Take me down
To
the paradise city
Where
the grass is green
And
the girls are pretty
Take
me home
I
want you please take me home
- Paradise City
Guns N' Roses
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Ciao
a tutti, premetto che sono nuova e che non sono ancora "esperta"
diciamo.
Volevo
dirvi che la mia ff è ambientata nella realtà in luoghi che esistono
veramente.
Solo
la vicenda e i personaggi sono frutto della mia mente.
Grazie
per la lettura, ciao.
1.
"Da milioni di anni gli umani hanno padroneggiato
in questo pianeta. Hanno guadagnato la loro propria immunità e il loro
proprio dominio tra tutti gli esseri. Fiero, l'essere umano gira in
lungo e in largo per il suo mondo. Ma nella volta celeste, negli
abissi, nell'entroterra, organismi geneticamente più forti ordivano i
loro piani malefici, guardando gelosamente lo sviluppo dell'uomo".
☩
"Signorina
Connor la prego di girarsi di 90° e ascoltare la lezione tenuta,
grazie".
Di solito guardavo fuori durante le lezioni, non perchè non mi
interessava la materia, ma perchè amavo guardare fuori.
Adoravo guardare il cielo e le sue meraviglie, non che ci fosse altro
da vedere.
Eravamo persi dentro il predeserto, in un piccolo paesino di 400
abitanti, quindi non c'era molto.
"Signorina Connor, dato che non si è ancora degnata di girarsi, la
mando alla lavagna".
Ah vi presento la signorina Daisy, tanto bella quanto stronza.
La sua storia ha fatto molto scalpore in città, nessuno avrebbe pensato
che una signorina come lei potesse esserne capace.
In poche parole la signorina Daisy, precedentemente Guejera, messicana
D.O.C. era una trafficante di droga.
Non sapevo in che bando e quando c'era dentro ma questa era la sua
storia.
Ora era una persona normale, si era disintossicata e aveva frequentato
una scuola serale, fino a diventare professoressa di matematica,
biologia, fisica e chimica qui.
Di tutti i miei professori era lei quella che più odiavo.
Barcollando andai alla lavagna, mugugnando di tanto in tanto.
Mi fece svolgere un' equazione. Brutta troia, sapeva che non ero brava
con le equazioni, poteva piuttosto farmi fare un esercizio di geometria
o robe varie.
Presi un amichevole tre, un perfetto regalo pasquale.
☩
Mi
svegliai quella mattina presto, verso le cinque e mezza perchè quella
notte continuavo ad avere degli incubi. Sognavo ripetutamente una porta
con dei strani graffiti, tipo delle unghiate. Mi chiesi il perchè,
perchè quello strano sogno, non avevo mangiato male la sera prima.
Comunque non tornai sotto le coperte, decisi di alzarmi e fare
colazione. L'alba stava facendo capolino dalle fessure della porta e
dalle finestre di legno. Era una bellissima giornata calda e
splendente. Verso le sei e mezza uscii di casa, la scuola sarebbe
iniziata un'ora dopo ma volevo farmi un giro per le praterie.
Ormai
mi ci ero abituata a vivere in quel paesino, avevo fatto amicizia con
alcune ragazze e durante il pomeriggio andavo a fare volontariato al
centro anziani. Mi piaceva passare il tempo con quei vecchietti perchè
mi raccontavano le storie, quelle storie che solo gli abitanti di
Bitter Springs potevano sapere.
Mi
affascinavano tutto sommato, ovviamente io non ci credevo, ma adoravo
ascoltarle perchè avevano qualcosa di magico dentro, qualcosa di
affascinante e misterioso.
Gwen
era la più anziana tra loro, era una scienziata tempo fa.
Le
donne dicevano che lei non era uguale a loro, che lei sapeva qualcosa
in più, che lei nascondeva un segreto.
Secondo
me non era vero, invece. Era solo una donna buona e taciturna, che non
parlava mai ma che ascoltava e capiva. Poi in fin dei conti aveva 96
anni, era ovvio che non si esprimeva molto.
Giocammo
a dama, a scacchi e tombola per ore. Inutili i miei tentativi di unire
la signora Kormova (era originaria della russia) ai giochi.
Ammiccava
sempre la testa negando.
"Signora
Kormova, le va di mangiare un buon pezzo di torta con noi?" chiesi
gentilmente prendendole la mano.
Non si
espresse, continuava a guardarmi con occhi grandi, analizzando il mio
viso. E lo stesso facevo io: la sua pelle grezza, le sue varie rughe,
le sue zampe di gallina e le profonde occhiaie. Non dormiva da giorni,
si poteva intuire. E poi, nascosto dalle folte sopracciglia bianche,
c'era una cicatrice. Era profonda e grossa, la pelle sopra faceva tante
grinze, confondendola come una grossa ruga, ma si riusciva a capire che
non poteva esserlo.
La
donna si girò verso destra, aveva notato che guardavo sconcertata
quella cicatrice. Dalla sua reazione pensai che le sue colleghe non se
ne fossero mai accorte, cosa davvero plausibile.
Le
altre sette anziane vivevano in un mondo tutto loro, fatto di
pettegolezzi e di telenovele, non gliene fregava niente della signora
Kormova. Così, mentre le nonnette erano impegnate a vedere 'Beautiful'
io tornai dalla vecchia.
Stava
strofinando un fazzoletto bianco tra le mani, lo accarezzava come se
fosse una fragile colomba ferita. Lungo l'orlo era bruciato e c'erano
delle chiazze di sangue. Vedendo l'usura dovevano essere di tanto tempo
fa.
Alla
donna scappò una lacrime, che scese furtiva giù per la rugosa guancia
fino a estinguersi sulle labbra. Io ero lì, dietro di lei, che
osservavo quella dolorosa scena, che poteva farmi piangere a momenti.
Ed
ecco le lacrime, le lacrime di Gwen cadere a goccioloni giù per il
viso, annegando i suoi grandi occhioni verdi , accompagnati da un
pianto silenzioso.
Girai
lo sguardo verso le altre signore, non se ne accorgevano del suo pianto. Mi domandavo quante volte era successo questo.
Mi
cadde anche a me una lacrima, ero così dispiaciuta per quella vedova.
La
donna strinse forte il fazzoletto, stava cercando di tirarlo,
strapparlo, romperlo i tutti i modi che poteva, ma poi si fermava.
Piangendo ancora.
Piangeva
lacrime disperate che solo una perdita affettiva molto importante erano
in grado di portare.
Non
riuscivo più a guardare, continuava a stare male così.
L'abbracciai
da dietro, la strinsi forte contro il mio petto, come se lei fosse la
mia cara nonnina o mia mamma. Le stavo trasmettendo amore che non
poteva avere.
La
donna prese le mie mani e le portò alla sua bocca, dando dolci bacini
sul dorso.
Sentivo
le sue labbra grinze e bagnate contro la mia pelle calda, mi
rabbrividirono.
Mi
sedetti davanti a lei, senza staccare le mani oramai intrecciate alle
sue.
Mi
sorrise, un piccolo sorriso dolce.
Come
quando viene l'arcobaleno dopo un pianto, qualcosa che non c'è
perfettamente, ma che si fa vedere. Insomma un po' di felicità.
Le
chiesi come stava, se le piaceva vivere qui, se le andava qualcosa da
mangiare.
Ma lei
continuava a guardarmi cercando di sorridere, e poi di nuovo piangere.
Piangeva
ancora, anche se la vedevo. Forse ero l'unica persona ad averla vista
piangere.
"Signora
Kormova lei ha figli? Non ho mai visto un suo parente venire a
trovarla. Non ha nemmeno nipoti?".
"Ho un
nipote bellissimo. E' biondo e con gli occhi azzurri. Non so come siano
i suoi capelli. Forse sono lunghi o corti. Ma forse ha la cresta oppure
gli ha tagliati. O magari si è tinto. Dovrebbe avere 17-18 anni se non
sbaglio. All'incirca due o tre più di te ragazza mia ".
Non mi
aspettavo che mi rispondesse, una risposta così lunga per giunta.
"E lui
dov'è?"
"Da
qualche parte, con suo padre".
La
signora guardò fuori dalla grande finestra, guardava in fondo, dove
c'era la fossa, giù per il Grand Canyon.
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