«Se solo
potessimo vedere l’infinita catena di conseguenze derivanti
da ogni nostro minimo gesto.
E invece ce ne rendiamo conto
soltanto quando rendersene
conto non serve più a
nulla.»
▪John
Green▪
◊
CAPITOLO I ◊ Scream
a little louder.
Spesso
quando ti ritrovi a guardarti indietro, capisci quante sono state le
cose sbagliate, quanti gli errori che potevano essere evitati. Eppure,
in quel momento eri troppo accecata per capire, troppo accecata per
essere razionale. Vi chiederete da cosa? L’amore.
Ah, quante ne ha combinate quel sentimento, in molti credono che sia la
rovina del genere umano, altri che ne sia la salvezza. Tante sono state
le guerre e battaglie decantate in nome dell’amore, tanti i
poeti che ne hanno tessuto le lodi. Eppure… eppure
l’amore ci può portare alla devastazione di noi
stessi, può elevarci sino al cielo e scaraventarci a terra.
Forse era questo quello che pensava Dianne ogni volta che scorgeva la
propria figura attraverso lo specchio, nei suoi occhi era possibile
trovare l’alone della tristezza. Dell’amore che
l’aveva portata ad autodistruggersi.
Nonostante fosse fine Agosto, nel Vermont le temperature erano
già miti, era una delle caratteristiche che Dianne
più amava di quel posto. Spesso sentiva di andare
controcorrente, tutti amavano il caldo, l’estate, il sole,
mentre lei apprezzava le temperature più fredde, il modo in
cui il vento le si scontrava contro il viso pungendole la pelle.
Probabilmente di quel posto apprezzava solo quello, poiché
viveva nel bel mezzo del nulla. Westfield era il paese meno popolato
della contea di Orleans e questo non permetteva molto margine di
scelta, sia per le amicizie che per gli intrattenimenti.
Però Dianne era stata fortunata, nonostante quel posto fosse
un buco, lei era riuscita a trovare qualcuno che la faceva stare bene.
Austin.
Austin Evans era il figlio dell’unico dottore presente a
Westfield, si erano conosciuti quando entrambi avevano sedici anni e,
ora che ne avevano diciotto, la loro storia continuava a procedere come
sempre. Dianne ricordava ancora i batticuori dei primi tempi, come si
sentiva ogni volta che Austin le sfiorava la mano, o come era stato
bello scoprire che lui si era accorto di lei.
Forse era questo il problema, tra le loro personalità
c’era un abisso. Dianne era la persona più
semplice del mondo, nei suoi modi di fare o di vestire, non puntava mai
al mettersi in mostra, amava perdersi nei suoi libri e seguire tremila
serie tv in contemporanea, era solare e ogni cosa riusciva a prenderla
con un’ironia che a molti sfuggiva.
Austin, invece, era il tipo ragazzo che si può trovare in
ogni posto, alto, spalle larghe e lineamenti ben delineati. Era sempre
sicuro di se stesso e questo lo portava a sentirsi superiore a ogni
creatura ci fosse al mondo, sin da piccolo era stato cresciuto con
l’idea che lui sarebbe stato il migliore. Suo padre aveva
scritto il suo futuro prima che Austin iniziasse a parlare, sarebbe
diventano anche lui un medico e a lui stava bene così.
Dianne ricordava ancora come, al principio di tutto, la sua migliore
amica Jude le avesse chiesto cosa ci vedesse in lui e lei completamente
accecata da quel ragazzo con gli occhi verdi non riusciva nemmeno a
trovare le parole giuste per descriverlo, ogni aggettivo sembrava
troppo banale per raffigurare il modo in cui lui la faceva sentire.
Però pian piano le cose erano cambiate. Dianne era
consapevole di non essere perfetta sotto molti aspetti e quello
più evidente era quello fisico, fianchi troppo larghi, seno
inesistente e una lista infinita di difetti che ogni giorno si trovava
ad aggiornare. Austin riusciva a farla sentire amata nonostante tutto,
pensava che forse avesse trovato qualcuno in grado di non fermarsi solo
al pensiero di stringere tra le braccia un manico di scopa, ma che
qualche chilo di troppo non era poi il male.
Solo che quella era un’illusione.
Ricordava ancora il primo commento del ragazzo, il modo in cui si era
sentita. Era una sera d’estate, Dianne aveva indossato un
prendisole colorato che lasciava scoperte le spalle, lui
l’aveva osservata con un sorriso e poi le aveva poggiato
entrambe le mani sulle spalle.
-Amore, forse stasera è meglio non andarci pesante con la
cena.- Le aveva detto.
Dianne lo aveva osservato con un’espressione confusa sul viso
e Austin, notandola, aveva aggiunto con il solito sorriso.
–Non vorrei correre il rischio di dover comprare dei rinforzi
per le gomme dell’auto. – E poi aveva riso come se
quella fosse stata la battuta del secolo.
Lei ne era uscita ferita, mai si sarebbe aspettata di sentirsi dire una
cosa del genere da lui. Il modo in cui aveva riso era stato ignobile e
Dianne aveva avuto la tentazione di buttargli la testiera dei fiori in
testa.
Ma qualcosa l’aveva spinta a non farlo: l’amore. Lo
stesso che trova una giustificazione a ogni cosa.
Man mano che il tempo passava i commenti di Austin diventavano sempre
più pesanti e diretti, prima la demoralizzava e poi la
baciava. Prima le buttava in faccia ogni difetto che vedeva e poi
tentava di scoparsela. E lei trovava solo giustificazioni ai suoi
comportamenti, a ogni parola che la feriva subentrava un “lo
dice solo per me, lui mi ama e vuole che io stia bene”, ma i
suoi commenti erano qualcosa che Dianne non sapeva gestire.
Fu per questo che si trovò a toccare il fondo.
Il ricordo di quel momento probabilmente resterà impresso
nella sua mente fino alla fine dei suoi giorni.
Era una sera come un’altra, dopo aver terminato la sua cena
Dianne si era alzata da tavola e senza dire molto ai suoi genitori, era
andata in bagno chiudendo la porta a chiave.
Ricordava ancora lo sguardo disperato dei suoi occhi, il suono di una
voce che le diceva di non farlo, che niente era così
importante e che nessuno meritava tanto da lei. Sarebbe finita in
qualcosa di più grande, qualcosa che non avrebbe saputo
gestire, ma l’unica cosa che riusciva a pensare era che una
volta sola non avrebbe ammazzato nessuno.
Così aveva aperto l’acqua del lavandino, si era
avvicinata lentamente alla tazza del water e, dopo aver raccolto i
capelli in una coda, aveva chinato la testa portando frettolosamente
due dita all’interno della sua gola. Le era sembrata la cosa
più disgustosa del mondo, le aveva portate in
profondità sempre più lentamente fin quando il
suo stomaco non aveva reagito e tutto quello che aveva ingerito a cena
era ritornato fuori dal suo organismo.
Ricordava perfettamente gli occhi gonfi e le lacrime che le rigavano il
viso, però ricordava anche la leggerezza e la liberazione
dal senso di colpa.
Più il tempo passava, più la situazione
peggiorava e nessuno se ne era mai accorto.
Nemmeno sua madre. Nemmeno lei che si vantava così tanto di
conoscere perfettamente i suoi figli, che pensava di conoscere ogni
cosa di loro, lei non sapeva con cosa sua figlia conviveva ogni giorno.
Inizialmente era solo quando mangiava fuori dai pasti, ma poi iniziava
a rigettare anche quelli, ma il suo peso restava sempre quello e
più le cose non cambiavano più Dianne sfogava
tutto con quel modo così malato.
Erano passati due anni da allora e tutto era scorso seguendo una linea
retta, nessun evento straordinario o qualcosa da ricordare in modo
particolare. Niente sino a oggi.
Quello era il giorno che probabilmente aveva aspettato maggiormente
negli ultimi anni, ogni suo sacrificio, ogni sua mossa era stata
compiuta in funzione di quella giornata.
Le sembrava solo ieri il giorno in cui sua madre le aveva portata
speranzosa la lettera che aveva ricevuto la mattina
dall’università, insieme avevano incrociato le
dite e aperto la busta con attenzione, estraendo il pezzo di carta. Le
urla avevano riempito tutto il quartiere. Ce l’aveva fatta,
sarebbe andata a Princeton e non sarebbe stata sola.
Insieme a lei quella mattina sarebbe partita sua cugina, Gwen. Lei e
Gwen condividevano quasi tutti i ricordi d’infanzia, sua
cugina abitava nella casa vicino alla sua, ma per Dianne era sempre
stata qualcosa di più di una semplice parente con cui dovevi
avere per forza un rapporto per via dei legami di sangue. Loro due
erano cresciute come due sorelle, sempre insieme e Dianne avrebbe fatto
di tutto per lei.
Gwen era differente, un sorriso caratterizzava sempre le sue labbra,
riuscendo a portare il buon umore nelle persone che le erano accanto,
per chi la osservasse da fuori sembrava una di quelle persone
sicurissime di se e consapevoli del proprio potenziale. Una di quelle
che non aveva paura di niente. Ma Dianne sapeva che non era
così, Gwen era probabilmente la persona più
ansiosa che conoscesse, per ogni minima cosa era capace di farsi almeno
otto versioni differenti della stessa storia, per poi tentare di trarne
una nona mandandosi ancora di più in fumo il cervello.
Quel giorno sarebbero partite insieme, non prima di incontrare Austin
un’ultima volta però.
Cosa ne sarebbe stato della loro storia? Fu quello a cui
pensò Dianne quando raccolse dalla scrivania la cornice dove
c’era una loro foto insieme. La osservò in
silenzio per alcuni istanti e poi la fece ricadere
all’interno della valigia quasi piena, che aveva trascinato a
fatica sul letto.
Quando finalmente chiuse la cerniera dell’ultima borsa,
capì che non aveva più niente da portare con
sé. I suoi amati libri giacevano a terra in uno scatolone,
più volte Gwen le aveva detto di non portarli con
sé, ma lei, come sempre, l’aveva ignorata.
Dopo svariati tentativi di portare l’ultima e pesante valigia
giù per le scale, si rassegnò e chiamò
suo fratello che le rispose solo quando Dianne aveva ceduto allo
sconforto trascinando da sola la valigia per metà scale
e rischiando più volte di tirarsela addosso.
Elthon di malvoglia si caricò la valigia sulle spalle e
raggiunse l’estremità opposta delle scale,
arrivando al pian terreno. Un rumore di una macchina che parcheggiava
lungo il viale, attirò l’attenzione di Dianne,
Gwen era forse già arrivata? Ma quando sollevò
maggiormente il viso scorse i capelli castani di Austin e lui che
scendeva dalla sua berlina nera.
Si morse il labbro nervosamente e scese gli ultimi gradini,
attraversando poi la porta arrivando sul viale principale.
Quando lui la vide, le sorrise avvicinandosi lentamente.
–Allora, il grande giorno è arrivato. -
Dianne annuì e avanzò nella sua direzione.
–Finalmente, aggiungerei. -
-Come, non vedi l’ora di andare via da me?-
Scherzò lui.
-Esattamente, sai quanti bei ragazzi ci saranno in New Jersey. -
Rispose lei, sollevando l’angolo delle labbra in un
sorrisetto.
-Ehi!- L’ammonì lui e poi allargò le
braccia per stringerla a se. –Mi mancherai. -
Dianne ricambiò la sua stretta, premendo la guancia contro
il suo petto. –Anche tu.- Disse in automatico. –Non
darti troppo alla pazza gioia una volta arrivato a Providence.-
-Sarò un angioletto. -
-Lo immagino. - Rispose lei e non appena avvertì un altro
rombo di motore arrivare lungo il viale, alzò la testa
scorgendo Gwen alla guida della sua Station wagon.
- E’ ora di mettersi in marcia!- Esordì la
brunetta scendendo dall’auto. –Princeton richiede
di essere conquistata. -
Dopo una quindicina di minuti valigie e scatoloni erano stati sistemati
nell’auto di Gwen, ricoprendo completamente di roba anche i
sedili dei passeggeri, lasciando liberi solo i due posti avanti.
-Non avrete portato troppa roba?- Commentò Austin portandosi
una mano sulla fronte madida di sudore.
-Guarda, sono solo le cose essenziali. - Si giustificò
Dianne lasciando scivolare entrambe le mani all’interno delle
tasche dei jeans.
-Poi mi spiegherai quanto sia essenziale portare con te una guida sui
funghi velenosi. - Commentò Gwen estraendo un tomo dagli
scatolini.
Lei la fulminò con lo sguardo e la cugina alzò le
mani in segno di resa, rientrando in auto e sistemandosi al posto di
guida.
-E’ ora di andare. - Mormorò la ragazza.
-Fate attenzione e chiamami non appena arrivate. - Le disse Austin e si
chinò su di lei, stampandole un fugace bacio sulle labbra.
Mai come in quel momento Dianne capì che la loro relazione
era passionale come quella di due vecchietti al termine delle loro
vite. Si limitò a sorridergli e indietreggiò
infilandosi in auto, chiudendosi dietro lo sportello.
-E io che mi aspettavo i fuochi d’artificio. -
Commentò delusa Gwen mentre girava le chiavi e portava lo
sguardo su Austin.
-Gwen, zitta o trovo una utilità per il libro dei funghi
velenosi. - Ribatté Dianne chinandosi in direzione dello
stereo e premendo il tasto ‘On’.
-Lo so che mi ami. - Rispose l’altra con un sorrisone e dopo
aver messo in moto, portò l’attenzione agli
specchietti, tentando di fare retromarcia. –Con tutti questi
scatoloni non riesco a vedere niente. - Borbottò.
Ma Dianne non la stava ascoltando, mentre la macchina si allontanava
seguì un’ultima volta la figura di Austin, ma lui
era già girato di spalle e mentre chiudeva gli occhi,
sentì la macchina sfrecciare come non mai lungo la strada.
-Ehi, bella addormentata. -
Dianne sentì una voce chiamarla in lontananza e una mano
scuoterle la spalla. –Ancora cinque minuti. -
sbiascicò voltandosi dall’altra parte del sedile.
La voce sbruffò e poi qualcosa colpì la sua
spalla, facendole male. Scattò seduta in un nanosecondo,
guardandosi intorno.
-Bentornata tra noi!- Disse Gwen allegra.
- Siamo arrivate?- Chiese Dianne ancora mezza addormentata.
Lei scosse la testa. –Ti piacerebbe, ma no, siamo ferme in
un’area di servizio. - Fece una pausa aggiustandosi la borsa
sulla spalla. –Avevo un po’ di fame, tu vuoi
qualcosa?-
La ragazza annuì lentamente per poi tentare di rimettersi
dritta sul sedile. –Che dolce risvegliò.-
commentò.
-Lo so.- Rispose Gwen. –La mia voce è
più dolce di una melodia. –
Dianne scosse la testa mentre un sorriso le si formava sulle labbra.
–Su, andiamo usignolo. –
Dopo aver sgranchito le gambe si avviarono all’interno del
bar e mentre Gwen ordinava qualcosa da mangiare, Dianne si diresse in
bagno.
Quando aprì la porta i suoi occhi si posarono su un ragazzo
intento a sporgersi sul lavandino per specchiarsi meglio, lei in un
primo momento pensò di aver sbagliato bagno e
indietreggiò per controllare, notando subito la targhetta
con la donna disegnata sopra, quindi riportò lo sguardo a
lui.
Aveva i capelli scuri, era alto e del tutto concentrato a sistemarsi i
capelli. Fischiettava sotto voce la canzone che stavano trasmettendo
per radio in quel momento. Dopo poco alle sue spalle uscì
una donna, o meglio una ragazza, data la sua statura minuta Dianne non
riusciva a darle un’età. Quando la
ragazza si avvinghiò alle spalle di lui, lei fece una veloce
inversione U, uscendo dalla porta.
Probabilmente non si erano nemmeno accorti della sua presenza,
così, imbarazzata e con la vescica ancora piena
ritornò da Gwen che intanto aveva trovato un tavolo vicino
alla finestra.
-Il bagno per ora è offlimits. - Disse mentre si sedeva.
-Perché?- Chiese l’altra in una lingua
incomprensibile mentre tirava giù alcuni bocconi.
-Niente di che, due intenti a compiere la danza della natura. -
- Si vede che siamo arrivati in New Jersey. - Commentò
l’altra prendendo un sorso dalla sua gassosa. – Ho
preso un panino anche per te.- Le disse indicando con un cenno della
testa il fagotto sistemato sul tavolo.
Dianne osservò per alcuni istanti il panino e si
lasciò sfuggire un sospiro. -Ora non mi va, lo
mangerò dopo. - disse infilandolo in borsa.
Qualche caffè dopo erano di nuovo sulla strada, Gwen per
tutto il resto del viaggio le parlò, o meglio
insultò, il suo ex ragazzo. Erano stati insieme per tre anni
e Gwen alla fine lo aveva mollato, dicendo che lui non meritava
più niente, ora era il momento del college e voleva essere
libera.
Dianne non riuscì a non pensare ad Austin, la loro storia
ormai si era arenata, e probabilmente erano destinati anche loro a una
fine simile.
Ormai erano in viaggio da quello che sembrava un tempo infinito, quando
Gwen si voltò verso di lei. –Dianne, devo dirti
una cosa, promettimi che non urlerai. -
Dianne si voltò verso di lei, guardandola confusa.
–Che succede?-
Lei prese un respiro profondo e poi urlò così
forte da far saltare un timpano anche all’autostoppista che
avevano appena superato. – SIAMO ARRIVATE A PRINCETON!!!-
Gli occhi di Dianne s’illuminarono e si voltò
velocemente verso il finestrino, notando il cartello enorme che diceva
“ Benvenuti nel comune di Princeton”, si
girò nuovamente verso la cugina e prese a urlare anche
lei.
Abbassarono i finestrini e iniziarono a urlare come due pazze cose come
“Princeton ti abbiamo conquistata” o “Le
stronzette del Vermont sono qui.”.
Dopo un po’ si calmarono e calò il silenzio.
-Okay, basta o ci denunciano per inquinamento acustico-
- Già e dobbiamo trovare anche un otorino, credo di non
sentirci più da un orecchio. -
-La casa deve essere questa. - Disse Gwen, mentre accostava
di fianco ad una palazzina. Non era altissima, massimo erano presenti
cinque piani, le aiuole nei suoi dintorni sembravano ben curate e
alcuni ragazzi uscivano dalla porta principale.
Inizialmente avevano pensato di alloggiare all’interno del
campus, ma poi avevano trovato un appartamento per tre persone poco
distante e avevano deciso di affittarlo. Gwen era stata particolarmente
entusiasta della cosa, vivere fuori dal campus significava non avere
restrizioni come il coprifuoco o varie limitazioni da buoni vicini.
Avrebbero dovuto dividere l’appartamento con
un’altra ragazza, ma nessuna delle due aveva avuto modo di
conoscerla.
-Ripetimi l’indirizzo. - Disse Gwen.
-Numero 11 di Vandeventer Ave. - Ripeté Dianne per
l’ennesima volta.
Gwen annuì con convinzione e accostò lungo la
strada. –Benvenuta a casa, Diannetta.-
Dianne scese dall’auto, l’aria fresca della sera
l’avvolse immediatamente, ma in confronto al Vermont il clima
era più mite. Sollevò il viso guardandosi
intorno, la strada era completamente costeggiata da alberi le cui
foglie erano di tanti svariati tipi di verdi, le case erano quasi tutte
come le tipiche abitazioni americane di legno e avevano un che di
vissuto che si scontrava con il nuovo dell’appartamento che
sarebbe stato il loro.
Tirò fuori dal bagagliaio due delle tante valigie, quelle in
cui aveva messo le cose più utili ed entrambe si
incamminarono lungo il viale di cemento che conduceva
all’appartamento.
Anche l’interno delle scale era completamento nuovo,
probabilmente quella palazzina era nuova visto che ogni cosa era ancora
intatta. Due ascensori collegavano i vari piani, una rampa di
scale ergeva di fianco e leggermente più la erano
visibili le varie caselle postali con i numeri degli appartamenti
attaccati sopra.
Gwen richiamò uno degli ascensori, il piano terra era
completamente deserto quindi era udibile solo il rumore di esso che
scendeva velocemente i vari piani.
-Terzo piano!- Disse Dianne e premette il dito contro il tasto facendo
richiudere velocemente dell’ascensore.
Quando esse si riaprirono erano arrivate in un piccolo ingresso,
c’erano due porte, una di fronte all’altra e una
pianta posta al centro. Era terribilmente stretto.
-Deve essere questo. - Borbottò pensierosa Gwen mentre
allungava un dito, portandolo sul campanello, che risuonò
attraverso la porta.
Dopo alcuni istanti la porta si aprì e una ragazza sporse la
testa, alla loro vista s’illuminò.
–Dovete essere Gwen e Dianne Rivera!- esclamò
aprendo completamente la porta. –Benvenute! Io sono Nives
Daives, dividerò l’appartamento con voi. -
La ragazza davanti a loro aveva un sorriso caldo, i suoi occhi scuri
trasmettevano allegria e i capelli le ricadevano ordinatamente sulle
spalle.
-E’ un piacere conoscerti, tra le due io sono Dianne.-
Distese le labbra in un sorriso.
Nives si scostò dalla porta facendole passare,
l’appartamento non era niente di speciale, c’erano
tre camere, un bagno e l’angolo cucina. Due camere erano
completamente spoglie, mentre quella Nives era piena di poster di
‘Buffy l’ammazza vampiri’ e cd dei Green
Day. Il bagno era in comune, così anche la cucina.
Ci vollero tanto, troppo tempo per scaricare completamente la macchina
e percorrere per la decima volta il tragitto auto-ascensore-casa e
viceversa, quando finalmente tutto fu portato sopra, entrambe si
ritirarono nella propria stanza, tentando di mettere in ordine la
maggior parte delle loro cose.
Salve a tutti! Sono nuova di
questa sezione, si può dire che questa è la prima
storia originale che pubblico, quindi mi piacerebbe sapere cosa ne
pensate!
Lo so, siamo solo al
primo capitolo, e forse si sarà capito poco e niente, ma
nella mia mente l'intera storia è già stata
scritta!
Si tratteranno di
tematiche delicate e penso che sia giusto affrontare anche quelle.
Bene, mi dileguo ringraziando chiunque
decida di lasciarmi il suo parere! E' davvero fondamentale per me!
Un bacio a tutti.
-Farawayx.
Vorrei
ringraziare la mia Gwen per avermi aiutato e sostenuta
nell'intraprendere questo cammino. Ti voglio bene, sempre.
|