Tuo
Premetto
di non aver mai scritto nulla ambientato nell'antico Egitto (se
escludiamo un paio di brevissime OS della mia raccolta Think Angst)
perchè ho sempre paura di non riuscire a rendere bene
l'atmosfera di una corte reale di tre millenni fa, di finire con
l'inventare situazioni storicamente inesatte, di cadere nella
banalità ecc. Però ultimamente è
diventato un po' il mio fetish: ogni volta che una nuova idea per una
storia guardacaso riguarda l'antico Egitto e una di quelle
più martellanti è la vita passata di Atem. La sua
famiglia, i suoi amici, la sua giornata, i suoi sogni, le sue paure, i
suoi amori... Sono capitoli della sua vita di cui non sappiamo
praticamente nulla e su cui mi piacerebbe tanto poter fare un po' di
luce. Ecco come nasce questa storia, la cui protagonista è
un personaggio da me inventato ma verosimile: la sposa reale di Atem (e
poi ho dovuto ficcarci Yugi perchè lo sappiamo tutti che
senza quei due insieme io non vivo).
Spero
vi piaccia,
buona
lettura!
-o-X-o-
È
sera ormai.
Il vento
caldo di Akhet sfiora le tue guance abbronzate.
Scompiglia
le tue chiome colorate.
Fa
socchiudere i tuoi occhi preziosi.
Agita le
tue vesti di lino finissimo.
A cosa
pensi o faraone? Cosa turba la tua mente, cosa sconvolge il tuo cuore? Chi sconvolge il
tuo cuore?
Ti vedo,
in piedi sulla
grande terrazza della nostra stanza, nel lussuoso palazzo della
capitale. Circondati da natura verdeggiante e stoffe preziose, cibi
raffinati, musiche suadenti, libri antichi, soffitti dipinti dagli
artisti più noti, migliaia di servitori, migliaia di
sudditi.
Siamo nel lussuoso palazzo di Tebe. Nel tuo palazzo. Tutto qui
è
tuo. Sei il farone in fondo. Tutto ti appartiene. Anche io, sono tua.
Eppure lo
so, fra tutte le
cose che possiedi faresti volentieri a meno di possedere me.
Soprattutto quando devi farmi tua davvero. Allora lo vedo: vedo i tuoi
occhi rosso rubino, sempre così luminosi, spegnersi a poco a
poco, il luccichio della lussuria li accende per un attimo, nel momento
più intenso, ma non è nulla in confronto alla
loro solita
luce. Vedo la tua bocca bellissima piegarsi in quella smorfia di dolore
e costrizione e mi verrebbe da piangere, perché un faraone
non
dovrebbe mai sentirsi costretto, mai sentirsi in trappola. Ed
è
così che io ti vedo, o mio sposo: in gabbia.
Oh, credi
che non abbia mai
concesso il mio corpo a un altro uomo? Per tutti i miei amanti queste
mie braccia, questo mio petto sono un dolce rifugio. Per te una
prigione insopportabile.
Il vento
ti scompiglia un
ciuffo ribelle, ti scopre una porzione di viso e gli ultimi raggi
dorati del sole che tramonta mi permettono di vedere le tue labbra.
Stai sorridendo. E credo di sapere perché.
Fai un
cenno con la mano,
ricevi una risposta, impercettibile poi rispondi a tua volta,
abbassando il capo in segno di assenso. So cosa stai dicendo:
sì, è tutto finito, hai assolto ai tuoi doveri
anche per
oggi, sì, dopo potrete incontrarvi, sì, lo ami
anche tu,
no, lei dorme.
Ti
appoggi completamente al
parapetto di argilla rossa, ma io ti vedo. È un bacio quello
che
gli stai inviando, e se non ho perso ancora del tutto il mio senno, lui
ti avrà risposto.
Ecco chi
sconvolge il tuo
cuore. Un giovane di cui non ricordo nemmeno l’estrazione
sociale, ma era un tuo cugino se la memoria non mi inganna.
È
carino sai, sì: ovvio che lo sai. Ti somiglia
così tanto,
con quei suoi capelli colorati proprio come i tuoi, il portamento fiero
eppure meno regale, lo sguardo intenso eppure più dolce.
Coraggio
mio splendido
marito, presto potrai lasciare queste odiate stanze che devi
condividere con la tua sposa reale, potrai andare ad abbracciare il tuo
amante, ridere con lui, raccontargli quanto ti sia mancato, gioire
della sua risata dolce e cristallina, dei suoi occhi color notte, della
sua pelle ambrata. Potrete poi giocare a rincorrervi come due ragazzini
al loro primo amore, ritrovarvi in un cespuglio, in un angolo remoto
del giardino quando ormai è già buio e fare
l’amore
sotto la luce delle stelle e la complicità silenziosa della
luna.
Io non mi
opporrò.
A che
serve?
Un
faraone possiede tante
cose, possiede il suo regno, i suoi sudditi, le sue mogli. Ma resta pur
sempre un essere umano, anche se la tradizione vuole che sia un dio. E
tu, mio, e forse non così mio, amato sposo sei pur sempre un
ragazzo di diciassette anni. E come ogni ragazzo di questa
età
hai bisogno delle tue avventure e del tuo amore impossibile per fuggire
alle responsabilità, troppe, che già pesano sul
tuo capo. Per dimenticare, nei dolci momenti che trascorrerete insieme,
chi tu
sia veramente.
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