Autrice:
AHARU_
Pairing:
Destiel
Fandom:
Supernatural
Raiting:
Verde
Words:
1313
NdA:
Ohmmiodio
prima o poi, giuro
(?), non distruggerò più questo fandom con...
beh, queste cose.
Non
ho mai voluto provare a scrivere una fluff, solitamente preferivo far
soffrire sti poveri malcapitati in millemila
torture. Ma boh, ci ho provato?
Ringrazio
chiunque leggerà e, sopratutto, chi perderà due
minuti della sua
giornata a recensire.
Enjoy!
Disclaimer:
I personaggi non mi appartengono (purtroppo) e non ci guadagno nulla.
E,
insieme, bruceremo il cielo.
Il
vento infuriava insistentemente sul paesaggio del Kansas, il cielo
era coperto da uno strato spesso di nuvole e Castiel sapeva che, di
lì a poco, sarebbe piovuto.
Lo
sapeva perchè stava andando tutto storto, perchè
era solo e se
aveva imparato qualcosa dai quegli stupidi film che davano in
televisione era che la pioggia era la perfetta cornice di una
situazione di merda.
Castiel
stava camminando da ore, cercando di passare inosservato ma studiando
con attenzione tutte le macchine che gli passavano accanto. La felpa
umida pesava sulle sue spalle privandolo di quel poco calore che il
suo corpo stava tentando di custodire.
Se
non ricordava male le parole del minore dei Winchester, era vicino al
posto in cui si sarebbero incontrati e, quello, lo spingeva avanti,
nonostante il dolore o la fame.
«Castiel?»
la voce profonda di Sam, lo riportò alla realtà.
Fu solo in quel
momento che vide l'Impala di Dean ferma, accanto a lui, con il
finestrino aperto e uno sguardo felice che lo invitava ad entrare.
«Sono felice di vederti. Vieni, ti porto a casa.»
Castiel
sbattè le palpebre un paio di volte poi, con la stessa
espressione
miserabile di un cucciolo bagnato, si mise a sedere sul sedile di
pelle.
«Ti
prega ogni sera»
E
non amò mai quella macchina come in quel momento.
°°°°°°°°°°
Era
stato un sollievo entrare in quel buker sotteraneo: in esso, aveva
trovato un posto dove riempire lo stomaco, dove riposarsi e in cui
sentirsi al sicuro- cosa che non era più riuscito a fare da
parecchio tempo.
Per
la precisione da quando Metratron, un paio di settimane prima, aveva
rubato la sua grazia e bruciato le sue ali, rendendolo l'unico
responsabile della caduta degli angeli del paradiso.
Riusciva
ancora a sentire la lama fredda trapassare la pelle del suo collo,
strappargli via quell'unica parte che lo faceva essere un angelo, che
decretava quello che era. Quello che era sempre stato.
Ma
non era solo quello a tormentare i suoi pensieri: c'era qualcosa in
quella sua nuova natura che lo tormentava, lo confondeva - una
spiacevole sensazione di vuoto al centro del petto, che faceva male
ad ogni respiro.
Castiel
camminava lento, un passo dopo l'altro provava a cercare la stanza
che, Sam, gli aveva indicato. Il corridoio era buio, solo una porta,
leggermente socchiusa, faceva filtrare una luce debole.
Poi
lo vide e qualcosa, semplice come un puzzle per bambini, si rimise
insieme: seduto a gambe aperte sul letto perfettamente tirato, stava
guardando il muro spoglio davanti a se, facendo ruotare
distrattamente l'anello attorno al suo anulare.
Dean
Winchester.
In
un attimo si chiese come aveva fatto a non pensarci prima: era ovvio
che fosse lui. Era sempre stato lui; fin da quando,
cinque
anni prima, afferrò la sua spalla tra le fiamme
dell'inferno. Fin da
quando quel suo atteggiamento, gli aveva mostrato una via migliore da
vivere.
Aveva
perso tutto ma, lo sapeva, non avrebbe cambiato nulla... non se il
premio era vederlo ogni giorno. Non se la ricompensa era far parte
della sua famiglia.
«Oggi,
io e Sam, ti abbiamo cercato»
La
sua voce, morbida e calma, vibrò nelle sue orecchie
attirandolo,
annebbiandogli la mente stanca come un canto delle sirene.
Castiel
si affacciò dallo stipite della porta, incantato dal profilo
color
miele. Intrappolato in quegli occhi che, in quel momento, nemmeno
riusciva a vedere.
«Ti
abbiamo rincorso tra i barboni, ho persino visto i posti in cui hai
dormito nelle ultime settimane, quando eri solo. E, lasciatelo dire,
sono molto peggio di quei schifosi motel in cui vivevamo noi.»
Dean
chiuse gli occhi, giocando nervosamente con le dita: aveva
così
tanto da dire in così poco tempo che si ritrovò
senza parole, senza
la minima idea da dove conminciare. Troppe domande che non avrebbe
mai avuto il fegato di chiedere a quegli occhi di un blu troppo scuro
e senza stelle. «So
che non puoi sentirmi Castiel. Lo so ogni sera ma... ma ti
prego.»
E
sorrideva.
«Ti
prego Cass, torna a casa dalla tua famiglia. Torna da me.»
Dean
lo stava pregando e sulle sue labbra aveva stampato il sorriso
più
bello che Castiel avesse mai visto in miliardi di anni.
Sarebbe
rimasto a guadarlo per ore, ad unire con la mente ogni sua lentiggine -
manco fosse uno di quei giochi che aveva notato di sfuggita su una
rivist -, a decifrare ogni cambiamento della sua espressione; ma la
voglia di leggere i suoi occhi - la voglia di rivederlo - ebbe la
meglio.
Castiel,
quindi, bussò sulla porta di legno, attirando la sua
attenzione.
Il
ragazzo scattò in piedi, tremò per un secondo
poi, nell’espressione
più imbarazzata che si possa immaginare, tentò di
darsi un
contegno.
«Cass»
Dean sembrò pronunciare quel nome come fosse una supplica e,
forse,
era proprio quello che stava facendo. «Cass»
ripetè ancora,
incredulo. « sei veramente
tornato»
Vagò
con lo sguardo per tutta la stanza, evitando di soffermarsi in quegli
occhi che sembravano volerlo rincorrere - e confondere.
Tentò, con
tutte le sue forze, di nascondere quell'insensta felicità
che, lo
sentiva, stava prendendo possesso del suo volto, della sua anima.
Perchè
Castiel era lì e... basta. Quello era tutto ciò
che importava.
«Sono
caduto, Dean. Avrei voluto venire qui prima, ma le mie ali…
sono
bruciate.» l'ex angelo si strinse nella felpa scura, troppo
grande
per il suo fisico notevolmente dimagrito, cercando di regalarsi un
po' di calore. «Scusa
se ti ho fatto preoccupare» disse poi, avvicinandosi di un
passo.
Dean
vedeva quanto era cambiato. Notò anche quanto sembrava
essere a
disagio con quella sua nuova natura: Castiel aveva le mani in tasca,
lo sguardo basso - velato da una sottile patina di lacrime –
e le labbra screpolate; intrappolate tra la morsa stretta dei suoi
denti e circondate da piccole macchie di dentifricio.
Era
diverso da quel Castiel che, un po', gli aveva sempre fatto paura.
Ed
era bello, bellissimo. Sotto ogni punto di vista: era umano.
Nella
sua testa si formarono milioni di immgini diverse, mille motivi per
cui quel pensiero non avrebbe mai dovuto passargli per la testa...
Dean li analizzò uno ad uno, mandandoli al diavolo: si
limitò solo a sporgersi verso di lui, ad artigliare i
capelli dietro
alla sua nuca e ad attirarlo a sé in un bacio.
Le
sue labbra erano leggermente rovinate, cedevoli sotto le sue,
inesperte, goffe; il cacciatore sorrise, schiudendole delicatamente
con la lingua.
Accarezzandole,
desiderandole con tutta la dolcezza di cui era capace.
E
Castiel rimase senza fiato mentre un brivido percorse la sua spina
dorsale, ritrovandosi avvinto in una sorta di attrazione magnetica.
Allungò
una mano verso di lui, lambendo con i polpastrelli la guancia ispida
di barba del cacciatore: stretto tra le sue braccia a respirare il
suo odore, ad ascoltare il battito del suo cuore in un modo che non
si sarebbe mai immaginato, sentì la sua pelle fremere sotto
il suo
tocco . In una reazione spontanea e impacciata pressò ancora
di più
le labbra sulle sue, appropriandosi nuovamente di quella bocca che
sapeva di casa.
Quando
- in un momento che parve arrivare troppo presto - si
scostò, lo
sguardo smarrito di Castiel lo inondò di emozioni,
lasciandolo ad un
passo dalla follia. Ma
fu solo quando pronunciò il suo nome che, il ragazzo,
riuscì a
ricambiare e a sorridere, felice come non lo era da tempo. Come se
tutti i problemi delle ultime settimane fossero annegati in quelle
due pozze blu che, ancora, lo stavano studiando.
Delicatamente,
Dean, sfiorò la sua fronte imperlata di sudore con la
propria:
sembrava così strano riaverlo vicino, saperlo al sicuro dopo
tutte
le preghiere che gli aveva rivolto.
Ed
era una sensazione che, si giurò, non avrebbe mai voluto
perdere:
per questo motivo, Dean, rimase in silenzio, stringendolo a se ancora e
ancora, fino a che nessuno sarebbe stato in grado di capire
dove cominciava uno e finiva l'altro.
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