Nick Autore (forum e efp):
mikchan
Titolo:
Di lucciole e litigi
Fandom:
Lovely Complex
Personaggi:
Risa Koizumi, Atsushi Otani, Nobuko Ishihara, Heikichi Nakao
Genere:
Romantico, Slice of life
Rating:
verde
Note/Avvertimenti:
Missing moment
Pacchetto:
Tramonto
Citazione:
Correvo, senza notare lo sciame di lucciole che c'era intorno a me,
proprio io che desideravo tanto vederle, ma avevo visto una cosa molto
più rara, il sorriso di Eric, e questo mi faceva sentire
felice [Kodomo no Omocha]
NdA:
La storia si svolge dopo la conclusione del manga, poco prima
dell'estate del secondo anno di università dei protagonisti.
Non so se esiste il luogo che ho descritto e nemmeno se in Giappone
hanno personaggi come il controllore sui treni, ma prendetelo come una
specie di licenza poetica.
DI LUCCIOLE E LITIGI
Il treno scorreva veloce sulle rotaie, lasciandosi alle
spalle la città e immergendosi sempre di più nel
paesaggio verde e tranquillo della montagna.
Quella della gita era stata un'idea di Nobu e dovevo ammettere che era
capitata proprio a fagiolo: mancava poco alle vacanze estive ed eravamo
tutti stressati, chi a causa del lavoro, come Nakao, chi con
l'università, come la mia amica o il mio ragazzo. Io, forse,
ero quella che, a discapito di tutto, riusciva ad organizzare al meglio
i miei impegni e non avevo problemi con test o ultimi questionari. In
ogni caso, passare un week-end in montagna era sembrata una scelta
azzeccata per tutti: era dalle vacanze di Natale che non passavamo un
po' di tempo insieme, noi quattro, il gruppo del liceo. Purtroppo
Chiaru e Suzuki non erano riusciti a liberarsi dagli impegni, ma Nobu
aveva insistito così tanto che, alla fine, eravamo stati
costretti ad accontentarla.
Voltai la testa e lasciai vagare lo sguardo sul volto di Otani, seduto
al mio fianco, che osservava in silenzio fuori dal finestrino. Era da
giorni che non ci rivolgevamo la parola senza finire a litigare e, ogni
volta, era un peso che si aggiungeva agli altri sul cuore. Sapevo che
Otani era nervoso per l'università, che il secondo anno era
difficile e non aveva molto tempo da dedicarmi, ma proprio non riuscivo
a capire quel suo comportamento scontroso: sembrava che cercasse la
discussione, come se ci fosse un vero motivo per cui essere arrabbiati.
Ma, anche pensandoci a fondo, nell'ultimo periodo non avevo fatto
niente che potesse averlo irritato, se non annuire delusa tutte le
volte che mi aveva dato buca perché doveva studiare. Mi ero
arresa all'evidenza che ormai vivevamo in due posti completamente
diversi e a volte faticavo anche a capire di cosa parlasse, ma non mi
passava nemmeno per l'anticamera del cervello l'idea di porre una fine
alla nostra relazione. Con il passare degli anni mi ero resa conto che
il mio sentimento nei confronti di Otani si era presto trasformato in
amore e avrei continuato a combattere per stare al suo fianco, anche al
costo di rinunciare ad uscire con lui il venerdì sera o la
domenica pomeriggio. Non avrei buttato al vento tutti i miei sforzi,
non proprio quando anche Otani sembrava ricambiare i miei sentimenti.
Insomma, la situazione tra noi due non era delle migliori, ma cercavo
di guardare il lato positivo della faccenda: Otani aveva accettato di
venire con noi, quindi occupavamo ancora un posto importante nella sua
classifica. Certo, aveva fatto un po' di storie, perché
avrebbe preferito restare a casa a studiare, ma erano bastati i modi
gentili di Nobu a farlo cedere definitamente. Contavo di riuscire a
sistemare tutti i nostri problemi in quei due giorni: mi mancava
l'Otani sempre sorridente e dalla battuta pronta ed ero disposta a fare
di tutto per riaverlo indietro.
"Ehi, Risa!". La voce di Nobu mi risvegliò dal mio mondo e
mi voltai verso di lei, abbozzando un sorriso nel vedere il braccio di
Nakao intorno alle sue spalle. Scacciai quei pensieri e le feci segno
di continuare. "Per voi è un problema dormire in tenda?".
Alzai un sopracciglio. "Avevo capito che avremmo alloggiato in un
albergo", risposi, lanciando uno sguardo interrogativo ad Otani che
intanto si era unito alla conversazione.
"Beh, sì. Però stavamo pensando che non sarebbe
stato male dormire in mezzo alla natura, per una sera".
"Nobu, tu odi gli insetti", le feci notare, incrociando le braccia al
petto. "Quindi mi viene naturale chiederti: cos'hai combinato?".
Nobu si attorcigliò un boccolo attorno al dito, ridacchiando
nervosa. "Ma niente di che, un piccolo disguido".
"Il che consiste in che cosa?", insistetti.
"Beh, nel fatto che ho sbagliato a prenotare l'albergo e per una notte
siamo senza un posto dove dormire perché non ci sono
più camere libere", ammise velocemente.
Spalancai gli occhi, scioccata. "Che cosa?", esclamai. "Sei
un'irresponsabile! Mi avevi detto che avresti pensato tu a tutto,
Nobu!".
"E non urlare", mi rimbottò Otani, dandomi una gomitata.
"Che? Ma l'hai sentita?".
"Certo, mica sono sordo".
"E non hai niente da dire?".
"Cosa dovrei dire? Ormai il danno è fatto".
"Ma che danno, è un disastro!".
"Su, Risa, non metterla sul tragico ora", disse Nobu con un mezzo
sorriso.
"E piantala di fare scenate, non mi sembra il caso di informare tutto
il treno della tua insanità mentale", disse invece Otani,
guardandomi con un sopracciglio alzato.
Assottigliai gli occhi. "Chi sarebbe la pazza?".
"Tu", rispose solo.
"E sentiamo, per quale motivo?".
"Te l'ho appena detto, il motivo. Stai urlando come un'invasata,
smettila".
"Non sto urlando", esclamai.
"Sì che stai urlando".
"Sto parlando a voce alta", ribattei.
"Il che consiste nell'urlare".
"Forse per un Chappy* come te. È risaputo che i nani sentono
tutto come se alzassero il volume".
"Ma quanto sei scema? E poi non chiamarmi così, lo sai che
non mi piace".
"Oh, però i tuoi amici dell'università ti possono
chiamare così, vero Chappy?".
"No, non è vero. Anche loro hanno smesso".
"Oh, che simpatici", dissi alzando gli occhi al cielo.
"Mi dici qual'è il tuo problema?".
"Il mio problema? Qual'è il tuo problema, razza di
nano-chiamato-anche-Chappy".
"Sei tu che mi stai insultando, a quanto mi risulta".
"Sei tu che sei più isterico di Nobu quando ha il ciclo", lo
scimmiottai.
"Ehi!", esclamò la mia amica.
Entrambi la ignorammo. "E non ti sei chiesta perché?".
"Perché di cosa? Del fatto che sembri essere perennemente
mestruato?".
"No, del fatto che sono arrabbiato con te".
"Oh, capisco. E perché sei arrabbiato con me?".
"Te l'ho appena chiesto io, scema!".
"Se ti rivolto la domanda significa che non so rispondere, scemo!".
"È palese la risposta, e inoltre...".
"Ehm, scusate...". Ci voltammo ed entrambi ci azzittimmo davanti alla
figura del controllore, che ci guardava irritato. "Potreste fare un po'
meno rumore? State infastidendo l'intero vagone".
"Ci scusi", mormorammo all'unisono, lanciandoci poi un'occhiata di
fuoco. Non era finita lì, lo sapevamo entrambi, ma quello
non era il luogo adatto per discutere.
"Grazie. E ora, biglietti, prego".
Gli porgemmo i nostri biglietti, che il controllore timbrò
non prima di averci lanciata un'altra occhiataccia e se ne
andò senza salutare.
Il resto del viaggio fu tranquillo, in senso metaforico ovviamente. La
tensione tra me ed Otani si poteva tagliare con un coltello e le
continue scuse di Nobu non facevano che rendermi più
nervosa. Non era tanto il dormire in tenda che mi preoccupava, ma il
doverlo fare con Otani. E se questa volta non era per l'imbarazzo, era
per la paura di finire di nuovo a discutere come poco prima. Non mi
piaceva litigare con Otani: nonostante tutto il nostro rapporto fosse
sempre stato infarcito di battutacce e insulti, alla fine non eravamo
mai arrivati alle vere cattiverie come invece accadeva a quei tempi.
"Mi dispiace tanto, Risa", ripeté Nobu per la millesima
volta quando scendemmo dal treno. "Se vuoi tu ed Otani potete affittare
due tende divise".
Sbuffai. "Per quanto la cosa non mi dispiaccia, non mi va di spendere
soldi in più. Ce la caveremo, in qualche modo. E poi
è solo per una notte, domani sera dormiremo in albergo".
Lei annuì. "Lo so, però non voglio lasciarvi
soli. Non tira una buona aria tra di voi".
"Risolveremo tutto", la rassicurai. "Non lo abbiamo sempre fatto?".
"Sì", confermò lei. "Però...".
"Tranquilla, Nobu, non ci ammazzeremo a vicenda".
"Sicuri?".
"Certo".
Lei sospirò. "Va bene, mi fido. Vi chiedo solo una cosa: se
dovete fare pace potete aspettare la prossima notte? Sai, non vorrei
essere svegliata da rumori molesti...".
"Nobu!", esclamai imbarazzata, dandole uno spintone.
La mia amica scoppiò a ridere. "Stavo scherzando!", si
difese.
"Lo spero", sbottai fulminandola con lo sguardo.
"Ehi, ragazze!", ci richiamò Nakao mentre usciva
dall'ufficio informazioni. "Il campo per il campeggio non è
lontano, sono solo venti minuti di cammino".
"Perfetto, tesoro", disse Nobu sorridendogli e prendendolo a braccetto.
"E le tende?", gli chiese, mentre iniziavano a incamminarsi.
Io lanciai un'occhiata ad Otani che ricambiò il mio sguardo,
ed entrambi ci mettemmo in marcia senza nemmeno rivolgerci la parola.
"Ehi, dite che ci sono le lucciole?", chiesi ad un certo punto.
Nakao mi sorrise. "Se siamo fortunati dovremmo riuscire a vederle
questa sera", mi rispose.
"Fantastico! Non le ho mai viste, sapete?".
"Io invece voglio vedere il tramonto",
disse Nobu. "Sulla guida ho letto che c'è un posto vicino
all'albergo che offre una vista meravigliosa".
"Dev'essere fantastico!", commentai.
"Sì", confermò lei. "È da quanto sono
piccola che sogno di baciare un ragazzo al tramonto, mentre il sole
scende dietro l'orizzonte e colora il cielo di quell'arancione
spettacolare".
Sussultai alle sue parole. "Non c'è bisogno di essere
così poetici", sbottai, sistemandomi nervosamente lo zaino
sulle spalle.
"Oh, Risa! Non eri...".
Nobu bloccò la sua frase quando incontrò il mio
sguardo omicida. Non volevo che Otani si sentisse obbligato a fare
qualcosa solo perché forzato da Nobu e, soprattutto, prima
avevo il bisogno di chiarire con lui. Per questo rallentai il passo e
lo affiancai.
"Possiamo parlare?", mormorai.
"E di cosa?", ribatté piccato.
Sospirai. Dovevo ripetermi mille volte che non dovevo perdere la calma
e non cedere alle sue provocazioni, ma certe abitudini erano davvero
dure a morire! "Perché non mi vuoi spiegare cosa ti
prende?".
"Dovresti arrivarci da sola".
Sbuffai. "Abbiamo già discusso a lungo sulla mia ignoranza.
Ora vuoi darmi una risposta?".
Otani si fermò e io lo imitai, guardandolo dritto negli
occhi. "No", disse solo. "Impara ad usare il cervello".
Riprese a camminare e osservai per qualche secondo la sua schiena
allontanarsi. Che razza di cafone! Io cercavo di essere tranquilla e
lui mi rispondeva così. Altro che mestruazioni...
Dopo nemmeno mezz'ora di cammino arrivammo allo spiazzo adibito per il
campeggio e, mentre Otani e Nakao andarono ad affittare le tende, io e
Nobu ci occupammo delle provviste e di tutto quello di cui avremmo
potuto avere bisogno. Considerato che quella sera avremmo dormito
all'aperto, avevamo deciso di fare una grigliata sotto le stelle e io,
dentro di me, conservavo la speranza di riuscire a vedere le lucciole
con Otani.
Con molta fortuna riuscimmo a sistemare tutto prima di mezzogiorno e,
dopo un pranzo veloce, decidemmo di visitare un famoso lago
lì vicino. Otani e Nakao iniziarono subito a parlottare tra
di loro e per un attimo mi sembrò che il mio ragazzo stesse
facendo di tutto per evitarmi. Io cercai di non pensarci, assecondando
i discorsi di Nobu, ma il mio pensiero finiva inevitabilmente
lì: cosa avevo fatto di così grave da fare
infuriare Otani?
Oddio, pensandoci bene ne avevo fatte di cavolate, come arrivare in
ritardo al concerto di Umi Bozu e perderlo praticamente tutto, oppure
dimenticarmi di comprargli un regalo a Natale e ripiegando su una
cavolata dell'ultimo minuto. Eppure, qualcosa mi diceva che c'era
qualcos'altro sotto, ma non riuscivo a capire cosa fosse.
Quando arrivammo a destinazione rimasi subito affascinata dalla
bellezza di quei luoghi: una cascata scendeva forte e maestosa dal
fianco della montagna fino ad arrivare a quel piccolo laghetto
incastrato tra le rocce e gli arbusti. Il sole che filtrava dalle
piante rendeva l'atmosfera quasi magica, surreale. Con la coda
dell'occhio vidi Nakao stringere Nobu per le spalle e mi ritrovai con
le lacrime agli occhi, chiedendomi per l'ennesima volta cosa potessi
fare per migliorare la situazione. Ma Otani, che si era seduto su una
roccia, sembrava più lontano e distante che mai e, per la
prima volta, temetti davvero di averlo perso. Poi mi ricordai di tutta
la fatica, tutte le lacrime e tutto ciò che avevo passato
per conquistarlo e mi diedi della stupida: davvero mi stavo lasciando
abbattere così?
Tornammo alle tende che era già pomeriggio inoltrato e, dopo
aver sistemato gli zaini e il cibo, trascinai Nobu con me alle docce
comuni. Avevo bisogno di un aiuto e chi meglio di lei poteva darmelo?
"Insisti".
"Eh?".
"Sei sorda? Ho detto che devi insistere. Conosci Otani, è
uno zuccone".
"Appunto perché è uno zuccone che non si
abbasserà mai a dirmelo".
Nobu sospirò. "Non hai davvero nessun'idea di quale possa
essere il suo problema?".
Scossi la testa. "No. Il suo compleanno è appena passato ed
è andato tutto bene. Negli ultimi tempi non ho dimenticato
nulla di importante, ne sono sicura".
"E allora è lui che si fa troppi problemi".
"È stressato dall'università".
"Anche io lo sono, ma non tratto Nakao a pesci in faccia".
Sbuffai. "Sai come siamo fatti. Noi ci trattiamo a pesci in faccia un
giorno sì e l'altro pure".
Nobu chiuse l'acqua, avvolgendosi poi l'asciugamano intorno al corpo.
"Se vuoi la mia opinione, insisti. Portalo da qualche parte, parlatene,
urlate, picchiatevi, fate sesso selvaggio...".
"Ehi!", la rimbottai con uno schiaffo sulla testa.
"Fate quello che volete", continuò guardandomi seria. "Ma
fate pace".
Annuii e sospirai. "È quello che voglio".
"E allora fallo. Ne hai superate tante, Koizumi. Qual'è ora
il problema?".
Già, qual'era il problema?
Chiusi anch'io l'acqua e afferrai l'asciugamano. "E se... e se non gli
piacessi più?", mormorai abbassando lo sguardo.
"E questa da dove salta fuori?".
"Pensaci. Ci vediamo pochissimo e quando lo facciamo litighiamo.
Secondo me non mi sopporta più".
Nobu mi tirò una sberla sulla spalla. "Smettila di
autocommiserarti. Ma non vedi come ti guarda?".
"Perché, mi guarda anche?".
"Scema, Otani è ancora innamorato cotto di te.
Però sai meglio di me quanto sia timido e orgoglioso".
"Lo so, lo è sempre stato. Ma non si è mai
comportato così".
"E allora fai qualcosa per sistemare questa situazione!
Dov'è finita la Koizumi che non si è arresa
nemmeno dopo due rifiuti dallo stesso ragazzo?".
Ripensai in silenzio alle parole di Nobu, poi annuii con forza. "Hai
ragione, sai? Mi ripeto sempre che non voglio perderlo, ma non ho
ancora fatto nulla di concreto per impedire che ciò accada".
"E quindi?".
"E quindi troverò il modo di farlo parlare, costi quel che
costi".
"Brava Risa! È così che si parla!".
Non ero sicura di come avrei agito, ma ero certa che lo avrei fatto.
Otani era davvero troppo importante per me e, anche se non glielo
dimostravo spesso, mi ero seriamente innamorata di lui e non avevo
alcuna intenzione di farlo scappare. Per questo avrei fatto qualunque
cosa per chiarire con lui.
Quando tornammo alle tende Otani e Nakao stavano già
sistemando la griglia per la carne. Io e Nobu iniziammo a preparare la
cena e, tra una chiacchiera e l'altra, riuscii a rilassarmi almeno un
po'. Ero nervosa per quello che sarebbe potuto accadere, ma questo non
mi avrebbe di certo fermato.
In ogni caso aspettai fin dopo la cena per tirare fuori il coraggio di
parlargli. Prima di mangiare, Nobu e Nakao erano andati a vedere il
tramonto in quella famosa radura di cui la mia amica mi aveva parlato,
ma io avevo rinunciato ad accompagnarli, un po' perché sarei
stata il terzo incomodo e poi perché andarci senza Otani non
avrebbe avuto senso.
"Senti, Otani... forse dobbiamo parlare". Un respiro profondo. Ce
l'avevo fatta, ora dovevo solo restare tranquilla ed evitare di
urlargli in faccia. Eravamo seduti vicino al fuoco che avevamo acceso
poco prima ed eravamo soli, perché i due piccioncini erano
andati a fare una passeggiata. Quello era il momento perfetto per
chiarire e, che Otani lo volesse o no, saremmo arrivati a una
conclusione quella stessa sera.
"E di cosa?".
"Di te, di noi".
"Quale noi?", borbottò afferrando un legnetto e iniziando a
disegnare sulla terra.
Sbuffai. "Non iniziare, non voglio litigare. Voglio solo sapere
perché sei così scontroso con me".
"Vuoi un po' troppe cose, Koizumi".
"E tu cosa vuoi, Otani?".
Forse fu una mia impressione, ma mi parve di vederlo arrossire per un
attimo. "Dovresti saperlo. Sei o no la mia ragazza?".
"Lo sarei se tu mi trattassi da tale", sbottai.
"La cosa è reciproca, sai?".
"Ma che sciocchezze stai dicendo? Sei tu quello che rimanda sempre
tutti i nostri impegni", esclamai stringendo i pugni.
"Sai benissimo che non vado in giro a giocare", ribatté
alzando gli occhi e fulminandomi.
"Non l'ho mai detto".
"E allora di cosa ti lamenti?".
"Sei tu che hai qualche problema, perché io non mi sono mai
lamentata".
"Il mio problema sei tu, accidenti!".
"E questo cosa dovrebbe significare?".
"Non ci arrivi proprio, eh?".
"Evidentemente no, pezzo d'imbecille".
"Non iniziare con gli insulti, spilungona. Qui l'unico che ha il
diritto di essere arrabbiato sono io".
"Almeno spiegami perché!".
"Perché a te non importa nulla di me!", esclamò
buttando a terra il legnetto e spezzandolo con il piede. "Ogni giorno
devo essere io a scriverti, altrimenti tu non ti fai sentire; non mi
chiedi mai nulla sulla scuola o su quello che faccio ogni giorno e
quando usciamo finiamo sempre per parlare di te".
"Ma sei scemo?", urlai dopo il primo attimo di stupore. "Se non ti
scrivo è perché non voglio disturbarti,
perché voglio che tu ti impegni al massimo negli studi e
perché so di essere una distrazione per te. Non ti chiedo
mai dell'università perché ogni volta parli di
cose che non conosco e mi sento così inferiore a te che
faccio fatica a guardarti negli occhi", strinsi i pugni attorno alla
stoffa della gonna, cercando di trattenere le lacrime. "E, per la
cronaca, sei tu che insisti perché ti racconti tutto
ciò che mi succede, altrimenti io passerei il tempo ad
ascoltarti parlare di questo o quel corso, di questo o quell'amico e a
sorriderti, pensando che non riuscirò mai a condividere con
te quel mondo a cui ti sta affezionando!".
Otani non aveva distolto lo sguardo dal mio per un solo secondo e,
durante il mio monologo urlato al vento, avevo visto la confusione
penetrare nel suo sguardo, oscurandolo. Si passò una mano
tra i capelli. "Cos'è questo complesso di
inferiorità?".
"Non c'è nessun complesso di inferiorità",
sbottai asciugandomi le lacrime con il palmo della mano.
"È una cosa stupida, te ne rendi conto?".
"Potrei rigirarti la domanda: anche trattarmi in quel modo per una
sciocchezza simile è stata una cosa stupida".
"Non è una sciocchezza".
"Potevi parlarmene", ribattei. "Avrei fatto qualcosa per cambiare".
"Ma io non voglio che tu cambi!", esclamò esasperato.
"Voglio solamente che mi stia vicino. E che la smetta di pensare di
essere inferiore a me. Non lo sei, Koizumi, hai capito? Sei una
bellissima persona e il fatto che non frequenti l'università
non significa che tu sia inutile".
"Ma è così che mi sento ogni volta che ne parli",
ammisi.
"E allora non ne parlerò più", affermò
sicuro.
Lo guardai sorpresa. "Ma hai appena detto che vorresti più
attenzioni".
"Dimentica ciò che ho appena detto. Sono un idiota".
Abbozzai un sorriso. "Su questo hai decisamente ragione".
Otani piegò le labbra all'insù, avvicinando la
mano alla mia e intrecciando le dita. "In realtà lo siamo
entrambi".
Mi spostai di poco, arrivando a toccare la sua spalla con la mia.
"Quindi è tutto a posto?".
"Certo", confermò.
"Non mi ignorerai più perché ti fai mille idee
sbagliate senza parlarmene?".
"No".
"E... posso baciarti?", mormorai arrossendo.
"Da quando mi chiedi il permesso?".
"Da ora", sussurrai, abbassando la testa e facendo incontrare per un
attimo le nostre labbra. Quando mi staccai, mi fermai ad ammirare il
suo sorriso, quel sorriso che amavo più di ogni altra cosa.
Appoggiai la testa alla sua spalla. "Sono davvero contenta di avere
chiarito".
"Anche io", rispose Otani, facendo passare il braccio attorno alla mia
spalla.
"Sai, Chappy, adesso che ci penso, sei proprio piccolino", lo provocai.
"Devo spaccarmi la schiena in due per abbracciarti come si deve".
Otani si accigliò. "Vuoi litigare, spilungona?".
"Spilungona a chi, nano da giardino?".
Otani sciolse l'abbraccio, scattando in piedi. "Ecco, vedi? Sei la mia
ragazza, mi chiedi di baciarmi in quel modo e poi mi chiami nano. Ma si
può essere così stupidi?".
"Ho fatto una semplice osservazione critica", risposi alzandomi per
fronteggiarlo. L'adrenalina mi scorreva nelle vene come mai prima d'ora
e sorrisi, preparandomi a una delle nostre solite discussioni. Forse
quella l'avevo un po' cercata, ma quello di cui avevo bisogno era di
avere davanti l'Otani di cui ero innamorata e non c'era modo migliore
che provocarlo in quel modo. "Mi fa male la schiena ogni volta che ti
abbraccio. Dovresti iniziare a indossare i tacchi, sai?".
Otani assottigliò gli occhi. "Scappa, Koizumi. Altrimenti ti
taglio le gambe, così risolviamo questo problema una volta
per tutte".
Scoppiai a ridere, iniziando a correre. Sentivo Otani dietro di me e mi
immersi nel bosco per fare finta di depistarlo. In realtà
volevo che mi trovasse e che facesse finta anche lui di prendermi a
calci, per poi finire abbracciati come sempre. Era quello il bello
delle nostre litigate: finivano sempre allo stesso modo.
Correvo, senza notare lo
sciame di lucciole che c'era intorno a me, proprio io che desideravo
tanto vederle, ma avevo visto una cosa molto più rara, il
sorriso di Otani, e questo mi faceva sentire felice,
perché di quel sorriso non ero mai sazia, era sempre nei
miei pensieri e nei miei sogni, come l'unica cosa che mi potesse
rallegrare. Era il sorriso che Otani mi regalava ogni volta che eravamo
da soli e che si avvicinava per baciarmi. Era il suo modo per dirmi "Ti
amo, Risa", perché a voce era troppo imbarazzante. Era il
suo modo per rassicurarmi, per farmi sapere che avrei sempre potuto
contare su di lui, che ci sarebbe stato anche nei peggiori momenti. Era
il suo modo per farmi felice e, sinceramente, era la cosa di lui che
amavo più di tutte.
"Presa!".
Storsi il polso, mentre Otani faceva forza e mi avvicinava a se.
Cademmo entrambi a terra e scoppiammo a ridere come due bambini, mentre
le stelle sopra di noi brillavano come lucciole nascoste dagli alberi.
"E adesso", sussurrai. "Mi taglierai le gambe?".
"Dopo, forse. Ora ho decisamente altri piani", rispose alzandosi su un
gomito e avvicinandosi alle mie labbra
L'ultima cosa che vidi prima di chiudere gli occhi e baciarlo fu il suo
sorriso, e quello fu sufficiente per capire che tutto era andato a
posto.
Eravamo tornati noi, Koizumi e Otani.
Cosa potevano contare le lucciole davanti alla stella più
luminosa del mio universo?
*Chappy è il soprannome che gli amici
dell'università di Otani gli affibiano. Risa lo odia e, per
questo, mi è sembrato giusto inserirlo in questo contesto.
È ufficiale,
ogni volta che scrivo qualcosa su Lovely Complex mi innamoro sempre di
più. Di Risa, di Otani e di tutti gli altri personaggi e
spero di essere riuscita a trasmettere qualcosa anche a voi.
La storia è
ambientata durante il secondo anno di università di Otani,
poco prima delle vacanze estive. Per molti aspetti mi sono ispirata al
manga, come il soprannome di Otani oppure il fatto che Risa si senta un
po' messa in disparte da quando il suo ragazzo ha incominciato la nuova
scuola. Insomma, ho provato ad approfondire un po' i suoi sentimenti,
cercando di non cadere nell'OOC e di rispettare i termini del concorso
a cui la storia partecipa (Scambio
di citazioni di
S.Elric_). A questo proposito, la storia doveva contenere un termine,
nel mio caso "tramonto" e una citazione presa da un'altro anime/manga,
sempre nel mio caso da Kodomo no Omocha.
Insomma, spero che la
storia vi sia piaciuta. Fatemi sapere cosa ne pensate
mikchan
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