» il sussurro gli vibrò
nell'orecchio, i
polsi sfiorarono leggermente la sua guancia mentre posava i palmi
dell mani sulle sue spalle, dolcemente, quasi in fare fraterno.
«Bisogna farti rilassare un po', amico mio»
Castiel
non si voltò, ma già dalla prima parola sapeva
esattamente chi
stava parlando. Il corpo poteva essere diverso - Balthazar amava
cambiare il proprio contenitore così spesso che aveva
semplicemente
smesso di farci caso -, ma lo avrebbe riconosciuto ovunque.
«A
chi hai rubato questo giovane corpo?»
In
qualche modo, i contenitori dell'angelo erano tutti simili. Stessa
corporatura, colore di capelli e degli occhi; e in ognuno di essi
Balthazar lasciava una firma indelebile del suo passaggio, qualcosa
che definiva come un suo "marchio": piccole parole in
enochiano tatuate appena accanto alla "V" dell ossa
iliache. Parole che lo tenevano nascosto da ogni angelo esistente.
«E'
un centurione romano, Marcellus» Balthazar non si
dilungò in
inutili parole, nè prestò ascolto alle sue
prediche; semplicemente
lo spinse ad alzarsi, imponendogli con una certa veemenza di
seguirlo.
Erano
pochi, ormai, i paradisi personali rimasti fuori dalla devastazione:
tenuti segreti, erano quelli che gli arcangeli avevano ordinato di
non sfiorare e, naturalmente, di non inquinare con la presenza di
angeli gerarchicamente minori.
Ma,
ovviamente, Balthazar era riuscito a trovare un'entrata secondaria
che dava su una scogliera affacciata allo specchio d'acqua.
Un
immenso lago colorato da migliaia di sfumature diverse, abbracciato
da una catena montuosa che nascondeva quella porzione di paradiso in
terra, a chiunque non ne conoscesse l'entrata.
«A
chi appartiene?»
«Ha
importanza?»
Senza
proferire parola l'angelo slacciò l'armatura,
sfilò la veste
candida gettandola lontano. I capelli corvini gli lambivano la
schiena, creando un forte contrasto con la pelle diafana, gli occhi
azzurri divennero quasi trasparenti. Con un tremito, rilassò
i
muscoli e spalancò le ali - pura grazia sotto i colori di
un'eterna
domenica.
Con
pochi passi, Balthazar raggiunse il limite della scogliera: un'
invitante salto di centinaia di metri, si stagliava sotto di lui.
Riusciva quasi a vederlo attraverso l'acqua piatta, increspata
leggermente da un soffio di vento frizzante. Il corpo asciutto, quasi
etereo, accarezzato dai colori dell'alba.
«Vieni
con me?»
Castiel
sussultò impercettibilmente, fissò il volto
giovane e sorridente,
scese per le spalle, percorrendo il braccio teso verso di lui. In un
attimo dimenticò le ferite, il dolore, la guerra:
lasciò cadere la
veste a terra, posò la spada argentata, rilassò
le spalle e aprì
le ali. Candide e tremanti, ma incredibilmente grandi – pure
e
lucenti come solo un soldato devoto poteva possedere.
Castiel
non disse nulla: intrecciò le dita in quelle dell'amico
lasciandosi
cadere, sorridendo, giù dalla scogliera: due angeli in volo,
stretti
in un unico abbraccio.
La
caduta fu più lenta di quanto, entrambi, si aspettassero:
petto
contro petto, con le ali ad escuderli dal mondo intero, osservavano
quella piccolissima porzione di paradiso mutare velocemente, fino a
scomparire del tutto appena raggiunta la superficie del lago.
L'acqua
era tiepida anche in profondità, dove i raggi del sole non
riuscivano a penetrare. Migliaia di minuscoli pesci guizzavano qua e
là, stando ben attenti a non avvicinarsi ai due angeli.
Qualcosa
riusciva a rompere l'oscurità del fondale, portando a galla
un
bagliore flebile: in lontananza un bambino dalle vesti consunte,
correva gridando, felice, di aver trovato abbastanza oro da sistemare
la sua famiglia.
Castiel
si mosse appena in direzione dell'amico; per un secondo
pensò di
protestare per la loro fuga dal campo di battaglia, in fondo sarebbe
bastato poco per andarsene – uno schiocco di dita e puff!
sarebbe
ritornato in quel prato delle valli irlandesi un tempo meraviglioso
ma che, ora, ricordava un cimitero troppo vasto per essere curato. -.
Ma
una domanda bruciava nella sua gola, si dimenava e scalciava.
«Tu
hai mai pianto?»
Castiel
non seppe mai perchè glielo chiese: forse perchè
nessuno aveva mai
voluto rispondergli e quella sembrava l'occasione perfetta per
ricevere, finalmente, una risposta. Forse per curiosità. O,
forse,
perchè dopo anni passati ad osservare gli umani e le loro
sofferenze, si era ritrovato a chiedere come sarebbe stato provare
una tale sensazione.
«Gli
angeli non piangono Castiel. Perchè quando lo fanno il
paradiso di
ferma; non scendono lacrime. Il pianto di un angelo è un
lamento, un
urlo che gela l'anima e che ti cambia irreversibilmente.
Gli angeli non sono in grado di piangere» Balthazar lo
fissava con
occhi sgranati, stupiti da una simile domanda. Sapeva bene che solo
una volta gli angeli avevano pianto, tutti insieme: l'ultima
volta che Dio era comparso nel paradiso, l'ultima
volta che
gli angeli furono fratelli.
«Non
possono piangere perchè amano solo il proprio padre.
Obbediscono
agli ordini, non fanno altro Castiel» poi il suo viso
sembrò
addolcirsi sotto il peso di un sorriso; con una mano lisciò
i
capelli lunghi, togliendo da davanti agli occhi poche ciocche,
abbastanza da permettergli di vedere meglio ciò che aveva
davanti a
lui. Castiel, nel suo corpo minuto, sembrava un bambino sperduto
chissà dove, pieno di vita, di speranza.
La
pelle color miele, costellata da piccole gocce, sembrava risplendere
sotto il sole nascente; le labbra sottili e rosee erano leggermente
aperte donando a quel viso troppo giovane, un'espressione rilassata e
curiosa.
Ed
era bello, bellissimo. Più di ogni paradiso, più
di ogni alba, più
di ogni Dio...
«Quelle
scimmie senza peli invece! Da quano sono sceso sulla terra per
prendere un contenitore ho imparato molte cose. Ho visto molte cose!
Non c'è solo l'amore per Dio, Castiel. Ne esistono altri!
Più
travolgenti, fisici, umani.»
L'angelo
diminuì la distanza con un colpo di reni, i capelli bagnati
danzavano sul filo dell'acqua, incorniciando lo sguardo celeste che
sembrava volerlo spogliare di ogni paura.
Senza
quasi accorgersene, si ritrovarono avvinti in una sorta di attrazione
magntica. E davvero Castiel non voleva cedere, ma Balthazar gli era
così vicino da fargli sentire il suo profumo pungente, misto
a
quello salmastro del lago, appropiarsi con forza delle sue narici,
scivolando giù per la gola; talmente vicino da poter sentire
il suo
respiro caldo accelerare, da poter vedere i suoi occhi azzurri,
addolcirsi per un solo, piccolo, istante... che non resistette
più.
Un
unico piccolo bacio, dolce e possessivo. Delicato ma, al contempo,
pieno di una forza invisibile che li legava da miliardi di anni.
E
annegarono in quella sensazione, in quell'assoluta e perfetta pace
che avvolgeva tutto intorno a loro.
Balthazar,
ad un soffio dalle sue labbra, artigliò i capelli scuri,
facendoli
scivolare tra le sue dita; spinse la fronte contro la sua,
guardandolo fisso negli occhi - due mari che si perdevano l'uno
nell'altro.
«Vieni
con me» Balthazar nascose il suo viso nell'incavo della sua
spalla,
fece vibrare le ali e con l'estremità sfiorò
quella dell'amico: la
testa girava e girava e un piccolo gemito sfuggì alle labbra
ancora
arrossate.
«Sono
qui» rispose ingenuamente, chiudendo gli occhi. Con le dita
percorse
il profilo del suo collo disegnando, in maniera quasi ipnotica, linee
circolari sulla pelle umida.
E
l'amico rise; una risata semplice, rassegnata. Come poteva anche solo
pensare che Castiel, l'angelo che distrusse due intere città
solo
per un ordine, abbandonasse i suoi compagni nel bel mezzo della
battaglia?
«E'
vero, sei qui»
Balthazar
lo strinse, tremò al contatto della sua pelle, si fece
violenza per
non forzarlo ad andare oltre quel semplice bacio – Dio.
Nella sua mente lo vedeva perdersi nell'estasi di un orgasmo,
incapace di tenere gli occhi aperti, incapace di lasciare il contatto
che li teneva uniti... - poi, in un battito d'ali, prese il volo,
sussurrando un'unico, placido "mi dispiace".
°°°°
Quando
la guerra li costrinse a riprendere i loro doveri Castiel sapeva, in
un modo che non sarebbe mai riuscito a spiegare, che qualcosa non
andava. Non solo perchè erano circondati ma qualcosa, nello
sguardo
celeste di Balthazar, si era rotto.
Schiena
contro schiena i loro nemici cadevano veloci, obbligati a soccombere
a quella che sembrava essere una perfetta combinazione di armi da
guerra,
La
spada nelle loro mani, l'unica arma che possedevano, ruotava e
colpiva ad ogni affondo, dilaniava, feriva.
Sibili
acuti, seguiti dalla luce abbagliante di una grazia morente si
disperdevano nell'aria: una canzone di guerra che pulsava nelle vene,
saliva lungo la spina dorsale, esplodendo nel cervello e provocando
nei due angeli un'insana sensazione di felicità.
Ma
qualcosa, in un istante, andò storto: nella confusione una
mossa
sbagliata, un movimento fatto troppo tardi poteva essere fatale; e
Castiel, troppo pieno di se per ammettere anche solo l'dea di
commettere un errore, rimase ferito ad una gamba.
Una
ferita profonda che bruciava e bruciava, sempre di più,
abbastanza
da farlo cadere a terra: un dolore, simile ad un ago che penetrava
lentamente, s'impossessò della sua testa.
L'odore
di sangue, intriso nella terra, gli offuscò la vista: vide
Balthazar
corrergli incontro, spaventato come mai prima d'ora.
E
poi, il nulla.
°°°°
Castiel
riuscì a svegliarsi dopo un tempo che gli parve infinito;
l'odore di
morte che impregnava le sue narici era talmente forte da fargli
venire da vomitare.
Le
ferite bruciavano, sentiva il suo sangue scivolare lungo la veste
bianca e la testa... Dio. Dio!, non aveva mai
provato un
dolore simile.
L'armatura,
che avrebbe dovuto proteggere il suo petto, sembrava volerlo
stringere fino a soffocarlo; la spada lucente bruciava nella sua mano
ricordandogli che, in qualche modo, era ancora vivo.
Perchè
Castiel era vivo.
Uno
dei pochi, ormai.
La
luce del sole irritava ancora i suoi occhi, rimasti chiusi per un
tempo che, ancora, non aveva quantificato. Con tutte le forze rimaste
provò ad alzarsi: facendo leva con le mani si spinse in alto
una,
due, tre volte.
Le
braccia tremarono dallo sforzo, il respiro si fece più lento
quando,
all'improvviso, lo vide.
Il
motivo per cui non riusciva a rialzarsi: tra i milioni di corpi
sparsi per le lande del paradiso uno, dall'armatura squarciata,
accasciato senza vita su di lui, era Balthazar.
Per
un secondo che sembrò interminabile, Castiel smise di
respirare; i
suoi occhi azzurri erano irriconoscibili, spenti, opachi. E le sue
ali, un tempo gloriose come solo quelle degli arcangeli potevano
essere, ricadevano sul prato, in cenere.
«No»
fu l'unica cosa che riuscì a dire. No. No. No!
L'angelo
lo prese per le spalle, provò a scuoterlo e pregò
Dio.
Lo
pregò per un miracolo. Uno solo.
Ma
non arrivò niente: aspettò per ore, giorni,
settimane.
Non
gli interessava l'odore, diventato sempre più penetrante e
disgustoso: Balthazar, il compagno di sempre, era morto per colpa
sua.
Spalancò
le ali candide, sanguinanti dalla battaglia, tremanti, e le richiuse,
dolcemente, sul corpo che aveva tra le braccia. Lo cullò,
avvicinò
la fronte alla sua cercando, sotto l'odore di sudore e l'odore di
morte, uno più personale – il suo.
Ma
non lo trovò.
«No»
E
Castiel, il figlio del giovedì, pianse.
°°°°°
«Pensavo
fossi morto» la sua voce risuonava delusa nella stanza. Anche
se,
per chi sapeva ascoltare, era presente, nitida come non mai, una
vibrazione di pura felicità.
La
sua casa rispecchiava completamente il suo carattere: non si era
stupito, infatti, di trovare come benvenuto luci stroboscopiche e una
musica assordante.
Per
anni si era sentito in colpa, per millenni era stato divorato dal
rimorso di essere svenuto, quel giorno. Di aver permesso a quel
bastardo di morire.
«Ogni
dannatissimo giorno rivedevo i tuoi occhi spenti. Io –
Castiel
strinse pugni. Avrebbe voluto prenderlo a calci, fargli provare anche
solo una goccia di quel dolore che lo aveva tormentato in tutti quel
tempo. Si avvicinò lentamente, passo dopo passo. - Io ho
pianto la
tua morte»
«Lo
so, scusami»
L'uomo
non disse altro. Ma, in effetti, non c'era nient'altro da dire in
quel momento, senza cadere nel superfluo.
«Dovevo
andarmene di lì. E per ingannare tutti, dovevo ingannare te.
»
In
un gesto veloce – e inaspettato – l'angelo lo
strinse a se,
sorridente come era sempre stato nei suoi ricordi. E quella rabbia
che Castiel sentiva nel petto, scemò in un istante quando si
rese
conto, finalmente, che Balthazar era lì.
Che
Dio, dopo millenni, aveva esaudito il suo miracolo.
E'
il giorno in cui ho perso me stesso.
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