A quello che era
il mio migliore amico,
per le sue battaglie perse,
ovunque sia.
Sono diventata dipendente da un sacco di cose, sai? E mi trovo a darti
torto perché tu dicevi che le mancanze col tempo smussano gli angoli e non si
sentono più, che i vuoti si riempiono.
Me li ricordo io i tuoi vuoti e quante schifezze c'hai buttato dentro.
Quelle pasticche bianche, due a sabato, e quel liquore rossiccio che puzza
d'antibiotico, le corse con le moto truccate e le risse sul retro del Pub per
uno sguardo di troppo. Scegliere Filosofia perché mai nessuno si laurea in
Filosofia e nessuno lo capisce questo mondo, mai nessuno neanche ci pensa. E le
scopate più brutte le hai fatte tutte tu, con ragazze bellissime che non
facevano in tempo nemmeno a spogliarsi, nella macchina con i finestrini
scassati fissati con lo scotch di Topolino e i tappetini neri pieni di sabbia
delle estati belle di un tempo.
Ed io che non bastavo mai per quegli abissi neri, "Tu sei troppo
preziosa per questo schifo", ogni volta che provavo ad affacciarmi anche
io nei tuoi vuoti.
Hai ragione che questa è proprio una cazzo di città e mi sorprende che i
vuoti non te li abbia riempiti a forza di secchiate d'acqua, che saresti
diventato una palude per quanto ha piovuto nell'ultimo anno.
Non c'è redenzione, qui, né via di scampo, ‘che si sono scordati anche il
colore del mare e delle neve, questi qui, a furia di guardare solo dépliant di
alberghi, moquette d'ufficio e bicchierini di caffe tiepido senza sapore dei
distributori.
Com’è l'Australia, Alex? Che vita c’è li? Li hai riempiti quei vuoti e che
ci hai messo dentro? Basta il sole? E l'oceano l’hai imparato a cavalcare o ti
lasci ancora trascinare? Hai smesso con quella roba? L'hai trovato il grande
amore che cercavi, tra la terza e la quarta birra, con le braccia verso il
cielo e le lacrime agli occhi? Io spero di si, Alex, altrimenti questa assenza
non te la perdono.
Sono diventata dipendente da un sacco di cose da quando non ci sei. Un
pacchetto di sigarette che finisce sempre troppo presto -e non dovrei perché
già non respiro bene-, almeno cinque caffe al giorno, la tua fottuta birra
tedesca, rigorosamente calda, il venerdì sera davanti alle partite di tennis di
cui non me n’è mai fregato un cazzo. E anche i fumetti di Topolino e i rebus delle
parole crociate, cosi magari mi abituo e ci capisco qualcosa anche del mondo
reale, che dici? E leggere i necrologi tutte le domeniche cosi so a quanti,
altre anime, hanno detto addio in una settimana a cui invece io sono
sopravvissuta. Forse perché addio io non te l'ho detto, mentre tu prendevi un
aereo a caso e dicevi addio a questa città del cazzo ma a me no.
"Non mi trovo da nessuna parte".
"Sei stato risucchiato da uno dei tuoi buchi?"
"No, forse li ho riempiti cosi tanto che non mi riconosco più"
"Come fai a non riconoscerti? Guarda sulla patente, no?"
"Me ne vado. Torna a casa adesso".
C'erano tutte le lacrime e gli addii nel mondo in tre parole ma nessuno dei
due li ha detti e poi tu dopo dodici ore sei salito sull'aereo e io ero ancora
a letto a chiedermi se anche io avevo dei vuoti che non ho visto, mentre
guardavo te infilare di tutto nei tuoi. E, dio che schifo, sai che ho scoperto?
Che ce li avevo anche io, che stavo andando a male, come le mele cadute a terra
dei frutteti sulle colline dietro la città. Con l'odore dolciastro della morte
nel cuore. E’ cosi che ci si ammala: un giorno e per caso scopri che stavi
scomparendo e magari se te ne accorgevi prima potevi anche salvarti. Ti ammali
di sensi di colpa e riflessi di responsabilità. O forse è in questa città che
si registrano alti tassi di tumore morale, che la gente muore lentamente e
respira finché non ce la fa più. Ma ad essere cosi vuoti e vecchi poi a che
serve?
Avevo ragione io, amico mio, i vuoti restano vuoti, anche se li riempi di
spazzatura che ti manda in tilt il cervello e vedi negli occhi di un’altra
persona quell’amore che hai perso o non hai mai avuto. Le mancanze non hanno
spigoli da smussare, Alex, non se ne vanno, hanno gli artigli e s’aggrappano al
cuore e finché non si sono prese tutto non ti lasciano andare. Restano, le
senti bussare sotto la maglietta, nella cassa toracica che è diventata una
gabbia per i buchi neri e l’ossigeno non basta mai. Le mancanze puoi smettere
di sentirle, un giorno, dopo tanto tempo, ma non puoi riempirle con un altro
corpo o una sensazione di libertà finta come le borse dei venditori ambulanti
sui marciapiedi o i fiori di plastica a dicembre sul terrazzo.
Tipo adesso che mi manchi mica posso chiedere a Lucas di occupare il tuo
posto e portarlo sul tetto della villa scassata a smezzare
sigarette e inventare poesie sui tetti rossi e i fantasmi giù in città. Lucas
fa compagnia, fa rumore, copre i pensieri e sai, non è tanto stronzo come
sembra. Forse avremmo dovuto dargli una possibilità prima e a volte se lo
guardo mi sembra di sentire la tua voce seria che fa “E allora? Invece di
offrirgli ‘sta sigaretta perché non lo baci, cosi smetti di rompere e
rimpicciolisci questa malinconia, tanto io non torno, fattene una ragione”.
Perché non stai zitto? Perché non mi lasci in pace e mi lasci sentire quanto
male fa, quando il pensiero che sei dall’altra parte del mondo mi sbatte
addosso, come le onde dei mari blu e verdi che hai visto solo tu?
In questo buco di città camminano come le formiche, con la testa bassa e il
peso del lavoro sulle spalle e non hanno il tempo e la forza di guardarsi un
attimo e dire “oh, cazzo, eccolo li, guarda. Cos’è questo dolore nel petto?”.
Ma un cuore questa gente ce l’ha? E tu il tuo lo hai trovato? Cosa vedi nello
specchio la mattina? Adesso ti vedi? Perché se te ne sei andato fin laggiù per
ricominciare con tutte quelle stronzate, che tu sia maledetto, Alex, perché
potevi portarmi con te, potevamo andare via insieme, magari l’anno prossimo o
dopo la laurea. Potevamo salvarci, maledizione, potevamo, potevamo…
Mio padre dice che non ha senso dire potevamo, avremmo potuto, perché
tanto ormai è andata cosi e pensare a come sarebbe potuto andare non cambia di
molto le cose. A dire il vero mio padre dice “se, se, se mio nonno aveva cinque
palle era un flipper”, che poi è la stessa cosa.
Quindi non è che ora posso mettermi a immaginare come sarebbe stato: mi
limito a sperare che tu stia bene, che abbia trovato la tua strada, che
l’Australia sia abbastanza comoda per i tuoi sogni tranquilli e che nonostante
i serpenti tu sia felice.
In fondo non si stava cosi male qui con te, ma non importa, Alex, ti ho
lasciato andare, è giusto che tu vada. E ti trovi. Ma hai l’obbligo morale,
però, di essere felice. Ti proibisco di perderti ancora, di buttare via tutto.
Mi hai sentito? Devo urlarlo più forte? Vaffanculo, Alex! Vaffanculo e restaci.
Resta li, non tornare, ma non azzardarti a stare male. Anche se non ci sentiamo
più, anche se il mio è un grido in bicchiere e anche se stai nuotando in mezzo
agli squali -sta attento, coglione- io voglio che sia cosi. Altrimenti niente
avrà avuto senso e ti porterai sulla coscienza questo buco che mi sta
distruggendo lo stomaco. Tu pensi di essere acido che corrode dall’interno ma
non lo sai quanto bene fai a questo schifo di mondo, non mi hai mai permesso di
dirtelo altrimenti adesso lo sapresti. Che l’unico modo per arrivarti un po’
più vicino al cuore era percorrerti le vene con le dita, perché “sono cosi
scassato che un cuore forse manco ce l’ho, scricciolo”.
Io penso che non c’hai mai capito un cazzo, fondamentalmente, delle
persone, soprattutto di te e che ti guardavi dalla prospettiva sbagliata,
perché un’inquadratura dall’interno è sempre un po’ troppo di parte e limitata.
E tutto sommato non eri male con i capelli sulla fronte, la giacca verde,
l’anellino di metallo sulle labbra rosse, la sigaretta incastrata tra i denti e
quel sorriso di chi ha già capito tutto, è già un passo avanti agli altri.
Sono venuta a saperlo da Max dov’è che
sei sparito e allora che cazzo, Alex, di tutto quello che avevamo
che ne hai fatto? Hai pensato, anche solo per un attimo, a me mentre riempivi
le tue valigie? Hai portato con te qualche fotografia, o i biglietti del cinema
di tutti i tuoi film d’azione e le cartoline per il tuo compleanno? Perché non
mi hai scritto nemmeno due righe, nemmeno un saluto?
“Ma tra tutte quelle che ti fai, una t’ha mai richiamato?”
“Non sono uno che lascia il segno, io”
Quanto ti sbagliavi. Tu lasci cicatrici, lo fai apposta, solo per farti
odiare. Pensi che se le persone ti odiano ti terranno lontano, non si
aspetteranno niente da te, le ferisci in partenza, le deludi, non vuoi avere
debiti con nessuno. Ma hai fallito, stavolta. Io non ti odio, ti lascio andare
anche se resta il vuoto che lasci.