Avresti
dovuto capire subito che qualcosa non andava. Avresti dovuto capirlo
quando non l'hai riconosciuta tra la folla, quando la sua mano si è
stretta alla tua ed hai sobbalzato prima di scioglierti in un sorriso
insicuro.
“Hai
cambiato colore di capelli.” noti, sottovoce, arrotolandoti una
ciocca lunga intorno all’indice.
Dicevi
non l’avresti mai fatto.
non
aggiungi, notando quanto sia bella e distante con i capelli scuri.
Lei
ride, di quella risata cristallina che le nasce spontaneamente quando
è felice e tu smetti di preoccuparti di cose inutili come il
colore dei capelli, lasciandoti contagiare dal suo buon umore mentre
ti tiene la mano stretta come se temesse di vederti sparire.
Avresti
dovuto sentire il disagio del tentare di aprire la porta di casa con
quelle chiavi che aprono l'altra, di porta, quella a dodicimila
chilometri da lei.
A
dodicimila chilometri da qui c'è un appartamento umido e
minuscolo in cui staresti bene, in una culla di solitudine ed
isolamento.
Chissà
cosa pensa. Cosa pensa della tua mano che ancora stringe con urgenza,
ora che siete a casa, cosa si nasconde dietro il suo sguardo
luminoso.
È
così dolce, la pelle cosparsa di lentiggini ed un po’
arrossata. Credevi che il tempo del rossore fosse finito prima di
andare a vivere insieme e invece eccolo. Ti ricorda i momenti in cui
si ammala e tu le resti accanto.
È
la stessa a cui hai stretto la mano mentre le leggevi un libro sempre
nuovo, la stessa che ride dei tuoi modi goffi e parla
ininterrottamente per ore di quello che fa, anche i piccoli dettagli
che nessuno noterebbe..
Ora
è silenziosa e sembra aspettare timidamente un tuo segno
mentre ti siedi su un divano che non ricordavi così scomodo e
guardi come quello che era il tuo mondo è cambiato.
C'è
un vaso con i gatti sopra al camino, un mazzo di fiori di vetro a
renderlo ancora più scenografico.
Ti
disturba come se quella non fosse più casa tua per quell'unico
dettaglio.
Ti
sfreghi gli occhi e fai un respiro, sottraendo le mani alle sue cure,
ma ti sforzi di sorridere quando la vedi spegnersi.
"Non
ho dormito neppure un secondo sull'aereo." ti giustifichi e lei
sembra capire, non resistendo oltre e buttandoti le braccia al collo.
La
stringi perché va stretta e Dio solo sa quanto aspettavi il
suo profumo dolce e il modo in cui il suo corpo sembra essere fatto
per adagiarsi sul tuo.
"Non
ho chiuso occhio, ero troppo contenta!" esclama, felice e
sollevata. In te nasce un senso di colpa che lascia un vuoto dentro,
mentre ti chiedi se l'apatia che senti se ne andrà quando
riuscirai a dormire un paio d'ore.
Ti
trascina a letto e si accoccola al tuo fianco con suoni da gatto
felice. Sorridi, perché quello è casa e ti è
mancato.
E
ti è mancato tutto di voi, ma hai continuato a vivere senza
per mesi. La memoria del corpo si riattiva e il cervello grida che è
sbagliato tentare di definire quanto ti faccia stare bene la
sensazione del suo respiro sul collo e le parole che ti rivolge di
nuovo ora che qualcosa si è sbloccato.
Farà
male abituarsi di nuovo a tutto questo e poi privarsene.
Sarà
un nuovo strappo da ricucire e ci saranno momenti in cui odierai ogni
suo piccolo difetto. Troverai un pretesto per andartene per sempre,
ma tornerai a quella stanza in ogni caso.
"Sono
a casa." dici però, ad occhi chiusi, perché è
quello che si aspetta e quello che aspetti anche tu.
Quando
tornerai nel luogo che il tuo cervello vuole chiamare casa, ci sarà
come sempre il dolore del distacco e la sensazione di perdere troppo
per avere ragione di tornare.
Ma
tornerai. E verrà a trovarti.
E
ripeterai ancora ed ancora quella frase con il suo calore premuto su
un fianco.
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