I
Vedere Kyrador per la prima volta era stato per Alicia un po’ come
guardare il sole dritto negl’occhi.
Era una città veramente stupenda, traboccante di
vita, caotica ma allo stesso tempo piacevolmente ordinata, tanto da trasmettere
un senso di armonia che ne pervadeva ogni angolo, anche il più anonimo e
lontano.
Al confronto la piccola città in cui era nata e
cresciuta nella provincia di Eldkin era come una
formica al cospetto di un elefante, e quasi la spaventava il pensiero che per i
prossimi tre anni avrebbe vissuto in un posto simile.
Ma ormai, non c’era più tempo per tornare indietro,
e in fin dei conti era stata proprio lei a volere con tutte le sue forze che
quella specie di miracolo potesse accadere.
Per ottenere la borsa di studio che le avrebbe
permesso di frequentare l’Università Aurora aveva dovuto sputare sangue,
spaccandosi la testa sui libri per mesi e mesi mentre aiutando nel contempo i
suoi genitori a mandare avanti il loro piccolo ristorante di fronte alla
stazione, come aveva sempre fatto praticamente dal giorno in cui aveva imparato
a camminare.
La vita non era facile in campagna, ed era anche per
questo che aveva voluto impegnarsi anima e corpo a raggiungere quel traguardo;
con una laurea conseguita presso una delle più grandi università al mondo
poteva spalancare infiniti portoni davanti a sé, e da parte sua aveva fatto
troppi sacrifici per mandare tutto all’aria.
Il convitto si trovava un po’ lontano
dall’università, che invece stava quasi in centro, ma ci si poteva arrivare
agilmente in treno, o anche, se si aveva un po’ di tempo, camminando.
Ad Alicia venne data la stanza 531, e pensò che
fosse di buon auspicio, perché ridistribuendo i numeri veniva fuori la sua data
di nascita. Neanche il tempo di sistemare le sue cose, che una ragazza briosa e
solare, dai capelli biondi e dall’accento marcatamente eybaniano
giunse a farle compagnia.
«Ciao!» disse squillante porgendole la mano «Allora
sei tu la mia nuova coinquilina. Mi chiamo Kathyusha,
e sono di Volgorad. Puoi chiamarmi Kathy, se vuoi. Spero che staremo bene insieme.»
«Lo spero anch’io.» rispose Alicia un po’ spaesata
«Io frequento il corso di stregoneria. E tu?»
«Ingegneria aerospaziale.»
«Accidenti, un campo bello tosto. Ti piacciono le
astronavi?»
«Più o meno. Le Nuove Nazioni Unite hanno in
progetto la costruzione di nuove stazioni spaziali, e anche di una colonia
permanente su Erithium, e mi piacerebbe occuparmene.»
«Allora buona fortuna. A vederti sembri una che non
si tira indietro. Sono sicura che farai faville».
Alicia sospirò, sorridendo divertita.
Almeno la sua sarebbe stata una buona compagnia.
L’anno accademico si aprì ufficialmente la settimana successiva, e
anche per Alicia iniziarono le prime lezioni.
Apprendere non le era molto difficile, anche se
certi corsi si rivelarono capaci di mettere a dura prova il suo desiderio di
apprendere.
Le aule, poi, erano sempre strapiene, e malgrado
tutto c’era sempre chi ci metteva del suo per fare confusione complicandole
ulteriormente le cose, visto che fin dalle scuole elementari aveva manifestato
una difficoltà cronica nel concentrarsi quando vi erano degli elementi di
disturbo a minare la sua attenzione.
Per fortuna la prima tornata di esami fu abbastanza
positiva, il che le dava buone speranze per il futuro.
Inoltre, per un motivo che non le riusciva di
spiegarsi, Kathyusha era solita rientrare in stanza
molto tardi, il che le dava modo di studiare in camera in tutta tranquillità
compensando quello che non riusciva a fare a lezione.
Dapprincipio pensò che la sua nuova amica e compagna
di stanza amasse passare le sue serate godendosi la vita a piena potenza,
tenuto contro che le era parsa subito il genere di persona che non disdegnava
le feste in discoteca o le maratone al karaoke, e il fatto di averla vista rientrare
un paio di volte con addosso odore di alcolici sembrava avvalorare questa tesi.
Questo ovviamente non sminuiva le capacità che Kathyusha indubbiamente possedeva, e i suoi voti erano lì a
dimostrarlo, ma d’altra parte Alicia si era sempre domandata che cosa mai ci
trovassero gli altri ragazzi della sua età di tanto divertente nell’ubriacarsi
fino a stare male frequentando posti talvolta poco raccomandabili.
Lentamente, anche attraverso il contatto con altri
amici conosciuti tra una lezione e l’altra, la ragazza iniziò a scoprire
un’altra faccia di Kyrador, o forse solo una delle tante.
Dopotutto, se la chiamavano la città dei sogni
significava che chiunque poteva trovarvi tutto ciò maggiormente desiderava,
anche i giovani universitari arrapati giunti da fuori alla ricerca più del
divertimento e degli eccessi che solo la grande città poteva offrire più che
della propria realizzazione professionale.
Ma Alicia no.
Alicia era diversa.
Aveva fatto troppi sacrifici per arrivare fino a lì,
e troppi ne restavano da fare per poter raggiungere il traguardo che sognava.
Tuttavia, non aveva alcuna intenzione di buttare via
quanto restava dei suoi anni accademici rinchiudendosi in uno studiolo,
perennemente sui libri, per non parlare del fatto che l’assenza di svago era il
modo migliore per affossare una carriera universitaria.
Così, quando poteva, usciva, cercando di godersi a
sua volta i piaceri e i divertimenti che Kyrador aveva da offrire.
Al suo corso si era fatta degli amici, stringendo in
particolare un bel rapporto con Alister Klopp, Samuel Aldovar e sua
sorella gemella Melinda; con loro studiava spesso, e qualche volta andava
talvolta in giro, a volte per locali a volte semplicemente a fare una
passeggiata in centro.
Samuel e Melinda vivevano a Kyrador fin dalla
nascita, e conoscevano la città a menadito, e con l’andare del tempo Alicia
iniziò a prenderci gusto nell’uscire con loro, pur senza trascurare lo studio,
anche perché quei due gemelli erano una forza della natura, briosi ed
estroversi; Alister era un tipo un po’ sulle sue,
forse perché veniva da Amaltea, ma aveva una grande
cultura in materia di storia dell’ingegneria spaziale, e come Alicia ambiva a
godersi la vita senza dimenticare i propri obiettivi.
Ma c’era una grande differenza tra Alicia ed il suo
terzetto di amici, una differenza che la ragazza notò pienamente solo in
seguito: loro erano ricchi.
I genitori di Samuel e Melinda possedevano un
complesso alberghiero di livello medio-alto nei
pressi della sede delle Nazioni Unite molto frequentato da politici e dignitari
in visita in città, mentre Alister era figlio di un
alto prelato della Santa Croce; non nuotavano nell’oro, ma avevano una discreta
copertura economica, senza contare che a loro non era servita la borsa di
studio, né, perlomeno nel caso dei gemelli, dovevano pagare affitti o altro per
l’alloggio.
Una sera, circa tre mesi dopo l’inizio delle
lezioni, Kathyusha tornò al convitto alla solita ora
tarda, labbra e occhiaie colorate, corpetto di pelle, minigonna cortissima,
stivaletti con il tacco e addosso il solito odore di alcolici, trovando la sua
compagna di stanza insolitamente ancora sveglia, seduta alla sua scrivania con
i gomiti sul tavolo e la testa nascosta tra le mani. Mancavano solo le
nuvolette di pioggia a gravitarle sulla testa, e sarebbe stata l’archetipo
della depressione.
«Non ti senti bene?» domandò sedendosi sul letto
«No.» rispose lei con un filo di voce «È che oggi ho
avuto un po’ di problemi. A quanto pare, questo mese sono andata in rosso con
la carta di credito.»
«In rosso? Com’è possibile?»
«Sembra proprio che stavolta abbia ecceduto un po’
troppo nelle spese giornaliere, e come se non bastasse i prezzi sono saliti
leggermente. Così, quando questa mattina sono andati in pagamento i vari
abbonamenti e l’affitto della stanza, è venuto fuori che non c’erano abbastanza
soldi per coprire tutto. Così, la banca si è rifatta sul conto dei miei.»
«Gran brutta storia. Immagino che i tuoi genitori
non te l’abbiano fatta passare.»
«Sono persone molto comprensive. Mi hanno fatto un po’
di ramanzina, e tutto è finito lì. Ma ciò non toglie che mi sia sentita
comunque molto male.
In fin dei conti, avevo promesso che me la sarei
cavata da sola. Era a questo che serviva la borsa di studio.»
«A proposito, a quanto ammonta questa borsa di studio?»
«Novemila kylis all’anno,
tasse d’ammissione escluse. A condizione che i miei voti restino alti.»
«Niente male come borsa. Ma se devi cavarci fuori
l’affitto, la mensa e le spese dei trasporti, non credo rimanga molto.»
«Quello che basta per potermi pagare i libri. Quanto
alla mensa, avevo già pensato di andare a mangiare da qualche parte dove mi
costi un po’ meno.»
«Dì la verità, in quest’ultimo periodo ti sei data
un po’ troppo alla bella vita.»
«Ammetto di essermi lasciata andare. Ma d’altronde Miranda,
Samuel e Alister sono delle forze della natura.
Comunque, non succederà più. Anche perché tenendo conto dei rincari, se vorrò
farmi bastare il mio tetto massimo di spesa di settecentocinquanta kylis al mese dovrò comunque rinunciare a qualcosa».
Alicia sospirò sconfortata, buttandosi sul letto a
faccia in giù.
«A quanto pare dovrò iniziare ad alzarmi presto, ed
uscire prima. Addio treno diretto per l’università.»
«Perché rinunciare?» replicò Kathyusha
ammiccando «C’è una soluzione molto più facile e vantaggiosa.»
«Ovvero?»
«Trovati un lavoro».
La ragazza balzò a sedere, spalancando gli occhi con
evidente sorpresa.
«Un lavoro!?»
«Certo. Molti ragazzi che vivono qui fanno qualche
lavoretto saltuario per tirare al domani. Prendi me, ad esempio.»
«Tu lavori!?»
«Perché credi che mi vesta in questo modo? Lavoro
come barista in un night club qui vicino. La paga non è granché, ma almeno ho
qualcosa in tasca».
Alicia abbassò gli occhi come mortificata; si era
fatta davvero un’impressione sbagliata della sua compagna di stanza, e se ne
vergognava profondamente.
«Il fatto è che, con la borsa di studio non mi è
concesso lavorare.»
«Cavolate. Non lo sapranno mai, fidati. Ne conosco
di ragazzi nella tua situazione che lavorano fin dal primo anno, e nessuno ha
mai detto niente.
Questa è Kyrador. Qui tutto è concesso, anche andare
contro le regole».
Era una buona prospettiva. Del resto Alicia non
aveva mai avuto problemi a trovare il tempo per lavorare e studiare, e il
lavoro in sé non la impensieriva per nulla.
«E come devo fare per trovare un lavoro?»
«Beh, qui sta il problema. Tu puoi andare contro le
regole, ma devi trovare un datore di lavoro che sia disposto a fare
altrettanto. Sulle bacheche e sul forum dell’università ci sono sempre degni
annunci, ma sono lavori saltuari e comunque sottopagati. La cosa migliore da
fare è cercare per conto tuo.
Tu che cosa sai fare? Hai qualche esperienza o
talento particolari?»
«Beh, allora… i miei
genitori hanno un ristorante, e io li ho sempre aiutati. So cucinare, servire
ai tavoli, e altre cose del genere.»
«Capito. Peccato che dove lavoro io non cerchino
altro personale, anche se dubito tu sia fatta per posti simili. Ad ogni modo,
chiederò un po’ in giro, e ti farò sapere.»
«Grazie, Kathy. Sei
un’amica.»
«Ma di che?».
Alicia non aspettò che la sua amica le servisse il lavoro su un piatto
d’argento, e come aveva sempre fatto si adoperò per uscire da quella situazione
contando sulle proprie forze.
Il primo impatto non fu dei più positivi.
Rispondendo alle offerte di lavoro pubblicate sul
forum degli studenti si ritrovò a fare colloqui con dei veri e propri avvoltoi,
che offrivano contratti di lavoro da schiavismo con molte ore giornaliere e una
paga indegna, roba da allertare la polizia.
Così, la domenica successiva, raccolta tutta la sua
intraprendenza si avventurò in prima persona nelle affollate strade di Kyrador,
declinando anche l’invito di Miranda e gli altri ad unirsi a loro per un picnic
approfittando della giornata d’autunno insolitamente mite e soleggiata.
Purtroppo, Kathyusha aveva
ragione: trovare un lavoro era relativamente facile in una grande città come
Kyrador, il difficile era trovarne uno che le garantisse un reddito ponderato
alle ore di lavoro lasciandole contemporaneamente il tempo, se non per
frequentare le lezioni, quantomeno per studiare regolarmente.
Tentò con gelaterie, caffetterie, locali grandi e
piccoli, ma chi le offriva una mano si mostrava sempre pronto ad imbrogliarla
con l’altra, senza contare i numerosi rifiuti; in generale, la ragazza sentiva
una certa diffidenza nei suoi confronti, forse perché straniera, e ciò aveva
sicuramente condizionato molti dei no che ricevette nel corso di quella
mattinata, che probabilmente sarebbero stati dei sì nel caso fosse stata un po’
più grande o nativa di Kyrador.
Verso mezzogiorno, la mancanza significativa di
progressi la spinse a meditare l’idea di avventurarsi oltre i distretti
centrali, nonostante i mille avvertimenti di Miranda e Samuel che l’avevano
esortata più volte a non avventurarsi in quei posti, soprattutto se sola, e nel
dirigersi verso la fermata della monorotaia i suoi occhi furono catturati dalla
vetrina di una pasticceria.
Più che una pasticceria sembrava un negozio di
gioielli, tanto bene era disposta e tali erano le magnificenze dolciarie in vendita,
degne dei migliori ristoranti e caffetterie. Da lì si poteva vedere il bancone,
ed Alicia poté scorgere un distinto gentiluomo di mezza età intento a
conversare amichevolmente con la giovane commessa, restandone colpita.
Aveva un che di austero, quasi regale, e vestiva in
modo molto ricercato, con un paio di calzoni di seta molto scuri, una camicia
bianca a righe nere, un panciotto senza maniche color crema ed un cravattino
fermato da una spilla; sembrava un maggiordomo.
Una vetrina più piccola, praticamente una finestra,
guardava verso le cucine, ed Alicia stette a lungo come rapita ad osservare i
pasticceri mentre con mani veloci e una apparente facilità davano vita a quelle
sculture di zucchero.
Da piccola si era immaginata qualche volta in mezzo
ai fornelli, fino a quando la passione per lo spazio non aveva soppiantato
quella per la cucina, e talvolta un po’ se ne dispiaceva.
«Qualcosa non va, signorina?» sentì dire da un
momento all’altro con fare cortese.
Giratasi alla propria sinistra si ritrovò a tu per
tu con l’elegante signore di poco prima, che la osservava gentilmente con in
mano un contenitore trasparente pieno di pasticcini. I capelli, di un insolito
colore rosso opaco, erano corti e ben pettinati, gli occhi azzurri e
parzialmente nascosti dietro ad un paio di lenti ovali; il volto portava i
segni dell’età matura, ma non si presentava né scavato né eccessivamente
rugoso, risultando anzi piacevole a vedersi.
«Vuole forse imparare come si preparano i dolci?»
domandò ancora
«A dire il vero, credevo di saperlo già fare.»
rispose educatamente Alice «Ma vedere queste persone ha fatto crollare le poche
certezze che mi erano rimaste».
L’attempato signore sorrise.
«Non sembra di queste parti. Viene da fuori città?»
«È così. Studio all’università.»
«E immagino abbia voluto sfruttare questa bella
domenica per concedersi una passeggiata.»
«Più o meno. In realtà, sto cercando un lavoro.»
«Un lavoro?»
«Qualcosa per mantenermi agli studi. La mia borsa di
studio purtroppo non basta».
Quel gentiluomo parve quasi sorpreso, quindi si
sistemò leggermente gli occhiali scivolati sulla punta del naso.
«Se è un lavoro che sta cercando, ho sentito dire
che al Café Coeur Bleu sono alla ricerca di collaboratori part-time.»
«Il Café Coeur Bleu.»
«È un locale molto famoso qui in città. Si trova a Luminous Park, non lontano da qui. Se ti sbrighi, forse
riuscirai a parlare con il direttore».
Alicia si sentì rinascere, e forse perché
elettrizzata da quell’inaspettato colpo di fortuna corse via dopo aver
ringraziato il gentiluomo, il quale, dopo aver cercato vanamente di fermarla
per dirle un’ultima cosa, di nuovo piegò le labbra in uno di quei suoi sorrisi
gentili.
Alicia era così elettrizzata al pensiero di aver ricevuto una buona
pista che dimenticò di chiedere a quel gentile signore di indicarle la giusta
direzione per arrivare a questo Café Coeur Bleu.
Il Luminous Park era un
immenso polmone verde quasi perfettamente quadrangolare nel cuore della città,
il più grande di Kyrador, con parchi, attività ludiche, laghetti, centri
sportivi e persino uno zoo, ma proprio per la sua grandezza la ragazza ci si
perse subito dopo esserci entrata.
Fortunatamente la domenica quel posto era
affollatissimo, e inoltre quel giorno erano in programma alcuni tornei sportivi
nei campi a sud, così le fu possibile chiedere informazioni ad una delle tante
famigliole che bazzicava da quelle parti.
Tra una cosa e l’altra riuscì a raggiungere il
locale solo nel primo pomeriggio, anche perché gli stupendi scorci del parco
costituivano un pericoloso elemento di distrazione che le fecero perdere
ulteriore tempo.
Quando lo vide, rimase un momento perplessa.
Era una costruzione piccola e semplice, a forma di
pagoda, con le pareti quasi completamente trasparenti ed il bianco che regnava
sovrano. Sorgeva al centro di un piccolo piazzale, sulle sponde di uno dei tanti
laghetti del parco, circondato da alberi di ciliegio e salici piangenti. La maggior
parte dei posti a sedere si trovava all’interno, ma su di un piccolo pontile
proteso sull’acqua e prospiciente all’ingresso trovavano posto una decina di
altri tavolini, piccoli capolavori artistici con gambe che sembravano tralci d’uva
annodati su sé stessi posti all’ombra di eleganti ombrelloni a cupola.
Benché fosse domenica mattina non vi era molta
gente, otto o dieci persone al massimo tra singoli avventori, qualche coppia
amoreggiante e una famiglia con due bambini al seguito; ciò nonostante vi erano
comunque parecchi camerieri, tutti all’apparenza piuttosto giovani ed equamente
distribuiti tra maschi e femmine, e nella loro uniforme così elegante e formale
Alicia per un attimo vide qualcosa di famigliare.
Non aveva mai avuto paura di affrontare una sfida, né
di entrare in uno dei tanti esercizi che aveva visitato quel giorno per
chiedere un lavoro, ma in quel momento provò quasi un senso di soggezione.
Si trattava
senza dubbio di un locale esclusivo, di quelli che in circostanze normali
sarebbero stati oltre le sue possibilità, e questo un po’ la spaventava, ma
alla fine, preso il coraggio a quattro mani, si fece forza ed entrò.
Come varcò la porta a vetri, una sua coetanea dall’aria
simpatica e gioviale, lunghi capelli rosso fuoco e occhi verde smeraldo, le si
fece incontro sorridendo. Anche lei portava un’uniforme simile a quella dei
ragazzi, con la differenza che al posto dei calzoni e delle scarpe da passeggio
indossava una gonna al ginocchio sempre scura e sandaletti
neri.
«Benvenuta al Coeur Bleu.» disse facendo un leggero inchino «Vuole accomodarsi
qui o all’aperto?»
«Ecco, veramente» rispose Alicia dopo un attimo di
smarrimento «Ero venuta qui per un colloquio di lavoro».
La ragazza la guardò confusa.
«Un colloquio?»
«Mi hanno detto che cercate personale per lavorare part-time,
e così mi domandavo se ci fosse ancora la possibilità di candidarmi.»
«È strano. Di solito sono io che mi occupo di queste
cose, e per quanto ne so al momento non stiamo assumendo nessuno.
Mi dispiace».
Alicia si sentì crollare il mondo addosso; possibile
che quel signore così gentile si fosse preso gioco di lei? Eppure non le era
sembrato una persona così meschina.
«Capisco.» disse rassegnata «Mi scusi se l’ho
disturbata».
Stava quasi per uscire, quando una voce non estranea
riecheggiò alle sue spalle.
«Che succede?»
«Non è niente.» disse la rossa «Questa ragazza
cercava un impiego part-time, ma le ho risposto che al momento non siamo alla
ricerca di altro personale».
Come avesse avuto la morte ad inseguirla Alicia si
volse fulminea, e nel momento in cui i suoi occhi si posarono su di una opaca
capigliatura color ruggine ed un volto galante impreziosito da un paio di lenti
la colse un moto di stupore.
Sapeva di non essersi sbagliata sul conto di quel
signore, ma a questo punto le veniva da domandarsi il senso di quella specie di
messinscena.
«Lei?!»
«E così, alla fine sei arrivata. Sei corsa via prima
che potessi dirti come arrivare qui, e questo parco è grande.»
«Papà, tu la conosci?»
«È tutto a posto, Marika. Ora ci penso io. Tu puoi
andare».
Seppur apparentemente confusa la ragazza se ne andò
raggiungendo due ospiti pronti ad ordinare; rimasto solo, il gentiluomo si
avvicinò ad Alicia, cui fece un elegante inchino che fece quasi arrossire la
sua interlocutrice.
«Benvenuta al Café Coeur Bleu. Io sono Auguste, il
direttore. Allora, vogliamo iniziare il colloquio?».
Nota dell’Autore
Eccomi di nuovo, con
una nuova storia tratta da “Tales Of
Celestis”.
Nel nostro (mio^_^)
girovagare per la caotica Kyrador, ci siamo infine imbattuti in un posto un po’
particolare.
Nonostante la sua
frenesia e il suo movimento imperituro, Kyrador è malgrado tutto un luogo che
ammira e ricerca il bello e la tranquillità. Tutto ciò può essere trovato al Café Coeur Bleu,
il Florian di Kyrador, dove alla tranquillità di Luminous Park si unisce la raffinata eleganza della sua
architettura ed il garbo elegante di coloro che vi lavorano.
Che farà Alicia?
Riuscirà ad entrare a far parte di questo mondo?
Lo scopriremo molto
presto!
A presto!^_^
Carlos Olivera