Paure
e Realta'
Non si erano mai visti eppure ai loro occhi, loro, erano
familiari.
Incontroscontro. Occhi che non avevano più colore, si
fondevano, facevano l’amore di continuo. Di quella
stanza buia lui era il mio unico raggio di luce, il più
forte.
Non c’erano parole per aria, i nostri corpi
stavano distanti, eppure quei nostri sguardi si giuravano il per sempre
e le nostre anime si stringevano forte, fino a fondersi. Io
era ancora distante, in quella stanza che ai miei occhi diveniva quasi
infinita. Eppure il mio cuore già scoppiava, come in una
festa di paese in cui i botti scoppiano e forse spaventano ma colorano
il cielo e più fanno rumore più emozionano. I
miei passi divenivano sempre più certi ed il mio naso si
affinava, il suo profumo era già nell’aria e tutto
sembrava essere perfetto. L’emozione mi impietriva ma cercavo
di annullare il battito naturale delle palpebre per non perderlo, per
la paura che tale perfezione, che tale fortuna, fosse solo un
meraviglioso sogno. Perché a me? Perché in quel
momento? Mi chiedevo, e nel silenzio di quella stanza quelle parole
rimbombavano in testa quasi a tagliarmi il petto come un brutto ricordo
che non vuole andare via, tutto era costante ma mai ripetitivo,
scontato e noioso. Ciò che ci legava ormai era scritto, era
una promessa che nessuno avrebbe mai potuto sciogliere.
Finalmente a
separarci era solo qualche palmo di mano. I nostri visi adesso erano
vicinissimi e avevano messo a nudo quegli animi che risultavano, ormai,
intimiditi dagli occhi che l’osservavano da tempo. Abbassammo
lo sguardo e accennammo un lieve sorriso che celava
l’allegria più grande, la gioia più
maestosa, la voglia di urlare che tutto l’amore del mondo ci
aveva investiti e che noi glielo avevamo permesso. Le
nostre mani si
sfiorarono delicatamente ed ai nostri occhi il mondo scomparve, nessun
contorno era più presente, esistevamo solo noi che
divenivamo sempre più invincibili, sempre più
forti giorno per giorno. Ci accarezzavamo quasi involontariamente e ad
ogni cenno, ogni gesto, l’altro moriva ed i nostri occhi si
spegnevano quasi come a ricordarci, gelosamente, che adesso ci
appartenevamo.
Ma la perfezione che investiva da
sempre quella stanza, piena di silenzi e premure, iniziava a
sgretolarsi come sabbia che pian piano asciuga al
sole.
Era sicuramente inverno, lo si percepiva
dall’umidità che abbracciava le vetrate e dal fumo
che affannoso usciva dalla mia bocca, quasi come avessi corso per ore,
il mio cuore ancora una volta scoppiava. I nostri ricordi ci
avvolgevano e facevano da tetto a quella realtà che ci stava
allontanando. Stracci di vita mi martellavano la testa, lo fissavo ma
non avevo il coraggio di aprire bocca, non era possibile, speravo
vedesse quello che io vedevo, speravo sentisse quello che io
sentivo. Lui era ancora la mia certezza. Sgranai gli occhi e ancora
più affannata tenni la bocca aperta cercando di ritrovare il
battito regolare del cuore e sperando in una sua reazione. Mi girai
lentamente verso le vetrate, da una goccia
d’umidità, che aveva rigato il vetro, penetrava un
raggio di luce, circondato da verde e da alberi che alludevano alla
libertà più pura. Fuori tutto luccicava, dentro,
la grandine mi stonava, mi stuzzicava, mi distoglieva lo sguardo da lui
che continuava ad ignorarmi pur sapendo di essere la chiave alla mia
quiete. Inarcai le sopracciglia incredula, il tutto mi uccideva ma
dovevo chiedergli il perché. Il battito del mio cuore
improvvisamente tornò regolare e l’affanno divenne
quasi assente, lui continuò a restare impassibile eppure non
ebbi bisogno di chiedergli nessun perché, mi
iniziò a pizzicare la punta del naso, il mento divenne
sempre più tremolante, il mio viso arrossì e con
esso anche i miei occhi che presto si riempirono di lacrime calde fino
a traboccare. Cercai di rifugiarmi nella più marcata
impassibilità ma tutto, ormai, era troppo evidente.. anche
il mio cuore singhiozzava eppure non gli avrei mai portato rancore
perché al suo per sempre, io, non avrei mai smesso di
credere. Ormai tutto era chiaro, iniziai a piangere e stupidamente mi
sentii come una bimba che lascia la propria madre per il primo giorno
di scuola, abbandonata dalle proprie fondamenta. I miei piedi
sembravano quasi inchiodati al pavimento ed io iniziai a strattonarmi,
stendendogli una mano, come a supplicargli aiuto, fissai la sua
incantevole compostezza, fissai quel raggio di luce che le illuminava i
capelli e parte del viso fino a renderlo ancora più bello di
quanto non lo fosse già. Soffrivo, mi disperavo ma i miei
passi stavano immobili ed il pavimento ai miei piedi si moltiplicava.
All’improvviso tutto divenne pesante e gli occhi si
appesantirono, guardai le pareti sembravano volessero sciogliersi,
adesso non c’erano più, ne le pareti e ne il
fuori, era rimasto solo un lungo corridoio e lui che di quel corridoio
costituiva il mio orizzonte diveniva sempre più sfocato,
come un fotogramma, gridai aiuto ma fu del tutto inutile e
poi… ad un tratto uno scoppio, il mio petto bruciava, le mie
orecchie erano confuse, tutto girava e l’azzurro dei suoi
occhi ormai era perso, perso per sempre. Tutto si fece nero, buio pesto
ed io caddi per terra in un sonno profondo.
Non so precisamente quanto
tempo passò, riaprì gli occhi che impastati dalle
lacrime e dal sonno facevano fatica e riaprirsi del tutto, ma fecero
presto. Quella stanza non era la sola adesso, la luce di fuori era
anche dentro e c’era un tavolo, delle sedie e persino una tv,
le mie gambe erano sempre più leggere adesso e dalle
orecchie sentii il battito regolare del mio cuore. Uscì da
quella stanza e mi imbattei in un breve corridoio. Iniziai a sentire un
profumo intenso al quale mi venne istintivo seguirne la scia
così entrai in un’ altra stanza. Adesso nessun
fotogramma, Lui era lì, dormiva beato tra quelle lenzuola
che erano obbligate ad abbracciarlo tutte le notti. Il suo profumo era
così intenso che sorrisi naturalmente, cercai di non fare
rumore ma il mio cuore lo preferiva sveglio. Lui era di nuovo
lì, lui non era andato mai via. Finalmente si
svegliò, mi avvicinai e gli raccontai tutto quasi
elemosinando il suo amore, mi guardò, sorrise, mi
baciò la fronte e accennando un’aria maestra
esclamò:
<< Hai
fatto brutti sogni perché hai bevuto!
>> ma io fino ad allora non ci
avevo creduto.
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