Craving for Deliverance

di kuutamo
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Il tempo si era fermato, insieme al mio respiro. Il cielo continuava a piangere incessantemente, e il calore tra i nostri petti aumentava, tenendoci in vita. 

Sembrava essere trascorsa un'infinità di tempo, ma in realtà erano passati solo pochi minuti, durante i quali quella strana ebrezza mi aveva cullata, in un altro mondo. Ritornai con i piedi per terra, come se fossi precipitata da una nuvola soffice, un morbido petto nero, e quando ritornai in me capii che tutto quello che stavo facendo era estremamente sbagliato.

Mi alzai di scatto, divincolandomi dalle sue braccia mingherline, che impreparate non fecero alcuna resistenza, e affondai il viso tra le ginocchia. 

La pioggia aveva smesso di cadere, e tutto sembrava esser tornato alla normalità.

" Non posso.." - sussurrai con quel filo di voce imbarazzata. Mi vergognavo da morire, quasi sembravano fandonie quelle che stavano uscendo dalla mia bocca ma dentro mi sentivo strana, diversa. Erano ormai mesi che mi sentivo diversa.

" Non puoi fare cosa? "- mi chiese deciso, raggiungendomi e mettendosi seduto.

" Non posso fare questo…. Mi dispiace" - lui cercò di scrutarmi tra le sopracciglia inarcate e l'espressione corrucciata che avevo in volto. Era pallido, e quando riuscii a guardarlo quasi scoppiai in lacrime dal fuoco che mi bruciava dentro. 

I nostri occhi si specchiarono a vicenda e le rispettive anime entrarono l'una dentro l'altra.

Riusciva a capirmi? Credo di no… Come poteva?

" Ville, mi … Non sono pronta… "

Non smise di guardarmi neanche per un attimo, intento ad esaminarmi…ma nel mio volto non c'era tentennamento, o qualunque cosa che potesse permettergli di dire il contrario di ciò che stavo affermando. 

Per quanto avrei voluto perdermi in lui, non ne avevo la forza.

Era come se la mia mente fosse divisa in due parti, come se ci fossero due gemelle, una buona e una cattiva, e io non sapevo a quale emozione dar retta, ma l'oscurità prevaleva su ogni fronte, e prevaleva anche sulla voglia che avevo di stare con lui, quella stessa voglia che pochi attimi prima era esplosa come una tempesta, e per un attimo era sfuggita alle catene. 

 

Ville ad un tratto si avvicinò, sempre più vicino al volto e lentamente mi diede un bacio a stampo, come se fosse un ultimo bacio, un addio, indugiando per lunghi secondi che sembravano non finire mai. Poi si distaccò e mi prese per mano con dolcezza; nei suoi occhi un mare buio stava prendendo il posto dello smeraldo e mi si strinse il cuore, come in una morsa di ferro e spine.

" Ho capito….. Però- si fermò per assicurarsi che lo stessi ascoltando con attenzione - non dimenticarti che io sono qui… " 

" Grazie.. " - dissi indifesa.

Mi accarezzò il mento e mi sorrise, con qualche nota di tristezza sul volto che suo malgrado notai. Mi strinse a se e insieme guardammo quel sole pallido che stava diradando pian piano le nuvole grigie. Ora c'era una gran pace, ma dentro di me era come se non avesse mai smesso di piovere. Ero contrastata, come bloccata, e la cosa peggiore è che non potevo farci niente. 

C'era un silenzio quasi imbarazzante, così per spezzarlo, e per fare del sarcasmo dissi:

" E poi… Tu sei troppo anziano per me… Ho solo 21 anni" - dissi scherzosamente, o almeno ci provai.

Sentii che il suo petto s'irrigidii sotto la mia spalla. Poi si alzò e mi tese la mano per aiutarmi ad alzare. 

" Già.. Sono proprio un vecchietto per te Matilda… - ora ero in piedi e insieme avevamo iniziato a camminare - proprio un vecchietto… Torniamo a casa, vieni . "

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non mi ero sentito così vivo da non so quanto…come se avessi attraversato oceani di lacrime e sofferenze per trovarla.. Quei baci fugaci erano stati linfa vitale, come se fossero indispensabili alla vita. 

Nonostante tutto però ero malvagiamente contento di ciò che mi aveva detto Matilda, o almeno mi sforzavo di esserlo.  

 

'Non posso' 

 

Da una parte avevo il presentimento che lei non fosse pronta, che le sue ombre la attanagliassero molto più di quanto lei desse a vedere, e ora avevo scoperto che i miei dubbi erano fondati. 

Era senz'altro una bella scusa per scaricare questo fardello.

Dentro di me però mi sentivo male, era come se fossi consapevole di star lasciando andare qualcosa di inestimabile. Era come sabbia fina tra le mie mani, che avrei potuto far smettere di sfuggirmi chiudendo le fessure create dalle dita, ma non facevo niente per fermarla. Così la lasciavo andare.

Questo pensiero faceva male, logorava quella trasandata anima che mi rimaneva dentro, cucita con filo spinato e petali di rosa per attenuare il dolore e rendere soffice la caduta, quando sarei precipitato definitivamente, questa volta, non riemergendone. 

Mentre camminavo verso casa, dopo averla riaccompagnata, pensavo a come sarebbe stato d'ora in poi. Avevo un bel po' di anni alle mie spalle, ma non riuscivo a prevedere se il rapporto fra noi sarebbe rimasto lo stesso. 

Conoscevo Matilda da pochi mesi ma mi aveva stravolto; mi aveva rapito con la sua semplicità, con il suo dolore, con i suoi silenzi. 

Era tutt'altro che superficiale e banale, ma al contrario profonda e sincera, una vera amica. Ecco, ora lo potevo dire. Ma era davvero tale in fin dei conti? 

Arrivai alla conclusione che forse non lo era per nessuno dei due, che l'etichetta di amici d'ora in poi ci sarebbe stata stretta, e che saremmo stati molto più di questo, ma non così tanto oltre da scavalcarne un altro di limite. 

Mi sentivo schiacciato, oppresso come da un peso, e avevo come l'impressione che sarebbe stato così per molto tempo. Era una vita che vivevo in una sorta di dormiveglia, e solo pochi attimi prima mi ero risvegliato, ma puntualmente, ci ero ricaduto. 

Arrivai al pianerottolo e la porta si aprì, così vidi Sandra. 

" Finalmente sei tornato "

Mi abbracciò.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ero un' idiota, e ora lo potevo urlare anche in finlandese se solo avessi saputo come diavolo dirlo.

Un mare di emozioni contrastanti non facevano che bombardarmi e tirarmi ora da una parte e ora dall'altra, come se fossi stata un giocattolo che stava per frantumarsi in mille pezzi. Erano quelle le emozioni che avevo intuito per mesi e mesi ma a cui non avevo mai dato voce. Ora erano loro che mi controllavano e che mi sormontavano, torreggiando su di me come arpie malefiche che strappavano con i loro artigli lembi della mia carne. 

Dopo l'iniziale e totale confusione in cui mi avvolse il bacio di Ville, una serie di domande silenziose si erano insidiate nella mia testa, una più spaventosa e dolorosa dell'altra.

La verità è che stavo ancora male, non mi era mai passata e me ne ero accorta solo dopo, quando era tardi, ma in un certo senso anche presto.

Ero ancora sporca, sporca di sangue, polvere e terra, come quella maledetta sera. La vecchia me era morta in quello squallido parcheggio ed ora mi reclamava. Era come se la mia stessa voce, sdraiata e inerme mi chiamasse, come se mi sussurrasse senza forze di ricordare e di non dimenticare. 

Chiusi gli occhi. Le ciglia non riuscivano a contenere, ne a smorzare quelle lacrime di fuoco che sembravano ardere come fiumi di lava sulle mie guance. 

Capii solo in quel momento che mi ero sbagliata. 

Avevo bisogno di Ville in un modo esasperato e senza speranze. Lui era l'unica ancora di salvezza, l'unica barca che avrebbe potuto condurmi verso la vita, verso quella luce che era scomparsa insieme alla mia anima, proprio quella notte. 

Mi alzai repentinamente togliendomi la coperta di dosso, presi le chiavi e iniziai a correre a perdifiato in direzione della torre.

L'ossigeno riusciva a malapena ad arrivare al cervello e a permettermi di restare lucida, la milza iniziò a fare male con fitte dolorosissime che mi attraversavano interamente a ogni piccolo movimento che facevo. L'unica cosa che riuscivo vagamente a vedere davanti a me era il momento in cui l'avevo visto per la prima volta, il nostro primo incontro. Ormai percorrevo la strada a memoria, meccanicamente.

Arrivai alla torre e mi fermai davanti alla porta a riprendere fiato. Mi piegai in due per la fatica, ma con le ultime energie rimaste, sollevai la mano tremante e pigiai il campanello nero che emise un suono debole e vibrante, quasi scricchiolante.

I secondi passarono ma non sentii alcun passo venire nella mia direzione. Ormai mi ero quasi totalmente ripresa, e appena ritornarono anche le mie facoltà mentali di base iniziai a guardarmi intorno e sul serio a pensare che non ci fosse nessuno in casa. Tutto quell'ammazzarmi per rimanere a bocca asciutta, di nuovo, visto che letteralmente ci ero già rimasta con quella corsa disperata. 

Scesi i gradini, ormai delusa, e feci per avviarmi sulla via di casa ed uscire dal giardino, quando sentii una voce provenire dall'alto. 

Allora, mi allontanai ancora di più dalle mura dell'edificio, per riuscire a vedere meglio. Mi allontanai, sempre più, spostando il terriccio intorno ai miei piedi, con fare assolutamente goffo.

Alzai il capo e vidi due figure sulla terrazza che parlavano tra di loro ad alta voce, ma non abbastanza rumorosamente da percepire ciò che si dicevano. Appena misi bene a fuoco mi accorsi che era Ville, e che la ragazza avvinghiata al suo braccio era Sandra. Ville sembrava perso come sempre nei suoi pensieri, incorniciato dal cielo e dalle nuvole che assumevano un colore simile all'arancio; lei aveva un'aria corrucciata, ma improvvisamente si mosse torreggiandolo con le sue braccia, brandendolo, quasi come una spada, una spada che trafiggeva il mio cuore e mi faceva sanguinare. 

Il tempo di un battito di ciglia e quello che vidi l'attimo dopo mi fece sprofondare, morire, ribollire il sangue dalla rabbia e poi morire di nuovo, con quella stessa spada conficcata nel petto. 

I miei occhi ormai erano opachi, come velati e tutto ciò che vedevano era Ville, che baciava appassionatamente un'altra donna..proprio come aveva fatto con me poche ore prima, sotto quella pioggia infinita. Ogni secondo sembrava incandescente, come un ferro che imprimeva il timbro di quelle immagini nella mia mente, per sempre.

Mi mancò l'aria, barcollai.

 

'Allora era vero, era tutto vero '

 

Tutto quello che riuscivo ad immaginare in quel momento non era rabbia.

 

Tutto quello che riuscivano a vedere i miei occhi velati e la mia mente offuscata, era il ricordo del nostro primo incontro. 


                                   








Note:

Ebbene si, questo è il capitolo finale della ff.
Il titolo è preso da Snuff degli Slipknot, ed è un verso che mi piace particolarmente; inoltre ho immaginato, mentre stendevo questo capitolo, che Matilda avesse in testa queste precise parole mentre pensava a Ville, prima della sua corsa disperata.
E visto che questa è una ff mooolto musicale c'è un'altra chicca. Per le ultime righe vi consiglio di ascoltare Wonderwall, nella versione di Ryan Adams, ed in particolare mi sono sembrate perfette le ultime note di pianoforte, che nella mia mente somigliano ai battiti mancati del cuore di M.
Come avrete notato, ho inserito una seconda immagine; l'idea è nata tempo fa, ed ho pensato di disegnare delle vignette per rappresentare ancora di più la mia visione del loro primo incontro.

Spero vi sia piaciuta questa storia e sono curiosa di leggere commenti e recensioni.
Ringrazio tutti quelli che hanno letto ma soprattutto seguito la ff e recensito costantemente, come darkyuna. 

Kiitti.
Heippa!

 





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