Punto e a
Capo
L'infermiera
ispanica ha sostituito la flebo dell'antibiotico con
una di glucosio. Dice che è presto per iniziare un
vero pasto, ma che comunque il dottore è fiducioso che possa reintrodurre i
liquidi entro i prossimi cinque giorni.
Jasper Sitwell quasi
non si ricorda l'ultima volta che ha davvero
bevuto un bicchier d'acqua o fatto un vero pasto completo.
Ma per l'infermiera ispanica, per il medico
ed il resto del personale dell'ospedale, lui non si ricorda neppure la sua
identità. Né sembrano essersi dati troppa pena di
cercarla.
Gli ospedali di
Washington DC traboccano di persone ferite e cadaveri senza nome. Piano piano a tutti verrà ridata
un'identità - vera o falsa a seconda della fazione di appartenenza - ma
l'importante è che lui, per il momento, resti un anonimo e smemorato grumo di
carne con aghi infilati in entrambe le braccia, fasciature e gessi.
Ha entrambe le
gambe in trazione, un polmone collassato e una seria frattura cranica -
abbastanza grave da giustificare una perdita di memoria, ma non troppo da
averlo ucciso - una lesione alla settima vertebra, il polso destro tenuto
insieme da una manciata di chiodi e la spalla sinistra
dislocata.
L'impatto con
l'asfalto del viadotto l'ha messo completamente fuori gioco
ma non l'ha ucciso per pura fortuna: se nessuno si è fermato a
controllare e a finirlo, è stato solo perché qualcun altro calamitava più
attenzioni.
Cristo Santo, alla fine gli tocca pure ringraziare Captain
BigJim e quella stronza della
Romanoff.
Nella sua
immobilità pressoché totale, Sitwell non può che
difendersi fingendo - c'è dell'ironia
in questa cosa - e sperando di
continuare ad essere un volto tumefatto ed irriconoscibile tra la folla di
feriti ancora per qualche tempo.
Beh, per un bel po' di tempo, a giudicare
dalle sue condizioni.
I vincitori sono
troppo impegnati a festeggiare, i perdenti a nascondersi. Magari un bel giorno
arriverà un nuovo medico che, dopo una veloce diagnosi, si avvicinerà a lui e gli sussurrerà un saluto famigliare.
Hail
Hydra.
E forse
sarà salvo.
Oppure, meglio
ancora, non verrà mai salutato da qualcuno - chissà se i vincitori si sono premurati di
inventarsi un motto adeguato? Qualcosa di uguale
impatto, magari un 'Yo, S.H.I.E.L.D.’ o ‘Fuck, Hydra’- e allora
lui sarà veramente salvo.
L'infermiera
ispanica finisce di compilare la cartella clinica, indica un punto della stanza
all'operatrice delle pulizie che entra e se ne va.
Sitwell socchiude gli occhi ancora pesti, mentre
l'inserviente passa lo spazzettone
sul pavimento canticchiando tra sé e sé.
Non che gli da
fastidio, cattura semplicemente la sua attenzione perché non riesce a ricordare
il titolo della canzone. È conosciuta, è famosa, ma nella mente annebbiata
dagli antidolorifici il titolo e le parole si disperdono.
La voce sommessa
della donna si avvicina, probabilmente sta pulendo il
comodino vuoto di fianco al suo letto.
Una
leggero tintinnio dei
flaconi di vetro delle flebo.
Sitwell spalanca gli occhi di colpo e si ritrova
davanti lo sguardo verde di Natasha Romanoff e le sue labbra carnose piegate in un piccolo ghigno.
Kalinka, kalinka, kalinka moja
Appoggia
l'indice, avvolto dal guanto di lattice, alle sue labbra. Precauzione vana,
dopo due settimane di intubazione
la sua voce non è che un sussurro ed è certo che lei lo sappia perfettamente.
Lo sta solo sbeffeggiando: gioca con la sua preda prima di ucciderla.
Nella sua
immobilità forzata, non può che sperare che gli antidolorifici che ha in corpo
lo facciano soffrire meno.
Non ne è tanto sicuro.
La Romanoff viene dal KGB, quelli sono
abbastanza pratici nel torturare con il minimo sforzo ed il massimo risultato. E lei è abbastanza esperta a riguardo da mettere in conto la
morfina che ha in circolo da giorni.
Si siede sul
bordo del letto e lo fissa senza togliere il dito dalle sue labbra.
“Sentiti un po’ in
colpa” Piega la testa di lato e sospira: "Sai quant'è
difficile trovare un lavoro onesto al giorno
d'oggi?"
Ne ho una vaga idea, infatti
l'onestà l'ho lasciata da parte.
"E soddisfacente, certo, perché persone
come noi non possono di certo finire a fare i commessi
da FootLocker. Men che meno
tu." Alza un sopracciglio: "Scusa la
schiettezza, ma non ti trovo affatto in forma."
"Ho avuto
giorni migliori." Si sforza di ribattere. L'indice di Natasha
smette di premere sulle labbra, ma resta sempre in prossimità del suo naso.
"Me li sono
persi. Peccato." Si alza e riassetta le lenzuola: "Che poi, l'idea di
base non era neppure sbagliata. L'umanità ha bisogno di essere protetta da sé stessa e francamente siamo in troppi, su questo
pianeta." Gli fa l'occhiolino e poi guarda le flebo.
Oh cielo, fa anche la spiritosa.
"Non
tirarla per le lunghe. Potrebbe entrare qualcuno da un momento all'altro."
Natasha riprende lo spazzettone
e si rimette a passarlo sul pavimento: "Hai perfettamente ragione."
Kalinka, kalinka,
kalinka moja, v sadu jagoda malinka,
malinka moja!
Se lei può
permettersi di fare la spiritosa chi è lui per non poter fare altrettanto? Sitwell cerca di ridere - la risata diventa presto una
serie di colpi di tosse - e sforzarsi di trovare ed elargire una battuta è
quasi doloroso: "Vedo che però l'hai trovato presto, un lavoro nuovo."
"Questo? Oh, sì, mi sono messa in proprio.
Sono una donna: multitasking e flessibile."
E se proprio deve morire - e morirà di certo, è
scontato come finale - almeno che abbia la possibilità di togliersi qualche
sassolino dalla scarpa: "Ti avrei vista meglio su un tavolo da Pole Dance."
Lei non si scompone, anzi, gli rivolge un sorrisetto complice: "Ci ho pensato, sai? Ma c'è troppa concorrenza in quel settore. E, se permetti,
qualche smania da primadonna posso
permettermela." Infila lo spazzettone dentro al secchio e fa per aprire la porta.
Sitwell
la ferma con un gemito.
"Hai il tuo cecchino preferito appostato
sul tetto di fronte, pronto a farmi saltare il cervello con un fucile di
precisione?"
Natasha
lo guarda inizialmente sorpresa. Poi alza gli occhi al cielo e borbotta
qualcosa sul non
conoscerla affatto:
"Mi hai presa per una lavativa? Te l'ho detto, mi sono messa in proprio. Autonoma. Lavoro da sola. E faccio un po' quel
che mi pare, utilizzando i miei metodi."
"E
sarebbero?"
"Oh. Se lo dicessi poi dovrei
ucciderti."
"Perché, non hai
intenzione di farlo?"
"No." Le labbra della Romanoff si stendono in un sorriso inquietante e il cuore
di Sitwell manca di un battito: "L'ho già fatto." Indica con lo sguardo il pavimento umido.
"Ammoniaca."
"Pulisce dai residui organici."
"E anche solo inalata reagisce con sostanze
inodori ed insapori potenzialmente tossiche per l'organismo umano." Si guarda il polpastrello dell'indice che gli ha
appoggiato prima alle labbra: "Sostanze pressoché irrintracciabili una
volta introdotte, poiché troppo comuni." Il
monitor a fianco del letto di Sitwell segnala un
piccolo rallentamento del battito cardiaco. "Sai, devo aggiornare il mio
Curriculum Vitae, una simile eccellenza in chimica non può passare inosservata."
La vista di Sitwell si
offusca, un rivolo di sudore gli solca la tempia e cade sul cuscino, mentre Natasha alza la mano per un cenno di saluto ed esce dalla
stanza spingendo il carrello delle pulizie, richiudendo delicatamente la porta
alle sue spalle.
Uno scoiattolo del Washington
Square Garden salta dall'albero e usa la spalla e il
braccio della statua di Garibaldi per scivolare a terra e raggiungere la punta
delle sneakers. La fissa
impertinente, dritto sulle zampette posteriori, finché Natasha
non stacca un pezzetto di snack e si china dalla panchina su cui è seduta per
porgerglielo. Sorride quando se lo infila in
bocca interamente e scappare via, poi abbassa la zip della felpa dell'Hard Rock
Café e piega il collo all'indietro offrendosi al sole
caldo di inizio giugno. Un momento di calma, pausa pranzo. Tutto il resto è
un'incognita.
Lo
è sempre stato.
Tutto finisce e di grazia che qualcos’altro
ricomincia.
Punto
e a capo. Se
la vita è un libro, ha appena iniziato un nuovo capitolo. E
ha voglia di scrivere ogni paragrafo da sola.
Lavorare in autonomia ha i suoi indubbi
vantaggi.
Come non dover condividere con nessuno le sue
piccole, crudeli soddisfazioni.
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Ta -daaaan!
A
sorpresa, ecco un'altra flashfic dedicata a TWS -
L'ho già detto che mi è piaciuto? Si è capito, vero?
No? - la cui genesi è scattata da una
domanda che mi sono posta un paio di giorni fa:
Ma
Sitwell... è morto davvero scaraventato fuori dall'auto dal WinterPuccy?
Il suo cadavere non si vede, e gli agenti (veri o traditori) dello SHIELD sono
abbastanza noti per la durezza della loro pellaccia (E per l'abilità con cui
fingono le proprie morti).
Così,
per chiudere il capitolo PallaDaBiliardo e rendere
giustizia a Natasha - L'ho già detto
che la amo alla follia? Si è capito, vero? No? - ho partorito questa piccola
storia.
E'
vero, è breve, ma la brevità è un gran pregio e sono ancora impantanata sino al
collo nella saga di The Seventh per concedermi il
lusso di scrivere qualcosa di più lungo di una one-shot.
Verrà
il giorno, ma non è ancora questo.
Grazie
in anticipo per essere passati da queste parti.
Alla
prossima, spero e se vorrete,
EC.
PS:
Per curiosità, due chiacchiere o sciocchezze, c'è sempre il mio caro e vecchio ask: http://ask.fm/EvilCassyBuenacidos
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