- ZUCCHERO -
"La bella
cosa di svegliarsi e sentire il calore del sole riempirti il viso.
Quello era decisamente alzarsi con il piede giusto! Prepararsi in due
secondi per uscire e approffitare della bella giornata. E' uno di quei
giorni in cui mi piace camminare senza una meta precisa, musica alle
orecchie e fare qualche spesa. Ho la strana sensazione che oggi
succederà qualcosa, il mio sesto senso non sbaglia mai...
Staremo a vedere."
Era
mattina presto e tutti correvano al lavoro, le strade non erano molto
affollate ma si percepiva la fretta nei movimenti delle poche persone
che si potevano scorgere entrare ed uscire dalle vie secondarie. Una
destinazione sicura era la libreria, ci sarei passata dopo essere
andata in ufficio del Bonzo. Mi aveva chiamata il giorno prima con un
tono di voce abbastanza preoccupato, speravo vivamente che non
riguardasse il mio nipotino. Cercai di convincermi che andava tutto
bene per non rovinarmi quella giornata cominciata così bene.
Incontrai alcune mie colleghe che facevano fatica a camminare a causa
delle grandi scatole che gli riempivano le braccia, si fermarono
qualche minuto, giusto il tempo di mandarmi a quel paese
perché quando bisognava faticare io avevo sempre il giorno
libero. Le salutai facendogli l'occhiolino promettendo che la prossima
volta mi sarei accollata il loro carico di lavoro.
Le ore passarono in fretta e raggiunsi mio fratello al lavoro. Aprii la
porta e vidi la ragazza bassa che c'era alla festa. Era seduta sulla sua scrivania,
parlava a bassa voce mentre giocherellava con qualche ciocca di capelli
ma appena si accorse della mia presenza mi squadrò e si
avvicinò al suo orecchio, per non farsi sentire. Mi
soffermai su di lui e alzai un sopracciglio, pareva ignorarla ma
sicuramente stava ascoltando attentamento quello che gli diceva. Da un
momento all'altro si alzò dalla sedia e la tirò
per il braccio.
«Vattene!» disse, alzando la voce.
Quando la ragazza mi passò di fianco, si fermò di
fianco a me guardandomi con la coda dell'occhio per dei secondi che
parevano interminabili. Sbuffò e se ne andò senza
dire nulla. Sentii che la mia faccia esprimeva decisamente quello che
stavo pensando, non c'era modo di nasconderlo. Mister X lo
notò, si diresse verso di me e mi costrinse a seguirlo.
Mi sentii sbattere contro il muro e i polsi bloccati vicino alle
spalle. Il suo viso era a pochi centimetri dal mio, una goccia di
sudore gli scese dalla tempia per cadere lentamente dal mento. I suoi
occhi erano fissi sui miei, non capii se era terrozzato o arrabbiato,
forse entrambi. La mascella serrata, le mani tremanti ma decise a non
mollare la presa.
«Se dici anche solo una parola al capo su chi lei sia, non
pensare di cavartela con un viaggio in un treno mezzo
decadente» disse, tutto d'un fiato.
Non sapei cosa rispondere, aprii la bocca ma non ne uscì
alcun suono.
«Hai capito?!» urlò, premendo il suo
corpo sul mio.
D'istinto chiusi gli occhi e girai la testa. In quel momento non
riuscii a trovare un modo per prendere il controllo della situazione
come facevo solitamente. Sentii il suo respiro affannoso sul collo e i
capelli appoggiarsi appena sulla spalla.
«E-Erin...»
«C-come d-diavolo sai il mio nome?!»
chiesi, riaprendo gli occhi.
Alla mia domanda lasciò i miei polsi, questa volta aveva
un'espressione smarrita. Mi stupii di come potesse cambiare umore nel
giro di pochi istanti. Si ricompose passandosi una mano sul viso. Mi
massaggiai i polsi sui quali c'erano i segni rossi delle sue dita. Si
mosse nella mia direzione allungando un braccio verso di essi ma in
quel momento la porta di fianco a noi si aprì.
«Oh, temevo non arrivassi più» disse mio
fratello «Vedo che stavi solo chiaccherando»
finì, con tono severo. Mi fece segno di raggiungerlo.
Guardai Mister X mentre
si lasciava cadere con le spalle al muro. Non avevo idea di cosa avesse
scatenato una reazione così esagerata. Fatto sta che non
sbaglio mai.
***
La giornata di sole si tramutò in piovosa nel pomeriggio,
arrivai a casa in tempo prima di ritrovarmi bagnata fradicia. Come il
tempo, il mio umore era cambiato. La casa vuota immersa nel silenzio
lasciava spazio ai miei pensieri che erano forti come delle urla. Le
sue parole, la sua faccia, la forza con cui riuscì a tenermi
incatenate. Non solo fisicamente ma anche mentalmente. Difficilmente mi
faccio prendere alla sprovvista ma questo era proprio il caso in cui
non riuscivo a percepire una possibile reazione e la sua conseguenza.
Fortunatamente non ho avuto un colpo di testa, sennò
rischiavo seriamente di farmi male.
L'unica conclusione che fui in grado di trarre e che, quando si
trattava della ragazza pappagallo, l'aria diventava pesante e
insopportabile, qualsiasi fosse l'argomento della conversazione. Era
una persona che ti urta l'animo solo a guardarla. Il suo modo di fare
altezzoso, il modo in cui si porgeva in avanti per mettere in mostra il
fisico esile, il tono di voce che cerca di richiamare l'attenzione.
Quel tipo di persona che dentro hanno solo il vuoto. Non la sopportavo
perché io ero tutto l'opposto. Non ero certo Miss Universo
ma per lo meno io avevo dei principi che non si basavano solo sulle
apparenze. La cosa era reciproca, ma non mi toccava minimamente.
Forse a Mister x
urtava quanto a me, se si conoscevano c'era un
motivo. Da quel poco che vidi, si assomigliavano, forse con la sola
differenza che lui aveva una parte consapevole di come era la sua vita.
L'atteggiamento schivo, prepotente ma quasi sempre sulla difensiva.
Mentre lei prendeva i rapporti interpersonali con leggerezza, lui non
riusciva proprio a gestirli se non con i pochi amici stretti con cui lo
vidi alla mia festa di compleanno.
Non fu difficile capire le basi del carattere di entrambi ma
riflettendo ulteriormente su quello che era accaduto, lui aveva la
capacità di costruirsi una muraglia invaricabile che l'altra
invece non si poneva affatto. L'atteggiamento nei confronti di lei era
uguale a quello che teneva con tutti gli altri ma decisamente
più marcato, che vedesse una specie di specchio di se
stesso?
Mi venne un forte mal di testa a forza di trovare un nesso logico a
tutti quei pensieri, così presi due cuscini e una coperta
accasciandomi sul divano. Chiusi gli occhi cercando di rilassare un po'
alla volta tutti i muscoli, distendendo le braccia lungo i fianchi.
Inutile dire che mi addormentai dopo pochi minuti. Sfortunatamente la
mia dormita non durò quanto sperai. Quando decisi di alzarmi
ed uscire di nuovo era quasi sera. Non pioveva più ma tirava
un forte vento, mi strinsi nel mio giubbotto mentre cercavo di arrivare
al bar dove mi recavo spesso e volentieri a quell'ora.
***
Mi sedetti su un tavolo vicino
al finestrone. Salutai la cameriera, una signora di mezza
età moglie
del proprietario e ovviamente dava una mano nel gestire il locale.
Ormai avevo parecchia confidenza con entrambi e non c'era nemmeno
bisogno di ordinare, gli bastava guardarmi un secondo per capire il mio
umore e cosa era adatto in quel momento. Non era di sicuro uno dei
locali più rinomati della città ma era un posto
dove ti facevano sentire a casa. Offrivano cose semplici ma sempre
adatte a qualsiasi situazione.
«Mmm... Ti vedo scossa, che è successo?»
chiese la donna.
«Uh, ho solo un forte mal di testa...» risposi,
evasiva.
I campanellini appesi alla porta suonarono.
«Credo che ti stiano cercando» disse, indicando la
figura appena entrata.
Spostai la testa verso di essa ed eccola lì la fonte del mio
mal di testa. Sospirai mentre la cameriera mi diede una pacca sulla
spalla.
Inutile dire che a quanto pare era veramente lì per me. Fece
per sedersi ma si fermò in attesa di una mia conferma, mossi
la mano e lui si sedette.
Il silenzio regnò sovrano per dieci minuti buoni. Cominciai
ad innervosirmi, non si aspettava mica che io parlassi per prima?
«I-io» balbettò «N-non so
c-cosa dire di preciso».
Sul mio viso si dipinse un'espressione incredula quando mi resi conto
di come si stava svolgendo la situazione. Avevo davanti un ragazzo, che
normalmente mi avrebbe coperta di insulti, in totale imbarazzo incapace
di formulare una frase di scuse. Mi divertii alquanto a vederlo in
difficoltà, così che potesse capire come ci si
sente.
«Magari puoi dire che ti dispiace avermi trattato male in un
momento di rabbia senza motivo» feci una pausa
«Visto che io non centravo nulla in quel preciso
istante».
«M-mi...» deglutì «S-spiace.
Mi dispiace».
Un sorriso di soddisfazione mi comparì in volto ma dentro di
me mi sentivo alquanto strana. Non ero del tutto sicura che le sue
scuse fossero sincere, ma gli era costato un grande sforzo ammettere di
aver sbagliato.
«Vedo che avete sistemato» disse il proprietario
alle mie spalle «Perché non festeggiate con un
gelato?»
Lo guardammo entrambi con sguardo interrogativo. Gli dissi che era
propriamente il tempo migliore per un gelato ma lui scrollò
le spalle, farneticando qualcosa sul fatto che un certo tipo di gelato
gli ricordava il primo appuntamento sulla spiaggia con l'amore della
sua vita. Non riuscimmo a convincerlo che non era affatto una buona
idea e di tutta rispostà ci forzò ad entrare
nella cucina.
«Scommetto che ti è costato caro ammettere il tuo
errore, vero ragazzo?» lui lo ignorò «La
cosa più difficile è convincere una donna che le
tue scuse sono sincere. La mia l'ho conquistata con un gelato,
sapete?»
«Seriamente, non c'è bisogno di tutto questo! Io e
lui siamo solo conoscenti, nulla di più!» dissi,
alzando il tono della voce. Mi girai verso Mister X cercando
la conferma nella mia affermazione ma il suo sguardo era focalizzato
sulle vaschette di gelato artigianale, pareva che gli brillassero gli
occhi.
«Qui ci sono tutti i gusti che volete! Ah, offre la
casa!» disse l'uomo, ritornando nella sala.
Rimasi lì, sbigottita, a guardarlo andare via. Quando mi
rivoltai vidi che si era già servito.
«M-ma te ne freghi di quello che ci ha detto?»
chiesi.
«A dir la verità sto facendo proprio quello che
vuole. Poi è gratis».
Spalancai gli occhi quando mi porse una coppa di gelato guarnita con
panna e una ciliegia.
«M-ma che d-diam...»
«Se ti serve una conferma sulla mia sincerità,
eccola qua. Proprio come ha suggerito!»
«C-come fai a sapere d-delle ciliegie?» chiesi.
Tutti sapevano che le adoro, ma non mi capivo come potesse esserne a
conoscenza lui.
«E' ovvio. Le porti dappertutto. Non sembra ma io li noto i
dettagli» rispose, schivo.
«Non so che dire... Grazie». Mangiai la ciliegia e
presi una cucchiaiata di panna.
Sentii le guance diventare calde, non mi aspettavo un gesto del genere,
anche se non c'era minimamente della dolcezza.
Prese la panna spray e se ne spruzzò un po' sul palmo della
mano e me la spalmò in viso.
«Questo è per la ghigna di soddisfazione che ti
sei permessa di fare, prendendomi in giro» disse serio.
Presi il contenitore e glielo lanciai dritto in fronte
«Questo è per voler avere sempre l'ultima
parola!»
Cadde all'indietro tenendosi al mio braccio e mi ritrovai sopra di lui
con la faccia ancora sporca. Lo fissai mentre si teneva la testa tra le
mani, io cercai di pulirmi alla meno peggio. Aveva uno sguardo duro,
probabilmente l'avevo fatto arrabbiare dopo aver constatato che aveva
una botta viola dove l'avevo colpito. Mi alzai per cercare del ghiaccio
che chiusi dentro una tovaglietta di stoffa.
«Scusami, non volevo farti male...» dissi,
sentendomi in colpa.
Avvicinò la mano al mio viso e mi spostai convinta che
volesse colpirmi, ma sentii il suo pollice appoggiarsi sulla mia
guancia mentre toglieva un residuo di panna. I nostri sguardi si
incrociarono, il suo ancora serio mentre il mio sorpreso.
Continuò ad accarezzarmi delicatamente la guancia,
avvicinandosi a me. Appoggiò il ghiaccio sul tavolo senza
staccare gli occhi da me, mi tenne il viso e mi baciò.
Successe improvvisamente, con uno scatto inaspettato.
Non sapevo cosa fare, di nuovo. Sentii il petto bruciare e il cuore
battere a ritmo frenetico.
Chiusi gli occhi sperando che quando li avrei riaperti fosse stato solo
un sogno. Invece era reale.
Con un braccio mi cinse la vita e mi attirò verso di se. Era
un bacio dolce ma deciso.
Il mio corpo non era in grado di sostenermi, le gambe non avevano
più forza e le braccia erano appoggiate al suo petto. Nella
mia testa frullarono mille domande a cui non sapevo dar risposta. Fui
intrappolata nuovamente, senza controllo.
«Zucchero...» sussurrò, appena
lasciò andare le mie labbra.
«Te l'avevo
detto che il gelato è la soluzione a tutti i problemi
cara!»
«Sì,
ma chi ha scommesso su quei due quando li ha visti sul pontile? Tu non
gli davi credito!»
«Tsk.»
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