Prima
La
voglia di conoscere la donna era presa forte mentre osservava i cieli
di Parigi tingersi di viola scuro nell'alba sudicia e quasi piovosa.
La preferiva a Londra per la qualità della vita, sebbene il
clima non fosse granché, soprattutto nei mesi invernali.
Quella
mattina, Nadia aveva soffiato via il fumo della Gitanes,
dozzinale come il vestito che indossava, e si era appoggiata alla
cornice della ringhiera ferrosa della mansarda parigina. Era in piedi
da ore, il sonno sembrava abbandonarla con il trascorrere degli anni.
Giunta
a metà della sigaretta, aveva lasciato cadere la cicca spenta
sul marciapiede sottostante, sfiorando di poco un ciclista che
pedalava nelle viette deserte, e si era avvicinata al letto dove Jean
George dormiva profondamente. I capelli stavano diradandosi sulle
tempie ed ingrigendo fra le ciocche biondastre. Nel bagliore bluastro
della luce, la pelle appariva pallida, quasi malata. Nadia aveva
raccolto i vestiti dell'ecclesiastico e li aveva sistemati su una
sediola raccattata al mercatino dell'usato di Montmartre. Per finire,
aveva deposto il collarino bianco sul comodino con gentilezza.
L'aveva
incontrato in chiesa, durante una funzione religiosa. La madre
adottiva l'aveva educata a credere in Gesù, a temere l'Inferno
e ad essere caritatevole e giusta. Come tutte le brave bambine, Nadia
aveva seguito i consigli materni: si era mantenuta pura, aveva
digiunato in Quaresima, aiutato i più bisognosi, ed una sera
si era ritrovata di fronte un uomo dall'aria impudica, nero di
capelli e altrettanto d'occhi che parlava una lingua che stentava a
comprendere, ma sembrava conoscere la verità dei suoi fausti
natali.
Nadia
aveva assorbito silenziosamente le parole del Viaggiatore, era
tornata a casa fluttuando nei propri pensieri e giunta al cospetto
della madre, intenta a pelare due striminzite patate per la cena, le
aveva chiesto se era vero, se era stata adottata.
L'espressione
sbigottita e sorpresa di Margaret era durata una frazione di secondo.
Sebbene non avessero lo stesso sangue erano creature simili, entrambe
prive di slancio affettivo. Non scambiarono molte parole neppure in
quell'occasione. Nadia uscì di casa per andare a prendere
l'acqua al pozzo e quando tornò, si accorse di essere
arrabbiata. Si coricò, voltando la schiena al fuoco che andava
morendo nel camino, restò un po' a fissare la parete grezza
dell'abitazione e, quando il gufo cominciò a bubbolare,
sgusciò via dall'abitazione e raggiunse il Viaggiatore che
l'attendeva al confine del villaggio. L'uomo l'aveva rifornita di un
mantello pesante per la notte e un coltello affilato. “Per
iniziare” aveva detto.
Per... iniziare?
Iniziare cosa? E dopo cosa sarebbe successo?
Ormai
Nadia non ci pensava più tanto spesso. Non amava ricordare la
solitudine degli anni, il rude affetto della donna che aveva tradito
fuggendo nella notte come un ladro. Si muoveva fra Varsavia e Parigi,
sempre via terra, scrutando pensosa le enormi macchine voltanti con i
nomi delle compagnie aeree di tutta Europa, chiedendosi come sarebbe
stato volare su uno di quei cosi. O che sensazione avrebbe provato
cadendo. Certo sarebbe sopravvissuta... ma
cosa avrebbe sentito?
La prima volta che
aveva voluto qualcuno ferocemente, così forte da perdere il
lume della ragione, era stato in chiesa dopo la funzione domenicale.
Il sacerdote che si intratteneva a conversare con i fedeli e
dispensava carezze ai bambini, era un giovane che andava appassendo
nella propria maturità. Nadia era tornata molte volte, senza
mai osare avvicinarsi alla comunione come gli altri fedeli, aveva
spiato i suoi movimenti compassati e misurati, poi, stanca dei
pensieri lascivi indirizzati ad un uomo di Dio, si era seduta agli
ultimi banchi a pregare. A chiedere consiglio. Ad invocare la purezza
della mente intorpidita dal desiderio carnale. Nella vita era stata
accorta, poco incline alla lusinga, giusta. Avrebbe fatto la cosa
giusta anche quella volta, aveva pensato chiudendo gli occhi e
girando fra le dita la croce d'oro che pendeva fra i seni.
Quando l'uomo si era
avvicinato per raccogliere i libricini delle preghiere, Nadia l'aveva
fissato dritto negli occhi ed egli aveva smesso di muoversi,
intontito da una forza superiore a quella del suo dio. Le labbra di
Nadia si erano socchiuse, in preda allo sconcerto per la perdita del
controllo mentale ed era scappata via, imponendogli di dimenticare.
Non
sarebbe mai più tornata, aveva deciso aggirandosi per le
viuzze strette del Quartiere Latino,
spiando senza vedere bancarelle di fiori e negozi di formaggi dal
sapore incantevole. La notte
stessa era scesa a Pigalle
in cerca di divertimento a poco prezzo. Aveva scrutato la folla
elegante che accompagnava l'uscita di uno spettacolo del Moulin
Rouge e aveva trovato quel che
cercava.
Nadia
aveva trascorso dieci notti in preda ai dubbi, prima di tornare a
l'Eglise de la Madeleine,
dove la statua di Maria
Maddalena tendeva le braccia al cielo e un tripudio di angeli ne
accompagnava l'ascesa tutto
il giorno.
Si era confessata,
aveva fatto la comunione e poi aveva atteso nascosta fino alla
chiusura. Fino a che Padre George non aveva sbarrato il portone
dall'interno, abbassato l'illuminazione delle candele artificiali ed
inchinato all'altare in segno di sottomissione.
Dopo
quella notte, per molte notti, Jean George si inchinò a
lei....
Ma era giusto trattarlo
così? Ingannarlo, compromettere la purezza del suo spirito e
del corpo con gli assalti amorosi? Il dilemma etico le scavava le
viscere, togliendole il sonno e l'appetito.
… ma
se non l'avesse fatto, non sarebbe mai stato suo
Nel
momento stesso in cui Nadia si allungò al suo fianco e
chiuse gli occhi, portando il braccio sinistro sotto la testa, l'idea
di Katerina Petrova le riempì la mente. Esigeva spiegazioni
per l'abbandono brutale. Si era fatta trasformare in vampiro per
semplificare la ricerca (un'altra notte che avrebbe voluto
dimenticare con tutte le sue forze, tanta era stata l'agonia
dell'anima per la perdita dell'umanità e il dolore del
trapasso) e non avrebbe lasciato che quella cagna la facesse franca
ancora a lungo.
Dopo
Nadia
ha viaggiato fino a New Orleans in stato catatonico. Ha scelto il
treno per lo sferragliare basso e rassicurante delle rotaie che
accarezzano veloci l'acciaio. Ha scelto il posto singolo per non
essere disturbata, la febbre sta salendo e non ha molta pazienza con
i seccatori e gli avventurieri.
Appena
scesa alla stazione, New Orleans l'ha aggredita con la sua allegria,
i colori e le orchestre di benvenuto che credeva esistessero solo nei
film. Non ha idea di che faccia abbia Klaus Mikealson e non ha più
molto tempo. Lo stato febbrile che le offusca la mente la rende
debole e indifesa. Quando scorge un locale poco appariscente e
dall'entrata quasi invisibile, decide che non è un posto per
turisti. Forse, un posto da Klaus Mikealson.
Una
volta dentro, Nadia si aggrappa alla prima sedia libera e si siede,
ordinando un bourbon, gli occhi bassi, le mani abbandonate sulle
cosce. Le vede muoversi al rallentatore. E' squassata dai brividi.
Quando il bicchiere compare, i polpastrelli serpeggiano sul vetro
bagnato. Il liquore è lava fusa in gola. Avrebbe dovuto
ordinare un bicchiere d'acqua.
“Stai
bene?”
Nadia
lecca le labbra aride ma non trae alcun giovamento. “Tu sai...”
inizia facendo un sforzo enorme per parlare. “Sai dove posso
trovare... mh...” Il braccio brucia da morire nel punto in cui
Tyler l'ha morsa. Il veleno sta prendendo possesso delle ultime fibre
muscolari che hanno resistito strenuamente alla battaglia. Quando
giungerà al cuore, morirà.
“Klaus
Mikealson...” bisbiglia, stringendo l'avambraccio. “Gira
da queste parti...”
La
bionda la scruta, dubbiosa e restia a rispondere.
Nadia
afferra la manica del giubbotto e la solleva, mostrando la cancrena
che la corrode. “E'... urgente...”
La
targhetta della donna scintilla improvvisa sotto la luce, rivelandone
il nome. Camille.
“E'
stato lui a farti questo?!”
Sembra
sconcertata, furiosa. Come se le avesse fatto un torto grave. Nadia
scuote la testa, debole. “Allora... è qui?”
Camille
esita, Nadia la guarda con occhi febbricitanti. “Per favore...
è... urgente...”
Il
braccio ferito scivola improvviso lungo il fianco, abbassando al
contempo la spalla. Nadia si ritrova di colpo con la guancia premuta
contro il bancone, sorda ai rumori del locale, cieca all'espressione
terrorizzata della barista. Nessuno la tocca ma si forma un cerchio
di esseri demoniaci attorno a lei. Si fa forza, tenta di combattere
la paralisi muscolare. Non può andarsene senza aver impartito
una lezione a sua madre. La bellissima e tracotante madre che l'ha
lasciata morire nella chiesetta sconsacrata per correre dietro il
grande amore.
***
“Puoi
aiutarla?”
Cami
svita lentamente il tappo dello scotch e versa una dose standard di
liquore nel bicchiere. Klaus fa una smorfia, mandando giù un
sorso. Emana sentore di morte ma non è agli sgoccioli: Camille
dovrebbe imparare a non disturbarlo per qualsiasi 'randagio' morso da
un licantropo! “Potrei.”
Il
punto non è se può salvarla o meno. Il punto è
che vuole essere pregato. Cami si protende verso di lui e il
movimento deve coglierlo di sorpresa, perché il vampiro tira
indietro la testa e la guarda negli occhi.
“Si
prendono più mosche col miele che con l'aceto.”
Klaus
umetta le labbra e posa il bicchierino, poco incline a lasciarsi
convincere. “Ne catturi di più col letame, cara.”
Deve
aggirare l'ostacolo della sua ostinazione solleticando l'orgoglio
maschile. “Una bellissima donna chiede il tuo aiuto e questo è
quel che ne riceve?”
Ad
essere onesti, ne ha viste di migliori. Klaus alza meccanicamente le
spalle.
“Dio
mi salvi il giorno in cui avrò bisogno di te.”
L'ha
lasciata cadere all'improvviso, disturbando il suo stato di
indifferenza. Klaus saetta lo sguardo dalla propria ordinazione alla
barista. E' un modo come un altro per manovrarlo e convincerlo ad
aiutare la straniera. Non inganna nessuno con la psicologia spicciola
da giornalino del parrucchiere. “Mi aspettavo qualcosa di
meglio” mormora sollevando Nadia per la giacca e scrollandola
un po' per farla rinvenire.
“Fa
piano.”
“Ora
vuoi insegnarmi a trattare quelli come me?”
La
domanda è uscita dura e arrabbiata. Camille vorrebbe dire
qualcosa a proposito ma intuisce il suo stato d'animo e tace,
appoggiandosi al bancone. E' paranoico, ricorda. Ha paura di essere
manipolato e lei non ha fatto altro che pungolarlo per dieci minuti,
senza mai dargli un attimo di respiro.
Il
movimento sussultorio non l'ha percepito ma Nadia sente che qualcosa
è cambiato. Un'ondata di freddo sale dalle gambe. Qualcuno la
sta toccando e anche se non sente e non vede niente, solo una macchia
di fronte agli occhi, cerca di interagire col suo soccorritore.
“Mhrg...”
Non
tacciono mai, pensa Klaus lacerandosi il polso e avvicinandolo alle
labbra della donna. Neppure in punto di morte. “Fa che
ne valga la pena.”
All'inizio,
il sapore di sangue in bocca non lo percepisce. Ha la lingua felpata
e il liquido è ghiaccio bollente che anestetizza le gengive.
Col trascorrere dei secondi, i brividi si azzerano e una bomba di
calore esplode in gola e nello stomaco, cancella l'intorpidimento del
veleno, i muscoli si contraggono e le dita di Naia stringono feroci
il braccio del vampiro.
Aria.
Vita.
Una
voce sconosciuta sussurra che non ne serve troppo e Nadia si stacca,
ubbidiente, con un gemito gutturale e soddisfatto. Il labbro
inferiore struscia sulla pelle sottile del polso, si ricongiunge al
superiore e la gola inghiotte l'ultimo sorso. Un altro gemito di
godimento che testimonia la sazietà. I lineamenti si
distendono, le occhiaie spariscono e la bellezza di Nadia rifulge
nuovamente.
Camille
ha preso le distanze fisiche dalla scena ma nella sua mente si sta
svolgendo di nuovo il film. Sente il cuore battere nella gola, nelle
tempie, perfino nei polpastrelli. Fissa il vampiro che sembra
annoiato da tutto quel trambusto e quando incrocia il suo sguardo,
Camille gira la testa e riprende a sistemare le bottiglie già
ordinate, voltando le etichette in direzione frontale e agganciando i
bicchieri nei supporti. L'imbarazzo non riesce a mandarlo giù.
Klaus
lascia scivolare lo sguardo sul corpo della barista, sente la cascata
di sangue che pompa dal cuore, la interpreta a modo suo e torna a
concentrarsi sulla vampira sconosciuta che sta riacquistando il
controllo. Ha qualcosa di famigliare. Forse un nome lo aiuterebbe a
rimettere insieme i pezzi. “Come...”
Nadia
gli ruba il bicchierino pieno, passa le mani nei capelli arruffati
con aria altera e soffoca la domanda di Klaus con la propria voce.
“Dov'è il bagno, dolcezza?”
“In
fondo a destra.”
La
ragazza sconosciuta non l'ha guardato in faccia neppure una volta e
l'ha trattato come l'ultimo dei servi. Va a far del bene!, pensa
scocciato mentre l'occhiata profonda di Camille gli perfora la
fronte. Ha fatto quel che chiedeva, che altro vuole?
Klaus
abbandona lo sgabello portando via la bottiglia e si accomoda nel
settore più nascosto del locale. Ha già cancellato la
maleducazione di Nadia dalla propria mente. Ora pensa a Camille. Non
riesce sempre ad interpretare i comportamenti della strizzacervelli e
detesta il suo modo semplice e diretto di metterlo di fronte alle
proprie mancanze senza caricarle di accuse. Lui è quel che è,
e fa quello che fa per una ragione. Prima lo digerisce, meglio sarà
per tutti.
Quando
Nadia torna dal bagno e chiede informazioni alla barista su un
eventuale rifugio per la notte, Klaus la osserva. Studia la postura,
la flessuosità del corpo, i vestiti stazzonati, tenta di
eliminare il superfluo e concentrarsi sull'essenza. Intravede una
crocetta d'oro al collo e mugola infastidito. La religione l'ha
sempre messo di cattivo umore. Come può credere a qualcosa che
non si può vedere o toccare?
“Posso
sedermi?”
Nadia
indica la parte del divanetto occupata volontariamente dalle gambe
del vampiro. Klaus la lascia attendere qualche secondo. “Come
si dice?”
“Grazie”
sussurra inclinando la testa con un sorriso ironico. “Passamela,
ero certa di morire.”
Klaus
raddrizza lievemente la schiena, spostando le gambe. Le donne fanno
sempre quel che vogliono. Anche se le dicesse di andarsene, non
obbedirebbe.
Così
quello sarebbe il vampiro che fa tanta paura a sua madre? E' un
ragazzo, avrà più o meno la sua età. Emana
negatività ed è più diffidente di un gatto
randagio. Nadia decide che non ha proprio nulla di spaventoso. “Io
sono Nadia.”
“Che
altro vuoi da me, Nadia?”
Quanta
immotivata ostilità! Credeva la esercitasse abbondantemente
solo contro i nemici manifesti. “Intendo restare qualche
giorno, devo chiedere il tuo permesso per nutrirmi?”
Gli
piace il fatto che chieda il suo 'permesso'. Ce ne vorrebbero di più
come lei. “Puoi morderli ma non puoi ucciderli. Il sindaco la
prende male se decimiamo la popolazione turistica... non che mi
interessi quel che dice quel vecchio pirata imbroglione...”
Nadia
sorride, rallegrata dalla battuta, e afferra la parte inferiore della
borsetta con entrambe le mani, portando i gomiti vicino al corpo. La
catenella dorata finisce in mezzo ai seni, attirando lo sguardo del
vampiro. Assecondare la propria natura sospettosa è quel che
gli riesce meglio e in lei c'è qualcosa che ha già
visto... “Tieniti lontano dal bayou. Pullula di lupi
mannari.”
“Cos'è
un bayou?”
“Non
sei mai stata a New Orleans?” Klaus tamburella le dita sul
tavolino, pensoso. “Ad essere onesti, tutta la città è
invasa da quelle bestiacce pulciose.”
La
donna sorride, mostrando fossette sulle guance che addolciscono i
lineamenti spigolosi del viso.
“Chi
ti ha parlato di me?”
“La
donna che mi ha partorito.”
“Un
po' macabra come favola della buonanotte.”
Nadia
serra le labbra e una tempesta d'odio la possiede in un istante. Se
solo ripensa allo sguardo 'dispiaciuto' di Katherine mentre se ne
stava distesa sulla panca della chiesuccia sconsacrata, in preda alla
febbre... nessuna madre al mondo lascerebbe morire la propria figlia
a quel modo! Nessuna madre degna di questo nome metterebbe la propria
vita di fronte a quella di sua figlia!
“Mi
ha allevato una brava donna” sibila e afferra la
bottiglia, tracannandone un buon sorso e bruciando tutto, lingua,
gola e stomaco. Un modo come un altro per mascherare gli occhi umidi
di rabbia e delusione.
Approfondire
la conversazione con la straniera è una stravaganza inusuale
che ha deciso di concedersi per ammazzare il tempo, ma la sua
reazione l'ha genuinamente coinvolto. Klaus si accorge di trattenere
il respiro. Lo fa sempre quando si parla di affetti famigliari.
“Tentare
di risvegliare il suo amore, è come gettarsi su un coltello
affilato” sussurra Nadia fissando un punto inesistente del
tavolo. “Non puoi lamentarti se ne esci ferita, dopo...”
A
Klaus non piace il discorso. Gli tornano in mente gli umilianti
soprusi patiti in passato. Un pallido muro di silenzio scende fra i
due vampiri, poi Nadia allunga una mano e prende quella di Klaus,
abbandonata con noncuranza accanto alla bottiglia. “Ti devo la
vita, non lo dimenticherò” sussurra portandola alle
labbra e deponendovi un bacio sopra. “Grazie.”
Klaus
si accorge di avere le labbra socchiuse per lo stupore, l'espressione
di un bambino che scopre l'esistenza di qualcosa di meraviglioso. La
catenina d'oro rifulge alla luce. “Fa attenzione a chi pesti i
piedi. Solo la prima volta è gratuita” mormora con voce
roca. Stupido. Ecco come si sente. Manca poco che balbetti. “Hai
capito?”
I
suoi occhi sono azzurri. Le torna in mente Jean George. “Ho
capito” sussurra spiando tutti i cambiamenti in atto nel suo
corpo. Ha fatto qualcosa che l'ha turbato profondamente. “Tanto
per sapere, la seconda volta quant'è?”
Klaus
accartoccia una banconota e la lancia accanto alla bottiglia. Abbozza
un sorriso complice e Nadia l'osserva mentre si dirige verso una
donna dai capelli rossi. Dal desiderio con cui lei lo guarda e dal
modo in cui lui l'afferra, capisce come andrà a finire. La
nostalgia di Jean George non la lascia andare. Loro esistono solo dal
tramonto all'alba... e solo se è lei a permetterlo.
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