LIBRO II - Capitolo 36: Porte e Cancelli
«Hai paura?» chiede Ecate,
premurosa, a Persefone.
Le labbra raggrinzite e
marce stanno risalendo sempre più fino all’angolo di quella sua bellissima
bocca, rossa come le rose più belle, cancellando lentamente il luminoso
sorriso, ultima stella del mondo infero.
«Sì… tanta…» risponde
tremando la fanciulla.
«Ma si può sapere cosa sta
succedendo?! – chiede delucidazioni Cerbero – Insomma, è un’immortale, non può
morire!»
«Sta zitto, stupido
cagnone tricefalo» fa brusca la Signora degli Usci, mentre stringe forte la
mano alla Regina.
«Ormai il mio tempo qui è
finito… per favore, assicurati che non succeda nulla a mia madre, ma fa che il
destino di Ares si compia…»
«Mi dispiace che debba
finire così… Ma la porta che stai varcando è troppo sconosciuta persino a me…»
Le guance putrescenti
affogano il blu di quei meravigliosi occhi in un oceano di morte e angoscia, i
bellissimi e lunghi capelli fluenti abbandonano il capo pallido come petali di
rosa alle porte dell’inverno. L’Ade reclama il fiore più bello, afferrandolo in
una fredda morsa per le sue radici e trascinandolo in lande senza sole,
cancellando il colore dalla sua corolla.
Poi cala il silenzio.
Cerbero fissa la scena,
ancora confuso, così come sembrano farlo le innumerevoli teste dell’idra che lo
circondano, mentre ancora Sfinge giace al capezzale del fratello, entrambi
immobili, e Leone ha ancora la testa conficcata nel pavimento.
«No, hai ragione… non può
morire… - inizia lentamente a spiegare Ecate – ma quello che l’attende è peggio
della morte… diventerà della morte servitrice, sua sposa e schiava, perderà il
senno è diverrà solo i resti in continua putrefazione di quello che era il suo
bellissimo corpo… è il modo che ha la Morte di vendicarsi su quanti sfuggano
alla sua gelida morsa… Beati voi che un giorno morirete e darete finalmente pace
alle vostre membra, e non dovete vivere col terrore di diventare un giorno
così…»
Poi, all’improvviso, le
membra di Chimera, prima inermi, iniziano a muoversi, scalciare, come nascendo
di nuovo da un utero invisibile.
Si fionda dritto, senza
dire una parola, e proprio come in un parto, tutti i presenti sono in
apprensione, aspettando la prima voce del nascituro, e come questa tarda a
farsi sentire, accresce il timore nei presenti.
Ma poi, di nuovo
all’improvviso, un urlo squarcia la tensione e Chimera, o Ares per lui, si
accascia a terra, tremante dal dolore.
Già, dolore fisico! Il Dio
della Guerra! Mai ne aveva fatto esperienza.
Come freddi artigli
conficcati in quella nuova carne, calda e pesante come nemmeno l’acciaio più
rovente del suo vecchio corpo, gronda insieme al sangue portandosi via con esso
l’energia vitale. Il braccio mozzato, il busto passato da parte a parte.
«Alla buon’ora» commenta,
cinica, Ecate, ancora dandogli le spalle, ancora riversa sul corpo della fu
Persefone.
Tra le lacrime che affollano
i suoi occhi, Ares scorge la macchia cremisi che deve essere il moncherino
dell’ora suo braccio e incomprensibilmente la sua mente riesce a formulare
pensieri mentre assorbe tutto quel gelo: facile fare il Dio della Guerra senza
avvertire dolore! Invece Chimera, Chimera come aveva fatto a continuare a
combattere nonostante tutto ciò? E tutto per lui poi!
Poi un calore inizia a
farsi largo tra il freddo, e moncherino e addome iniziarono a formicolare e
vibrare, ma ciò non significava sollievo, tutt’altro: altro dolore, ancora più
grande.
«La tua anima immortale
sta iniziando a sanare le ferite… però dovrai soffrire e non poco… – spiega la
Signora degli Usci – Ma ora non c’è tempo per lamentarsi, la Guerra è ormai
ufficialmente iniziata e sospetto che vorrai sfruttare a tuo favore l’elemento
rapidità…»
«N-no – la interrompe
Ares, rantolando al suolo – v-voglio – ogni sillaba aumenta il dolore – voglio
andare giù»
«Giù!?» sussulta Ecate.
«S-si… ho visto… ho visto
qualcosa… prima…»
«Ma… ma non sei nelle condizioni…»
fa l’anziana, per la prima volta stranamente turbata.
Ma Ares si rimette in
piedi, lento, pesante, pianta gli zoccoli sulla fredda pietra. Sputa sangue,
mortale. Ma si regge in piedi. Con la zampa sana si preme la ferita sull’addome
mentre l’altro braccio, nello spettacolo orripilante della sua guarigione,
penzola inerme. Ma avanza, e parla.
«Sono un Dio, vecchia! Il
Dio Ribelle! Ho la forza per dichiarare guerra all’Olimpo, non saranno certo un
paio di ferite a fermarmi!»
«Chimera! – Sfinge si sveglia
dal suo sonno fiondandosi sul corpo del suo fratello – Sei salvo!»
Ma Ares la respinge via
con una zampata.
«Non è il momento Sfinge»
Cerbero raggiunge la
sorella, rimasta al suolo, fa per spiegarle l’accaduto, ma con un battito d’ali
quella è in piedi e, con sguardo corrucciato e terribile, si fionda di nuovo
verso Ares.
«Vieni fuori dal corpo di
mio fratello, lurido olimpico! Non oltraggiare la sua memoria!»
Ma, senza nemmeno
voltarsi, una delle code del corpo di Chimera, nonché piccole copie in miniatura
delle teste di Idra, la avvolge bloccandola a mezz’aria.
«Ripeto… non è il momento»
poi le spire mortali si stringono intorno al suo corpo leonino.
«Ares! Cosa stai facendo!»
tuona Cerbero.
«Anche se fosse… non mi
servirebbe più… l’ho solo usata per arrivare a voi altri… non ha alcuna utilità
in battaglia… – poi Sfinge perde i sensi e Ares la rigetta a terra – ma non ti
preoccupare, l’ho solo messa fuorigioco, ci sarà tempo per farla rinsavire»
Ecate bussa tre volte a
terra col piede destro, e subito la pavimentazione prende vita ridisponendosi
da solo a formare una porta.
«Spero che tu sappia
sceglierti bene gli alleati, Enialo, e che non faccia qualcosa di stupido… io
non potrò seguirti laggiù…»
«Non ce ne sarà bisogno»
il Dio trascina le sue membra mortali, a fatica, verso il varco appena creato,
e vi entra scendendo delle scale aperte nella roccia.
Poco dopo sbuca
nell’enorme stanza che aveva visto in forma di spirito, ma non dall’alto, come
si aspettava, bensì da un’altra porta aperta nel pavimento.
Non si ferma più di tanto
a riflettere sul potere della Signora degli Usci, data la gigantesca struttura
che gli si propone alla vista: la stanza, perfettamente quadrata, è più vasta
di qualsiasi singola stanza egli abbia mai visto e, probabilmente, occupa tutta
la pancia dell’isola retta dall’Ecatonchiro, grande quanto il Palazzo al di
sopra di questa.
Ma una delle pareti è
sostituita da un enorme Cancello, probabilmente in bronzo, cinto da
innumerevoli catene e strisce di carta che recano rune arcane e antichissime,
come quelle della forma divina di Ares stesso o incise sulla falce di Thanatos.
Dietro il Cancello solo buio, il più denso e impenetrabile mai visto.
Davanti a questa imponente
cancellata spunta dal pavimento un busto, lo stesso che aveva trovato sotto al
Tempio di Delfi: Gea. Eppure non ricordava di averlo visto quando combatteva
contro Ade…
Il Dio si avvicina alla
statua che sembra accoglierlo rimanendo immobile, come fosse stata creata
proprio per questo.
E, come si aspetta, una
voce viene fuori dal nulla:
«Ares… Finalmente hai
ripensato alla mia proposta?» la titanessa non sembra confusa da quel suo nuovo
corpo.
L’Enialo si immobilizza,
cala la testa, il respiro ancora pesante per il dolore che gli proviene da quel
corpo alieno.
«La Guerra non è ancora
cominciata e già sono stato quasi distrutto… Sono qui, ridotto ad occupare il
corpo di un mostro, a chiedere consiglio ai Titani…»
Poi il buio davanti a lui
si muove, dagli angoli della parete spunta un bianco accecante che inizia a
guadagnare terreno, lasciando al buio una nera e gigantesca pupilla, che, come
tale, si sposta su Ares.
«Dio della Guerra –
esordisce una voce potente, surclassando quelle dei due interlocutori –
Benvenuto ai Cancelli del Tartaro, luogo della nostra eterna prigionia. E bada
che eterna rimanga»
«Titano, non vuoi essere
di nuovo libero? Dare di nuovo battaglia all’Olimpo?»
«Ma, Olimpico, io non l’ho
mai fatto… Credi forse di parlare con Crono o uno dei suoi fratelli? No, io
sono molto più antico di loro, sono il Primo Titano, sono loro Padre, Urano»
«U-Urano?» Ares non aveva
contemplato la possibilità di trovarsi di fronte un’entità talmente antica che
nessun Olimpico l’aveva mai incontrata.
«Mio figlio, compagno di
cattività, è troppo schiavo del suo orgoglio per chiedere la libertà, ma così
facendo lascia a me l’opportunità di redarguirti, dato che io sono ormai troppo
lontano da ogni logica fuori da questo mondo d’oscurità perché possa
importarmene qualcosa»
«E allora perché vuoi
aiutarmi?»
«Non sto aiutando te, che sei
solo una pedina, ma il Destino»
«Io sarei solo una
pedina?!»
«Non stare ad ascoltarlo!
– interrompe Gea – I Titani hanno la forza per soverchiare il regno di Zeus!
Liberali!»
«I Titani sono
incontrollabili, Ares, lo sai benissimo. Ma c’è un’altra forza ancestrale,
creata solo per distruggere Zeus e l’Olimpo, figlio dell’Odio e del Destino. Il
suo nome fa tremare Titani e Dei. Ha già tentato di adempiere al suo ruolo
naturale, e ha fallito, ma col tuoi aiuto e quello degli Echidnidi potrebbe
farcela: il suo nome è Tifone»
«La prigionia ti ha reso
folle, Urano!» erompe Gea, per la prima volta fuori controllo.
«Ma dove posso trovarlo?»
chiede Ares, incalzando.
«La sua prigione è l’Etna,
e il suo guardiano Efesto che lì ha la sua fucina divina, ti basterà superare
quest’ultimo ostacolo e la Guerra sarà vinta»
«Come potevo pensare che
tu, stupido Dio della Guerra, potessi essere il nuovo Re degli Dei?» Gea è
ormai infuriata, quando Ares getta nuovamente uno sguardo al suo busto, questo
è completamente diverso: una nuova espressione, minacciosa, e le braccia
protese verso di lui, ma ancora orribilmente immobile.
Tutto intorno la terra
comincia a tremare, crepe si aprono sulle pareti di roccia e piccoli detriti
iniziano a venire giù dal soffitto.
«Vai e adempi al tuo
destino» chiude Urano, prima che una mano afferri il piede di Ares e lo
trascini dietro un’altra porta, che si chiude bruscamente.
Il Dio si ritrova in una
galleria, abbastanza grande da farci stare Ecate, ma soprattutto Cerbero, che
sulla groppa trasporta i corpi inermi del Leone e di Sfinge.
«Come previsto, stavi per
farti ammazzare… e ovvio che non hai idea dei rischi che corra un corpo mortale…»
lo sgrida la Signora degli Usci mentre, senza perdere tempo, avanza in quella
buia galleria, illuminandola con il suo braccio-torcia.
«Spero che tu ora sappia
come procedere» fa Cerbero, rinunciando a capire tutto quello che sta
succedendo.
«Credo di avere un asso
nella manica…» sogghigna quello.
«Ma mio fratello Idra?»
chiede l’Echidnide.
«Mi sa che dovrò tornare
indietro e creare un portale molto più grande, ma ci vorrà del tempo…» fa
Ecate, evidentemente scocciata.
«A proposito – interviene Ares
– ma se volessi, potresti creare una porta per il Tartaro?»
Un istante di silenzio.
«Mi dispiace, quello era
un Confine già esistente… io posso creare passaggi per ogni punto del mondo, ma
temo che il Tartaro non appartenga a questo Mondo…»
Sul tetto del Palazzo
Thanatos ha risucchiato quasi tutte le anime dei morti, ma ancora Ade non
demorde e si fa scudo di quelle rimaste.
«E’ inutile capo, è così
che deve andare!» fa Ker.
«No! Sono io il vostro
padrone, il Re degli Spiriti!» urla Ade.
Poi decide di fare la sua
mossa: invece che tentare di fuggire dalla sua morsa, l’anima del Dio si getta
fra tutte le altre fino a raggiungere il corpo del Demone Ancestrale,
tuffandovisi dentro.
«Vuoi-vuoi prendere possesso
della Morte!? – chiede Ker, sconcertato – Ma… non è così che deve…»
«Non è così che deve
andare?» la labbra inesistenti di Thanatos si sono mosse, e ne fuoriesce la
voce di Ade.
Silenzio. Le anime dei
defunti rimaste si disperdono e il mulinelli di spiriti inghiottiti dal demone
cessa all’istante.
«Che strano corpo…
disgustoso… ma potente…»
«Tutto questo non finirà
bene…» commenta il Demone della Morte Violenta…
«Sì… sono io l’unico
padrone del mio destino… Aspetta, ma questo cos’è? – si interrompe Ade,
parlando da solo – cosa vuol dire tutto questo… è… è già scritto? E chi sono
costoro? Io… io non capisco…»
«Non finirà per niente
bene…»
«E’ tutto… E’ tutto uno
scherzo – la voce rotta ma quasi felice – Sì, è uno scherzo! Che senso ha! Che
senso ha!»
«Gente nata nelle trame
del Tempo non dovrebbe vedere la storia da fuori…»
Ade esplode in una grassa
risata, rimanendo lì immobile, sul tetto del suo Palazzo, dimentico della sua
storia e troppo piccolo per capacitarsi di quella di tutti.
Cantuccio: e con la pazzia di Ade si chiude il libro II. Spero vi sia
piaciuto perché ora arriva il terzo e ultimo. In realtà
ce ne sarebbe dovuto essere un "II e mezzo" ma ci ho messo 2 anni e
più per arrivare a questo punto e direi che è ora di dare
una fine a questa storia ;)
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