Fandom: The Avengers
Titolo: Blind Date
Personaggi/Pairings: Bruce/Natasha, Pepper/Tony,
Clint Barton, Phil Coulson (Coulson/Barton implicito)
Raiting: Verde
Generi:
Comico (?), Fluff, Romantico, Slice of Life
Note
autrice:
Okay, questa storia è vecchia di chissà quanto...
Spero che possa piacere. Dopo aver visto Captain America - Il soldato
d'inverno non sono più convinta del pairing. Insomma dopo
aver visto l'affiatamento fra Natasha e Steeeve ho sospettato che la
loro "amicizia" fosse qualcosa di
più xD
Perdonate se lungo il testo ci saranno degli erroracci, al
più presto provvederò a ricontrollarla e a
sistemare tutto. Promesso.
Va bene
fatemi poi sapere che ne pensate!
Blind Date
Il
laboratorio privato del dottor Banner era immerso nel silenzio
più completo. A
riempire quel vuoto c’era il nervoso tic del microscopio,
mentre esaminava
l’ennesimo esperimento che non dava risultati sperati. Con un
sospiro l’uomo
staccò il suo sguardo dallo strumento per stropicciarsi gli
occhi con una mano
e poi inforcò gli occhiali. Poggiò entrambe le
mani sul bancone di marmo bianco
e lasciò scivolare il proprio sguardo per tutto il
laboratorio, messo a soqquadro
dai suoi esperimenti. Erano giorni che era rinchiuso nel suo
laboratorio senza
dormire e adesso si sentiva stanco.
Dopo la
battaglia contro Loki, Bruce aveva tentato di ritornare alla sua
vecchia vita,
ma senza successo. Era rimasto a New York, alla Stark Tower, e da
allora non ne
era più uscito. La notte non erano gli incubi dell'ultima
battaglia oppure di
Hulk, che tentava di prendere il controllo su di lui, a tormentarlo. Le
sue
notti erano incentrate su un paio di occhi color smeraldo, freddi e
intensi;
labbra carnose che si piegavano all'insù e mostravano denti
bianchi; capelli
corti, boccolosi e rossi come il fuoco. E ogni volta il dottore si
svegliava nel
buio profondo della sua stanza, ansate e sudato. Dopo simili sogni non
riusciva
a riaddormentarsi e per questo aveva incominciato a passare le notti
nel suo
laboratorio, preferendo concentrarsi su un qualcosa di più
utile.
Bruce
cospirò
nuovamente e si diede dello stupido. Era meglio rimanere soli, era un
bene per
tutti e soprattutto per lei. Anche se riusciva a controllare il suo
alter ego,
era comunque pericoloso. Per tutti, per lei.
La porta si
aprì con uno sbuffo silenzioso e Tony Stark fece la sua
entrata, con un sorriso
smagliante di chi avesse appena avuto un’epifania.
“Bruce!
Temevo
che il grande capo avesse mandato in missione anche te”
esclamò allargando le
braccia. Il dottore si volta verso di lui, con la fronte aggrottata, ma
trova
comunque la forza di sorridere all’esuberanza del collega.
“Sono sempre
stato qui nell’ultima settimana” fece notare
Banner, poggiandosi al bancone.
Tony lo raggiunse, dandogli una pacca sulla spalla.
"Ti sei
nascosto molto bene allora" ridacchiò l'uomo. Tony prese a
guardarsi
attorno, notando la confusione della stanza e ne fu sorpreso. Bruce
tendeva a
un ordine ossessivo, quasi maniaco, e difficilmente lasciava una stanza
sotto
sopra giacché provava l'impulso di riordinare all'istante.
"Per
caso c'è stata una festa? Sono profondamente offeso dal non
esser stato
invitato" proferì Tony storcendo le labbra in dissenso.
"Sono sicuro
che il mio invito sia andato perso; come sarebbe altrimenti?"
domandò
ritornando a rivolgersi all'amico. Bruce rivolse lo sguardo verso
l'alto con
esasperazione.
"Ti
serve qualcosa in particolare? Che ci fai qua?" domandò
Bruce rintronando
a scrutare dentro il microscopio, cercando di ignorare l'invadente
presenza di
Iron Man. Tony non gradì l'atteggiamento di Bruce nei suoi
confronti: lui era
Tony Stark e tutti anelavano alla sua compagnia e Tony
incrociò le braccia al
petto e lo guardò con irritazione.
"Allora?"
lo spronò il dottore.
"Beh non
ti sembra di esagerare? Sei qui dentro da quanto? Una settimana?" gli
chiese, facendo scorrere lo sguardo sul tavolo. Una mano
afferrò un paio di
occhialini e ci giocherellò distrattamente. "Dovresti
provare a uscire,
sai... fare nuove amicizie..." disse con indifferenza. Bruce si
bloccò e
gli rivolse un’occhiataccia al limite della pazienza. La
privazione di sonno,
per tutti quei giorni, lo aveva reso più sensibile e la sua
pazienza era arrivata
al limite e Tony era vicino al superare quella linea di quel confine.
“Ti devo
ricordare com’è andata a finire l’ultima
volta che sono uscito?” domandò il
dottore, arrendendosi all’idea di non poter continuare nel
suo lavoro. Allungò
un braccio e afferrò la tazza di tè,
per fortuna ancora fumante, che rappresentava l’unica
speranza di calmarlo.
Quando poggiò le labbra al bicchiere e ne bevve un sorso,
fece una smorfia di
disgusto e sbuffò contrariato; nemmeno il tè
riusciva a farlo rilassare.
“In quel
caso
è stato per una giusta causa, hai salvato New York da
un’orda di alieni
comandati da Mr. Non Mi Hanno Dato Affetto E Adesso Voglio Governare
l’Universo
e senza contare che mi hai salvato la vita” esordì
e Banner prese un respiro
profondo, accertandosi di mantenere ancora il controllo di
sé, prima di
uccidere un amico e collega, sempre se quest’ultimo non
avesse deciso di
mettere fine ai propri giorni.
“E comunque
le urla di Calcutta non saranno diverse da quelle della Grande
Mela” finì di
sproloquiare e le orecchie del dottore furono felici di captare il
silenzio che
en seguì. Sul suo volto apparve un sorriso rasserenato e si
beò di quel
momentaneo- perché era sicuro che Stark a breve avrebbe
ripreso a sparlare a
vanvera- attimo di silenzio. Un attimo in cui ebbe la fiducia in se
stesso di
poter riprendere il controllo.
“Ti concedo
cinque
minuti e poi ti voglio fuori da questo buco, compreso?”
domandò Tony mentre si
diresse verso l’uscita del laboratorio, lasciandolo da solo.
Bruce si
stropicciò gli occhi e buttò con mala grazia gli
occhiali sul tavolo e infine
decise che era meglio farsi una doccia prima che Iron Man arrivasse a
concepire
l’idea di trascinarlo fuori con la forza.
“Allora
Natasha, come va?” la voce femminile e dolce di Pepper Potts
riecheggiò
all’interno del poligono di tiro. Natasha non si scompose e
continuò a mirare e
poi sparare sul suo obiettivo. Pepper sobbalzò a sentire lo
sparo, sebbene
avesse le cuffie e gli occhialini per proteggersi, e non abituata a
certe
azioni e preferendo il lavoro d’ufficio.
Tutti i
presenti nella stanza si voltarono verso le due donne, curiosi di
sapere che
cosa volesse la fidanzata di Iron Man dalla Vedova Nera. Atteggiamento
che non
passò inosservato a nessuna delle due.
“Bene,
grazie” rispose sintetica e fredda per porre fine alla
conversazione. Pepper,
abituata ai vani tentativi di Tony di sbarazzarsi di lei, non si
scoraggiò
mostrandosi testarda nel raggiungere il proprio scopo. Così
le sue labbra si
tesero in un sorriso e le mani si congiunsero, pronte a ingaggiare
battaglia.
“Mi fa
piacere” rispose con calma, continuando a osservarla.
“Tony mi ha detto che sei
stata tu a chiudere il portale” continuo a dire e Natasha a
quel punto si
fermò, ritraendo le braccia, con la pistola ancora in mano,
e si voltò verso
l’altra donna. Dietro gli occhiali da protezione gialli, i
suoi occhi la
fissarono fredda indifferenza. Mise giù l’arma e
si tolse le cuffie e
occhialini, scrutandola. Pepper non si scompose e la imitò,
togliendosi le
protezioni.
“E’
per
questo motivo che sei venuta qua? Per farmi la predica?”
domandò la donna,
sollevando un sopracciglio.
“Certo che
no, hai fatto il tuo lavoro. La mia era
un’affermazione” rispose.
Natasha le
voltò le spalle e s’incamminò verso
l’uscita, sotto gli occhi di tutti gli
altri agenti, e seguita dall’altra donna. I tacchi di Pepper
picchiettavano sul
pavimento con velocità e lei non diede segno di
difficoltà nel stare dietro ai
passi lunghi della spia. Lungo i corridoi tutti gli agenti si
appiattirono alle
pareti, permettendo loro di passare. L’espressione
leggermente irritata dell’agente
Romanoff faceva capire che era meglio non ostacolarla. Potts invece la
seguiva,
incurante degli sguardi curiosi. Innervosita da quegli inseguimenti
insensati
l’agente, si voltò di scatto e aggrottò
la fronte.
“Cosa
c’è
Potts?” le chiese esasperata.
“Nulla,
voglio fare solo quattro chiacchiere. Non va bene?” chiese.
“Perché?”
domandò confusa.
Il corridoio
si svuotò e presto rimasero solamente loro due, faccia a
faccia. Pepper rimase
in silenzio per un bel po’, aspettando che rimanessero da
sole.
“Beh, non
abbiamo incominciato con il piede giusto e poi sapere che eri una spia
inviata
dallo S.H.I.E.L.D. non ha facilitato le cose”
esordì Pepper. “Però tutta questa
storia su alieni e dei impazziti mi ha fatto capire una cosa: Tony
è solamente
un uomo e ho paura che possa succedergli qualcosa che gli
impedirà di ritornare
a casa” continuò e sul suo volto non
c’era più quel sorriso di poco prima.
L’espressione
di Natasha non mutò e rimase in silenzio ad ascoltarla.
“E con
questo? Perché me lo stai dicendo?” le chiese.
“Sei una
spia, giusto? Sei brava, molto brava nel tuo lavoro, o così
mi aveva detto
Coulson” la sua voce s’incrinò nel
pronunciare ad alta voce il nome del suo
migliore amico; un amico che aveva rischiato di morire per salvare il
mondo. Fu
sollevata comunque che Phil stesse meglio adesso.
“Dagli
un’occhiata, è questo quello che ti
chiedo” e Natasha fu stupita da quella
richiesta. Pepper era una donna forte e aveva affrontato molte
situazioni che
avrebbero fatto venire un esaurimento nervoso a chiunque.
“Te lo
chiedo
come amica” insistette davanti al silenzio
dell’altra donna.
“Noi non
siamo amiche” rispose Natasha e fu a quel punto che Pepper
sorrise e il suo
sguardo si assottigliò, gli occhi le brillarono di una
strana luce.
“Si
può
sempre rimediare e se Tony continuerà a far parte degli
Avengers qualcosa mi
dice che passeremo molto tempo insieme. Perché non mettere
da parte i vecchi
rancori e conoscerci meglio?” disse Pepper avvicinandosi e la
prese sotto il
suo braccio trascinandola verso l’uscita più
vicina.
Phil Coulson
era seduto sulla sedia nel suo ufficio, costretto a firmare e leggere
scartoffie da più di una settimana. Era stanco di tutta
quella carta
inchiostrata e per un attimo prese quella ‘pausa’
dal lavoro come una punizione del direttore. Con la mano buona prese un
altro
foglio e lo firmò, senza leggerlo nemmeno. Era diventato un
gesto meccanico e
non sapeva da quanto tempo stesse facendo lo stesso gesto da quella
mattina.
Con uno
sbuffo passò ad un altro foglio e qualcuno bussò
alla porta.
“Avanti”
disse senza alzare lo sguardo. La porta si aprì e la testa
castana di Barton si
sporse all’interno della stanza e i suoi occhi azzurri lo
guardavano con
insistenza.
“Agente
Barton in che cosa le posso essere utile?” domandò
Coulson continuando il suo
lavoro. Barton entrò nella stanza e chiuse la porta alle sue
spalle. Prese
posto sulla sedia davanti al collega e si stravacco su di essa,
restando in
silenzio e continuando a guardarlo.
“Allora? Ho
molto da fare in questo momento e non posso occuparmi dei tuoi
capricci” disse.
Le labbra di Clint si tesero in un sorriso malizioso e i suoi occhi
scintillarono divertiti. Phil fece finta di non notarlo e
continuò il suo
dovere.
“Non la
pensava
in questo modo ieri sera, signore”
replicò Barton. Coulson si bloccò per un attimo
soltanto e poi continuò come
sempre, imperterrito ed indifferente da quanto appena gli fosse stato
detto.
Però non poté impedire le sue guance di tingersi
di un lieve rossore. Clint
sorrise ancor più soddisfatto e chinò il capo
all’indietro, poggiandolo sul
freddo ferro della poltrona.
“Che cosa ha
in mente Stark?” domandò dopo un attimo di
silenzio. Phil posò la penna e
lasciò perdere le scartoffie. Si poggiò contro lo
schienale della sua comoda
poltrona e stette attento che il braccio
fasciato non tirasse, poi sospirò.
“Non
è che
stai diventato paranoico?” domandò Phil.
“L’ho
visto
sequestrare il dottor Banner, mentre la sua fidanzata passeggiava
a braccetto con Natasha” rispose Barton.
“Per quanto
riguarda Stark dovresti esserci abituato ai suoi sequestri di persona e
poi mi
è stato detto che il dottore nell’ultima settimana
non è quasi mai uscito dal
proprio laboratorio. Quindi qualche ora di rapimento non gli
farà male” sbuffò
Coulson. Barton fece una smorfia per esternare il proprio dissenso, ma
non
ribatté.
“Invece sono
al quanto stupito che l’agente Romanoff si sia fatta
trascinare per tutta la
base a braccetto con Pepper, certo non mi sorprende che
un’assassina russa si
sia fatta ammansire da una segretaria di New York, soprattutto se
questa è
l’assistente personale di uno degli uomini più
arroganti e megalomani di tutti
i tempi” rispose con una filippica l’agente. Barton
sollevò gli occhi,
sbuffando davanti all’amicizia che lo legava a quella segretaria. Provava una sorta di gelosia
nei suoi confronti e
l’idea che l’agente Coulson non facesse altro che
lodarla lo faceva irritare.
“Comunque
non
hai risposto alla mia domanda. Non mi interessa tanto la sorte del
dottore,
massimo raserà al suolo questa città, ma quello
che più mi insospettisce è che
cosa hanno in mente quei due per coinvolgere anche Natasha.”
“Agente
Barton, comprendo che l’agente Romanoff è una sua
carissima collega, ma adesso
esagera. Le ricordo che la nostra base si è spostata alla
Stark Tower e
passeremo molto tempo insieme, quindi avranno solamente fare amicizia e dovresti fare altrettanto
anche tu con gli altri” lo rimproverò Phil.
Clint non
rispose e Coulson ritornò a firmare un’altra pila
di carte.
“Andiamo
dottore non dirmi che New York non ha il suo fascino! Altro che
Calcutta”
esclamò Tony a gran voce e allargando le braccia per
indicate ogni angolo della
città. Bruce non rispose, continuando a camminare con il suo
caffè bollente in
mano. Mai come in quel momento trovò
conforto nella caffeina.
“Si
può
sapere perché mi hai trascinato fuori?”
domandò seccatamente l’altro,
voltandosi ad osservare gli alti edifici lungo le strade. Il cielo era
una macchia
lontana di azzurro in mezzo a tutto quel grigiore.
“Per
respirare aria” rispose con sarcasmo.
“Aria
sporca”
ribatté Bruce buttando la tazza vuota nel primo bidone che
trovò.
“C’è
qualche
motivo particolare per la tua facile irritabilità? Ti
ricordo che siamo in una
città affollata e non vorrei rincorrere un omone verde per
la strada” disse
Tony guardandolo.
Banner non
rispose e si concentrò sulle vetrine che scorrevano davanti
ai suoi occhi, fino
a quando non si bloccò davanti ad una in particolare. Tony
lo stava seguendo
con poco interesse e gli andò a sbattere contro.
“Ehi”
si
lamentò il miliardario passandosi una mano sul naso e
aggrottando le sopracciglia.
Vide il collega osservare qualcosa e seguì il suo sguardo,
riconoscendo
l’agente Romanoff e Pepper. Le sue labbra si socchiusero e
poi si tesero in un
sorriso divertito. Diede una pacca alla schiena dell’amico e
ridacchiò.
“Che occhio
che hai!” esclamò scherzando. Banner non rispose e
continuò a guardarle.
“Ehi, guarda
che Pepper è una donna occupata eh?” disse con un
sopracciglio alzato. Ancora
nessuna reazione. Tony sollevò lo sguardo e lesse il nome
della boutique
davanti alla quale si erano fermati.
“Beh
entriamo, altrimenti passeremo per due maniaci” lo
esortò con una risatina, ma
Bruce non si mosse. Le sue labbra tese divennero pallide e le
assottigliò. Si
voltò e allungò il passo, ignorando le proteste
di Stark e continuò a camminare facendo finta
di nulla. Tony sbuffò
contrariato e rimase fuori dal negozio, facendo girare gli ingranaggi
del suo
cervello.
“Andiamo
Banner! Concedimi l’ultima possibilità di farti
apprezzare New York” insistette
Tony, poggiato contro il bancone sterile del laboratorio. La maglia
grigia e
nera dei Black Sabbath risaltava contro lo sfondo bianco di tutta la
stanza.
Bruce, avvolto nel suo camice bianco, giocherellava con una provetta
contenente
del liquido verdastro.
“Tony,
davvero non mi va un granché… Non sono fatto per
queste cose” rispose il
dottore. I suoi occhi attenti, dietro gli occhiali gialli da
protezione,
osservavano il flacone. Tony picchiettò le dita sul tavolo,
gonfiando le guance
e storcendo la bocca.
“Si tratta
di
una cena d’affari e basta… Non ti annoierai
neanche, promesso” disse portando
una mano verso l’alto e l’altra sul petto. Bruce
scosse la testa esasperato da
Tony. Non aveva mai un attimo di respiro e le sue notti erano insonni
come
spesso capitava nell’ultimo periodo.
La testa gli
scoppiava e non capiva più che cosa stesse facendo. Chiuse
gli occhi ed inspirò
col naso e quando riaprì gli occhi notò il volto
soddisfatto e sorridente di
Tony. Poco dopo saltellò verso l’uscita e Bruce si
maledì per la sua enorme
pazienza e la facilità con cui cedeva.
“Agente
Barton gradirei che la smettesse di intrufolarsi nel mio ufficio ogni
secondo
della giornata. Ho molto lavoro da sbrigare, mentre lei dovrebbe
allenarsi. O
sbaglio?” domandò Phil mentre ordinava la
scrivania, finalmente libera dalla
maggior parte della cartacce che Fury sadicamente aveva avuto il
piacere di
affidargli, spostò il suo sguardo stanco verso
l’uomo che aveva monopolizzato
l’altra poltrona della stanza. Gli stivali sporchi del fango
dell’ultima
missione avevano imbrattato anche la scrivania e questo fece aggrottare
la
fronte a Phil che grugnì contrariato.
“Questa
volta
Stark vuole portare Banner a cena. Se non pensassi che fosse etero dire
che
sicuramente è gay e non mi dispiacerebbe imbarcarmi in
un’avventura con lui…”
ridacchiò Occhio di Falco, con la testa rivolta
all’indietro e osservava la
stanza al contrario.
Phil grugnì
ancora una volta ma non disse nulla e Clint sorrise soddisfatto.
Nessuno dei
sue parlò e poi Clint si mosse sulla poltrona come
un’anima in pena.
“Barton, con
tutta la buona volontà che mi resta ti avverto che se non
sei tu ad uscire da
questa stanza con le tue gambe, sarò io e non ti
piacerà il modo in cui ti
metterò le mani addosso” sbuffa seriamente
contrariato ed irritato dal collega.
Clint solleva il capo e gli rivolge un sorrisetto malizioso e Phil
può notare i
suoi occhi brillare.
“Quando
è lei
a mettermi le mani addosso, signore, mi piace sempre!”
esclama Occhio di Falco.
Il volto di
Coulson assume un colore rossastro tendente al viola e subito afferra
il primo
oggetto che gli capita a tiro, possibilmente un oggetto contundente.
Barton lo
schivò e poi con una risata si alza dalla sedia ed esce,
lasciando l’agente
Coulson totalmente sconvolto e imbarazzato.
Il posto era
carino, rilassante e poco rumoroso. Le luci soffuse davano un senso di
intimità
e lo aiutavano a rilassarsi. Non sentiva più la fastidiosa
pressione di Stark e
quello lo insospettì molto. Era seduto al tavolo, da solo, e
Tony ancora non si
era presentato; sospetto era anche il fatto che il tavolo era per due
e,
sebbene non fosse pratico di certe cose, era più che sicuro
che una cena
d’affari non si discuteva con una sola persona. Fece scorrere
una mano lungo la
tovaglia bianca, fino alla sua tasca e si maledì di non
essersi portato dietro quel
maledetto cellulare. Sbuffò, coprendosi gli occhi con
l’altra mano. Il
chiacchiericcio in sottofondo si acquietò, lasciandolo
isolato.
“Dottor
Banner” una voce femminile e bassa lo fece sobbalzare, preso
alla sprovvista.
Alzò lo sguardo e incontrò gli occhi verdi di
Natasha Romanoff.
La sua bocca
rimase socchiusa dalla sorpresa perché mai si sarebbe
immaginato di incontrare
una super spia in un ristorante di classe come quello, o almeno in
compagnia di
un riccone grasso e con una tendenza alla perversione. Bruce si
guardò attorno,
ricordandosi che lui sì, stava aspettando un riccone
che come spesso accadeva, si faceva attendere.
“Tutto bene,
Bruce? La metto a disagio?” domandò la donna
notando il suo sguardo guardingo e
la fronte imperlata di sudore.
“Cosa? No,
no, no. Assolutamente no, è che…”
rispose agitato. “Stavo aspettando Stark, mi
aveva chiesto di accompagnarlo ad una cena d’affari, ma
ancora non si è fatto
vedere” spiegò sorridendole.
“E lei,
invece? E’ sotto copertura per una nuova missione?”
chiese in un sussurro. Le
sue guance si tinsero di un lieve rossore e la donna sorrise divertita.
“Non pensavo
di mettere in soggezione Hulk! E no, un’uscita con
un’amica…”
quella parola pronunciata da lei gli sembrò strana.
Bruce sapeva
che la donna non aveva amicizie se non con l’agente Barton;
sentirle dire che
aveva anche un altro amico, una donna, era destabilizzante.
Aggrottò le
sopracciglia e continuò a fissarla trasecolato. Natasha
sbuffò, anche se era
divertita dalla sua reazione, e si sedette di fronte a lui, incrociando
le
braccia sopra il tavolo e sporgendosi verso di lui.
“Già,
Virginia ‘Pepper’ Potts. Strano vero?”
disse con una risatina.
“Beh…
Pepper…
E Tony non ha marcato il territorio?” domandò con
ironia, concedendole un
sorriso sghembo. E anche Natasha rise divertita. La luce della candela
tremolò
appena, colpita da una leggera brezza, e gli occhi smeraldini della
donna
luccicarono alla sua luce. Il dottore si fermò a guardarli
estasiato e per la
prima volta si ritrovò a pensare che il colore verde non
fosse simbolo di
distruzione, rabbia e morte. Si ritrovò a contemplarli, con
adorazione e quando
si rese conto di essere a bocca aperta davanti a lei, non
poté evitare di
arrossire, preso in contro piede. Distolse lo sguardo e si
concentrò sulla
tovaglia linda sotto un suo braccio.
“Beh, vuole
farmi… compagnia? Nel frattempo che attendiamo i nostri
ospiti?” domandò
gentilmente. La donna annuì, senza esitazioni.
“Bene
allora,
si metta comoda” disse allungando la mano in un cenno verso
la sedia difronte a
lui. La donna si sedette e incrociò le gambe con estrema
eleganza, tanto che
gli occhi dell’uomo scesero a guardarle. Sbatté le
ciglia un paio di volte e
subito distolse lo sguardo e con sua irritazione notò che
anche gli altri
uomini, presenti in sala, avevano notato quel bel paio di gambe.
“Tutto bene,
dottore? Sta sudando e il suo volto ha assunto una sfumatura
verdognola” disse
la donna, non mascherando un’espressione compiaciuta. Non era
solo Occhio di
Falco a poter vantare di un’ottima vista e lei aveva notato
come il dottore la
stava squadrando. Poggiò i gomiti sulla tavola e poi
posò il mento sul dorso
delle mani intrecciate.
“No,
no…”
sospirò agitato. “Sarà il
caldo…” tentò di giustificarsi il
dottore andando
ancor più nel panico. Avrebbe preferito non trasformarsi in
un bestione di due
metri, incazzato e spaccare ogni cosa.
“Si calmi
dottore, stavo scherzando” ridacchiò la donna e
Bruce sospirò, cercando di
calmarsi. Restarono in silenzio per un paio di minuti, il tempo a
riprendere il
controllo di sé.
“Mi chiami
Bruce, agente Romanoff” sussurrò, poggiandosi
contro lo schienale. La sua mente
era di nuovo ritornata un posto tranquillo e il leggero brusio di
sottofondo lo
cullava ancora una volta.
“Allora
chiamami Natasha e dammi del tu, siamo colleghi giusto?”
Già, colleghi.
“I signori
desiderano ordinare?” domandò un ragazzo,
spuntando alle spalle della donna.
Tony
continuava a picchiettare l’unghia contro il freddo ferro
della ringhiera del
balcone che dava sull’uscita principale della Stark Tower.
Ogni minuto che
passava guardava con insistenza l’orologio al polso e poi
ritornava a scrutare
il portone.
“Ehi, la
vuoi
smettere?” la voce di Pepper lo colse di sorpresa e lui
sussultò.
“Beh, non
vorrei che il direttore mi facesse una filippica sul fatto che un Hulk
ha
distrutto l’altra parte di New York ancora intera…
Tutto per una cena” rispose
con sarcasmo e irritazione.
“Allora
è
questo che confabulavi Stark!” esclamò Clint. I
due si voltarono e videro
l’agente Barton uscire da un condotto dell’aria e
saltare agilmente vicino a
loro.
“Che
c’è
Legolas? Geloso?” domandò Tony, ritornando a
guardare verso il basso. Occhio di
Falco, di certo, aveva notato quel suo ghigno irritante e compiaciuto
e,
davvero – davvero! - non
sapeva come
Pepper riuscisse a sopportarlo senza meditare la sua morte almeno una
volta al
giorno.
“Ti prego
Stark, come s-“
Le risate di Banner
e Romanoff interruppero l’agente e anche lui si
voltò a guardarli. Natasha era
aggrappata al braccio del dottore e anche lui sembrava rilassato,
perfino
divertito.
“Beh almeno
New York è salva” affermò con
divertimento Pepper, voltando le spalle e
andandosene continuando a ridacchiare. Clint si sentì
accaldato, soprattutto al
viso ed era sicuro di aver assunto uno colorito rossiccio.
“Dicevi?”
continuò Tony assottigliando gli occhi e stampandosi un
ghigno di soddisfazione
e auto celebrazione. E poi seguì la fidanzata.
L’unico a
non
sembrare molto soddisfatto era Barton che li guardava, sbuffando. Di
certo non
li avrebbe persi di vista.
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