Note: Di nuovo
prima di cominciare! XD
Piccola introduzione per ringraziare tutti coloro che hanno letto la fanfic, in particolare Capitatapercaso (grazie mille per il
tuo commento, è il migliore che abbia mai ricevuto! E
ti ringrazio anche per le tue considerazioni sul mio stile di scrittura, non mi
dispiace capire da ciò che scrivi di essere migliorata rispetto a tempo fa.
Cercherò di terminarla secondo i piani, questa volta, la fic! XD Grazie
ancora), Kagchan (concordo, “Like an
Hell” è sensazionale, ma non è mia XD ti confondi con Mika-mika, che ne è la vera autrice. Comunque non
preoccuparti, conosco Mika e ti assicuro che, sbagliando ad attribuirmi una sua
fanfic, mi hai fatto un grosso complimento involontario! XD Apprezzo come
scrive quella ragazza. Grazie per averla (ri)letta! E
anche a te, grazie per il commento), Nekiniku_dango
(spero di averlo scritto bene >.> grazie tantissimo per aver commentato e
sì, effettivamente è tanto che non metto mouse su manga.it… o almeno, non con
il vecchio nick. Beh, come ho detto sopra, questa volta farò del mio meglio per
terminarla *annuisce convinta*. Grazie ancora per aver la letta di nuovo XD) e Fallen_azraphel (fidati, mi faccio più
problemi di quanto pensassi a muovermi Kiba come
protagonista! XD Comunque sono contenta che ti piaccia
anche se il protagonista è un po’ insolito e, per quanto riguarda la coppia,
l’ho palesata nell’introduzione semplicemente per correttezza per chi legge
*annuisce* così se la coppia non piace si passa oltre direttamente. Grazie mille
per il commento e non preoccuparti, è esauriente anche così! XD Non ho bisogno
di commenti chilometrici per sbilanciare il mio ego, fa tutto da solo
*gocciolone alla manga*. Grazie ancora per il commento!)
Bene, credo che le comunicazioni di servizio, per questa
volta, siano terminate.
Vi lascio alla lettura!
.:: Enjoy! ::.
Chapter
01 ~ First Echo
Previsione Accidentale
Sapeva che sarebbe successo. Anche se, in
cuor suo, aveva sperato che non succedesse almeno
a lui. Che lui fosse, diciamo, immune alla
regola soprannaturale del “nuovo arrivato”.
Invece no. E se si trovava a
correre per i corridoi con un pezzo di pane tostato in bocca, doveva pur
esserci un motivo.
<< Maledetta sveglia del cavolo! E
maledetto Nara, pure lui! Poteva svegliarmi, no? No! Mi ha lasciato dormire!
Ah, ma io gliela faccio pagare! E’ il primo giorno, accidenti a lui! >>
sbottò indispettito, inghiottendo con qualche difficoltà il residuo della
colazione, rischiando di mandarla di traverso ma trovando, all’ultimo istante,
la salvezza per un qualche miracolo non meglio specificato.
Per qualche assurdo motivo a cui non
voleva nemmeno pensare, si era addormentato così placidamente nel letto di
Shikamaru che non aveva nemmeno sentito la sveglia. O
meglio, non sono non aveva sentito la sveglia, ma nemmeno il compagno alzarsi e
vestirsi per andare a fare colazione.
Quando, disturbato da un fascio di
luce proveniente dalla finestra, aveva finalmente aperto gli occhi, il led
luminoso della sveglia sul ripiano della scrivania segnava le sette e quaranta.
E le lezioni, da che mondo è mondo,
erano sempre cominciate alle otto.
Dopo i primi secondi di smarrimento, probabilmente un
effetto collaterale della mano di Morfeo ancora presente su di lui, lo scattare
dei quarantuno minuti aveva scatenato in lui il
panico.
Aveva esattamente 19 minuti per uscire da quella camera,
rientrare nella sua, vestirsi, scendere a colazione e andare ovunque fosse la
sua classe, quella di Alchimia. Perché parliamone, non
è che avesse esattamente capito la sua ubicazione, dal
discorso di Shikamaru del giorno prima.
Bella forza, uno comincia a farti una pianta dell’edificio
mentre scopri che quello che il prete ti raccontava al catechismo non erano
tutte cavolate. E’ logico che poi il cervello si riavvia automaticamente e
l’attenzione va a farsi un giro per altri lidi.
Si era alzato con un balzo e, puntualmente, era inciampato
sul lenzuolo che, stropicciato, si era arrotolato intorno ai suoi piedi durante
la notte. Doveva dire a Shikamaru che la moquette della sua camera necessitava di una passata di aspirapolvere.
Dopodiché si era rialzato nuovamente,
scattando veloce verso la porta dove, in un post-it giallo, due righe in una
calligrafia lineare e inclinata verso destra lo avvertivano di chiudere
la porta. Con qualche insulto al firmatario, un certo S.N. di sua conoscenza,
appallottolò il foglietto e chiuse la porta come dettogli.
Corse poi per il corridoio, ovviamente in pigiama (ci doveva
essere veramente qualcuno che gli voleva bene: non lo aveva visto nessuno!), sbattendo il naso sulla sua
porta prima di aprirla a e fiondarsi dentro la camera.
Raccattò la divisa il più velocemente possibile, buttando il pigiama dove
capitò e cercando per l’equivalente di sei minuti di farsi il nodo a quella cavolo di cravatta blu, che non ne voleva sapere di
riuscire in maniera normale. Evidentemente destinato a non riuscirci mai, aveva
lasciato i primi due bottoni della camicia aperti e, ficcandosi la cravatta in
tasca, aveva recuperato libro e quaderno per poi catapultarsi nuovamente lungo
il corridoio, diretto dove lui pensava che ci fossero le classi.
Ed è lì che, alle attuali ore otto
e cinque, ancora correva.
<< Sono nei guai. In guai grossi temo… >> disse sconfortato mentre, rallentando appena prima della
curva, girò velocemente a destra alla fine del corridoio per trovarsi… in un
altro corridoio.
Che cavolo era quel posto, il
labirinto del Minotauro? Dannazione a lui che non si ricordava un fico secco
delle indicazioni che gli aveva dato Shikamaru il giorno
prima e, soprattutto, dannazione allo stesso Nara che aveva deciso di
lasciarlo poltrire nella sua full-immersion nel mondo dei sogni.
Ricominciò a correre, deciso a farsi i cento metri piani in
7.65 anche per tutta la scuola, se si fosse mostrato
necessario. Alla svolta successiva volle girare nuovamente a destra, senza
nemmeno rallentare questa volta e, come prevedibile, successe l’inevitabile.
Voltandosi per osservare le porte di quel corridoio nuovo,
l’unica cosa che vide prima di ritrovarsi con il sedere per terra
fu una divisa bordeaux e una spilla a forma di ali diventare sempre più grandi,
sempre più grandi… finchè non se le era ritrovate dolorosamente addosso,
impattando contro la persona che le portava.
E, pensandoci ora che il naso
pulsava per il dolore, era come se si fosse scontrato con un muro.
<< Ahi! >> esclamò, serrando gli occhi e
portandosi una mano al naso, giusto per controllare che fosse integro e ancora
al suo posto. << che male! Mi dispiace, non stavo
guardando dove andavo, sono in ritardo…>> cercò di scusarsi subito,
aprendo solamente un occhio nel tentativo di farsi passare il dolore e, se
possibile, riprendere la sua ardua ricerca della classe giusta.
Il ragazzo contro cui si era
scontrato, arretrato di qualche passo senza però perdere l’equilibrio, tossicchiò
appena prima di rispondere un neutro << ho notato >>, con voce
profonda ma giovanile.
E a Kiba quasi venne un infarto
quando, alzando gli occhi, si trovò davanti Itachi Uchiha nella sua eterea
bellezza.
Cominciò sul serio a chiedersi se la sua sfortuna non fosse
una dote naturale.
Il ragazzo, i capelli lunghi e corvini racchiusi in una coda
bassa, lo guardò con i suoi profondissimi e assottigliati occhi scuri,
osservandolo con pacata indolenza. Si avvicinò di
qualche passo, porgendo la mano destra all’Inuzuka senza un sorriso, nemmeno un
ghigno o una qualsiasi altra espressione che dimostrasse una qualsiasi
sensazione.
Beh, se la aspettava molto, molto peggio.
Insomma, i demoni (o mezzi demoni che siano) della sua
immaginazioni prendevano la forma di vampiri affamati che la prima cosa
che guardavano salutandoti era la tua giugulare. Si aspettava una cosa tipo: “buongiorno sono Itachi Uchiha, come sono andate le ultime
analisi del sangue?”
Invece, il ragazzo che ora gli tendeva la mano sembrava, per
i suoi semplici sensi da “normale essere umano”, semplicemente uno studente
chiuso ed enigmatico che, gentilmente, lo voleva aiutare a rialzarsi.
Perché negarglielo?
Allungò la mano dunque, afferrando quella fredda di Itachi e, aiutandosi con essa, si rialzò in piedi con un
urlo silenzioso di dolore da parte del suo sedere. Ok, aveva constatato
per la seconda volta in quella mattina che i pavimenti di quella scuola erano
solidi.
Una volta in piedi, Itachi continuò a guardarlo con quell’inespressività
inquietante dipinta negli occhi neri. Alzò poi, leggermente, un sopracciglio,
unica vera espressione che gli aveva visto fare fino a quel momento. <<
Tu devi essere Inuzuka >> disse, osservando la
spilla d’orata a forma di Sigillo di Salomone che indossava il castano, appena
sopra lo stemma della scuola. << Alchimista >> aggiunse poi,
lasciandogli la mano e riportandola lungo il fianco.
<< Eh, proprio io…>> rispose, sorridendo
imbarazzato. Ma c’era una santissima anima in quella scuola che non sapeva che lui era appena arrivato?!
Itachi lo squadrò completamente, così come fece Kiba: Doveva
essere un ragazzo ordinato dato che, sia la camicia che la giacca, erano ben
allacciate e la cravatta era diligentemente stretta al collo. Doveva avere successo con le ragazze, dato che qualunque cosa
indossasse non perdeva di attrattiva.
Poi, all’improvviso, un sorrisetto comparve sulle labbra del
moro. O almeno, così aveva considerato il leggero stirarsi di labbra che per
qualche secondo il ragazzo aveva mostrato. << Interessante… >> lo sentì
sussurrare << …mi sorprende che Nara non lo abbia
notato… >> aggiunse enigmatico, alzando poi gli occhi oltre la sua
spalla. Il sorrisetto, o l’ombra del sorriso, che aveva appena assunto
scomparve, facendo ritornare il suo viso rilassato e neutrale.
Cosa… cosa doveva notare Shikamaru?
Che aveva? Per caso emetteva un odore particolare, dei
ferormoni che attiravano sciagure, si doveva scatenare la fine del mondo per
mano sua, cosa?!
Non riuscì a resistere. Detestava quando la gente non gli
diceva le cose direttamente in faccia.
<< Che cosa avrebbe dovuto
notare? >> chiese direttamente, riducendo gli occhi a due fessure. Il
tono fermo e deciso di chi non ammette altre risposte tranne la verità attirarono nuovamente lo sguardo di Itachi su di lui.
Forse era un’illusione, uno scherzo della luce… ma gli occhi
di Itachi non erano appena diventati… rossi?
Un brivido gli percorse la schiena,
facendolo allontanare istintivamente di qualche passo. Cosa
diamine era stato, quello?
Senza dire una parola, senza nemmeno respirare, il ragazzo
degli Uchiha alzò lentamente una mano in direzione della fronte di Kiba che,
per un qualche misterioso, orripilante motivo non riusciva più nemmeno a
staccare i piedi dal suolo, figuriamoci a fare un
altro vitalissimo passo indietro. Osservava quella mano avvicinarsi
inesorabilmente e l’espressione fredda di Itachi non
prometteva niente, assolutamente niente di buono. Era… era davvero… ?
<< Uchiha >> una voce ferma,
decisa, un tono che aveva già sentito di sicuro un’altra volta anche se al
momento, con i muscoli completamente bloccati per la tensione, il suo cervello
non riusciva a collegare la voce ad un’immagine. Era completamente
bloccato e, nonostante avesse sentito che la suddetta voce proveniva dalle sue
spalle, non aveva ancora trovato la forza e il coraggio di voltarsi in quella
direzione.
Itachi puntò nuovamente gli occhi alle sue spalle,
abbassando poi la mano per riportarla al suo fianco. << Hyuga >>
rispose solamente, liscio e impersonale, riportando solamente per un istante lo
sguardo su Kiba: << puoi anche respirare, ora >> disse, prima di
passare oltre al castano con passo lento e, sempre con lo stesso passo, sparire
dal corridoio.
Si accorse di stare mantenendo il respiro solamente quando
l’Uchiha passò oltre lui. E,
per non cadere come un sacco pieno di pere, dovette per forza appoggiarsi alla
parete con la schiena, sforzando le sue gambe di non cedere proprio sul più
bello.
Era paura, quella. Una paura marcia di un qualcosa che
nemmeno sapeva cos’era. Il suo cuore batteva talmente veloce da rimbombargli
nelle orecchie con violenza e le sue mani, nonostante fossero entrambe
appoggiate al muro, tremavano ad intervalli irregolari.
<< Tutto bene? >> chiese la stessa voce di
prima, ora molto più vicina.
Sobbalzò. Non si era nemmeno accorto che Neji si era
avvicinato così tanto a lui, dall’agitazione che aveva addosso.
Deglutì, cercando disperatamente di non far tremare la voce.
Tentativo che gli riuscì solamente in parte: << S-si, tutto a posto
>> rispose, distaccandosi dal muro e mettendosi diritto di fronte allo Hyuga.
L’atmosfera che si respirava in sua compagnia era molto
differente rispetto a quella accanto ad Itachi, Portava i capelli castano scuro
raccolti un una coda bassa, leggermente lenta, tanto da farglieli ricadere
appena sulle spalle; gli occhi, di quello strano ma affascinante colore bianco,
sembravano capaci di osservare direttamente l’anima, capendo la verità anche
senza bisogno di dirla. La divisa, dello stesso colore a forma di tutte quelle
presenti in quella scuola, era anche nel suo caso ben portata,
la cravatta allacciata bene, la spilla dalle ali dorate appuntata sopra lo
stemma.
Forse, si sentiva bene in sua compagnia solamente perché
Shikamaru lo aveva informato sulla sua origine angelica.
Cioè, stava parlando con un
Arcangelo, per la miseria…
Neji annuì appena, voltando poi lo sguardo lungo il
corridoio che aveva appena imboccato il mezzo demone. << Non ti avrebbe
fatto nulla, ma posso capire che possa mettere soggezione >> disse pacato, ritornando con lo sguardo al castano.
Kiba annuì senza tuttavia aggiungere niente. Al momento era
occupato a fare sì che i suoi polmoni riprendessero a respirare con un ritmo
umano, e non come se ogni tanto si dimenticassero del loro mestiere, facendolo
mancare del respiro.
Fu poi Neji a interrompere il
brevissimo dialogo, sospirando appena. << Scusami Inuzuka, ho un lavoro
da sbrigare >> cominciò, frugandosi al contempo nelle tasche e, tirandone
fuori una piccola catenina con un croce in argento
attaccata, la porse a Kiba.
<< Questo ti sarà utile, portalo
con te >> disse, aspettando che Kiba lo afferrasse prima di ritirare la
mano. << Consideralo un giubbotto antiproiettile
>> aggiunse prima di salutare e, a passo disteso e lento, seguire
la stessa direzione imboccata dall’Uchiha.
Strinse fra le mani quella catenina, decidendo di
infilarsela subito; sotto la camicia non si sarebbe vista.
E, riprendendo faticosamente a
camminare, decise che sì, la sua sfortuna doveva essere veramente una dote
naturale.
Erano le otto e venti quando, imboccando l’ultimo corridoio
che gli sembrava di non aver ancora percorso, finalmente trovò le aule di
Storia degli Antichi Testi, la prima sulla sinistra, e Alchimia, l’ultima sulla
destra.
Doveva ricordarsi di ringraziare il suo minimo, quasi
invisibile senso dell’orientamento per essere riuscito, anche se in un tempo
sproporzionato, a portarlo a destinazione.
Era in un ritardo epico. Bella figura al primo giorno di
scuola, presentarsi in classe e dire, come prima frase davanti a tutti: “scusate il ritardo, mi sono perso nel labirinto e ho fatto
due chiacchiere col Minotauro, non ho più avuto cognizione del tempo!”
Tuttavia, al suo avvicinarsi alla porta della classe, notò
che era stranamente aperta e, dal suo interno, provenivano voci concitate e stralci di quelle tipiche frasi che si fanno alla mattina
prima del suono della campana.
I casi erano due: o le lezioni in quella scuola consistevano
in chiacchiere e tè con biscotti, oppure il professore non era ancora arrivato.
Non sapeva se darsi dello stupido per la prima ipotesi
pensata, o se sperare in un miracolo di proporzioni bibliche come la seconda.
Beh, il modo per scoprirlo c’era, e consisteva nell’entrare in classe.
Bussò quindi alla porta, abbastanza forte da farsi sentire,
entrando poi subito dopo. La cravatta, ancora abbandonata nella tasca a penzoloni lungo la sua gamba, gli dava un aspetto da
contadino dei Pirenei, ma al momento non aveva importanza.
<< Buongiorno… >> azzardò quando, entrato dalla
porta di due passi, l’intera classe si zittì e lo fissò.
Qualche chiacchiericcio sussurrato in fondo a destra, una
ragazza che si chinava sulla sua amica per qualche commento, molto probabilmente
sul suo aspetto, e diciassette paia di occhi che lo
guardavano con fare curioso e sorpreso allo stesso tempo.
Fu poi una ragazza in seconda fila, seduta su uno dei banchi
in mogano intagliato (ma davvero spendevano un pacco di soldi solamente per
quei banchi stile Istituto Ouran?!(*))
a far sentire per prima la sua voce. Aveva lunghi capelli biondi raccolti in una
coda alta sulla nuca, occhi azzurri che contrastavano nell’insieme con i colori
scuri della divisa, esattamente uguale a quella maschile con l’unica differenza
che, al posto dei pantaloni, l’uniforme femminile prevedeva una gonna a pieghe
e un fiocchetto al posto della cravatta. Se ne stava seduta a gambe incrociate,
le mani indietro puntellate sul banco, indice probabilmente di un’enorme forza
di volontà. Fere un sorrisetto sbieco in sua direzione, esordendo nel silenzio
con un: << Ah! Tu devi essere…>>
<< …quello nuovo, sì >> finì prima Kiba per lei,
sospirando rilassato. Felice, per la prima volta in vita sua,
che le voci all’interno di quella scuola circolassero alla velocità della luce.
<< Kiba Inuzuka, piacere >> si presentò poi, alzando la mano destra
come piccolo gesto di saluto.
Tutti gli sorrisero, alcuni lo salutarono,
per poi tornare a parlare delle loro cose. Beh, era stata una presentazione
indolore; almeno si erano riservati dal continuare a guardarlo come babbuini
che fissano una banana.
Solamente due di loro gli si avvicinarono, due ragazze. La
prima era la biondina che gli aveva rivolto la parola
per prima che, scendendo dal banco con grazia relativa, gli stava camminando
incontro. Al suo fianco, un paio di occhi color giada
spiccavano fra un paio di ciocche color rosa (no, non si poteva dire
“rossiccio”, erano proprio rosa!) facenti parte di un caschetto di capelli del
medesimo colore, trattenuto da un cerchietto rosso. Due ragazze, entrambe con
la spilla da alchimista.
Bella forza, se erano nell’aula di Alchimia…
La prima, la biondina dagli occhi blu, fu la prima delle due
a tendergli la mano: << io sono Ino Yamanaka >> si presentò subito
<< le voci circolano molto in fretta in questa scuola, come avrai notato
>> aggiunse poi, sorridendo allegramente.
Kiba rispose al gesto, stringendole la mano a sua volta.
<< Il professore? >> chiese allora il ragazzo, approfittando
dell’occasione.
A rispondere fu però la seconda ragazza che, abbassando gli
occhi fino alla sua cravatta, la prese delicatamente dalla tasca,
mettendogliela dietro al collo con un semplice gesto della mano, cominciando ad
annodargliela. Aveva l’espressione seria ma dolce, nonostante le mosse decise e
perfette, nessun movimento fuori posto. << Non si è ancora fatto vedere,
ma lui è sempre così. E’ il più ritardatario di tutto il
corpo insegnanti. Tieni su il mento, per favore >> disse, terminando in qualche mossa di fargli il nodo, che
Kiba allentò subito secondo i suoi gusti. Non gli piaceva sentirsi qualcosa legato
troppo stretto al collo.
<< Grazie >> disse poi il ragazzo, tastandosi il
nodo << è tutta mattina che cerco di farlo
>> aggiunse, osservando la ragazza.
<< Di nulla, si vede che non sei abituato a portarle
>> rispose quella, porgendo la mano a sua volta << Sakura Haruno,
piacere >> si presentò cordialmente.
Kiba, dal canto suo, strinse anche la sua mano. Quella
Sakura aveva l’aria maledettamente saccente, oltre che ad un colore di capelli altamente discutibile, e doveva essere per forza una di
quelle persone che se non fanno una cosa perfetta sono capaci di perderci il
sonno. Tuttavia, gli aveva allacciato la cravatta, e
questo era un grandissimo passo avanti.
<< Ragazzi arriva! >>
li interruppe poi una voce dal tono squillante. Lanciando una rapida occhiata a Ino, già seduta al suo banco, vide che la ragazza gli
indicava un banco nella fila al suo fianco, quella attaccata al muro. Vi erano
solo tre file di banchi all’interno della classe, tutte formate
da sei banchi ciascuna, e ancora si chiedeva chi era così impazzito da sedersi
di sua spontanea volontà in prima fila, lasciando la terza (dove aveva preso
posto lui) libera fino a prova contraria. E fu solo allora che, aspettando
l’entrata del professore, ebbe occasione di osservare
meglio la classe. Era luminosa, areata e dava una sensazione strana ma
piacevole. Tre finestre fornivano sufficiente luminosità, dalla parte opposta
di dove si trovava lui, affacciandosi su quello che doveva essere in famigerato
giardino interno descrittogli da Shikamaru il giorno precedente; vi era un
campo di atletica in mezzo al verde, con alcuni alberi
al lato nord e qualche panchina sotto di essi.
Probabilmente si facevano lezioni di educazione
fisica all’aperto, a giudicare dalla struttura delle classi.
In lontananza, dalla parte ovest del giardino, la
particolare costruzione della chiesa risaltava nella sua bellezza e, alzando
gli occhi, le punte dei campanili sembravano conficcarsi nel cielo azzurro.
Beh, almeno per una cosa avrebbe dovuto ringraziare sua
madre: come posto era molto tranquillo e il paesaggio suggestivo.
Poi, finalmente, fece la sua entrata in scena il tanto famigerato
maestro ritardatario.
Se avesse dovuto trovare qualcuno di più particolare di quell’uomo non l’avrebbe trovato nemmeno nel pieno del
carnevale di Rio de Janeiro. Aveva dei
particolari capelli bianchi-argentati (non sapeva ben definire quel colore, dato che cambiava a seconda della luce che li colpiva) che
ricadevano tutti dal lato sinistro del viso, coprendo il relativo occhio, su
cui portava una benda.
E, per l’amor del Cielo, anche se era curioso non ne voleva sapere il motivo. Con tutto l’ammontare di
roba strana che deambulava in quella scuola ci mancava
solo l’occhio alieno del professore, che sparava acido dalla pupilla e rendeva
le ciglia come i serpenti della testa dell’Idra. Chissà, forse aveva anche la
capacità di pietrificare le persone.
No, era semplicemente lui che nella sua infanzia tormentata
dalla sorella adolescente con le crisi mestruali, leggeva troppi fumetti per
distaccarsi dalla realtà.
Tuttavia, il professore di per sé non sembrava affatto un alieno e qualsiasi altra cosa extraterrestre avrebbe
potuto, in linea teorica, essere. Aveva il corpo di un umano, tra l’altro in
forma fisica eccellente, e fece il suo ingresso all’interno della classe a
passo tranquillo, vestito con una divisa completamente nera fatta appositamente per i professori, alla quale i pantaloni dal
taglio classico erano stati sostituiti da un paio di jeans chiari. In mano
portava, aperto, un piccolo libricciolo dalla copertina arancione.
Beh, almeno si sapeva vestire.
<< Maestro Kakashi, è in ritardo! >> esclamò
subito Sakura, seduta ovviamente in prima fila centrale, alzando un
sopracciglio e fissando l’uomo con fare polemico.
<< Ah, scusate, scusate!
>> disse subito quello, chiudendo l’unico occhio visibile e portandosi la
mano libera dietro la nuca a mo di scuse. << La sveglia non ha suonato e
ho perso un po’ di tempo per scegliere i pantaloni da indossare oggi. Poi a
colazione i miei toast non erano ancora pronti e ho dovuto aspettare, per
questo ho fatto tardi! >> aggiunse, alzando poi entrambe le mani davanti
al volto, altro comportamento classico di chi deve scusarsi.
Fu allora che, in luce grazie alla posizione, riuscì a
leggere il titolo del volume.
Le Tattiche della
Pomiciata.
…
*Attendere prego, riavvio del programma in corso…*
…
MA COS’ERA?! Un professore che
legge libri della serie “Ichi Ichi” non si era mai
visto! Anzi, quello era davvero un
insegnante?!
Ora sì, poteva veramente dirlo: i miracoli esistevano e si
manifestavano talvolta in dimensioni spropositate.
Poi, lo sguardo dell’uomo cadde su Kiba e, per un
interminabile secondo, il castano rimase completamente immobile a fissare
l’unico occhio dell’uomo che poteva effettivamente vedere.
Lo squadrava, senza distogliere lo sguardo, nemmeno quando
chiuse il libro e lo appoggiò sulla cattedra, insieme alla borsa che si era
portato appresso a tracolla. Continuava a fissarlo con la stessa meticolosità
con cui sua madre sceglieva i mobili nuovi della cucina.
<< Mh… >> esordì poi, Kiba
deglutì. << Strano, non ti ho mai visto da queste parti. Sei nuovo
per caso? >>
Avrebbe giurato che, in contemporanea,
tutti i rimanenti alunni avessero sbattuto sconsolati la testa sui
banchi stile Ouran.
Sì, decisamente i miracoli
esistevano… così come le anomalie sociali: ne aveva la prova davanti in carne
ed ossa. E anzi, quell’anomalia sociale pretendeva di essere il suo professore di Alchimia, dunque ce l’avrebbe avuto davanti per tutto il
resto dell’anno se non intervenivano cause di forza maggiore.
Che potevano essere solamente la
morte e un attacco alieno, come riferitogli dall’ultima telefonata della madre
in cui, al suo “dove cavolo mi hai mandato?” in tono disperato, la risposta
della donna era stata “ti piace”. E no, non era una domanda.
Si era risparmiato di dirgli “guarda, credo che sia più
probabile la seconda…” solamente perché, a volte, poteva anche sforzarsi di
essere educato, con quella scaricatrice di porto stile schiavista di sua madre.
Sotto l’espressione sgomenta di tutti, a bocca aperta per lo
stupore, il professore si avvicinò a lui, poggiandogli una mano fra i capelli
castani e scompigliandoglieli allegramente, sorridendo.
<< Bene, bene! >> aggiunse poi
<< più siamo meglio è! >> esordì cordiale. << Io sono
Kakashi Hatake, novellino. E, se Dio vuole, sono il tuo maestro di Alchimia >> si presentò poi, osservandolo dall’alto
in basso.
Da lontano lo faceva più basso.
<< Kiba Inuzuka >> si presentò brevemente,
portandosi per riflesso le mani ai capelli per risistemarli. << Sarà… un
piacere… imparare da lei, maestro Hatake >> disse educatamente, come
anche nelle scuole pubbliche gli avevano insegnato a
fare.
Più stava lì dentro, più la scuola
pubblica gli sembrava il paradiso perduto. Nemmeno in un
Jurassick Park si sarebbe sentito più fuori luogo. E,
parliamone, piuttosto che incrociare di nuovo Itachi Uchiha preferiva giocare a
nascondino con un Tirannosauro.
Quello sorrise, scompigliandogli nuovamente i capelli con
fare quasi fraterno: << Maestro Kakashi andrà bene, Kiba >> disse,
allontanandosi poi nuovamente verso la cattedra, alle cui spalle troneggiava una lavagna che prendeva quasi tutta la parete.
Eh sì, sarebbe stato un anno mirabolante…
Dopo quattro, interminabili ore di lezione finalmente suonò
la campanella della pausa pranzo.
Quattro ore in cui aveva capito che il cerchio è la figura
perfetta, che il simbolo astrologico del pianeta Mercurio era utilizzato anche
per l’omonimo metallo e che Kakashi Hatake era adatto a fare l’insegnante
quanto lui lo era a ballare il Valzer.
Tuttavia era convinto che, dopo essersi riletto i due libri
degli anni precedenti, che lui aveva saltato in quanto
impegnato a studiare materie più “umane” in tutti i sensi, probabilmente
sarebbe arrivato a capire la materia e a trasmutare un chilo di chiodi in una
statuetta degli Oscar in ferro, come aveva brillantemente dimostrato di
riuscire a fare Sakura.
Ora aveva fino alle due per pranzare, rilassarsi, e
prepararsi per la lezione di Combattimento, che sarebbe avvenuta quel
pomeriggio nel tanto citato cortile interno.
Da quanto aveva capito, le lezioni di Combattimento non si
tenevano individualmente classe per classe, ma avvenivano per raggruppamenti a seconda degli anni. Tutti le quinte
di tutti i quattro corsi non si esercitavano, poiché ormai esperte e perché, al
posto di Combattimento, si esercitavano in maniera più particolare per le loro
materie nel campo apposito situato dietro la scuola.
Di conseguenza, il primo e il secondo anno di Alchimia facevano lezione congiunta, così come il terzo e
il quarto.
Una bella seccatura dal suo punto di vista, dato che il suo stile di combattimento era “particolare”…
anzi, non lo considerava nemmeno uno stile, a dirla tutta.
Pensando che no, dai, non lo avrebbero fatto combattere subito
il primo giorno(!), e stando bene attento ad evitare la presa collosa di Sakura
e Ino (che sì, potevano essere anche in buona fede, ma gli facevano venire
un’emicrania fulminante in tre secondi netti), si defilò
all’esterno della classe, cominciando a ritroso la difficile via per
raggiungere la sala da pranzo.
Teoricamente, seguendo la massa non doveva essere così
difficile.
Tuttavia, nei quaranta minuti che seguirono, imparò
un’importante lezione: non dire “gatto” se non ce l’hai
nel sacco.
Inutile specificare che non aveva trovato
la mensa, finendo invece in chiesa, completamente solo e affamato. Successivamente era riuscito ad arrivare in segreteria,
nuovamente nell’atrio delle classi con i grandi specchi e, sbagliando
corridoio, a ritrovarsi davanti alla porta della biblioteca.
Tutte destinazioni molto interessanti, ma lui in un solo posto voleva andare, ovvero dove
c’era del cibo, cibo!
<< Perché sono destinato a vagare in
questa cavolo di scuola, perché?! >> chiese ad alta voce,
portandosi le mani alla testa.
Destinato era di sicuro la parola adatta. Anzi, calzava a
pennello con l’origine biologica della sua sfortuna e del suo inutile quanto
inesistente senso dell’orientamento alla bradipo assonnato.
Un tegola si sapeva orientare meglio di lui.
<< Non troverò mai la mensa… >>
<< Alle scale a destra poi, all’atrio, a sinistra
>> rispose una voce al suo fianco, incredibilmente vicina a lui.
<< Ah, graz… >> cominciò, voltando poi il capo
nella direzione della voce, soprapensiero. A circa una spanna di distanza dai
suoi, un paio di occhi azzurri come il cielo
emergevano da una zazzera di capelli così biondi da fare invidia al grano
maturo.
Naruto Uzumaki in tutta la sua singolare bellezza.
E, per la seconda volta, decise che
sì, lui doveva essere naturalmente incline ai disastri naturali.
Guidato più dall’istinto che da altro,
face un balzo all’indietro, diventando tutt’uno con il vetro delle grandi
finestre che, così come per le classi, si snodavano lungo tutti i
corridoi.
A quanto pare l’architetto era un
fissato con le finestre.
Uzumaki lo fissò con un sopracciglio alzato, sbattendo un
paio di volte le ciglia. << Perché hai fatto un
balzo indietro? >> chiese, abbassando poi lo sguardo su se stesso,
facendosi una sottospecie di piccolo check-up << ho
qualcosa che non va? >> aggiunse preoccupato e stupito.
Noooo! Sei solo uno dei più forti demoni coda, figurati, non
hai niente che non va…
Kiba sospirò, distaccandosi lievemente dal muro << No,
colpa mia, mi hai colto alla sprovvista… >> riferì, ridacchiando così
falsamente che non solo le carte dei pokémon, ma anche una partita di soldi del monopoli erano più reali di quella risata.
Tuttavia, Naruto non se ne accorse
o la ignorò altamente. << Allora dovresti stare più attento, no? >>
rispose, tendendogli la mano con fare amichevole. << Io sono Naruto
Uzumaki >> si presentò cordiale, attendendo che
Kiba tendesse la sua.
Sempre meglio di Itachi Uchiha,
almeno quello…
<< Ki-Kiba Inuzuka…>> rispose, stringendo la
mano al proprietario del Kyuubi con forza di volontà -10. Dopo l’esperienza non
esattamente piacevole passata con Itachi quella mattina, aveva un po’ di
riluttanza a stringere la mano al primo demone in transito per il corridoio in
cui lui puntualmente si era appena
perso.
Anzi, aveva notato che aveva conosciuto i due più potenti
demoni della scuola (o mezzi demoni, non vedeva dove fosse la differenza)
proprio mentre vagava per i suddetti corridoi.
Eh sì, la sua sfortuna avrebbe mandato in malora un impero
se solo ne avesse avuto la possibilità.
Naruto sorrise nuovamente, ritirando la mano e mettendosela
nella tasca dei pantaloni: << Se vuoi ti accompagno in mensa, io ho già
pranzato >> buttò
lì il biondo, probabilmente per convincere Kiba di essere un bravo ragazzo; fu
in quel momento che Kiba accolse l’occasione di scrutare il biondo che, nel
contempo, si era incamminato verso le scale.
Sua sorella sosteneva che puoi
capire un uomo dal modo in cui porta la divisa scolastica. Se la porta bene
allacciata, a sentire lei, è un secchione o, in alcuni
casi, semplicemente un ragazzo ordinato, dunque discendente da una famiglia per
bene, avente entrambi i genitori e, magari, pure ricca.
Se la divisa era leggermente
slacciata, allora era un ragazzo nella norma. Famiglia di
medio reddito, con entrambi i genitori o solo il padre, stile comodo di
vestire, voti nella media ma non imbecille, di carattere allegro e/o
abbastanza pigro.
Lui e Naruto, osservandolo poteva dirlo, rientravano
in questa categoria.
Come lui, il biondo portava la giacca
della divisa, di quel color bordeaux che cominciava già ad odiare,
completamente aperta. I primi due bottoni della camicia erano slacciati
e la cravatta, nonostante fosse ben annodata, era lenta intorno al collo e
aveva inoltre quel portamento da svogliato cronico che aveva lui alla mattina presto.
Beh… magari non erano poi così diversi.
Decise di seguirlo, anche solo per arrivare sano e salvo
alla mensa e mangiare un boccone prima delle lezioni
del pomeriggio.
<< Allora Inuzuka, come ti sembra questa scuola?
>> cominciò poi Naruto, girando a destra e scendendo le scale, arrivando
al famigerato atrio degli specchi. In lontananza, ogni studente che passava, si
potevano vedere sulla sua schiena ali dal colore grigio spiegate, oppure
compostamente lasciate adagiate lungo la schiena. Era
uno spettacolo mozzafiato…
E, forse, fu proprio a causa di
quello spettacolo che gli scappò detto…
<< Una gabbia di matti >> rispose di getto,
accorgendosi solamente dopo di avere detto una grandissima cavolata.
Però, veramente, era quello che
realmente pensava.
Naruto rise di gusto, piegandosi leggermente su se stesso
per non piangere dallo sforzo della risata. << Sì, posso capire! >>
rispose poi, prendendo fiato fra una risata e l’altra << fa questo effetto a molti! >> aggiunse, non riuscendo a
trattenere una seconda ondata di risate.
Osservandolo, Kiba cambiò completamente idea. Forse era un
demone, questo è vero, o per meglio dire un mezzosangue… ma Naruto non dava
l’idea di essere una persona inquietante come Itachi Uchiha.
Anzi, sembrava quasi un normale… umano.
E sì, aveva la risata contagiosa.
Anche Kiba ridacchiò a sua volta,
sorridendo più sollevato: << e meno male, almeno non sono l’unico a
pensarlo >> rispose, incamminandosi già per le scale, seguito da un
Naruto in lacrime dal troppo ridere.
Una volta arrivati alla fine delle
scale però, Kiba fu costretto ad attendere Naruto per orientarsi. Da dietro il
biondo indicò il corridoio di destra, appena prima del soppalco delle scale da
cui erano appena scesi.
<< Non siamo molto famigliari con il senso dell’orientamento,
vero Inuzuka? >> chiese Naruto, ridacchiando come uno stupido che ha appena trovato il suo divertimento della giornata.
Kiba gli prese velocemente la guancia fra pollice ed indice,
tirando fino a quando la bocca dell’altro non si deformò dall’azione. Non
sapeva perché, ma con quel ragazzo sentiva di potersi permettere comportamenti
simili.
<< Taci Uzumaki, sono qui da
nemmeno 24 ore! >> rispose, lasciandogli andare la guancia fra una risata
del biondo e una sua occhiataccia << dammi il tempo
di ambientarmi e ti farò vedere chi è Kiba Inuzuka! Fiuterò l’odore del cibo
dalle aule, se necessario! >> disse, alzando il mento come se fosse una
stella di Holliwood e mettendosi in mostra.
<< Ah, come un cane da tartufo voi dire!(**) >> ribatté pronto Naruto, riservando a Kiba lo stesso
scherzetto e tirandogli una guancia fino a fargli diventare la bocca ovale.
Il castano blaterò qualcosa di incomprensibile,
che fece spuntare un ghigno malefico in viso a Naruto che, dal canto suo,
utilizzò anche l’altra mano per tirare la guancia di Kiba ancora libera.
<< Sembri un cetriolo! >> lo sfotté Naruto,
osservando i lacrimoni di Kiba per il dolore che stavano
provando le sue povere guance.
<< Lhashabi mhalehchetto! [lasciami
maledetto!] >> bofonchiò il castano, riservando lo stesso
trattamento al biondo e ridacchiando, a dire il vero in maniera abbastanza
inquietante data la forma della sua bocca in quel frangente. << Chi èh il shetcriovo orha? [chi è il
cetriolo ora?] >> rispose, tirando anche le guance del biondo.
Inutile dire che chi passava li prendeva
come due psicopatici e, mentalmente dato uno dei due elementi, gli
consigliavano di andare da uno psicologo. Ma da
uno bravo.
Tutti, tranne l’unica delle poche persone che poteva prendere parola con una presenza come il mezzosangue
Naruto Uzumaki.
Ovvero, chi quel mezzosangue se
l’era scelto come compagno.
<< Si può sapere cosa state
facendo? >>
Sasuke Uchiha, per l’appunto.
Con le bocche stile “acchiappamosche” i due ragazzi,
voltarono lo sguardo in direzione del moro, divisa scolastica impeccabile, che
li osservava con espressione seria. La sua voce, profonda ma non come quella di
un adulto, non rendeva minimamente la sua bellezza quasi eterea, già notata dal castano il giorno prima.
Si lasciarono entrambi contemporaneamente, massaggiandosi le
guance mentre Naruto ridacchiava e Kiba osservava il moro senza proferire
parola. << Niente di che Sasuke, stavo facendo conoscenza con Inuzuka, il
nuovo arrivato >> spiegò Naruto, avvicinandosi al moro per stampargli un
bacio sulla guancia.
Sasuke, come notò Kiba che li stava osservando, sembrò
sciogliersi a quel gesto e, potesse prendergli un colpo, sembrò che un ombra di sorriso fosse comparsa per qualche secondo sul
volto dell’Uchiha, addolcendone i lineamenti in un’espressione dolce.
Ma Naruto faceva quest’effetto a
tutti?!
Fu, però, solamente questione di secondi. In uno sguardo
freddo ora Sasuke lo stava fissando direttamente negli occhi, serio e quasi
seccato della sua presenza.
Era gelosia o cosa quello sguardo?! Cos’è, aveva paura che gli fregasse Uzumaki sotto il naso? Stiamo
scherzando? Lui non era mica… insomma… quello!
Però, ripensandoci… aveva dormito
nel letto di Shikamaru, quella notte. E anche bene.
No, no, no, no, no, no, no! Quello era un caso! E aveva dormito
perché era esausto e, per qualche ragione a cui bisognava assolutamente fare
chiarezza, il materasso di Nara era semplicemente più morbido del suo, per
quello si era addormentato stile sasso e aveva dormito pacifico fino al mattino! Era colpa del materasso!
Ma, nonostante tutte quelle scuse
dette mentalmente a se stesso, non poté fare a meno di arrossire leggermente… e
vergognarsi come un cane.
Doveva chiedere scusa a ciuffo ad ananas (sì, d’ora in poi
sarebbe stato il suo nomignolo per la terribile colpa di avere il materasso più
morbido) per averlo disturbato e aver usufruito del suo letto.
Poi, proprio mentre Kiba si faceva tutti quei problemi
mentali, Sasuke si rivolse al biondo, prendendogli la mano e incamminandosi
verso l’atrio principale. << Andiamo usuratonkachi, non c’è molto tempo prima delle lezioni >> disse solamente,
trascinando Naruto insieme a lui.
Il biondo si voltò in direzione di Kiba, alzando un braccio
in segno di saluto: << domani pranza con noi, Inuzuka! Ti vengo a prendere io, altrimenti ti perdi! >> disse,
sfottendolo ad alta voce.
<< E piantala Uzumaki!
>> sbottò il castano, voltando il capo e avanzando verso la mensa, ora in
vista.
Poteva dire di essersi trovato un amico, almeno.
Arrivò in camera completamente, integralmente e evidentemente sfinito.
Sì buttò sul letto, ancora vestito, chiudendo gli occhi per
un intenso, interminabile istante.
Aveva creduto nel colpo di fortuna straordinario quando la
lezione di Combattimento era saltata perché il professore, a sentire gli altri,
aveva perso una scommessa con il maestro Kakashi e ora stava facendo trecento
giri della scuola in verticale sulle mani.
Si era sentito un alieno in una scuola di matti per i
successivi dieci minuti e poi, saggiamente, dato il pomeriggio di buco si era
dedicato alla lettura del volume del primo anno di Alchimia,
in cui vi era esaurientemente spiegata la nascita etimologica e filosofica
dell’Alchimia nella storia.
Finito l’orario di lezioni, dopo aver perso una partita a
carte contro Ino e Sakura (le donne era meglio lasciarle vincere…), era salito
in camera, aveva letto per un'altra ora, aveva fatto una doccia e si era
vestito per scendere a cena. Semplici jeans chiari e felpa
grigia con il cappuccio, per non attirare troppo l’attenzione.
Cosa che, a suo dire, era successa comunque.
Non gli avevano tolto gli occhi di dosso nemmeno per un minuto, dato che Naruto
si era seduto al suo fianco per la cena e, naturalmente al suo fianco, anche
Sasuke. Seguendo Sasuke poi, anche un certo Shino aveva preso posto accanto a
loro, con una maglia che gli arrivava fino al naso e gli occhiali da sole.
E vabbè, ormai ci si era abituato a
sentirsi circondato da gente strana.
Apprese che la messa vi era solamente due giorni alla settimana, la domenica sera e il giovedì sera, e che
quindi quella sera poteva tornare in camera in anticipo per riposarsi per bene.
Però, una chiacchiera tira l’altra, alla fine quando rimise
piede in camera erano le undici e un quarto passate.
E torniamo, ordunque, al momento in
cui Kiba Inuzuka, stanco morto per l’inizio della sua nuova vita accademica,
era abbandonato sul suo letto.
Aprendo appena un occhi, notò che
avevano provveduto a portargli in camera il televisione e il computer. Ogni
camera era dotata di televisore e di personal pc. Inoltre, sulla sedia accanto
alla porta del bagno, erano stato appoggiati gli
asciugamani da doccia, da lavandino e da bidet puliti.
Certo era che quella scuola aveva un ottimo servizio.
Osservando svogliatamente l’orologio sul comodino, digitale,
decise che non aveva assolutamente voglia di alzarsi per infilarsi il pigiama.
Un pisolino, anzi, se lo sarebbe fatto volentieri.
E poi, si conosceva. Si sarebbe
svegliato in nemmeno mezz’ora, lui non poteva
sopportare di dormire vestito… però ora… aveva solo un gran… sonno…
Saliva lentamente una
rampa di scale illuminata fiocamente dalla luna, senza altre illuminazioni di
nessun genere.
Solo la luce bianca e
lattiginosa della Luna.
Man mano che andava
avanti, quella scala cambiava forma, divenendo inizialmente costernata di
piccoli fiori ai lati -campanule e mughetti era quelli
che riconosceva meglio- per poi tramutarsi in un tappeto erboso, baciato non
più da luce lunare ma da calda, intensa luce solare.
Le scale non erano nemmeno più scale, era ora una collina fatta a gradoni.
Sembrava un mondo
fatto a pastello. In lontananza, fra qualche farfalla volante
e quel particolarissimo boschetto di bambù che, ovunque girasse,
rimaneva sulla sua destra, sentiva alcune voci provenire in mezzo a quello che
pareva rumore d’acqua.
<< …Inuzuka…
>>
Proseguì. Non che
avesse altra scelta, no?
Cercò di lasciarsi
quei bambù a sinistra ma era tutto inutile, anche se andava a destra quel
boschetto rimaneva sulla sua destra.
Strano e seccante al
contempo, tuttavia proseguì.
Le voci, alte e
giocose, provenivano da oltre la collina che ora si trovava davanti, piccola
piccola come quella di un campo da golf, messa lì solamente per impedire alle
palline di passare oltre e andare nel green.
La scavalcò
abbastanza agilmente, trovandosi ora davanti ad un piccolo spiazzo che, in
lontananza, terminava probabilmente in un dirupo. No, a considerare
dalle voci e dal rumore d’acqua, in una pozza naturale di acqua
di falda.
<< I…Inuzuka…?
>>
Era
proprio là, sentiva le voci!
Doveva solo superare
quello stranissimo albero con le radici all’aria e la chioma sul terreno, e poi
era lì.
Poteva sentire le voci
dei suoi ex compagni della scuola pubblica, era sicuro che fossero le loro. Quella acuta di Hiromi e quella semi-profonda di Kaito. Poi
la gracchiante voce di Zuzu -derivato da Kazuhi- resa tale da quattro anni di
sigarette sfilate ai sempai più grandi delle superiori.
Si divertivano
sempre insieme, dovevano farlo anche adesso.
<< Aspettatemi!
>> urlò, cominciando a correre, finchè non arrivò
al ciglio, mettendovici in piedi.
Al
di sotto di lui, i suoi amici
si divertivano. I suoi vecchi amici senza di lui…
<< …ma che cosa…? >>
<< Inuzuka sei…
impazzito? >>
Portò in avanti il
piede destro, pronto a lasciarsi andare…
<< Sasuke!
>>
<< Ci penso io!
>>
…Sasuke?
Che c’entrava Sasuke Uchiha in tutto quello?
<< SVEGLIATI
CRETINO! >>
Aprì poi gli occhi sobbalzando, spaventato dal tono
dell’Uchiha che si era sentito trapassare il timpano.
Forse stava per urlare qualcosa in
risposta, forse per chiedere cosa cavolo ci facesse nella sua stanza nel pieno
della notte… o forse, semplicemente, voleva urlare un “ehi! che
cavolo c’entri tu qui?” … ma, per un ottimo motivo, gli fiato gli si bloccò in
gola insieme al respiro.
Davanti a lui, il viso sferzato dal vento gelido della sera,
il giardino interno dell’accademia si stagliava sotto al suo
piede destro, che era steso all’aria, come se volesse saltare di sotto.
Cosa che, probabilmente, stava
proprio per fare.
<< Cristo! >> sbottò poi, cercando di portare
indietro il peso e sbilanciandosi, il cuore in gola mentre si aggrappava alla
prima cosa a portata, ovvero il braccio di Sasuke che, in piedi dietro di lui,
lo stringeva per la vita tenendolo incollato a sé.
<< Che cazzo ci faccio qui?
>> urlò Kiba terrorizzato, portando indietro le mani e aggrappandosi con
forza alla maglia nera dell’Uchiha, che non lo mollava nonostante la destra,
quella non occupata a trattenere Kiba in una specie di equilibrio
su quel davanzale, rimaneva saldamente aggrappata alla parte alta della finestra,
evitando ad entrambi la caduta.
<< Taci deficiente e prova a calmarti! >> gli
sbottò da dietro il moro, praticamente incollato a lui
dato lo spazio ristretto, dicendoglielo direttamente nell’orecchio. <<
Naruto, tiraci dentro! >> disse poi, voltando appena il capo verso
l’interno.
Se ci fu una risposta, Kiba non la
sentì. Il rumore del vento unito al battito spropositato del suo cuore non gli lasciavano ascoltare altro che la voce di Sasuke che, per la
vicinanza, probabilmente raggiungeva quel numero necessario di decibel da
divenire qualcosa di udibile.
Si sentì solamente trascinato all’indietro, cadendo di peso
sul pavimento insieme a Sasuke.
Si accorse solamente in quel frangente, avendo cambiato
visuale, di essere alla finestra del corridoio delle
camere, appena dopo la scalinata. Riconosceva le vetrate, particolari come i
fiori di mughetto e campanula impressi nel vetro in colori bianchi e azzurri,
alla base di una collina verde sulla quale era raffigurato un angelo ad ali
spiegate, che doveva per forza essere un santo di qualche tipo o con qualche
nome.
Aspetta… mughetti e… campanule?
Si sentì scuotere alla spalla, poi
prendere il volto fra due mani mentre, in quell’azione, si trovò ad
osservare la seconda volta gli occhi di Naruto, preoccupati a morte.
<< Si può sapere che cosa ti è preso? Non ti piace la
scuola? >> chiese, agitato.
Che cosa stava… dicendo? E lui, lui… che stava facendo?
<< Stavo per… buttarmi? >> chiese Kiba stranito,
tornando ad osservare la finestra aperta. << Ero nella
mia camera nemmeno due secondi f- >> ma dovette bloccarsi alla
vista del suo orologio da polso di Naruto che, in maniera netta, segnava le due
e un quarto del mattino.
Aveva davvero dormito così tanto?
Al suo fianco, sbattendo le mani l’una sull’altra per togliere
la polvere, Sasuke si alzò in piedi, osservandolo freddamente dall’alto al basso.
<< A quanto pare sei sonnambulo >> disse
solamente, constatandolo logicamente. Naruto, distaccando solamente una mano
dal viso di Kiba, volse il suo sguardo a Sasuke: << sonnambulo… per
fortuna passavamo di qua… >> lo sentì sussurrare mentre, sospirando, si
rilassava.
No. Mai stato sonnambulo in vita sua. E
poi, quei mughetti…
Tornò con lo sguardo alla finestra e, proprio in quel
momento, gli si gelò il sangue nelle vene.
Sul tetto di fronte, alla flebile luce della luna, una
ragazza stava in piedi sulle tegole. La vestaglia bianca si muoveva
al vento, i lunghi capelli la accompagnavano…
<< Uzuma… >> ma non riuscì nemmeno a terminare
il sussurro che, lasciandosi andare, la ragazza si gettò dal tetto.
E cadde, risolvendo il tutto in un
tonfo sordo sul cemento del cortile interno.
Chapter No.1 ~ End.
* riferito al manga/anime Ouran Koko Host Club.
** in giapponese l’ “inu” di
“Inuzuka” significa letteralmente “cane”.