Niphredil 1
Capitolo Primo
Dimrill Dale
Il campo di battaglia è avvolto dalla penombra nebbiosa
dell’inverno. Il sole splende pallido nel cielo plumbeo, senza riuscire a
scacciare il gelo.
L’elsa dell’ascia è resa scivolosa dal sangue degli orchi
uccisi.
Le grandi porte di Moria proiettano la loro ombra sul campo
di battaglia, dove riecheggia lo stridore delle armi e dove le grida di guerra
si mescolano ai gemiti strozzati di agonia.
Thorin cala l’ascia, mozzando la testa di un orco. Il nemico
cade a terra, mentre il sangue gorgoglia dalla gola tranciata. Ma non appena
uno è abbattuto, altri due prendono il suo posto.
Il nano comincia a credere che non finirà mai, che la
battaglia di Dimrill Dale andrà avanti fino alla fine del tempo stesso.
Stringe la presa sull’impugnatura dell’arma e, con uno
scatto, affonda la lama nel torace di un orco.
Sangue nerastro e maleodorante gli imbratta l’armatura.
Ad un tratto, uno sfarfallio luminescente attrae la sua
attenzione. Non ne identifica subito la fonte, ma un altro dardo di pura luce
sfreccia nell’aria.
Poco lontano da lui, un elfo femmina lancia pugnali di
metallo argentino. Ha anche una spada corta, sulla cui lama scintillano rune
iridescenti.
Thorin le si avvicina, menando fendenti con l’ascia e
lasciandosi alle spalle una scia di cadaveri.
L’elfo femmina sembra un miraggio, un pessimo scherzo della
sua mente stanca.
Lentamente, impercettibilmente, l’avanguardia nanica sta
indietreggiando, provata dalle perdite e dalla schiacciante superiorità
numerica del nemico.
Mentre ripiegano sul vicino bosco, la giovane dalla lama
splendente scompare, nel folto della battaglia, tanto che Thorin si convince di
averla immaginata.
Nessuno elfo verrà in
aiuto dei nani, nemmeno oggi.
I nemici sono dappertutto e Azog, l’inarrestabile orco
pallido, troneggia sulle sue truppe, terribile ed inquietante come uno spettro
implacabile.
Arrivano ad ondate, ricacciando indietro i nani, stremati
dal lutto e dalla fatica.
Improvvisamente, rivede l’elfo femmina. Ha riposto i pugnali
e tiene levata la spada, mentre sostiene un nano, gravemente ferito. Thorin
trattiene il fiato nel riconoscere nel guerriero suo fratello minore, Frerin.
Il sangue del suo sangue rende rossa l’armatura della giovane straniera.
Una volta raggiunte le fronde verdeggianti del bosco,
l’armata nanica può fermarsi e riorganizzarsi.
Thorin crolla seduto su un vecchio ceppo, con un lungo
respiro.
L’elfo femmina lo raggiunge, a passo leggero. La spada
ticchetta delicatamente contro l’armatura e le rune brillano come frammenti di
stelle. I suoi capelli sono lunghissimi, di un biondo tanto pallido da sembrare
bianco. Sono serrati in una robusta treccia, che le si adagia sull’incavo della
spalla.
- Sei venuta a farti beffe di noi, elfo femmina?- ringhia
Thorin, vedendola avvicinarsi.
- Sono venuta a combattere.- ribatte lei, stringendosi nelle
spalle - anche una sola lama è importante, quando se ne hanno poche a
disposizione.-
- Da dove?-
- Dal Reame Boscoso. O da più lontano. E’ molto tempo che
non ho una casa.-
- Allora sii la benvenuta, pellegrina.- il nano si volta,
allungandole una mano - io sono Thorin.-
Lei sorride e i suoi occhi verde pallido, per un attimo, si
addolciscono:- Niphredil.-
Si stanno stringendo la mano quando un guerriero, scuro in
volto, si avvicina a Thorin. Ha la corazza ammaccata e lurida di sangue, fresco
e rappreso. La sua voce vacilla solo per un istante, ma la sua espressione
rimane salda e stoica.
- Mio signore…- dice, chinando il capo -… si tratta di
vostro fratello. I nostri medici hanno tentato ogni cosa, ma le sue ferite sono
terribili. Credo che presto si riunirà ai nostri avi.-
Niphredil non parla. Rimane in disparte, con le mani
raccolte in grembo e gli occhi lontani. Sa che sarebbe inutile pronunciare
parole di cordoglio, che suonerebbero ipocrite e retoriche dalle labbra di una
straniera. Così tace, guardando Thorin senza vederlo.
Il nano lo sta conducendo verso uno spiazzo poco distante,
dove i guaritori si affaccendano per arginare le perdite. L’odore del sangue è
penetrante, eppure uno strano silenzio permea l’aria. I guerrieri feriti non
gridano, né si lamentano. Qualcuno impreca, maledicendo gli orchi. Chi può
ancora farlo sistema le armi o discute di strategia.
Frerin giace su una stuoia. Le sue ferite sono state bendate,
ma il sangue ha già scurito le bende. Un filo scarlatto gli esce dalle labbra,
perdendosi fra i ciuffi della barba.
Stringe le dita a pugno ed ogni respiro è un’agonia, ma il
suo sguardo è ancora lucido.
Thorin s’inginocchia al suo fianco, toccandogli una mano.
- Un giorno - ansima Frerin - un giorno mi vendicherai. Un
giorno banchetterai di nuovo nelle vaste sale sotto la montagna.-
Gli occhi di Thorin sono asciutti, privi di lacrime. Stringe
la mano del fratello, sentendola gelida al tatto. La presa di Frerin è debole e
bagnata di sudore freddo.
- Raggiungi con fierezza le case dei nostri antenati.-
pronuncia.
Resta accanto al nano, anche se sa che il loro addio è
compiuto e che non ci saranno altre parole.
Mentre il respiro di Frerin si fa più affannoso, Thorin
cerca di ricordare la loro giovinezza, ad Erebor. I combattimenti, le canzoni,
il fasto del regno sotto la Montagna.
Ricorda il vigore di suo fratello, nelle battaglie combattute
fianco a fianco, coprendosi le spalle a vicenda.
Pensa a loro sorella, Dìs, che non piangerà, perché la loro
stirpe è forte e salda come la pietra.
Frerin esala un ultimo, doloroso sospiro, poi giace
immobile, con gli occhi fissi al cielo plumbeo.
Thorin veglia sul cadavere per qualche minuto, racchiuso in
un silenzio pieno di amari ricordi, poi permette agli altri nani di portarlo
via e comporlo lontano dal campo di battaglia.
Se la stirpe di Thràin sopravvivrà, Frerin avrà gli onori
funebri che merita.
Poco lontana, Niphredil si sente osservata, così si alza e
s’inoltra nel folto della foresta.
Da qualche parte, oltre gli alberi, si cela il Mirolago
dalle acque blu.
La giovane ne sente il profumo e il delicato sussurrare,
nell’aria.
I suoi stivali non producono rumore sul tappeto di foglie e
terriccio.
Il basso rumoreggiare del popolo nanico non si sente più,
quando il verso di un animale attira l’attenzione di Niphredil. La guerriera
oltrepassa due alberi secolari e si trova a guardare negli occhi un enorme
alce, dal portamento nobile e dalle maestose corna.
I suoi occhi brillano di un’intelligenza profonda, molto più
che umana.
- E tu cosa ci fa qui?- chiede Niphredil, dolcemente,
accarezzando l’animale sul muso.
Una mano sottile ma forte le si serra al polso, mentre una
voce sussurra, contro il suo collo:- la stessa cosa potrei chiedere a te.-
La Coda: - La Matta- è tornata!
Forse vi ricorderete di me (una volta mi chiamavano Chary) per le demenzialissime e ahimè
incompiute “cronache di Andael”, che mi riprometto sempre di riprendere ma che
andrebbero rimesse a posto da pagina uno, con un notevole lavoro di
rielaborazione.
Consigli e critiche ben accette.
Sopratutti i recensori più pignoli sono i benvenuti, poiché
provo grande stima per chi lima i dettagli.
Bene, detto questo spero che il prossimo capitolo sia
vagamente più significativo di questo (e con meno nani morti, ma non posso
promettere!)
Un bacio!
- La Matta-
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