L'amore

di Shine
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L'amore
Le tende bianche svolazzavano, mosse dalla piacevole brezza che riempiva l’intera casa d’un gradevole profumo di primavera. Una ragazza bruna era appoggiata alla finestra, con il volto tranquillo e disteso in un sorriso dolcissimo, i capelli spettinati e le mani posate delicatamente sul vetro. Sembrava godere d’una mutua ammirazione, guardando il paesaggio circostante, sembrava lontana da qualsiasi forma di vita, troppo immersa nei suoi pensieri, forse nei suoi sogni. Nessuno avrebbe osato disturbarla, guardandole il viso. Ma lui osò farlo. E per un ottimo motivo.

Vola da lui,
il suo da te.
Si libra nell’aria,
giunge alla meta.
Ma non s’incrocia.


“Ciao, sorellina”, disse Taichi, scuotendo cautamente la ragazza.
Lei lo guardò con un sorriso.
“Stavo osservando il paesaggio”, dichiarò, lasciando che i suoi occhi si riempissero d’allegria.
“L’avevo notato.”, commentò lui.
“Mi dispiace comunicarti”, proseguì , “che dovrai abbandonare questo piacevole passatempo.”
Lei lo guardò interrogativa.
“Ti è arrivata questa.”, rispose, sorridendo.

I due estremi…
…di una corda.
Uguali ,
ma lontani.


Correva a perdifiato, quasi non si reggeva in piedi. Sperava che ci fosse un ottimo motivo, che giustificasse quell’improvvisa chiamata urgente, che lo aveva costretto ad abbandonare le sue importanti occupazioni… Che poi queste consistessero nell’abbandonarsi a sogni irrealizzabili, la cosa non riguardava affatto colui che lo aveva convocato. Si fermò un istante, cercando di riprendere fiato. C’era un leggero venticello. Era fresco e dolce, ma considerando la corsa che aveva fatto, rischiava di prendersi un malanno. Riprese a correre, finché giunse ad una panchina,  stremato.

Entrambi nel dolce desiderio,
entrambi nelle candide illusioni.
Troppo immersi,
troppo distanti,
per accorgersi
che non sono solo quello.

“Te ne stai lì, seduto, a guardare le mie fatiche?”, domandò Takeru.
Il fratello lo osservò, lasciando che una scintilla di divertimento guizzasse nei suoi occhi.
“Non ti ho chiesto io di correre. Non è colpa mia se sei masochista.”
Tk assunse un’aria… omicida.
“Sai, caro Yamato, è in questi momenti che si scopre la profondità dell’affetto tra fratelli.”, commentò, sedendosi accanto a lui, ansante.
Per tutta risposta, il fratello rise.
“Spero tu abbia buoni motivi per giustificarti.”, aggiunse, guardandolo.
Yamato cercò di darsi un contegno.
“Hikari sta partendo.”
Lo disse con un sussurrò, che gelò il sorriso dal volto del fratello.
“Come sarebbe?”, chiese sconvolto.
“Tra mezz’ora se ne andrà. Si trasferisce.”, rispose l’altro, in tono funereo.
Takeru scattò in piedi, e senza lasciare che il fratello aggiungesse altro, corse via.

Non si prevedono,
i giochi di chi controlla
le nostre vite.
Lontani,
ma completi,
come il sole e la luna.
Vicini,
ma incompleti,
come due cornici vuote.

Hikari guardò verso il fratello, letteralmente sconvolta.
La lettera le cadde dalle mani, gli occhi le divennero umidi.
Guardò negli occhi Taichi, poi corse fuori dalla porta, sapendo che la vita non le avrebbe più offerto  quell’occasione.

O forse,
mano per mano,
né vicini,
né lontani,
uniti
non da parole,
né da avvenimenti,
non da un sorriso,
né da uno sguardo,
ma da qualcosa
che da sempre era vostro.


I due sguardi s’incrociarono.
Corsero l’uno verso l’altra, a perdifiato, senza curarsi della folla.
Si presero le mani, ansanti.
“Ti amo”
L’avevano detto all’unisono.

L’amore.

“Mi dispiace d’avertelo detto così tardi.”, le disse il ragazzo.
“Dispiace anche a me.”, sussurrò lei.
“Non voglio che tu parta.”, dissero entrambi, poi si guardarono confusi.
“Ma io non sto partendo.”, dichiarò la ragazza.
“Neanch’io.”
Si fissarono un attimo, interdetti, poi parvero capire.
“Taichi!”
“Yamato”

A casa di Hikari…

“Credi che ci perdoneranno mai?”, domandò Yamato all’amico.
“Forse no”, rispose Taichi, con un’espressione dubbiosa.
Risero, divertiti.




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