Ti
aspettavo (senza saperlo)
Theodore cammina lentamente in quella campagna
così solitaria. Solo i rumori della natura arrivano alle sue orecchie,
mentre uno splendido paesaggio si riflette nei suoi occhi.
A Samantha sarebbe
sicuramente piaciuto.
Fa ancora male pensare a lei, a quell’entità
che, alla fine, non è mai
esistita.
Theodore ricorda ancora così bene il suono della
sua voce, della sua risata, di quel respiro che lei imitava nel tentativo di
assomigliare a lui, di quelle mani che non c’erano ma che lui sentiva,
come la sua bocca e la sua pelle.
Chissà di che colore avrebbe voluto fossero i suoi
occhi. Non glielo avevo mai chiesto e così, ogni volta, li aveva
immaginati in un modo diverso.
A volte azzurri come suoi, altre scuri come le notti in
cui non riusciva a dormire, altre ancora di un verde così luminoso da
essere irreale. Non ce n’era uno che gli piacesse in modo particolare, ma
lei sicuramente avrebbe scelto un colore preciso.
Perso in questi pensieri, estrae una piccola macchina
fotografica ed inizia a scattare qualche foto. Come Lei gli fece notare a suo
tempo, lui non aveva l’abitudine di imprimere i suoi ricordi, colpa del
fatto che ormai era facile grazie ai computer immagazzinare e salvare qualsiasi
cosa, ma stava lentamente iniziando a capire quanta diversità gli
procurassero anche quei piccoli gesti.
Dopo aver fotografato il panorama, l’ideale sarebbe
stato di avere una foto con lui sullo sfondo di quel paesaggio, ma lo
svantaggio di essere soli era forse proprio in quello.
E, anche se ci
fosse stata Samantha, lei non avrebbe potuto scattargli nessuna foto.
Cammina ancora per qualche ora, finché i tenui
raggi del tramonto lo convincono che sarebbe una buona idea quella di tornare
nello chalet.
Sta per voltarsi, quando sente un rumore e, attirato da
esso, percorrendo qualche metro, vede una donna che sta tentando di farsi un
autoscatto, poggiando la fotocamera sopra un sasso.
Dalla sua espressione deduce che i suoi tentativi non
stanno portando a nessun risultato, quindi decide di aiutarla.
«Ehi, scusa, se vuoi posso scattarti io la
foto.» dice Theodore, avanzando timidamente.
Lei si gira, sorridendo: «Oh, saresti davvero tanto
gentile!»
Gli porge la macchina fotografica e poi corre a mettersi
in posa. Theodore scatta più foto, per sicurezza, e poi le ridà
la fotocamera.
«Mi sei stato davvero di grande aiuto, sono una
frana con le foto!»
«Felice di averti aiutato, in fondo un così
bel paesaggio meritava una foto con te dentro.» dice lui, un po’
impacciato.
Lei gli chiede, notando la sua macchina, se lui sia
riuscito a farsi un degno autoscatto, ma Theodore nega candidamente, ammettendo
arrossendo la propria incapacità.
La donna ride, offrendosi di ricambiare il favore,
facendo posizionare Theodore che si sistema gli occhiali e tenta di uscire bene
nella foto.
Parlano e ridono ancora per alcuni minuti, entrambi
avvolti nel tramonto di quella campagna.
Theodore la ammira, ha i capelli biondi, con alcune
sfumature castane, una corporatura esile e degli occhi marroni così
chiari – forse resi tali dal tramonto – da sembrare quasi irreali.
«Io sono Theodore, piacere di conoscerti.»
«Samantha, piacere mio!»
E, per un attimo,
il dubbio lo sfiora e fa male, un male che non avrebbe creduto nemmeno potesse
esistere. Poi torna subito in se stesso, dicendosi quello che si ripete da
mesi.
Samantha non
c’è più.
La donna davanti a lui non è Lei, ma
un’altra persona con altre storie da raccontare.
«Che ne dici se provassimo a fare un autoscatto con
noi due insieme? Penso che mettendoci due cervelli dovremmo riuscirci!»
chiede Samantha, interrompendo i suoi pensieri.
Lui accetta e così riescono a scattarsi la foto,
imprigionata dentro lo schermo della macchinetta.
Theodore ripensa alla melodia composta da Samantha,
quella ispirata alle fotografie che non hanno mai avuto – che mai avrebbero potuto avere.
E, nei pixel condivisi insieme a quella sconosciuta,
Theodore comprende che Samantha, anche se reale nel senso fisico del termine,
per lui era quanto più di reale potesse esistere.
E che come ogni cosa reale è finita.
«Ti andrebbe di bere qualcosa insieme,
Samantha?» chiede, non badando a quanto sia strano chiamarla in quel
modo.
«Aspettavo che me lo chiedessi.»
«Anche io.»
Per un amore finito, come Samantha gli aveva insegnato,
ce n’era un altro che aspettava solo di iniziare.
Fine.
Ieri ho visto questo
bellissimo ed intenso e tristissimo film ç_ç
Ho apprezzato
l’epilogo dato al film, infatti questo scritto vuole solo essere qualcosa
proiettato in un futuro di Theodore.
Il fatto che lei si chiami
proprio Samantha l’ho voluto inserire perché i casi della vita
sono infiniti e lascio a voi la scelta se quella possa essere la sua Samantha,
incontrata ora fisicamente, o se sia un’altra donna. Entrambe le scelte
lo porteranno verso un’altra storia.
Sperando vi sia piaciuta e
che mi lasciate un commentino, vi saluto.
Un bacio :*
EclipseOfHeart