Looking for
Angels
{ Walk this world
alone try to stay on my feet
Sometimes
crawl, fall, but I stand up cause I'm afraid to sleep
All the
faces are filled with so much anger
Losing our
dignity and hope from fear of danger
After all
the wars, after settling the scores,
at the
break of dawn we will be deaf to the answers }
È stata un'idea di
Angel, trascinare quel vecchio televisore fin nei sotterranei della
città. All'inizio è rimasto piantato in un angolo
a prendere polvere, perché April non aveva tempo di
ripararlo. Ci si sono messi sotto un po' tutti, una spina qua, un tubo
là, improvvisandosi elettricisti in una favoletta che ha
anticipato quelle mandate in onda quando il catorcio ha ripreso a
funzionare.
Hanno tre pellicole. Tre
vecchissimi dvd che ormai si stanno consumando in maniera
irrimediabile. Gojira è il meno rovinato: non lo vuole
vedere nessuno, nemmeno gli adolescenti. Quelli che ormai hanno fatto
il callo agli scoppi degli shrapnel, al silenzio investito da una
pioggia di ghiaccio, ai corpi che qualche volta tornano ad affiorare
sotto barricate di detriti. Dopo la prima missione in superficie, non
hanno più bisogno di un'apocalisse edulcorata dagli effetti
speciali. Diventano sempre più bravi a smettere di fingere,
e a sopravvivere a quella vera.
Poi
c'è l'immancabile Western, decrepito ancora prima che il
loro personalissimo inferno prendesse forma e sostanza nel corpo
meccanico di Ch'rell – di quello è bello solo
l'inizio. Quando il soldato raggiunge l'avamposto della frontiera, da
solo, trovando pace nella compagnia di un lupo altrettanto solitario.
È facile da capire. Facile da rispettare. Facile,
finché non arriva l'uomo bianco a sterminare, con la sua
impeccabile precisione, la tribù indiana, costringendola
all'esilio. Prima di quel momento, il film viene interrotto. Sempre.
Un'egoistica pretesa di non – esistenza della
stupidità del colonialismo, per il quieto vivere della
comunità di ribelli.
Sono
bianchi, neri, asiatici, ispanici, lì sotto. Dal bianco
irlandese della pelle di April fino a quella di un morbido teak di
quell'argentino aggregatosi poche settimane fa, compongono i tasselli
di un'umanità distrutta.
Un tempo
l'avrebbe riempito di soddisfazione, trovare del verde tra quelle
schegge di colore; ma gli anni sono passati, le cicatrici rimangono. A
reclamare, da un atto di guerriglia all'altro, il prezzo di sangue per
la sua sopravvivenza. Tra un po' non avrà più
pelle da far combaciare con le dita confortanti di April.
L'ultimo è il
peggiore di tutti, a suo parere. L'unica pellicola per bambini che
siano riusciti a trovare. Talmente brillante e vivida che la maggior
parte degli adulti, come lo sente nominare, sbuffa, impreca, sputa
– e scappa. Non ne fa loro una colpa: la fuga è un
istinto naturale, l'ultima risorsa della miseria. L'ha adottata anche
lui. Tante volte. Troppe volte. Forse, mai abbastanza.
Quando la bimba gli
è trotterellata vicino per tirargli una manica, la custodia
di plastica sbreccata stretta tra le dita sporche, ha lasciato da parte
la cassetta degli attrezzi e l'ha seguita. Lo stesso stoicismo che
mette nei turni di ronda l'ha dedicato al gruppo di bambini che lo
aspettavano, accoccolati gli uni vicino agli altri, con trepidazione
muta.
I
più piccoli hanno imparato da tempo a non salirgli in
braccio nel momento in cui si accuccia ad un livello accettabile. Lo
fanno ancora con Michelangelo, evitando il braccio monco come se non
esistesse – con lui, no. Si presta volentieri a far ripartire
la tv, ignorando le statiche che pulsano sullo schermo, ma ogni volta
che piccole mani gli si stringono sulla giacca, le allontana con
burbera cautela. Se le districa di dosso, ragnetti pallidi
incredibilmente tenaci per essere tanto scarni.
Spaccar
crani e schiacciare legionari. Questo è l'unico gesto di
affetto che conta. Il suo contributo ad una torma di figurine spente e
arruffate, dagli occhi grandi e visetti smunti. L'ultima generazione di
uomini e donne liberi razzola nella miseria, una storia ripetuta una,
due, trenta volte: luci abbaglianti, urla, fucili puntati, adulti
trascinati via e mani di soldati infilate sotto ai letti, per snidarli
dall'ultimo nascondiglio. Questi, al rifugio, sono quelli a cui
è andata bene. Quelli che hanno solo perso la casa. Oppure
un braccio. Oppure l'innocenza. Sono pochi, pochissimi, rispetto a
quelli che non ce la fanno.
Prima o
poi, Raphael ha smesso di contare i sommersi e ha cominciato a pensare
solo ai salvati. Non hanno bisogno di moine. Hanno bisogno di un mondo
pulito, depurato dal lordume che la guerra getta su tutti loro. Hanno
bisogno di aggrapparsi a qualcosa che li aiuti ad imparare a
sopravvivere.
“Siete seduti?
Finché non piantate giù quei sederini ossuti non
faccio partire un bel niente,” ruglia, nel trapestio di
piedini che cercano un posto. Non gli serve guardarsi alle spalle. Ci
sono bisbigli e spinte, e nasini che colano e gole straziate dai colpi
di tosse. Lamentele, mai. E poi il silenzio.
Schiaccia
l'avvio. Il vecchio logo della Disney tremola, sbiadito, davanti al suo
naso. Titoli di testa. Buio.
“Questa
è la storia di come sono morto. Ma non vi preoccupate, in
realtà è una storia divertente, e per dire la
verità, non è nemmeno mia. È la storia
di una ragazza di nome Rapunzel. E comincia...con il Sole.”
I bambini
si zittiscono a vicenda. Raphael si appoggia al muro, braccia
incrociate, preparandosi all'ennesima manfrina zuccherosa sul
fuorilegge e la principessa nascosta nella torre.
Si
farà scorrere addosso tutto. O quasi.
Flower,
gleam and glow
Let
your power shine
make
the clock reverse
bring
back what once was mine
*
Il Sole fa filtrare i suoi
raggi attraverso le nuvole. Soffia una brezza leggera a spingerle via.
Quando l'ha avvertita attraverso le maglie infeltrite del vecchio
maglione di Casey ha capito che era ora di togliersi di dosso gli abiti
umani e lasciar prendere aria alla pelle. Farsi spazzare via di dosso
il grigiore invernale, le vecchie ferite, le tonnellate di fuliggine
che sono venute giù dal camino quando l'hanno sgorgato da
mesi di fuochi accesi per scaldarsi.
Fa freddo,
ancora, ma è un freddo corroborante. La conferma definitiva
che la primavera è arrivata e passerà presto. Gli
addestramenti sono riprese. Le routine, di nuovo in movimento. Leonardo
ha rifatto il filo a Musashi e Kamiizumi, seduto sotto il portico,
mostrando ad April come si tempra la spada tra la pomice e l'acqua.
Parla ancora poco, ma la sua voce ha smesso di suonare rauca e bassa.
Quando Ape gli ha chiesto di insegnarle il prossimo kata, ha sorriso.
Le spalle di Donatello si sono coperte di spruzzi di lentiggini, da
quando ha cominciato a lavorare all'aperto. Perfino i loro rapporti
sono migliorati, più distesi. Michelangelo
è in moto perpetuo. Quando non scrive, si allena, quando non
si allena cucina. O tampina uno di loro. O va nei boschi. Qualunque
cosa sia, si può star certi che un momento sarà
alle tue spalle, quello successivo non più.
È
una pace illusoria, la calma prima della tempesta. Il risveglio di
sensi intorpiditi da un inverno che ha lasciato loro addosso cicatrici
di geloni e ghiaccio rotto, brividi sottopelle che ancora non si sono
dissolti.
Passerà
molto tempo prima che smetta di vigilare sulla fattoria di Northampon,
quell'ultimo rifugio sgangherato che li ha protetti in quegli
interminabili mesi – ma oggi, accoccolato contro il
comignolo, con gli occhi socchiusi e il viso inondato dalla luce,
Raphael sa che può riprendere a respirare.
La strada
è lunga e costellata di insidie. Presto, torneranno a
calcarla. Nel frattempo, nulla lo fermerà dall'assicurarsi
che la sua famiglia sia al sicuro.
*
Heal what
has been hurt
change
the Fate design
“Eri
il mio nuovo sogno,” soffia il ladro, sommesso. La
principessa piange.
“E
tu eri il mio.”
Raphael
chiude l'occhio buono. Nel chiarore sbilenco dello schermo, potrebbe
quasi giurare di avvertire un calore fievole toccargli il volto in
punta di dita. Ma forse è solo una ventola, uno scarico. Una
sensazione fantasma.
Apre la
palpebra. I bambini sono zitti, aspettano il finale
trionfale. Quando tutto si riaggiusterà, il ladro
tornerà in piedi e porterà via la ragazza dalla
torre. Come tutte le grandi storie che si rispettino, in cui, appena
prima dell'alba, l'oscurità è totale. Completa.
Siamo finiti nella favola
sbagliata, è il pensiero, quasi pigro. Gran finale, il buio trionfa.
Tutti sotto la cenere.
Save
what has been lost
Bring
back what once was mine
Silenziosa,
Angel si accosta al muro, tormentandosi con le dita le ciocche di
capelli tinti di viola stinto. Si salutano con un cenno del capo,
ognuno avvolto nel proprio giubbotto rovinato. Lui la supera di quasi
trenta centimetri. Lei ha le dita incallite a forza di imbracciare il
kalashnikov che le pende dalla spalla. Guardano insieme
spalle ossute che si rilassano, occhi che riprendono a splendere,
sorrisini di vittoria. La vittoria in technicolor su un mondo
che sta andando a puttane.
“Ci
si salva la vita nelle maniere più strane,”
commenta la ragazza.
Raphael
sfiata un sospiro. Sospinge il ricordo da parte, con meno rabbia, meno
tristezza di quanto gli capiti di solito.
“...Già."
E' ora del
suo turno di guardia.
What
once was mine.
{ I became a savior
to some kids I'll never meet
What will
you do to make a difference, to make a change?
What will
you do to help someone along the way?
Just a
touch, a smile as you turn the other cheek
Pray for
your enemies, humble yourself, love's staring back at me
In the
midst of the most painful faces
Angels show
up in the strangest of places }
Looking for
Angels, Skillet.
"Imputo" questa one -
shot a Switch, che, fornendomi il prompt nell'ultima recensione, mi ha
convinto a lavorare anche su Raph. Avrei rischiato di
diventare pedante, se fossi partita dalla stessa situazione, e morivo
dalla voglia di fare qualcosa ispirato a Same as it Never Was. Unite le
due, questo è il risultato. I film citati sono Godzilla -
qui chiamato col titolo originale - , Balla coi Lupi e, come
sicuramente avrete capito, Rapunzel. Ho tenuto la versione originale
della canzone, meglio adattabile alla situazione. I lyrics
iniziali e finali sono degli Skillet. Li amo alla follia e li ho sempre
identificato con questo particolare episodio.
Switch, spero di non
aver stravolto l'idea che avevi. Volevo dipingere Raphael nel suo ruolo
di sentinella, allora come ora, e sottolineare lo stacco. In ogni caso,
ti ringrazio per l'ispirazione.
Kei
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